(dal francese
sadisme, der. del nome del
marchese
D.-A.-F. de Sade). Perversione sessuale in cui il soggetto trae
il proprio soddisfacimento dal dolore fisico o morale inflitto all'oggetto
d'amore. Il termine fu introdotto nel 1869 da R. Krafft-Ebing e Freud ne estese
il significato, accentuando l'importanza della commistione di
aggressività e sessualità alla base di questa patologia.
Nell'impostazione teorica freudiana la tendenza sadica è strettamente
associata a quella
masochista: si può parlare di
s. quando
l'appagamento sessuale è raggiunto a condizione che l'oggetto sessuale
venga sottoposto a dolori, maltrattamenti e umiliazioni; si parla invece di
masochismo quando il soggetto consegue l'appagamento del piacere solo in seguito
a maltrattamenti. Per Freud i due fenomeni sono da considerarsi come aspetti
complementari di una stessa perversione, in cui è difficile stabilire una
priorità di un momento sull'altro. Secondo la psicoanalisi, elementi
sadici sono presenti nel normale sviluppo psicosessuale: Freud ne
individuò l'importanza in una fase dello sviluppo sessuale infantile,
nota appunto come fase sadico-anale (V.), momento
importante nel processo di definizione della libido. Nell'adulto, tuttavia, il
s. si configura come patologia, probabilmente connessa ad una mancata
risoluzione del complesso di castrazione. ║ Per estens. - Comportamento
improntato consapevolmente alla crudeltà, per il quale una persona trova
soddisfazione emotiva nel sottoporre o vedere altre persone in una situazione di
disagio, umiliazione o paura.