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Sacramento.

Segno visibile della invisibile Grazia divina, ordinato alla santificazione e salvezza degli uomini. ║ Sia la Chiesa cattolica sia quella ortodossa riconoscono sette s.: Battesimo, Eucarestia, Confermazione (Cresima), Riconciliazione (Penitenza), Unzione degli infermi (Olio santo), Ordine, Matrimonio (V. anche SINGOLE VOCI), attraverso i quali Dio infonde la propria Grazia santificante nell'anima dei credenti. Le Chiese riformate, invece, prevedono solo i due s. istituiti direttamente da Gesù, Battesimo e Santa Cena, che considerano solo segni esterni della Grazia già infusa nel credente dalla fede. • St. delle rel. - Secondo un'accezione disciplinare e generale, si intende per s. ogni atto rituale considerato quale tramite di un'unione diretta, permanente o momentanea, del fedele con la divinità, come attraverso una fusione. Il concetto di s. presuppone dunque il convincimento che sia possibile superare la distanza tra uomo e dio (diversamente, il rito non produrrebbe comunione diretta del fedele con il divino) e che tale comunione possa essere attinta mediante il rito (diversamente, l'unione del fedele con la divinità sarebbe di natura mistica ma, appunto, non sacramentale). ║ I s. nel Cristianesimo e nel Cattolicesimo: correntemente e prevalentemente, il termine s. è riferito in senso univoco all'ambito cristiano, dal momento che la Chiesa sviluppò, fin dai suoi primi secoli, la più imponente e ricca riflessione teologica sacramentaria. Nell'Antico Testamento, l'intervento diretto di Dio nella vicenda dell'uomo era già proposto come atto storico e visibile che veicolava un contenuto non visibile e santificante; tale “pedagogia” divina culminò nella persona e nella vita di Gesù Cristo, la cui predicazione e le cui azioni utilizzarono la realtà sensibile come strumento per attingere ed agire sullo spirito umano (la guarigione del paralitico è prodromo al perdono dei suoi peccati, quella del cieco nato apre i suoi occhi anche alla fede, ecc.). I Vangeli attestano un'evidente volontà istitutiva di tipo rituale da parte di Gesù, a partire da elementi e gesti di vita quotidiana (imposizione delle mani, acqua, pane, vino, ecc.) attraverso i quali egli trasmise la Buona Novella. In particolare Gesù durante la sua vita pubblica innovò alcuni riti, già propri della tradizione giudaica, come il bagno lustrale e la benedizione del pane e del vino, che poi costituirono per i cristiani i s. rispettivamente del Battesimo (che ratifica l'adesione del fedele al Vangelo, il suo ingresso nella comunità ecclesiale e la remissione del peccato d'origine) e dell'Eucarestia (che nel memoriale dell'Ultima Cena riattualizza l'annuncio della morte e resurrezione di Cristo), cioè i momenti cultuali, principali strumenti di salvezza, intorno ai quali presero vita le prime comunità. La parola latina sacramentum (che indicava propriamente il giuramento di fedeltà e dedizione che legava il soldato al suo imperator) assunse importanza teologica da quando fu impiegata per tradurre il termine greco, di ampia valenza semantica, mystérion (V. anche MISTERO). Nel Nuovo Testamento tale vocabolo compare esplicitamente nell'epistolario paolino, dove designa il piano salvifico di Dio che, nel suo attuarsi, si è manifestato in Cristo e può essere conosciuto mediante la fede: il mistero di Dio culmina per san Paolo in quello di Cristo (che veicola nella sua visibile incarnazione il dato invisibile e salvifico della propria divinità) e da questi passa alla Chiesa e agli elementi cultuali e rituali che, nell'economia della salvezza, sono rappresentazione e comunicazione del mistero. Con Tertulliano e gli apologeti, sacramentum cominciò ad indicare il legame tra il fedele e il Cristo, mentre con la Patristica furono definite s. tutte le realtà visibili che in ambito ecclesiale fossero significanti di una realtà invisibile e trascendente. Se ne deduce che, in origine, si riconoscevano come primi e principali s. l'umanità stessa di Cristo e la Chiesa quale Suo corpo; poi, per contiguità e derivazione, il Battesimo, l'Eucarestia, e un gran numero di momenti rituali e catechetici della vita cristiana (il catecumenato, la recita del simbolo di fede, la Pasqua, il digiuno, ecc.). Contemporaneamente si accentuava, nella polisignificanza del termine e del concetto, la dimensione del s. come mezzo salvifico, di modo che la riflessione teologica ed ecclesiale si concentrò più sui singoli s. che sulla loro intima connessione nella Chiesa stessa. Nei secc. II e III sec. d.C., la polemica contro i manichei e gli gnostici (V. MANICHEISMO e GNOSTICISMO) aveva già prodotto una piena coscienza teologica nella difesa dell'elemento sensibile del culto cristiano, mentre quella a proposito della validità del Battesimo amministrato da eretici aveva stabilito la validità oggettiva del s., che è generata dalla fede della Chiesa e non da quella del singolo ministro. Maggiore sistematicità nella trattazione dell'argomento fu raggiunta da sant'Agostino che, nel V sec., definì i s. come segni riferiti a realtà divine, costituiti ciascuno da un elementum sensibile reso efficace dal verbum (parola). Dalla definizione agostiniana, che pure inseriva i singoli s. nel quadro unitario del mistero ecclesiale, sortì una progressiva tendenza a considerare i s. come momenti autonomi e separati, e via via scissi dalla dimensione pastorale, vissuta come pura trasmissione di massime morali. La vita sacramentale del cristiano fu così concepita come un complesso di riti senza evidente connessione unitaria, la cui amministrazione da comunitaria che era si ridusse ad un fatto privato tra il ministro e il fedele. La Scolastica (V.) proseguì nel filone del realismo teologico e assunse la teoria ilemorfica di Aristotele (V. ILEMORFISMO) come modello concettuale entro cui approfondire la sacramentaria: la distinzione del segno sacramentale in materia (acqua, pane, vino, imposizione delle mani, ecc.) e forma (le parole che ne determinano il valore) condusse in breve ad un'enumerazione canonica dei s. Tale linea fortemente concettualizzante oscurò i residui della teologia di carattere più pastorale ancora perseguita, ad esempio, da Ugo di San Vittore, che interpretava in chiave sacramentale ogni intervento di Dio nella storia. I sette s., così come ancora sono riconosciuti dalla Chiesa cattolica, erano stati indicati per la prima volta da Pietro Lombardo (V.) nel XII sec., il quale ne aveva anche indicato lo specifico carattere nella “causalità”, cioè nel loro essere causa naturale e strumentale di un sicuro effetto soprannaturale (l'infusione nell'anima della Grazia). Questa impostazione fu saldamente organizzata ed arricchita nelle varie summae theologicae composte dai filosofi-teologi medioevali, tra cui spicca quella di Tommaso d'Aquino, benché in tal modo venissero rimossi altri caratteri della dimensione sacramentale (come quella storica e celebrativa) difficilmente assumibili in tale linea di ragionamento. Con la formula “ex opere operato” (dall'opera compiuta) si intese indicare che i s. sono sempre efficaci, dal momento che la loro efficacia deriva direttamente dai meriti di Cristo e non dalla dignità o indegnità morale di chi li amministra o di chi li riceve; la validità dei s., tuttavia, non è automatica in quanto dipende dall'adeguatezza della materia (elementum), della forma (verbum) e dell'intenzione e disposizione del ricevente (ex opere operantis), il quale se in stato di peccato mortale commette un sacrilegio. Il risultato di questa sistematizzazione, già totalmente approvata dal Concilio di Costanza (1418), fu in seguito assunto come dogma dal Concilio di Trento (1545-63), anche in polemica con le tesi proclamate in merito dalla Riforma (V.). I riformatori, infatti, avevano confutato l'intera sacramentaria cattolica, riportando in primo piano il dato biblico e impostando in termini alternativi il binomio “Parola-s.”. Essi, in base ai concetti di assoluta trascendenza di Dio, gratuità della salvezza e giustificazione per sola fede, riconobbero come s. solo Battesimo ed Eucarestia, in quanto istituiti direttamente da Cristo, ma li ridussero a segno esterno della Grazia, già ricevuta per mezzo della fede. Così, mentre la Chiesa tridentina si qualificò come chiesa costituita da e intorno al nucleo sacramentale, quella riformata si definì come chiesa della Parola. La sacramentaria cattolica, fino a tutto l'Ottocento, si mantenne su tali posizioni, spesso scadendo in una casistica astratta e minuziosa; solo al termine del secolo si cominciò a promuovere una nuova ricerca sulla dimensione misterica dei s., cioè della loro natura di atto divino che si incontra con quello del credente entro l'organismo ecclesiale. Assai decisa, in tal senso, fu infine la revisione della teologia sacramentaria voluta dal Concilio Vaticano II (1962-65), grazie alla quale si recuperò sia da parte dei ministri sia dei fedeli la nozione più complessa e globale del concetto di s., riaffermando come primo tra tutti quello di Cristo e della Chiesa. • Teol. - L'ultimo Concilio, orientato da una volontà ecumenica e da una più accentuata attenzione al dato biblico, ha riproposto con forza l'annuncio di Cristo quale s. originante (fontale), sulla base della teologia paolina: “Dio ha parlato a noi per mezzo del Suo figlio” (Ebrei 1, 1). Il mistero dell'incarnazione e quello pasquale rappresentano dunque il s. dell'incontro di Dio con l'uomo, il luogo della rivelazione e dell'azione di Dio. Tale potenza sacramentale passa da Cristo alla Sua Chiesa che, abitata dallo Spirito della Pentecoste, diventa s. della visibilità di Cristo nella storia, estendendone nello spazio e nel tempo l'annuncio e l'azione salvifica; i sette s. sono perciò (secondo tale impostazione che recupera la visione olistica, storica e biblica dell'antica Patristica) azioni salvifiche di Cristo offerte agli uomini attraverso il servizio ministeriale della Chiesa che, in tali atti, si autorealizza. Attraverso la Chiesa e i suoi sacerdoti, infatti, è Cristo che battezza, conferma con lo Spirito, perdona i peccati, infonde la Grazia con la sua Cena, conforta il corpo ammalato, consacra al servizio dei fratelli e sostiene il patto d'amore dell'uomo e della donna e, parimenti, la Chiesa attuando mediante i s. la presenza di Cristo tra gli uomini attinge la pienezza del suo compito. I punti dogmatici asseriti dal Concilio di Trento, così integrati e sottratti ad un crudo determinismo e concettualismo, sono tuttavia sempre vincolanti per la teologia sacramentaria cattolica, con particolare riguardo al convincimento della loro assoluta necessità, almeno nel desiderio, per ottenere la giustificazione dai peccati e, dunque, la salvezza dell'anima e riguardo alla loro sicura efficacia ex opere operato. Ugualmente vincolanti sono le modalità stabilite per il loro conferimento; si prevede che essi siano impartiti da una figura consacrata: un sacerdote per il Battesimo, la Riconciliazione, l'Eucarestia e l'Unzione degli infermi, un vescovo per la Confermazione e l'Ordine; ministri del Matrimonio, invece, sono gli sposi stessi, di cui il sacerdote è solo un testimone che rappresenta la comunità ecclesiale. Anche il Battesimo può essere impartito da chi non sia sacerdote e perfino da chi non sia credente, purché agisca con retta intenzione, quando si verifichi una situazione di grave pericolo di vita del battezzando. In questo caso è sufficiente versare dell'acqua sul capo del ricevente e pronunciare la formula di benedizione “Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Infine, si intende che i s. siano stati tutti istituiti da Gesù almeno nella sostanza, sebbene non tutti direttamente. L'azione salvifica di tre di essi, Battesimo, Confermazione e Ordine, consiste nell'imprimere nell'anima un carattere che essa mantiene per sempre ed è per tale ragione che tali s., a differenza degli altri, possono essere ricevuti una sola volta.