Novelliere e poeta italiano. Nato da una
famiglia fiorentina guelfa, fu indirizzato dal padre, Benci di Uguccione, alla
mercatura e risulta iscritto dal 1351 all'Arte del Cambio. Non si hanno notizie
dirette dei suoi studi e della sua educazione; certo fu uomo di cultura ampia
anche se disordinata, rappresentante e interprete di una nuova letteratura in
volgare, digiuna di latino e di lettere dotte, ma tipica del nuovo ceto borghese
e mercantile. Partecipò attivamente alla vita politica e civile di
Firenze: ricoprì sia magistrature pubbliche in città (fu uno degli
Otto di Balia nel 1383, priore nel 1384, uno dei Dodici Buonomini nel 1390) sia
alti incarichi fuori dal territorio fiorentino, in diverse città della
Toscana e della Romagna (a Bibbiena nel 1382, a Faenza nel 1395, a San Miniato
nel 1400) e svolse missioni diplomatiche per la Repubblica prima a Bologna e poi
in Lombardia. La morte, forse per peste, lo colpì a San Miniato, dove si
trovava per il suo ultimo vicariato. La sua attività poetica, a
differenza di quella politica in cui fu conservatore e moderato, fu innovativa
ed eclettica, per varietà stilistica e sperimentalismo metrico,
valorizzando l'eredità della poesia burlesca e cortese, così come
di Dante, di Boccaccio e del Petrarca “cristiano”. La sua
attività di scrittore accompagnò quella di cittadino e ne
registrò i diversi momenti, rappresentando per lui un rifugio e un luogo
dello spirito cui affidare l'annotazione e la memoria delle esperienze: le sue
opere furono composte nel corso di tutta la vita e per tal motivo sono a volte
di difficile datazione. Opera di esordio è considerata la
Battaglia
delle belle donne di Firenze con le vecchie, pubblicata integralmente per la
prima volta solo nel 1825, ma databile con buona probabilità al 1363
(anno precedente le sue prime nozze con Maria Felice Strozzi, cui è
dedicato lo scritto e che è forse riconoscibile in una delle
protagoniste). Si tratta di quattro
cantari (V.
CANTARE) in ottave che esprimono, mediante una misura compositiva
tipicamente popolare, un tema già tipico nei
contrasti
(V. CONTRASTO) della poesia burlesca e giocosa: la
lotta tra giovinezza e vecchiaia. Argomento del cantare è infatti la
storia di alcune giovani bellezze fiorentine che sono costrette ad affrontare, e
finiscono con lo sconfiggere, in una vera e propria battaglia un gruppo di
anziane comari, incollerite per l'offesa recata a una di loro. Il tema narrativo
si riveste di mondanità e
divertissement letterario, pagando
tributo al precedente boccaccesco della
Caccia di Diana; vi compaiono
già i tratti caratteristici della poetica di
S., le forme
artistiche raffinate, il gusto dell'allegoria e l'abilità nel conferire
al racconto una suggestione realistica. Contemporanee alla
Battaglia sono
talune delle liriche raccolte nel
Libro delle Rime, composto nel corso di
tutta la vita, una sorta di vasto zibaldone dei suoi esercizi poetici (ma vi
sono comprese anche liriche dei suoi corrispondenti, fra cui A. Pucci), ordinato
dallo stesso autore secondo un rigido ordine cronologico e assai ricco per la
varietà di forme metriche. In esso, accanto a poesie di argomento storico
e cittadino, stanno rime di carattere amoroso, madrigali e ballate, composte nel
solco della tradizione toscana, di volta in volta ascrivibili al filone cortese
o comico. Nelle prime prevalgono l'istanza morale e didattica, l'impegno civile
di
S. nel rappresentare il tempestoso tramonto dell'età comunale
durante la crisi istituzionale della Chiesa: il poeta esprime opinioni e
aspirazioni politiche, i suoi ideali e la sua fede convinta. Più
leggiadre e briose sono le rime amorose e i versi comici - nei quali si
può scorgere quasi un'anticipazione del
nonsense tipico del
Burchiello - nonché le liriche destinate al canto, le canzoni da ballo, i
madrigali e le ballatine, non di rado musicati dallo
stesso
S. Le
composizioni, che suggeriscono atmosfere idilliache, raggiungono talora una rara
limpidezza di linguaggio, come nella ballata
O vaghe montanine pastorelle
o nella caccia
Passando con pensier. Il manoscritto Ashburnham 547,
custodito nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, conserva 309
componimenti delle
Rime scritti di pugno dall'autore. Eventi tragici
condizionarono l'esistenza di
S. e lo condussero ad una sofferta crisi
personale, dalla peste del 1374, che uccise la moglie, alle incertezze generate
nella sua concezione politica dal tumulto dei Ciompi (V.
CIOMPO) del 1378, fino all'accusa di tradimento a carico del fratello
Giannozzo (V. SACCHETTI, GIANNOZZO) e alla sua
esecuzione nel 1379. In tali anni difficili, e fino al 1381,
S. compose i
49 capitoli in prosa delle
Sposizioni di Vangeli, un'opera di intento
pedagogico e densa di ricca spiritualità, che illustra e spiega i brani
evangelici delle messe pasquali e quaresimali. Con essa l'autore si
impegnò in una riflessione e discussione morale e polemica, affrontando
quesiti, dubbi, casi di coscienza che la vita di ogni giorno e i propri doveri
gli ponevano. Senza disconoscere il valore di testimonianza culturale e
autobiografica delle
Sposizioni, gli elementi di maggiore interesse di
quest'opera stanno nell'uso della prosa e nella tecnica dell'
exemplum,
che anticipa e prefigura la misura della novella. Quest'ultima forma espressiva
conseguì l'esito più alto nel
Trecentonovelle, fatica
letteraria che fece di
S. il maggior novelliere del Trecento dopo
Boccaccio. Ideata probabilmente a Bibbiena nel 1385, la raccolta fu composta con
buona probabilità nel corso del decennio seguente e conclusa nel 1395. La
redazione in nostro possesso deriva da un tardo apografo cinquecentesco, voluto
dall'umanista e filologo Vincenzo Borghini, a sua volta copia dell'ultimo
manoscritto dell'opera circolante nel XVI sec.: il codice ci ha tramandato 223
novelle, alcune delle quali però lacunose o mutile. Pur collocandosi nel
solco della tradizione antecedente e, soprattutto, del
Decameron,
S. riuscì ad esprimere al meglio la propria maturità
espressiva e culturale, esercitando una sostanziale autonomia dal modello
boccaccesco (di cui si ripropone, ad esempio il Buffalmacco, ma entro uno sfondo
sociale del tutto sconosciuto al poeta di Certaldo). Poche novelle, del resto,
sono ascrivibili alla letteratura di genere precedente e il tono conversevole
dell'autore attinge di più alla tradizione orale e popolare, volendo egli
“raccogliere tutte quelle novelle, le quali e antiche e moderne, di
diverse maniere sono state per li tempi, e alcune ancora che io vidi e fui
presente, e certe di quelle che a me medesimo sono intervenute”.
L'impostazione del
Trecentonovelle, del resto, è altrettanto
semplice e senza pretese letterarie: non utilizza l'espediente della cornice,
né segue un ordine prestabilito o un preciso disegno nel susseguirsi
delle novelle, che si snodano invece sul filo di tenui legami e di libere
associazioni di pensiero; il suo maggior pregio artistico non risiede tanto
nella limpidezza della sintassi o del lessico (che accumula anzi svariati
elementi vernacolari), quanto nella semplicità e naturalezza della
narrazione, che esprime la sua matrice culturale borghese e mercantile. Le
novelle, di lunghezza ineguale, rappresentano attraverso una materia agile e
spigliata piccole vicende ambientate per lo più nella Firenze a lui
contemporanea, i cui protagonisti sono mercanti, artigiani, osti, contadini,
insomma quella borghesia cittadina che lo scrittore aveva conosciuto bene
durante i suoi incarichi pubblici e che poté descrivere e analizzare con
realismo. Nella prospettiva di
S., del resto, narrare significa
comunicare la realtà, dimostrare, anche attraverso l'elemento burlesco,
che gli eventi quotidiani e minuti sono governati da una loro intima morale,
alla quale non è dato sottrarsi. Tale intento moralistico (che
narratologicamente si realizza nella “morale” giustapposta alla fine
di ciascuna novella) non stride con la materia dei singoli racconti, con le
beffe, gli aneddoti saporiti e arguti, le risse, le macchiette, ecc. La prosa di
S. è distaccata e nitida, i personaggi disegnati con
incisività e con brio, l'andamento della narrazione arguto e sottile,
caratteristiche queste che contribuiscono a fare del
Trecentonovelle una
delle più alte opere della letteratura del Trecento (Ragusa, Dalmazia
1332 circa - San Miniato, Pisa 1400).