Ampio componimento redatto in una lingua
romanza
(V. ROMANZO),
donde l'uso sostantivato dell'aggettivo a indicare il componimento stesso. Nato
in origine come opera in versi, il
r. fu presto scritto anche in prosa,
mantenendo sempre la propria caratteristica destinazione all'evasione e al
diletto del lettore (o uditore), in quanto narrazione di avventure o di episodi
eroici di ambientazione storica o fantastica. ║ Dalla metà del XVI
sec., con sviluppo massimo nei secc. XIX-XX, si evolse dalla forma antica il
genere letterario del
r., in quanto prosa narrativa, distinta dal
racconto perché di media o lunga estensione; consiste di solito in
un'esposizione di vicende reali, realistiche o fantastiche, relative a uno o
più personaggi, e implica situazioni complesse o conflittuali di cui la
narrazione segue gli sviluppi fino alla conclusione, negativa o positiva che
sia. In dipendenza dai temi dominanti, il
r. si distinse in una tipologia
assai vasta e differenziata:
r. di cappa e spada,
epistolare,
storico,
gotico,
giallo,
rosa, ecc. ║ Fig. -
Serie di avvenimenti tanto inconsueti e inaspettati da apparire incredibili o
frutto di fantasia:
la sua vita è come un r. • Lett. -
Il
r. antico: da un punto di vista strettamente filologico, si dovrebbe parlare
di
r. solo a partire dai primi esempi medioevali, per i quali il termine
stesso fu coniato. Oggi, tuttavia, ci sono note opere dell'antichità che
possono essere considerate a buon diritto
r., in quanto non solo
rispondono ai caratteri propri di tale genere letterario, ma ne rappresentano
anche, attraverso la mediazione dei secoli e delle culture, l'origine. Gli
esempi più antichi appartengono alle culture del Vicino Oriente
assiro-babilonese, egizio, siriaco, aramaico (in questa lingua fu composto il
r. di
Ahīqaār, datato al VI sec. a.C., il cui fine
gnomico è dissimulato in una cornice di tipo fantastico), ma la vera
fioritura della narrativa romanzata appartiene al tardo ellenismo (I sec. a.C. -
III sec. d.C.). Tra i titoli di maggiore importanza di quest'epoca, a noi noti
talvolta solo per epitomi posteriori o per brevi frammenti papiracei, figurano
il
Romanzo di Nino (I sec. a.C.), in cui il mitico fondatore dell'Impero
babilonese appare come un giovane innamorato della bella cugina Semiramide;
Le avventure di Chera e Calliroe (I sec. d.C.), di Caritone di Afrodisia;
I prodigi al di là di Tule (I sec.), di Antonio Diogene;
Le
avventure pastorali di Dafni e Cloe (II sec.), di Longo Sofista;
I
fatti di Leucippe e Ctesifonte (II sec.), di Achille Tazio. Nel
r.
antico, che ancora ai tempi degli alessandrini, primi sistematori della
letteratura greca, non era contemplato come genere letterario, confluirono
motivi antecedenti numerosi e vitali, quali: il gusto dell'avventura, già
noto con l'
Odissea; l'elemento amoroso, già proprio della tragedia
euripidea, della commedia nuova e delle elegie erotiche alessandrine; la
sostituzione della fantasia dell'autore alla traccia canonica del mito,
già vista nella storia di Medea delle
Argonautiche di Apollonio
Rodio; le descrizioni di viaggio, fiorite in epoca alessandrina con il
Romanzo di Alessandro. Comune ai
r. di età ellenistica
è la tessitura narrativa, incentrata tipicamente sull'amore contrastato
di due giovani, che possono ricongiungersi felicemente solo attraverso una serie
di prove e avventure (rapimenti, guerre, morti presunte, ecc.). Motore di ogni
azione dei protagonisti è l'amore (un
eros forte e fedele, sempre
sublimato dal legame coniugale), ma regista della sempre complessa serie di
eventi è il Fato (
týche). La cornice storica delle
peripezie dei protagonisti era, nelle opere più antiche, assai precisa, e
i personaggi storicamente verosimili: fatto che ha avvalorato la tesi di una
possibile filiazione del genere del
r. da quello storiografico, mediante
la sostituzione dei personaggi reali con quelli fittizi. Col tempo, tuttavia,
tale verosimiglianza storica sfumò in ambientazioni assai più
vaghe e inverosimili, mentre cresceva l'intento moraleggiante,
l'artificiosità e la complicazione degli intrecci narrativi, a scapito
del rilievo psicologico dei personaggi, stilizzati e scarsamente
individualizzati anche a causa dello stile pomposo e denso di artifici retorici
(fatto quest'ultimo che lega secondo i critici la nascita del
r.
antico
anche al rifiorire dell'arte retorica in epoca ellenistica).
Sulla scia della produzione greca si collocarono i due maggiori
r. della
letteratura latina, il
Satyricon (V.) di
Petronio Arbitro e
L'asino d'oro (V. ASINO D'ORO,
L') di Apuleio di Madaura, opere tra le più grandi dell'età
imperiale, entrambe ispirate al genere, satirico e realistico, delle
novelle
milesie (II sec. a.C.). ║
Il r. nel Medioevo e fino al XVI
sec.: il genere letterario del
r. si affermò come tale
all'interno dell'evoluzione culturale operante nella Francia del XII sec. La
parlata volgare, prevalentemente usata nell'uso colloquiale o comunque
nell'ambito dell'oralità, cominciò a essere utilizzata in
quest'epoca anche nella composizione scritta, al punto che il termine
romanz (V.
ROMANZO) finì per designare specificamente
opere di tipo narrativo, versificate (ma già verso la fine del secolo, la
forma in versi fu affiancata e presto sostituita da quella in prosa) e destinate
alla lettura, sia personale sia pubblica. La prima fase del
r. francese
è attestata dal
Roman d'Alexandre, la cui composizione in lasse di
decasillabi (V.
LASSA) dimostra dipendenza dalle
chansons de
geste (V.), ma in seguito la tecnica
compositiva adottò la tipica serie continua di ottosillabi rimati a
coppie. La materia era di fantasia e avventurosa, tratta da leggende classiche
(cicli di Grecia e di Roma), o derivata da motivi bizantini e orientali, o
ambientata nell'antico mondo celtico (ciclo di Bretagna), o di ispirazione
contemporanea e cortese. Alla mediazione della cultura scolastica (che
comprendeva l'epica di Virgilio e Stazio, ma anche l'inflessione sentimentale di
Ovidio) si deve la trasmissione nel tempo della materia che diede vita alla
cosiddetta «triade classica»:
Roman de Troie,
Roman
d'Enéas e
Roman de Thèbes. Lo spunto orientale e
bizantino sostanziò invece le storie di
Florio e Biancofiore e di
Eracle, di Gautier d'Arras, cui si deve anche l'
Ile et Galeron di
argomento bretone. Questa materia ebbe particolare fortuna, soprattutto grazie
ai
r. di Chrétien de Troyes (
Tristan,
Erec et
Enide,
Cligès,
Lancelot,
Ivain,
Perceval)
che ebbe propri epigoni nelle terre dell'attuale Germania e nella stessa
Francia, dove prosperò il ciclo del Graal, che ebbe però impronta
più mistico-religiosa che cavalleresca. Non fu questa l'unica variazione
del gusto che si verificò durante il XIII sec.: l'opera di Jean Renart
(
Escoufle,
Guillaume de Dole)
mostrò, accanto al
perdurare del tono narrativo e del carattere avventuroso del ciclo arturiano,
una poetica di maggior aderenza al reale mentre la pluralità di
compilatori del
Roman de Renart (V.)
sviluppò, mediante la parodia animalesca, una pungente satira
antibaronale. Il
Roman de la Rose (V.),
infine, diede espressione da un lato all'estrema raffinatezza della tecnica
allegorica cortese (nel primo libro di Guillaume de Lorris), dall'altro allo
spirito naturalista e all'enciclopedismo universitario (nel secondo libro di
Jean de Meung). Tra i secc. XIII e XIV si accentuò la tendenza alla
prosificazione dei
r. che, da una parte, servì le esigenze della
predicazione cistercense, dall'altra, consentì la diffusione di questo
tipo di opere negli ambiti borghesi e mercantili. In prosa, infatti, erano sia
le traduzioni sia i rifacimenti degli originali francesi in Italia
(
Tristano,
Lancillotto del Lago,
Tavola rotonda, fino ai
Reali di Francia di Andrea da Barberino), in Portogallo (
A demanda do
Santo Graal), in Catalogna (
Lancelot,
Questa del Sant Graal) e
in Spagna (
Gran conquista de Ultramar). Nel Trecento e Quattrocento in
Francia e in Germania si continuò a produrre una prosa aderente alla
tradizionale linea avventuroso-cavalleresca, mentre in Italia, fin dal XIV sec.,
la narrativa romanzesca sperimentò nuovi caratteri: dapprima con
l'originale ma goffo tentativo di Bosone da Gubbio (
L'avventuroso
Ciciliano, storia di cinque baroni in fuga dalla Sicilia dopo i Vespri) e
trovando poi in Boccaccio un più alto livello di coscienza artistica e
compositiva. Tuttavia né il
Filocolo (forse il più
dipendente dalla tradizione francese), né il
Ninfale d'Ameto,
né l'
Elegia di Madonna Fiammetta furono riconosciuti dalla
critica del tempo come esempio di un genere letterario vero e proprio,
tant'è che lo stesso Bembo incluse Boccaccio tra gli scrittori canonici,
non in quanto narratore e romanziere, ma in quanto modello di lingua. Solo con
il Rinascimento la critica letteraria, uscita dai confini di una rigida
osservanza classicista (che considerava i
r. ellenistici frutto di
decadenza e degenerazione del gusto), poté svolgere una seria discussione
su questo genere letterario (si pensi al
Discorso intorno alla composizione
dei romanzi, di Giambattista Giraldi Cinzio, 1554;
I romanzi, di
Giovan Battista Nicolucci detto il Pigna, ecc.); tuttavia il
r.
continuò a essere considerato un genere letterario minore almeno fino al
XVIII sec. Il primo Rinascimento francese ebbe la sua grande opera narrativa
(sulla linea della parodia della letteratura epica e cavalleresca) nel
Gargantua et Pantagruel (1532-64) di Rabelais, opera ricca di invenzioni
narrative e linguistiche e di una straripante erudizione, che sancì di
fatto la crisi del
r. cavalleresco e medioevale e spesso fu indicata tra
gli antesignani del
r. moderno,
attingendo anche alla
comicità grossa del filone popolare carnevalesco e di un racconto anonimo
dedicato al gigante Gargantua. Alle grottesche figure di Rabelais corrispose in
Spagna, a metà del XVI sec., il
Lazarillo de Tormes (di autore
ignoto), anticipatore di una nuova poetica che, abbandonata la via del
r.
cavalleresco (già reinterpretato con sensibilità
rinascimentale dall'
Amadis de Gaula), rovesciò in senso antieroico
la nozione d'avventura, con una narrazione asciutta di vicende e ambienti
quotidiani e reali, i cui protagonisti sono figure di basso rango, goffi
imitatori di illustri personaggi. ║
Il r. picaresco e gli sviluppi del
genere fino al XVII sec.:
il nome del filone detto
picaresco,
tra i più fortunati della letteratura spagnola
ma presto innestato anche in altri Paesi europei, deriva dal vocabolo
picaro
(furfante, manigoldo, persona di poco conto, spesso contrapposto a
cortesano). Figure di questo tipo, oltre che nel già citato
Lazarillos, erano comparse già in precedenza (ad esempio nella
Farsa salamantina,
1540,
di B. Palau), tuttavia la
rilevanza letteraria del
picaro va ascritta al capolavoro di M.
Alemán,
Guzmán de Alfarache (1599), che racconta le
avventure di un vagabondo il cui personaggio si caratterizzò per
l'irrequietezza esistenziale, conseguente a una sorta di sradicamento etico e
sociale; i risvolti comici o grotteschi tipici del genere non impediscono
tuttavia l'emergere di un suo fondo se non tragico almeno patetico. Il prototipo
del filone picaresco ispirò una fitta serie di epigoni (citiamo tra tutti
la versione femminile di questo tipo letterario,
La picara Justina, 1605,
di F. De Useda
e il capolavoro di F.G. de Quevedo,
Storia della vita
del pitocco chiamato Pablo, 1626), influenzando sia la letteratura spagnola
(se ne colgono echi anche nel teatro) del Seicento e del Settecento sia, almeno
in parte, quella di altri Paesi: questo genere è riscontrabile infatti in
Francia, in Inghilterra, in Germania, dove fiorì il genere affine del
cosiddetto «
r. bricconesco», e anche in Russia. Caso a
sé stante è il
r. Don Chisciotte di M. de Cervantes,
evidentemente legato alla temperie culturale del filone picaresco, ma da molti
individuato come primo esempio del
r. moderno, in quanto in esso si
verificò il definitivo superamento della divisione medioevale degli
stili, che consentì l'assunzione ad argomento «tragico» anche
di temi medi e quotidiani. In Italia, durante il XVII sec., accanto alle
traduzioni dei
r. picareschi (che esercitarono la loro suggestione
soprattutto nei poemi eroicomici di C. Cortese:
La Vaiasseide e
Micco
Passero 'nnammurato), si diffuse il genere del
r. pastorale, il cui
tratto distintivo risiedeva nell'immagine idillica della natura contrapposta
all'affettazione e artificiosità della vita di corte e mondana. Prototipo
ne fu l'
Arcadia di I. Sannazzaro (1504), seguito anche all'estero, tra
gli altri, da Th. Lodge con
Rosalinda (1590) e da H. d'Urfé con
l'
Astrea (1607). Dalla Francia fu invece esportato il gusto del
r.
eroico-galante, dalla trama preziosa e barocca, piena di avventure, colpi di
scena, agnizioni, ridondante di personaggi bizzarri; in Italia questo tipo
letterario fu rappresentato dal
Calloandro fedele (1640-41) di G.A.
Marini, mentre le opere di G. Brusoni e di M. Bisaccioni precorsero
rispettivamente i
r. di costume e storici dei secc. XVIII-XIX. A
La
princesse de Clèves (1678) di Madame de La Fayette va ascritta
l'anticipazione del filone psicologico, che ebbe nei secoli successivi molta
fortuna, proponendo un
r. d'amore la cui caratteristica è una
penetrante analisi psicologica dei personaggi. ║
Il r. moderno dei
secc. XVIII e XIX: il genere romanzesco moderno nacque in Inghilterra nel
Settecento. Suoi primi interpreti furono J. Swift e D. Defoe, le cui opere
principali, rispettivamente
I viaggi di Gulliver (1726) e
Robinson
Crusoe (1719), si sostanziarono nel medesimo tempo del gusto per l'esotico e
per la vita dei popoli selvaggi, e di un'apologia del buon senso dell'uomo
comune. La vitalità del
r. settecentesco si evidenzia nella
molteplicità dei tipi. Le
Lettere persiane di Ch.L. de Montesquieu
furono il prototipo del genere epistolare, cui vanno ascritti il sentimentale
Pamela (1740) di S. Richardson, la
Nuova Eloisa (1761) di J.-J.
Rousseau,
I Dolori del giovane Werther (1774) di J.W. Goethe,
Le
ultime lettere di Jacopo Ortis (1798-1816) di U. Foscolo; al medesimo
Montesquieu si deve anche la nascita del genere filosofico, particolarmente
congeniale a Voltaire (
Candide, 1759). In Italia circolarono le
traduzioni di tutti i romanzieri, bravi e meno bravi, a significare la fortuna
del genere tra i lettori, ma la produzione locale fu di basso livello.
Giganteggiò invece nel panorama di fine secolo il Goethe romanziere,
soprattutto per il
Wilhelm Meister (primo esempio di quello che
verrà definito «
r. di formazione» ed eguagliato solo
dall'
Educazione sentimentale di G. Flaubert) e per le
Affinità
elettive, una sorta di avventura sentimentale indagata con metodo quasi
scientifico e finalizzata alla conoscenza del fenomeno d'amore. La poliformia
del genere si accentuò durante l'Ottocento, quando i narratori, prendendo
ispirazione dal secolo precedente, ne svilupparono i caratteri. Al
r.
sentimentale si ricollegò Stendhal (
Armance), che tuttavia presto
superò tale dimensione in una compresenza di affresco storico e di
costume, di ritratto psicologico e di felicità di intreccio e narrazione
che lo resero uno dei più grandi romanzieri del secolo. L'ambito storico
fu tuttavia il più frequentato durante l'Ottocento: il filone origina dal
Castello di Otranto dell'inglese H. Walpole (che è anche
considerato antenato del genere
noir e, attraverso E.A. Poe e A.C. Doyle,
del poliziesco e del giallo di attuale fortuna), ma soprattutto dalla ricca
produzione di W. Scott, caratterizzata da una felicità narrativa e di
coloritura pittoresca, ma anche da una certa superficialità, che nel
fatto storico cercava giustificazione all'ottimismo del racconto. Superiore per
spirito critico, rigore nella ricerca e visione (pessimista) della storia fu il
r. di A. Manzoni, che tuttavia, come non aveva avuto precedenti nel
panorama italiano, ebbe epigoni di scarsa levatura. Manzoni stesso condusse,
mentre concludeva l'ultima revisione linguistica del suo capolavoro
I
promessi sposi, una riflessione teorica (
Del romanzo storico e,
in
genere,
de' componimenti misti di storia e d'invenzione) in cui
affermò come necessariamente il
r. storico dovesse essere
sostituito da un genere diverso, cioè il
r. di vita e di costumi.
Questa fu appunto la scelta operata, in Francia, da H. de Balzac, il cui ciclo
di
r. mirava a dare un quadro d'insieme e un'interpretazione della
società e della vita dell'uomo in essa. La poetica del realismo
romantico, in cui il
r. storico si mutò in
r.
contemporaneo, fu propria di grandissimi artisti del primo Ottocento francese
(V. Hugo, Th. Gautier, P. Mérimée) e necessario presupposto di
autori poco più tardi quali G. Flaubert, E. Zola, e G. de Maupassant. Lo
spostamento dell'asse dalla storia alla contemporaneità si
evidenziò anche nella produzione letteraria inglese, nell'opera di autori
quali Ch. Dickens, delle sorelle E. e Ch. Brönte, di J. Austin, R.L.
Stevenson, R. Kipling, J. Conrad, mentre in Italia il capolavoro di I. Nievo,
Le confessioni di un italiano, declinò con sorprendente armonia il
carattere del
r. storico e di ambientazione contemporanea. La prosa
narrativa americana dell'Ottocento si articolò invece in numerosi filoni,
che raggiunsero spesso grandi risultati artistici: il tema avventuroso ad
esempio, arricchito della polidimensionalità di elementi psicologi,
storici, di costume, trovò espressione in
Moby Dick di H.
Melville; quello psicologico attinse alle pieghe più profonde della
personalità umana con la produzione di H. James; il
r. fantastico,
partendo dalla realtà ne investigava e intuiva l'intreccio con le
dimensioni del sogno e del soprannaturale, si sviluppò in particolare con
N. Hawthorne e con E.A. Poe, considerato peraltro iniziatore del genere
noir. L'Ottocento fu anche il secolo della rigogliosa produzione russa:
da A. Puškin (
Eugenio Oneghin,
La figlia del capitano) a N.
Gogol' (le cui
Anime morte segnarono la nascita della grande narrativa
slava), a I. Turgenev (che più di altri in
Padri e figli,
Un
nido di nobili fu debitore alla lezione realistica dell'Ottocento francese).
Il culmine della narrativa russa, tuttavia, è rappresentato da due
colossi della storia del
r. mondiale: L. Tolstoj e F. Dostoevskij. Al
primo si deve la creazione di un'epopea moderna,
Guerra e pace,
in
cui la storia ufficiale è reinterpretata in chiave nazionale
contrapponendo all'antieroe Napoleone l'eroe popolare Kutuzov, e altri
r.
di vita contemporanea (
Anna Karenina,
Resurrezione,
Sonata a
Kreutzer); al secondo va ascritto il più grande affresco di
caratterizzazioni psicologiche e morali. Nei suoi capolavori, infatti
(
Delitto e castigo,
L'idiota,
I demoni,
I fratelli
Karamazov, ecc.), i personaggi abbandonano l'unidimensionalità di
quelli della tradizione francese e balzachiana, cui peraltro sono debitori, e
rivelano una profondità psicologica del tutto innovativa. Nel medesimo
tempo, le opere dostoevskiane sono caratterizzate da una ricchezza e
articolazione della tecnica e dell'impianto narrativo che costituirono una delle
maggiori eredità per il
r. novecentesco. Il naturalismo di Balzac
fu all'origine di un'altra importante evoluzione del
r. moderno: da esso
infatti prese le mosse l'esperienza italiana del Verismo, di cui G. Verga fu il
maggior interprete e L. Capuana il maggior teorico. In Italia si sviluppò
anche il
r. psicologico di A. Fogazzaro e G. d'Annunzio, debole sia dal
punto di vista artistico sia ideologico, la cui importanza risiede più
che altro nel suo essere presupposto alla svolta impressa alla narrativa
italiana dall'opera di L. Pirandello e I. Svevo. Il primo, coniugando la lezione
verista con la dimensione psicologica, approdò nel tempo al suo peculiare
relativismo gnoseologico (
Il fu Mattia Pascal; Uno, nessuno,
centomila); il secondo, di formazione balzachiana, ne evase la misura per un
realismo della dimensione interiore (
Una vita,
Senilità,
La coscienza di Zeno). ║
Il r. del XX sec.: la produzione di
r. novecentesca ha raggiunto, complici lo sviluppo senza precedenti
dell'industria editoriale e la maggior diffusione dell'istruzione, livelli
imponenti, al punto che la molteplicità delle tipologie ne rende
difficoltosa la classificazione e il numero degli autori impossibile, almeno in
questa sede, anche un semplice elenco. Un consistente sviluppo dei generi di
consumo (fantascienza,
r. giallo,
r. rosa, ecc.), che tuttavia
includono talvolta opere e autori di alto valore letterario (si pensi ad esempio
alla fortunata serie del commissario
Maigret ideata dal grande artista G.
Simenon), si affiancò alla continuazione di temi e generi propri del
r. ottocentesco e all'individuazione di nuove tematiche (l'epopea della
memoria di M. Proust, l'esperienza della prigionia esistenziale in F. Kafka, la
decadenza del mondo borghese in Th. Mann, l'interpretazione del reale mediante
le pulsioni interne esplicitata nel magma della lingua e dell'espressione in J.
Joyce, il
pastiche linguistico e l'umorismo corrosivo, applicato alla
realtà, di C.E. Gadda). Alcuni cardini fondamentali del
r.
tradizionale furono comunque scardinati nel corso del secolo: la
centralità e univocità del personaggio come centro della
narrazione e filtro degli eventi fu sostituita con la pluralità dei punti
di vista possibili assunti dal narratore, correlata a una visione relativistica
di tempi e di luoghi; al narratore onnisciente di scuola manzoniana o a quello
interno di scuola verista si preferì la tecnica del flusso di coscienza,
caratterizzato anche dalla cesura tra percezione del tempo storico e del tempo
interiore. Secondo il parere di molti critici, il genere letterario del
r. è a tutt'oggi vitale e artisticamente fecondo anche se la
progressiva perdita delle sue caratteristiche storiche (che definivano referenze
specifiche sia nell'universo di argomenti sia nel «target» di lettori)
esige da parte tanto dell'autore che scrive quanto del fruitore che legge un
complesso di prerequisiti culturali sempre maggiore.