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Rivoluzione.

Trasformazione dell'ordine politico o sociale vigente, mediante un'azione violenta e organizzata: la R. francese del 1789. ║ Per estens. - Qualsiasi radicale mutamento nelle strutture socio-economiche: la r. industriale del XVIII sec. ║ Per estens. - Cambiamento radicale nel modo di pensare o di agire. In questo senso, si parla di r. copernicana per indicare l'impatto della teoria eliocentrica di N. Copernico sulle precedenti teorie cosmologiche, di r. scientifica a proposito dell'affermazione dei modelli fisico-matematici di G. Galilei e I. Newton, di r. demografica per designare un processo evolutivo, constatato in alcune popolazioni, caratterizzato da un forte declino della mortalità e della natalità, di r. dei prezzi per connotare il vertiginoso aumento dei prezzi che si determinò in Europa a partire dalla metà del XVI sec. a seguito delle scoperte geografiche. ║ Per estens. - Espressione utilizzata da I. Kant nella Critica della ragion pura per indicare il ribaltamento di prospettiva determinato dall'aver posto al centro del processo conoscitivo il soggetto inteso come la ragione che costruisce il proprio oggetto, cioè i concetti, le definizioni, le leggi e la stessa immagine fisica del mondo. ║ Fig. - Situazione di notevole disordine: c'è una tale r. nella stanza dei bambini! • Astron. - Moto di r.: movimento di un corpo celeste intorno al suo centro di gravitazione. ║ Periodo di r.: la durata di una r. ║ R. siderale: con riferimento al moto di r. di un pianeta o un satellite, tempo che l'astro, visto dal centro di moto, impiega per tornare nella stessa posizione tra le stelle. ║ R. anomalistica: tempo che separa due successivi ritorni nello stesso punto di un astro di orbita ellittica. • Dir. - Il fenomeno denominato r. ha, nella dottrina giuridica, un significato tutt'altro che univoco; prevalentemente, però, si è soliti indicare la modificazione costituzionale di uno Stato avvenuta in contrasto con le leggi di questo, piuttosto che semplicemente una modificazione che avviene in forma legale e, tuttavia, comporta un radicale mutamento nella direzione politica dello Stato. In quest'ottica, il problema della validità del nuovo ordinamento viene risolto assegnando al suo concreto affermarsi la caratteristica di fatto giuridico valido e, perciò, legittimo. In questo senso, è orientato anche il diritto internazionale: infatti, anche per esso vale il principio dell'effettività dell'ordinamento; da questa prospettiva, dunque, non viene attribuito alcun particolare significato ai rivolgimenti interni che lasciano inalterata l'esistenza dello Stato e il riconoscimento del nuovo ordinamento non ha, da un punto di vista giuridico, altro valore se non di accertamento del mutamento. • Filos. pol. - Col termine r. la scienza politica indica l'instaurazione di un nuovo ordine politico-sociale mediante un'azione violenta e organizzata, alla quale partecipano più o meno attivamente anche le masse popolari; in questo senso, esso è tenuto distinto tanto dalla ribellione o rivolta (che non propugna alcun sovvertimento totale dell'ordine costituito ma mira, piuttosto, al soddisfacimento di istanze politiche o economiche più immediate e circoscritte) quanto dal colpo di Stato (che si prefigge la sostituzione delle autorità politiche senza modifiche sostanziali del quadro istituzionale esistente e che, comunque, accade senza alcuna partecipazione popolare). Benché le cause delle r. siano differenti a seconda dei singoli contesti socio-culturali, gli studiosi riescono, tuttavia, a procedere ad alcune generalizzazioni tramite la costruzione di modelli idealtipici; le cause scatenanti dei fenomeni rivoluzionari vengono così suddivise in primarie e secondarie, intendendo con ciò porre una distinzione analitica tra condizioni di fondo necessarie per lo scoppio della r. e avvenimenti che la provocano direttamente. Le prime possono essere ricondotte all'incapacità delle istituzioni tradizionali di far fronte a nuovi bisogni sociali; le seconde comprendono le fratture all'interno dell'élite dominante, il venir meno anche temporaneamente della lealtà da parte delle forze armate e l'azione di gruppi guerriglieri. L'analisi empirica permette altresì di porre in rilievo alcune ulteriori costanti dei processi rivoluzionari: ad esempio, sembra un corollario inevitabile delle r. un periodo più o meno lungo di guerra civile, così come si rivela spesso decisiva per il suo esito la posizione che assumono le forze armate. Nel modo in cui è stata sin qui configurata, la r. si caratterizza come fenomeno specificamente moderno; non è un caso, da questo punto di vista, che nella storia del pensiero politico, il concetto di r. così inteso compaia piuttosto tardi. Esso era, infatti, sconosciuto tanto ai filosofi greci Platone e Aristotele, che ritenevano che i mutamenti nella forma di governo avvenissero secondo sequenze cicliche e, comunque, con la semplice alterazione della composizione della classe governante, quanto agli storici romani Tacito e Polibio, che studiarono principalmente quei fenomeni di sostituzione violenta delle autorità politiche che non producono significativi mutamenti giuridico-costituzionali e che sono comunemente classificati come colpi di Stato; né lo utilizzò N. Machiavelli che, infatti, si rifaceva ai classici latini, sebbene all'epoca sua il termine fosse entrato in uso per indicare il moto circolare e ciclico degli astri. In verità, nemmeno la R. inglese del 1688-89 può a rigore essere definita come r., essendo finalizzata a porre fine a periodi di sconvolgimenti e non a instaurare un ordine nuovo; r. fu quella di Cromwell, che nel 1649 fece decapitare il re d'Inghilterra Carlo I, proclamando la Repubblica (Commonwealth) e divenendone il lord protettore. In ogni caso, è alla R. francese che si deve quella rottura politica ed epistemologica che consentì la nascita del concetto di r. nel senso sopra esposto e la sua circolazione nel dibattito filosofico-politico successivo. In questo dibattito, fu certo la figura di K. Marx a svolgere un ruolo di assoluto rilievo: egli, infatti, concepì la storia come sequenza di processi rivoluzionari e teorizzò la r. proletaria quale ultimo e necessario stadio di questa sequenza; nella misura in cui, infatti, fossero esplose le contraddizioni del sistema capitalista e la classe operaia avesse preso coscienza del proprio ruolo, si sarebbe verificata quella r. che avrebbe condotto, alla fine, al Comunismo, ovvero a una società nella quale sarebbero venute meno le situazioni di sfruttamento e alienazione tipiche del modo di produzione capitalista. Secondo le analisi di Marx, quindi, la r. proletaria sarebbe scoppiata nei Paesi a capitalismo avanzato, mentre per i Paesi più arretrati si sarebbe prima reso necessario passare per una fase capitalista. Di diverso avviso fu, invece, Lenin, il quale sostenne che il capitalismo era giunto con l'imperialismo al suo stadio finale e che, dunque, il processo rivoluzionario doveva essere portato a compimento (come poi effettivamente accadde nel 1917 con la cosiddetta R. d'Ottobre) anche in Paesi in condizioni di sottosviluppo come la Russia zarista, senza attendere di passare attraverso una fase capitalista. Importanti contributi alla teoria e alla prassi rivoluzionaria vennero successivamente da Che Guevara, il quale da un lato insistette sul ruolo centrale di un ristretto gruppo di guerriglieri (il foco) in grado di sfidare il Governo e le sue forze militari, dall'altro rivalutò, anche alla luce delle esperienze cinesi e vietnamite, il ruolo dei contadini per il buon esito della r. Verso la fine del XX sec., però, soprattutto a seguito del crollo del muro di Berlino (1989), gli ideali rivoluzionari hanno perso parte del loro fascino in favore di pratiche politiche prettamente riformiste; conseguentemente, anche gli studi sul fenomeni rivoluzionari si sono orientati verso analisi a carattere essenzialmente descrittivo.