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Rivoluzione inglese.

Locuzione che definisce una serie di eventi della storia inglese del XVII sec., tra loro strettamente connessi e conseguenti, che ebbero quali opposti protagonisti i sovrani della dinastia Stuart e il Parlamento, nei decenni compresi tra il 1603 e il 1688. ║ Condizioni socio-economiche inglesi: nei primi decenni del XVII sec. l'economia inglese viveva un momento di grandi trasformazioni. Le recenti attività industriale e commerciale, tuttavia, attingevano la maggior parte dei capitali loro necessari dal settore agricolo, di più lunga tradizione. Quest'ultimo era da tempo organizzato secondo il sistema dei landlords (proprietari terrieri, tra cui, oltre ai latifondisti, la Corona e la Chiesa cattolica) e del copyhold (concessione di proprietà), in base al quale un contadino coltivava un fondo agricolo in completa libertà, come un proprietario virtuale, dovendo al suo latifondista una rendita fissa e modesta, che poteva essere aumentata solo in occasione della successione ereditaria, e godendo del diritto di pascolo e legnatico su tutte le terre incolte del latifondista stesso. Tale situazione mutò con il crescere di una nuova classe imprenditrice e mercantile (in cui confluivano la piccola nobiltà, i rami cadetti delle maggiori casate e gli strati più ricchi della borghesia) che, da una parte si avvantaggiò acquistando le terre della Chiesa messe in vendita dopo lo scisma anglicano, dall'altra seppe sfruttare al meglio la politica coloniale di Enrico VIII che entrò in concorrenza con la Spagna nello sfruttamento commerciale delle colonie d'oltreoceano. La necessità di finanziare al meglio le nuove attività economiche spinse gran parte del ceto imprenditoriale e mercantile a sostituire il copyhold con il leasehold, cioè con un rapporto di affittanza tra proprietario terriero e contadino, in cui, spariti i diritti di pascolo e legnatico, tutte le terre dovevano essere coltivate, mentre la durata del contratto e l'ammontare della rendita da corrispondere da parte del contadino veniva stabilita ad arbitrio del latifondista e in base all'andamento del mercato. Fu questo il primo atto, in Inghilterra, del passaggio dall'economia feudale a quella capitalista: si costituì una netta stratificazione sociale tra la classe degli imprenditori e quella dei braccianti operai, in aggiunta a quella di massimo censo (alta nobiltà e grandi capitalisti e monopolisti) che, godendo di particolari privilegi concessi dal re, sostenevano la Corona. La partizione sociale si rispecchiava anche nell'ambito dell'organizzazione ecclesiale: mentre il re e l'alta nobiltà promuovevano la rigida gerarchia della Chiesa anglicana (che assommava massima docilità ai voleri del re e indipendenza dal papa romano), la media classe borghese e imprenditoriale avversava tale connubio e perorava la forma ecclesiale del Puritanesimo, a sua volta differenziato nella modalità più moderata dei «presbiteriani» (sostituzione della struttura episcopale con quella dei consigli degli anziani) e quella più radicale e democratizzante degli «indipendenti» (autogestione e indipendenza di ogni singola comunità). ║ L'avvento degli Stuart e il maturare della R.i.: estinta la dinastia Tudor con la morte di Elisabetta I, il trono di Inghilterra fu occupato da Giacomo I Stuart (1603-25), anche re di Scozia, che unì solo dinasticamente i due Paesi, conservandone le amministrazioni separate. Già preoccupato dai presbiteriani scozzesi, il re li avversò pesantemente in Inghilterra, preferendovi l'episcopalismo. Tale atteggiamento, che anche da solo gli inimicava le classi borghesi, era aggravato da una politica governativa di controllo sulle attività mercantili e industriali e di concessione di monopoli che ostacolava il liberismo e il capitalismo emergente, già provato da un inopinato cambio di alleanze, dalla protestante Olanda alla cattolica Spagna. Il convergere antiborghese di tante e tali tendenze della Corona spiega l'ostilità del Parlamento (che di borghesi era per lo più costituito) verso il re: nel 1604, nel 1614 e nel 1621, in più convocazioni, esso negò i nuovi fondi che Giacomo I aveva chiesto per la Corona. Il re istituì allora nuove imposte, tasse doganali, vendite di concessioni, ecc., per rifornire le proprie casse, pur sapendo che per farlo avrebbe dovuto avere l'approvazione dei parlamentari. Il danno riportato sia dal commercio sia dall'industria provocò una crisi che spinse le masse popolari a episodi di rivolta, in campagna e in città, che di fatto ne saldarono la causa a quella del Parlamento. L'appoggio del popolo accordò maggior potere ai parlamentari, che costrinsero il re ad alcuni atti, quali l'abolizione di monopoli e la guerra contro la Spagna per rilanciare l'attività coloniale britannica. La lotta tra re e Parlamento continuò, con maggiore durezza, durante il Regno di Carlo I Stuart: alla prima convocazione nel 1628 fu presentata la cosiddetta «petizione dei diritti», che vietava le imposizioni tributarie per semplice arbitrio del re e l'applicazione della legge marziale in tempo di pace e stabiliva l'inviolabilità della persona, dei beni e della libertà dei sudditi. Il re firmò la petizione, ma poi sciolse il Parlamento e non lo convocò più per quasi 13 anni, governando senza di esso e valendosi di consiglieri reazionari come il conte di Strafford o il vescovo W. Laud. Il malcontento contro i metodi illegali del re (prestiti forzosi, illeciti fiscali, ecc.) non degenerò solo perché, in forza della congiuntura politica, lo scoppio della guerra in Europa (1630) aveva avuto effetti positivi sulla produzione e sul commercio inglesi, allentando la tensione sociale ed economica interna, mentre la Corona ne approfittava per risanare le proprie finanze senza l'avallo del Parlamento (vendite di licenze, di titoli nobiliari, dazi doganali, ecc.). Nel 1637 Laud cercò di imporre con la forza in Scozia l'anglicanesimo episcopale, provocando una rivolta religiosa che presto vide eserciti scozzesi accampati nei territori settentrionali d'Inghilterra. Il re convocò precipitosamente il Parlamento per ottenere al più presto fondi per la guerra, ma se li vide rifiutare dai parlamentari, che negli Scozzesi non vedevano nemici ma alleati contro la Monarchia assoluta degli Stuart. ║ Il lungo Parlamento e la battaglia di Naseby (1640-45): il Parlamento finalmente riconvocato inaugurò una stagione di intensa attività, guidato dal deputato J. Pym. Furono abrogati una serie di istituti feudali e assolutistici, come i Tribunali speciali del re, i monopoli, la riscossione di tasse non approvate dal Parlamento, il potere di sciogliere il Parlamento, ecc. Inoltre la Camera dei Comuni impose il processo e l'esecuzione di Strafford e di Laud, quali principali artefici del tentativo assolutistico. Nel 1641, l'insurrezione dei contadini irlandesi contro i landlords inglesi pose la questione di chi avesse il diritto di guidare l'esercito, se il re o il Parlamento. Su questo tema e su quello religioso la compattezza delle forze che fino ad allora avevano sostenuto l'attività parlamentare si scisse e gradualmente scivolò verso la guerra civile. Il conflitto si sviluppò in ordine sia alla dimensione politica (re contro Parlamento, diritto regio contro diritto comune e consuetudinario) sia a quella religiosa (Chiesa di Stato contro ideologia puritana), ma ebbe anche un'importante matrice socio-economica, se pur di più difficile analisi (nobiltà terriera contrapposta alla borghesia secondo alcuni storici, piccola nobiltà in crisi contro ceti capitalisti di provenienza sia nobile sia borghese secondo altri). Nel clima di incertezza, Carlo I tentò lo scioglimento della Camera e l'arresto dei suoi capi: il fallimento lo costrinse alla fuga, ma la guerra era ormai avviata: da una parte re, nobili, imprenditori monopolisti e Chiesa anglicana, con l'appoggio esterno della Francia; dall'altra Parlamento, borghesia, popolo e presbiteriani, aiutati dagli Scozzesi. Nei primi due anni (1642-44) le truppe realiste ebbero un modesto vantaggio, che persero quando l'esercito dei parlamentaristi fu organizzato dal puritano O. Cromwell secondo il «nuovo modello»: comando unico, ruolo centrale della cavalleria e sostituzione dei soldati professionisti con corpi volontari. La battaglia combattuta a Naseby (1645) segnò la sconfitta dei realisti: Carlo I si arrese alle truppe scozzesi, ma queste lo consegnarono al Parlamento. ║ Dal 1645 alla decapitazione di Carlo I Stuart (1649): vista la detenzione del re, i parlamentaristi cercarono di raggiungere un accordo che ponesse fine al lungo conflitto, chiedendo a Carlo I la ratifica delle riforme socio-economiche già avviate e delle acquisizioni di varie proprietà fondiarie un tempo della Chiesa o della Corona, ma soprattutto la specificazione della precisa competenza politica del Parlamento nella gestione dello Stato. Carlo I, tuttavia, non solo oppose resistenza a ogni accordo, ma soffiò sul fuoco delle rivolte popolari contro la ricca borghesia che, sola, si avvantaggiava della dismissione delle terre della Corona decisa dal Parlamento (1646) e della definitiva soppressione dei pagamenti feudali. Le sommosse di ex contadini e artigiani impoveriti, guidati dall'estrema sinistra democratica ed egualitarista (levellers), furono sostenute dall'esercito, che rifiutò l'ordine del comandante Cromwell di smobilitare. Il re, nella discordia generale, trovò nei presbiteriani, timorosi della svolta radicale del processo rivoluzionario, inattesi alleati e fuggì di prigione rinfocolando la guerra civile e riparando in Scozia; Cromwell in una sola battaglia occupò la Scozia (1648) e catturò il re, mentre l'esercito e i levellers epuravano il Parlamento dai deputati presbiteriani, proclamavano la Repubblica e votavano l'incriminazione di Carlo I. Condannato a morte, egli fu decapitato il 30 gennaio 1649. ║ Il Commonwealth e il protettorato: la Repubblica oligarchica si espresse mediante due organi, l'epurata Camera dei Comuni (Rump Parliament) e il Consiglio di Stato, con funzioni esecutive. La sua politica si orientò in senso favorevole alla proprietà terriera e alla borghesia, mentre cresceva la disoccupazione ed erano mantenute gravose imposte di guerra: popolino e levellers promossero altre rivolte, presto soffocate perché anche l'esercito era stato epurato e non poteva più sostenerle. La guerra condotta da Cromwell contro l'Irlanda nel 1649-50 rappresentò il primo atto dell'involuzione autoritaria e oppressiva del regime, cui seguì la vittoria sulla Scozia (1651) che aveva cercato di mettere sul trono inglese Carlo II: l'evento sancì per la prima volta l'unione delle tre regioni britanniche, Inghilterra, Scozia e Irlanda, sotto un unico Governo e in un solo mercato di libero scambio, il Commonwealth, appunto. Nel medesimo anno, promulgò il cosiddetto Atto di Navigazione, in base al quale venivano esclusi dal commercio con le colonie inglesi tutti i Paesi terzi, ipotecando così l'egemonia britannica sui mari (atto che dovette difendere in seguito in una guerra vittoriosa contro l'Olanda). La frattura tra l'esecutivo e la popolazione inglese era tuttavia massima e Cromwell, temendo una sollevazione, decise di anticiparla sciogliendo il Parlamento in cui, a suo giudizio, rimanevano troppi elementi radicali; assunto il titolo di lord protettore, governò di fatto come un dittatore. Il Consiglio di Stato, in tutto docile ai suoi progetti, promulgò una Costituzione che prevedeva l'eleggibilità al Parlamento in base a un censo particolarmente elevato, e dunque esplicitamente antipopolare, e l'accentramento dei poteri nelle mani del solo lord: comando dell'esercito; controllo ultimo delle finanze, della politica estera e dell'amministrazione della giustizia; potere di emanare ordinanze con forza di legge, che non necessitavano di approvazione da parte della Camera dei Comuni. Con tali poteri Cromwell intensificò le conquiste coloniali (Giamaica), stabilì accordi commerciali con Portogallo e Danimarca, favorì la borghesia sia sul fronte mercantile sia su quello fondiario, mentre il popolo rimaneva gravato dalle decime e dalle tasse belliche, impiegate nella guerra di religione contro la Spagna. Nonostante la salda presa di Cromwell sulla gestione dello Stato (nel 1657 gli venne anche offerta la Corona che egli però rifiutò), l'istituto del protettorato terminò con la sua persona e, quando morì nel 1658, la successione del figlio Richard durò assai poco: sentendosi mero strumento in mano alla casta militare, egli abdicò nel 1659. ║ La restaurazione della dinastia degli Stuart e la «pacifica» rivoluzione: nel 1660 il Parlamento deliberò il ripristino della monarchia con Carlo II, figlio dell'ultimo re, che, in cambio, aveva accettato di sottoscrivere una serie di condizioni. Nella Dichiarazione di Breda, il re si impegnava ad accettare lo status quo e a conservare tutte le riforme avviate negli anni della rivoluzione, garantendo cioè: l'amnistia politica, la libertà religiosa (esclusi i cattolici), il riconoscimento dei passaggi di proprietà delle terre sia della Corona sia della Chiesa, la conferma della petizione dei diritti, il diritto del Parlamento a ratificare l'imposizione di nuovi tributi, la rinuncia a un esercito permanente e a possedere beni propri della Corona. In pratica il re acconsentiva a sottomettersi politicamente ed economicamente al Parlamento. Tuttavia, già nel 1661, con l'appoggio di una Camera a maggioranza realista, Carlo II ripudiò tale accordo, ricostituendo la Chiesa anglicana, annullando parte delle acquisizioni di terreni e tollerando espropriazioni da parte dei contadini, perseguitando le formazioni repubblicane, ecc. Tuttavia la borghesia non reagì a questa politica fino a quando non furono toccati nel vivo i suoi interessi commerciali e industriali. Ciò accadde quando Carlo II stipulò un'alleanza con Luigi XIV di Francia (1670, accordo di Dover), al fine di garantirsi una rendita indipendente dal Parlamento, in base alla quale egli sostituì la politica protezionista con una più consona agli interessi francesi e, rotto l'accordo con le protestanti Svezia e Olanda, dichiarò guerra a quest'ultima (1672). L'opposizione parlamentare agì attaccando le tendenze filocattoliche del re: con il Test Act del 1673 stabiliva che i responsabili di cariche pubbliche dovessero giurare fedeltà alla Chiesa anglicana (provvedimento che costò la carica di lord dell'ammiraglio a Giacomo, fratello del re, cattolico). Tra il 1679 e il 1685, anno di morte di Carlo II, durante le votazioni in Parlamento di provvedimenti come l'esclusione di Giacomo dalla linea di successione o della legge di garanzia delle libertà personali contro l'arbitrio regio dell'Habeas corpus, si delinearono due formazioni, dette dei Whigs e dei Tories, rispettivamente osteggianti e sostenitori delle prerogative reali. Alla morte di Carlo II, salì al trono il cattolico Giacomo II che, sostenuto dai Tories, condusse una politica assolutistica: ripristinò il Cattolicesimo (Atto di tolleranza), ricostituì un esercito permanente, sciolse il Parlamento per governare in autonomia, perseguitò gli oppositori whigs, legò strettamente la sua azione alla volontà francese. La foga tirannica del re e la sua politica esterofila, tuttavia, ebbero l'effetto di unire all'opposizione tutte le componenti sociali del Paese, comprese quelle in precedenza filomonarchiche, che dal re si aspettavano una politica moderata e di sostegno alle attività economiche nazionali. L'ultima fase della lunga R.i. si configurò più come un colpo di Stato che come evento insurrezionale: il Parlamento si appellò a Guglielmo d'Orange, genero di Giacomo II ma anche esponente della borghesia olandese, desiderosa di spezzare l'asse anglo-francese, perché salisse al trono con la moglie, figlia di Giacomo II. Guglielmo accettò e sbarcò a Torbay nel 1688, con un esercito che non dovette neppure combattere perché Giacomo Stuart fuggì in Francia; il nuovo re sottoscrisse il Bill of Rights, con cui venivano fissati i rapporti tra Monarchia e Parlamento (divieto del re di imporre tasse, reclutare eserciti permanenti, sospendere leggi, ecc.) e si sanciva la libertà di culto per tutte le religioni, comprese le sette, a esclusione dei cattolici. La lunga sequenza di eventi che definiamo R.i., dunque, ebbe come esito il passaggio da una Monarchia assoluta, basata su un sistema politico feudale e con un'economia eminentemente agricola, a una Monarchia costituzionale, sostenuta da una base sociale medio e alto borghese, impegnata in una politica coloniale e protezionista, con un'economia principalmente mercantile e industriale, funzionante secondo modelli di produzione di tipo capitalista.