(dal latino tardo
resistentia, der. di
resistere: resistere).
Sforzo che permette di resistere, di opporsi all'azione o all'intenzione di
altri. ║ Detto di persone, la capacità di resistere allo sforzo
fisico e intellettuale o all'abbattimento morale:
avere una notevole r. alla
fatica. ║
R. passiva: quella che si limita a non seguire la
volontà altrui, ma non vi si oppone apertamente. ║ Correntemente,
anche se impropriamente, il termine viene utilizzato per designare il resistore
(V.), ossia quel corpo di un'apparecchiatura che
è provvisto di
r. elettrica. • Mil. - In azioni di guerra,
la fase dell'azione difensiva durante la quale si punta a logorare le forze
dell'attaccante in attesa di poter prendere o riprendere l'iniziativa. ║
Posizione di r.: la fascia avanzata di una posizione difensiva dotata di
ostacoli passivi (sbarramenti), attivi (campi minati) e centri di fuoco. •
Dir. -
R. a pubblico ufficiale: reato commesso da chi, con la violenza o
la minaccia, si oppone a un pubblico ufficiale o a un incaricato di pubblico
servizio, mentre questi espleta un atto di ufficio o di servizio, ovvero a
coloro che, richiesti, gli prestano soccorso. Per coloro che commettono il reato
suddetto, l'art. 35 Cod. Pen. prevede la reclusione da sei mesi a cinque anni;
in circostanze particolarmente gravi, la pena può essere elevata fino a
15 anni. Come viene precisato dall'art. 336 Cod. Pen., la differenza tra reato
di violenza e reato di
r. si riduce a una circostanza di ordine
cronologico: nel primo la violenza o la minaccia si collocano prima dell'atto
del pubblico ufficiale, mentre nel secondo sono concomitanti all'atto stesso.
║
R. legittima: quella che si oppone al compimento di un atto
illegittimo da parte di un pubblico ufficiale (art. 4 D.L. 14-9-1994, n. 288).
• Psicol. - Nel linguaggio psicoanalitico, l'opposizione da parte del
paziente alla libera manifestazione di sé. La
r. è una
forma di difesa dell'Io, che impedisce al soggetto di rendere consci determinati
processi inconsci rivelatori di una situazione conflittuale e, come tali,
particolarmente angosciosi e inaccettabili. Segno obiettivo della
r.
è l'assoluta mancanza di associazioni o la loro divergenza dal tema in
discussione. • Econ. -
Accordi di r.: quelli, stipulati fra imprese
diverse, che conducono alla creazione di cartelli e di
pool. •
Sport -
Corsa, gara di r.: corsa o gara di lunga durata che consente di
saggiare la capacità degli atleti di perseverare con regolarità
nello sforzo fisico. • St. - Nell'ambito della storia delle dottrine
politiche la riflessione sul diritto di
r. risulta strettamente connessa
a quella sul dovere di obbedienza. Nel Medioevo, Tommaso d'Aquino, ispirandosi
in gran parte alle dottrine aristoteliche, elaborò quella che venne poi
denominata concezione morale della legge e del Governo. Egli infatti, pur
riconoscendo il diritto d'autorità e pur reputando la sedizione un
peccato mortale, si dichiarò contro l'esercizio illegale della forza,
accogliendo il principio in base al quale il potere è giustificabile solo
quando si pone al servizio del bene comune. Secondo Tommaso, in altri termini,
il fine morale per cui esiste il Governo politico implica che l'autorità
venga esercitata unicamente in conformità alla legge; quanto alla
r., essa è plausibile nella misura in cui viene attuata dalla
comune volontà popolare e purché coloro che resistono nuocciano
meno al bene generale di quanto non faccia l'abuso al quale essi si oppongono.
Il problema del diritto alla
r. fu largamente dibattuto nelle
controversie cui diede origine la Riforma protestante. I riformatori reclamarono
il diritto di resistere, in un primo tempo, a un papa eretico e,
successivamente, anche a un re eretico, trasportando così la questione da
un piano essenzialmente religioso a un piano politico. Il problema più
controverso divenne quello riguardante il diritto dei sudditi di opporsi ai loro
sovrani in nome della conservazione dell'autentica dottrina cristiana; a questa
si contrapponeva la posizione di coloro che sostenevano, invece, il dovere di
obbedienza passiva, reputando la
r. comunque ingiusta. La dottrina del
dovere di obbedienza si trasformò poi in quella del diritto divino del
re, in contrapposizione alla teoria secondo cui, dal momento che è il
popolo a legittimare i sovrani, spetta ugualmente al popolo il diritto di
opposizione e di
r. a tali sovrani: per giuste ragioni, dunque, si
riconosceva la facoltà di detronizzare un re a chi, un tempo, l'aveva
acclamato come tale. Nel XVI sec., tra i più intransigenti assertori del
diritto divino del sovrano figura Calvino. A suo parere, anche al cattivo
reggitore, non meno che al buono, è dovuta la sottomissione
incondizionata dei sudditi, poiché essa va tributata non alla persona, ma
all'ufficio di governante che, come tale, gode di una maestà inviolabile;
conseguentemente, la punizione di un reggitore indegno spetta a Dio e non ai
sudditi. Ciò nondimeno, parte della dottrina del religioso sulla
r. riguarda i cosiddetti magistrati inferiori previsti da alcuni
ordinamenti (ad esempio, i tribuni della plebe nell'antica Roma). Secondo
Calvino, qualora una Costituzione preveda questi magistrati, è ad essi
soltanto che spetta il compito di resistere alla tirannide del capo dello Stato
e proteggere il popolo, poiché il loro diritto all'opposizione deriva
direttamente da Dio. Appellandosi a questa parte della dottrina calvinista, i
seguaci di Calvino, prima in Scozia e poi in Francia, si fecero sostenitori del
diritto alla
r., attribuendolo però non a persone singole, ma a
tutto il popolo indistintamente. In particolare, lo scozzese J. Knox, affermando
la doverosità dell'opposizione finalizzata a difendere la riforma
religiosa, contribuì alla sollevazione contro il potere regio di un
consistente gruppo di Chiese calviniste. Successivamente, lo scoppio delle
guerre di religione in Francia permise un approfondimento della riflessione in
materia da parte degli scrittori ugonotti, che asserirono la derivazione della
legge dal popolo e, dunque, l'obbligo da parte del re di rispondere davanti a
essa di tutti i suoi atti. Il più noto tra gli scrittori costituzionali
ugonotti fu F. Hotman, cui si deve lo scritto
Franco-Gallia (1573). A
quella di Hotman seguirono altre opere (la più importante fu
Vindiciae
contra tirannos, pubblicata nel 1579 e generalmente attribuita a P. du
Plessis-Mornay), tutte animate dalla convinzione secondo cui i sovrani, essendo
istituiti dalla società umana per scopi propri, non godono di un potere
illimitato. Questa tesi venne ripresa e ulteriormente approfondita da U. Grozio,
S. Pufendorf e, infine, anche da J. Locke, che a ragione viene considerato
l'iniziatore del pensiero politico e della filosofia del Liberalismo. ║
La R. europea: movimento di opposizione politica e militare, sorto
durante la seconda guerra mondiale in tutti i Paesi europei occupati dai
Tedeschi e, fino all'8 settembre 1943, anche dagli Italiani. Il termine
R., con questa accezione, si affermò originariamente in Francia;
lo stesso generale De Gaulle lo fece proprio nel discorso pronunciato da Radio
Londra nel giugno 1940, dopo la firma dell'armistizio da parte del Governo di
Vichy, per invitare i Francesi a continuare la lotta. A partire dalla
metà del 1940, gran parte dell'Europa continentale, fatta eccezione per
pochi Stati neutrali, era governata dal Partito nazista: nel quinquennio 1940-45
i Tedeschi imposero ai Paesi occupati esazioni intollerabili, ne sfruttarono il
materiale umano, in modo da permettere ai lavoratori tedeschi di dedicarsi
esclusivamente al servizio militare (solamente nel maggio 1943 erano oltre
6.000.000 gli operai stranieri deportati in Germania e posti al servizio delle
industrie tedesche); le stesse economie nazionali europee vennero assoggettate e
adattate alle necessità belliche del Reich tedesco. Tale politica di
oppressione contribuì notevolmente alla formazione di una
r.
organizzata, sia come
r. armata, sia come
r. civile, intendendo
con questa espressione l'insieme dei comportamenti con i quali la società
manifestò la propria avversione nei confronti degli occupanti. Infatti,
benché in quasi tutti i Paesi occupati fossero sorti movimenti di
R. sin dai primi giorni di guerra, all'inizio si trattò soltanto
di piccole organizzazioni locali che cercavano di sottrarsi alle imposizioni
tedesche, oppure di gruppi politici e intellettuali che stampavano giornali
clandestini; successivamente, un numero sempre crescente di persone
cominciò ad aderire alle organizzazioni di
R. La coscrizione di
mano d'opera per il lavoro in Germania favorì indirettamente
l'attività propagandistica degli antinazisti: migliaia di giovani, per
evitare la deportazione, si diedero alla macchia, fuggendo in montagna e dando
vita a veri e propri gruppi armati (come i
maquis francesi); in tale
scelta essi erano incoraggiati dai messaggi radiofonici dei capi dei Governi in
esilio a Londra, dalla stampa clandestina e dai lanci, con paracadute, di armi e
rifornimenti, che permettevano loro di continuare la guerriglia. Queste
attività si andarono ampliando e rafforzando parallelamente
all'intensificarsi delle rappresaglie da parte dei Tedeschi e dei
collaborazionisti locali: cattura e fucilazione degli ostaggi, massacro della
popolazione civile di interi villaggi, torture, incendi, saccheggi. Oltre a
ciò, dopo l'attacco all'Unione Sovietica, anche i comunisti (frenati, in
primo tempo, dal patto russo-tedesco e dalla tesi ufficiale secondo cui la
guerra era un conflitto tra imperialisti) andarono a ingrossare le file della
R. militare, assumendone la direzione in vari Paesi. Ebbe così
inizio una vera e propria guerra partigiana, con la costituzione di complesse
organizzazioni militari, cui facevano capo organi centrali operanti nelle varie
regioni di uno stesso Paese. Le formazioni partigiane nazionali da piccole bande
di guerriglieri, che si dedicavano prevalentemente ad azioni di sabotaggio,
divennero così veri e propri eserciti di liberazione, in grado di
condurre operazioni militari a vasto raggio e di mantenere proficui contatti con
gli Alleati, cui non mancavano di fornire utili informazioni. I vari movimenti
nazionali di
R. erano costituiti da formazioni armate di diverso
orientamento ideologico e politico; soprattutto nei Paesi dell'Europa orientale
era pressoché nullo il grado di coesione tra i gruppi partigiani, specie
fra quelli di orientamento liberal-conservatore e quelli marxisti. Ciò
nondimeno, è indubbia l'impronta politica rivoluzionaria della grande
maggioranza dei movimenti di
R. armata che, come tali, si collocavano
alla sinistra dei rispettivi Governi in esilio. Ciò si manifestò
con particolare evidenza nella regione dei Balcani dove le formazioni
partigiane, appoggiate dai Sovietici, giunsero a sconfessare i Governi in esilio
in Occidente; in questi Paesi, dopo la Liberazione, si manifestarono forti
tensioni tra le varie componenti politiche dei Comitati di Liberazione Nazionale
(CLN), ma la presenza dell'Armata Rossa consentì di estromettere i gruppi
moderati e di costituire Governi di sinistra. Diversa fu la situazione
dell'Europa occidentale, dove l'assetto politico e sociale di tipo democratico e
sufficientemente stabile di vari Paesi favorì i partiti moderati nelle
prime elezioni del dopoguerra. Meritano un discorso a parte la Polonia,
cancellata come Stato in seguito all'occupazione, e la Francia, dove le diverse
forze della
R. si trovarono concordi nella volontà di superare
l'antiquato assetto politico e istituzionale della Terza Repubblica. Ancor prima
dalla fine della guerra, in vari Stati si manifestò, più o meno
palesemente, il tentativo di sconfessare gli ideali rivoluzionari della
R., smorzandone lo spirito di rinnovamento politico e sociale; ciò
soprattutto da parte dei cosiddetti partigiani «della sesta giornata»,
che avevano prudentemente aspettato l'esito della guerra prima di prendere
posizione e che, solamente quando la vittoria degli Alleati era apparsa ormai
certa e imminente, erano andati a ingrossare le file della
R. Fra le
iniziative più importanti per la promozione degli ideali di rinnovamento
sostenuti dalle formazioni partigiane di tutti i Paesi fu la stesura della Carta
della
R. francese, redatta nel marzo 1944 dal Conseil National de la
Résistance, allo scopo di istituire un «più giusto ordine
sociale». In essa si elencava una serie di radicali riforme
economico-sociali, tra le quali l'organizzazione razionale dell'economia per la
subordinazione dell'interesse privato a quello generale, la restituzione al
Paese dei grandi monopoli dei mezzi di produzione, delle fonti di energia, delle
ricchezze minerarie, delle compagnie d'assicurazione e delle grandi banche, la
partecipazione degli operai alla direzione della vita economica. Parte di queste
proposte venne realizzata, ma la partecipazione operaia alla gestione e alla
direzione delle aziende fu presto ed energicamente osteggiata; la stessa sorte
toccò alla maggior parte dei provvedimenti legislativi di riforma varati
negli altri Stati occupati. ║
La R. italiana: in seguito
all'armistizio dell'8 settembre 1943, l'Italia si trovò spaccata in due.
Nel territorio a Sud del Garigliano, liberato dagli Anglo-Americani, divenne
capo del Governo il maresciallo P. Badoglio, mentre al Nord Mussolini,
detronizzato dal colpo di Stato del 25 luglio, salì nuovamente al potere
grazie all'appoggio dei Tedeschi. Il Nord, a sua volta, conobbe un'ulteriore
divisione interna a causa della difficile alternativa cui si trovarono di fronte
gli Italiani: resistere agli occupanti nazisti e ai fascisti oppure continuare a
combattere e sostenere la causa tedesca. Quanto ai militari, la maggior parte
delle truppe che combattevano fuori d'Italia e che, dopo l'armistizio, si
ritrovarono abbandonate a loro stesse, non esitò a passare dalla parte
dei partigiani locali. Diversa ed estremamente diversificata al proprio interno
fu la reazione della popolazione civile: alcuni optarono per la
r.
attiva, volta soprattutto a supportare quella armata, altri per la
r.
passiva, che si concretizzava nell'assistenza ai soldati, ai prigionieri, ai
renitenti e ai disertori, nonché in piccoli atti di ostruzionismo e
disobbedienza. Per quanto riguarda le forze cattoliche, esse non adottarono una
linea di condotta uniforme: se una parte consistente di cattolici cercò
di mantenersi in ogni circostanza al di sopra delle parti, un'altra parte non
esitò ad abbracciare la causa partigiana; anche fra i cattolici, infine,
non mancarono casi di adesione allo schieramento fascista. Interessante fu anche
la reazione degli operai e di alcuni settori dei lavoratori agricoli: avendo
sempre guardato al Fascismo come al braccio armato del capitalismo, essi non
esitarono a considerare la
r. armata il mezzo più adeguato per una
vera e propria rivendicazione di classe.
L'organizzazione politica e
militare: in un primo momento la
R. fu costituita da bande di
militari che, dopo l'armistizio, si erano aggregati spontaneamente o per
iniziativa del Partito d'Azione. Dopo i primi rastrellamenti e il primo inverno,
molte di queste bande scomparvero; le poche sopravvissute compresero che
condizione indispensabile alla sopravvivenza era un processo di militarizzazione
e politicizzazione. Fu così che nacquero distaccamenti, brigate,
divisioni. Le formazioni più attive e presenti sul territorio nazionale
furono le Brigate Garibaldi, le Brigate Giustizia e Libertà e le Brigate
Matteotti. Ognuna di esse faceva riferimento a un partito ben preciso
(rispettivamente, il Partito Comunista, il Partito d'Azione e il Partito
Socialista), ma non per questo i militanti del partito in questione
rappresentavano la totalità o la maggioranza dei membri. Non mancarono,
inoltre, formazioni partigiane autonome, prive di appoggi politici specifici.
Strumenti d'azione nelle città furono le SAP (Squadre di Azione
Patriottica) e i GAP (Gruppi di Azione Patriottica); a questi ultimi, in
particolare, si devono l'attentato di via Rasella contro una squadriglia di SS
(immediatamente seguito dalla rappresaglia tedesca delle Fosse Ardeatine, in cui
persero la vita 335 persone) e l'uccisione di G. Gentile. In una seconda fase si
costituì il CVL (Corpo Volontari della Libertà), organismo
unitario e provvisto di una direzione generale, che si proponeva di collegare e
indirizzare i vari sforzi della
R. L'unificazione, che restò
tuttavia una necessità difficilmente concretizzabile, era dettata da
esigenze non solo organizzative, ma anche di controllo della
R. da parte
delle alte sfere; per questo motivo, infatti, il comando del CVL venne sempre
affidato ai rappresentanti degli schieramenti socialista, democristiano e
liberale. La direzione politica della
R. era affidata ai Comitati di
Liberazione Nazionale (CLN), composti dai partiti antifascisti: il Partito
Liberale, la Democrazia Cristiana, il Partito d'Azione, il Partito Socialista
Italiano di Unità Proletaria, il Partito Comunista Italiano e,
limitatamente a Roma e al Mezzogiorno, la Democrazia del Lavoro. Il CNL
centrale, sorto subito dopo l'armistizio, era presieduto da I. Bonomi e aveva
sede a Roma; a Milano, invece, si costituì intorno ad A. Pizzoni il CLNAI
(Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia), che divenne presto una sorta di
Governo clandestino dell'Italia occupata; ciò soprattutto dopo che,
parallelamente alla delega di poteri da parte di Roma, il CLNAI stipulò i
cosiddetti «protocolli di Roma», allo scopo di regolamentare i
rapporti fra i membri della
R. e gli Anglo-Americani. Completavano il
quadro i vari CLN regionali, provinciali, comunali e di quartiere, cui vanno
aggiunti i comitati di fabbrica e di categoria.
Elementi cronologici:
l'estate del 1944 rappresentò il periodo di massima attività e
fortuna delle formazioni partigiane. Lungo l'intero arco appenninico e alpino
vennero liberate vaste e numerose zone e create le cosiddette repubbliche
partigiane. L'arrivo dell'inverno successivo e, parallelamente, l'arresto
dell'avanzata alleata causarono non pochi problemi alla
R. italiana: la
maggior parte dei territori sottratti ai nemici vennero infatti nuovamente
occupati dai Tedeschi. Il movimento partigiano riuscì tuttavia a
sopravvivere e a riorganizzarsi, fino ai fatti dell'aprile 1945. L'insurrezione
finale contro gli occupanti nazisti si svolse con tempi e caratteri diversi a
seconda delle zone; il giorno 25, in cui da allora si festeggia ufficialmente la
Liberazione, è quello dell'insurrezione di Milano. Mentre fuggiva
travestito da tedesco, Mussolini venne catturato e poco dopo giustiziato; il suo
corpo, insieme a quello di alcuni gerarchi fascisti e di Claretta Petacci, fu
esposto a Milano, in piazzale Loreto.
Dati quantitativi: la Terza
Convenzione di Ginevra (12 agosto 1949) stabilì le condizioni a cui
doveva essere subordinato il riconoscimento di membro del movimento di
R.: occorreva essere guidati da un comando responsabile, esibire in modo
visibile gli appositi segni di riconoscimento, non occultare le armi,
sottomettersi alle leggi e agli usi di guerra. In base a questi requisiti,
l'ambita qualifica di partigiano venne conferita a 223.639 persone, di cui
35.000 donne. I caduti della
R. furono 44.720 e i mutilati e gli invalidi
21.168 fra i militanti e 412 fra i civili; i partigiani deceduti all'estero e i
militari morti nei campi di concentramento furono rispettivamente 32.000 e
33.000. In totale, in Italia persero la vita per la liberazione del Paese
187.522 persone, cui vanno aggiunti i 210.149 dispersi.
La memoria della
R.: all'indomani della Liberazione si accese una vera e propria disputa
sulla memoria, il significato, la portata e la strumentalizzazione politica
della
R. Alle prime opere di memorialistica (L. Longo,
Un popolo alla
macchia, 1947; L. Valiani,
Tutte le strade conducono a Roma. Diario di un
uomo nella guerra di un popolo, 1947; R. Cadorna
, La riscossa. Dal 25
luglio alla Liberazione, 1948) seguì ben presto la pubblicazione di
fonti (celebri furono
le Lettere dei condannati a morte della Resistenza
italiana, 1952). Di poco successivi furono i primi sforzi di sistemazione
storiografica (F. Chabod,
L'Italie contemporaine 1918-1948, 1950; R.
Battaglia,
Storia della Resistenza italiana, 1953), accompagnati da una
ricca e vivace fioritura di studi locali. Gli studiosi si suddivisero in varie
correnti: alcuni posero l'accento sul ruolo svolto dal Partito Comunista; altri
attribuirono alla
R. un ruolo fondamentale nella nascita della nuova
Costituzione repubblicana, della quale avrebbe costituito una fonte di
ispirazione e un punto di riferimento; altri, infine, ascriveva alla
R.
il merito di un rinnovamento della vita sociale e della stessa identità
nazionale. Ancora oggi si discute fra varie e contrapposte tesi e la
R.
occupa un posto centrale nel dibattito politico e culturale contemporaneo.
• Med. e Biol. -
R. agli antibiotici: fenomeno biologico in base al
quale particolari specie di germi patogeni sviluppano la capacità di
resistere all'azione battericida o batteriostatica degli antibiotici fino a
diventare insensibili, ovvero resistenti. Questa caratteristica può
essere propria di alcune specie (
r. batterica naturale) oppure di
determinati ceppi batterici appartenenti a specie solitamente sensibili. La
r. agli antibiotici è dovuta a mutazioni nel genoma batterico o
all'assunzione di plasmidi, detti fattori R, che determinano la sintesi di
enzimi specifici, come le β-lattammasi, la
cloramfenicolo-acetiltransferasi, la canamicina fosfotransferasi e la canamicina
acetiltransferasi, in grado di distruggere gli antibiotici oppure di renderli
inattivi. I meccanismi con i quali si realizza la
r. sono: la distruzione
dell'antibiotico, meccanismo tipico della
r. dovuta a plasmidi;
l'amplificazione del gene che produce la molecola che si è attaccata
all'antibiotico, come accade nella
r. agli antitumorali; l'alterazione
dei recettori per i farmaci, come nel caso di una subunità proteica
ribosomica che, se mutata, conferisce
r. alla streptomicina; la
diminuzione della permeabilità della membrana cellulare, come nel caso
dell'insensibilità alle tetracicline. Sempre più spesso, il
fenomeno è dovuto alla
r. acquisita in conseguenza della quale
farmaci, attivi in un primo momento, si rivelano meno efficaci o addirittura
totalmente inefficaci nella terapia contro le infezioni batteriche. La
r.
agli antibiotici fu scoperta in Giappone nel 1950 in pazienti affetti da
dissenteria causata da un batterio del genere
Shigella, nei quali le
tradizionali terapie si dimostrarono inefficaci. Coltivando
in vitro
alcuni campioni di batteri provenienti dai pazienti, si poté osservare
che tutte le
r. venivano ereditate in un unico blocco e che potevano
essere trasmesse per trasferimento non solo a ceppi sensibili di
Shigella, ma anche ad altre specie batteriche patogene e non patogene. Da
ciò si dedusse che la
r. agli antibiotici è una
caratteristica genetica relativamente stabile e che il processo infettivo
avviene mediante contatto tra cellule. I dosaggi inadeguati e l'uso
indiscriminato di antibiotici hanno favorito nel tempo la selezione e la
diffusione di ceppi batterici resistenti, provocando una progressiva diminuzione
(e alcune volte la perdita completa) della loro efficacia. ║
R. agli
antitumorali: processo mediante il quale tra le cellule tumorali esposte a
un chemioterapico si differenziano per amplificazione genica, ovvero per
duplicazione selettiva del gene codificante, cellule resistenti al farmaco
utilizzato per distruggerle. • Agr. -
R. agli insetticidi: altri
organismi, oltre ai batteri, possono diventare resistenti a determinate
sostanze; il caso più eclatante è dato dalle mosche e dagli
insetti che, di norma sensibili a determinati insetticidi, possono diventare
resistenti attraverso una mutazione genica. Anche negli animali superiori si
verificano dei fenomeni di
r. nei confronti di sostanze chimiche o di
microrganismi, che vengono indicati con i termini
assuefazione
(V.),
immunità
(V.),
mitridatismo
(V.), a seconda del meccanismo. • Bot. -
R. delle piante: capacità di alcune piante di non riportare danni
gravi in seguito all'attacco da parte di parassiti oppure di azioni sfavorevoli
dell'ambiente fisico. È una caratteristica ereditaria e può
manifestarsi sotto forma di carattere naturale o acquisito. Nel secondo caso
può instaurarsi mediante la selezione e l'incrocio o mediante
l'inoculazione di ceppi attenuati dell'agente patogeno. Un esempio particolare
di
r. indotta è quella della vite alla fillossera, che è
stata ottenuta grazie all'innesto della vite europea su piante americane.
Esistono anche delle forme di
r. a condizioni ambientali sfavorevoli come
la siccità, il freddo, il caldo torrido e il gelo. • Fisiol. -
R. globulare: in ematologia, termine con il quale viene indicata la
r. osmotica dei globuli rossi che vengono posti in una soluzione
nettamente ipotonica di cloruro di sodio. In questa condizione, infatti, la
soluzione tende a penetrare negli eritrociti fino a quando la pressione osmotica
al loro interno equivale a quella del liquido. Ciò provoca un aumento di
volume dei globuli rossi fino a quando l'elasticità della loro membrana
lo consente, quindi l'emolisi. Tale
r. è maggiore nei giovani
globuli rossi e diminuisce con l'invecchiamento o per motivi patologici. ║
R. periferica: l'insieme delle
r. che il sangue incontra durante
la sua circolazione nei vasi capillari. ║
R. capillare: fenomeno
che consiste nell'aumentare la pressione dei vasi capillari mediante l'arresto
della circolazione sanguigna per mezzo di un laccio emostatico. ║
R.
sinaptica: la capacità, progressivamente ridotta, delle sinapsi a
rispondere a stimolazioni provenienti da una determinata zona riflessogena.
║
R. di membrana: capacità di una membrana di essere
attraversata da una corrente. La
r. di una membrana è direttamente
proporzionale alla
r. specifica della membrana stessa e alla sua
lunghezza e inversamente proporzionale al suo spessore. • Ecol. -
R.
ambientale: l'insieme delle circostanze biologiche e abiologiche che fungono
come fattori limitanti del potenziale biotico della popolazione. In assenza di
tali fattori, la crescita numerica delle popolazioni, funzione soltanto del
tasso di crescita, seguirebbe un andamento esponenziale. Grazie all'intervento
dei fattori limitanti, questa progressione non si verifica e il diagramma di
crescita delle popolazioni segue, invece, un andamento curvilineo. • Chim.
-
R. al trasferimento di materia tra due fasi: grandezza fisica che
caratterizza svariati processi chimici e che si definisce in modo molto simile a
quello della
r. alla trasmissione del calore. • Tecn. - La
capacità di non farsi rompere, annientare, spezzare, frammentare:
la
r. di questo tessuto è massima. • Costr. -
R. dei
materiali: capacità dei materiali di sopportare deformazioni e
tensioni interne generate dall'applicazione di forze esterne. • Elettr. -
R. elettrica: ostacolo che un conduttore oppone al passaggio della
corrente elettrica. Unità di misura della
r. elettrica nel Sistema
Internazionale è l'
ohm. Per un conduttore che non sia sede di
forze elettromotrici, percorso da corrente continua, la
r. elettrica
può essere definita come il rapporto tra la differenza di potenziale
esistente agli estremi del conduttore e l'intensità della corrente
stessa. ║
R. di contatto:
r. tra due superfici fisse o in
moto relativo, data dal rapporto tra la differenza di potenziale esistente tra
le superfici stesse e l'intensità della corrente circolante. ║
R. critica di un circuito:
r. corrispondente allo smorzamento
critico delle oscillazioni elettriche libere che possono verificarsi nel
circuito stesso. ║
R. differenziale di un circuito: rapporto
dV/di tra la variazione infinitesima
dV della differenza di
potenziale applicata e la corrispondente variazione
di
dell'intensità della corrente circolante. ║
R. diretta di un
diodo:
r. misurata quando la corrente circola nel senso diretto.
È contrapposta alla
r.
inversa, misurabile quando la
corrente viene fatta scorrere nel verso opposto. ║
R. equivalente di un
isolante reale:
r. ad esso associata, tale da giustificare la
presenza di una certa corrente di conduzione. ║
R. superficiale:
r. misurata tra due punti della superficie di un corpo. ║
R. di
terra:
r. del dispersore di un impianto di terra. • Mecc. -
Ogni forza che si oppone al moto del punto materiale o del corpo a cui è
applicata; nella leva e nelle macchine semplici, la forza che occorre vincere.
In riferimento al funzionamento di una macchina, si è soliti distinguere
tra
r.
utili, che devono essere vinte da opportune forze motrici,
affinché si produca un determinato fenomeno, e
r.
passive,
che hanno origine da mutui movimenti degli organi della macchina e che causano
una dissipazione di energia, con conseguente diminuzione del rendimento. ║
R. del mezzo: in meccanica dei fluidi, azione con cui un fluido
contrasta il moto di un solido in esso immerso. Essa dipende dalla
velocità relativa
v fra il corpo e il fluido, dalla densità
del fluido e dalle caratteristiche geometriche del corpo. La
r.
complessiva di un mezzo può essere suddivisa in
r. di attrito, che
dipende dalla forma e dalle dimensioni del corpo, dalla sua velocità e
dalle caratteristiche del mezzo in cui è immerso, e in
r. di
pressione, pari alla componente parallela alla velocità
v
della risultante delle forze di pressione che il fluido esercita sul corpo.
║
R. aerodinamica: componente della
r. totale
all'avanzamento nell'aria che un velivolo incontra durante il volo; è
diretta in senso contrario a quello della velocità relativa. ║
R. elettroacustica: rapporto tra la pressione acustica e la portata
volumetrica acustica. ║
R. meccanica: rapporto tra la forza che si
oppone al moto del punto materiale o del corpo cui è applicata e la
velocità del punto o del corpo stesso.
Sfilata di truppe partigiane
L'Italia durante la Resistenza
"La Resistenza nella scuola" di Franco Catalano