Enciclica pontificia emanata da papa Leone XIII il 15 maggio 1891. Rimane
tuttora uno dei più importanti documenti pontifici sulla questione
sociale insieme ai seguenti altri testi:
Quadragesimo anno (1931) di Pio
IX,
Mater et magistra (1961) di Giovanni XXIII,
Gaudium et spes
(1965) del Concilio Vaticano II,
Populorum progressio e la lettera
apostolica
Octogesima adveniens (1971) di Paolo VI e tre encicliche
Laborem exercens (1981),
Sollecitudo rei socialis (1987),
Centesimus annus (1991) di Giovanni Paolo II. Essa non costituì
una soluzione improvvisa o imprevista, ma il naturale sbocco del diffondersi
della dottrina e del movimento socialista, oltre che di un lungo processo di
elaborazione interno al mondo cattolico. La
R., in altri termini,
rappresentò la ratifica ufficiale, da parte della massima autorità
della Chiesa, di tutte le discussioni, decisioni e iniziative animate, in
diversi Paesi europei e negli Stati Uniti d'America, da una vivace minoranza di
vescovi, sacerdoti e laici, che si rendevano conto dell'insufficienza della
tradizionale attività assistenziale di fronte ai nuovi e gravi problemi
generati dalla Rivoluzione industriale. Prodromi della
R. furono alcune
lettere pastorali di vescovi savoiardi come A. Charvaz (in seguito vescovo di
Pinerolo e arcivescovo di Magonza); le iniziative in difesa dei cavalieri del
lavoro da parte del vecovo di Magonza, G.E. von Ketteler, e del cardinale
Gibson, vescovo di Baltimora; gli interventi a sostegno degli immigrati
irlandesi e degli scaricatori di porto di Londra ad opera del cardinale H.E.
Manning; le varie attività promosse da La Tour du Pin, Albert du Mun e
Léon Harmel in Francia, dal barone K. von Vogelsang in Austria, dalla
fondazione dell'Unione operaia cattolica a Torino e dall'Opera dei congressi a
Venezia; l'Unione di Friburgo sorta intorno a G. Mermillod, vescovo di Ginevra,
quale fondamentale occasione per ulteriori e decisivi confronti. La redazione
dell'enciclica, affidata a uomini di indiscussa preparazione filosofica ed
economica, avvenne in tre fasi: una prima stesura del gesuita M. Liberatore, una
seconda del cardinale T.M. Zigliara, che venne riveduta e corretta da M.
Liberatore e dal cardinale Mazzella; dopo la traduzione in latino, lo stesso
Leone XIII vi apportò ritocchi importanti. Benché non delineasse
una dottrina ben specifica e nonostante il suo moderatismo di fondo, la
R. costituì il primo intervento moderno della Chiesa sulla
questione operaia; per questo, quando apparve, suscitò entusiasmi assai
più per il significato che assumeva nel mondo cattolico, che per il
programma da essa propugnato. Quanto al contenuto, l'enciclica, pur sostenendo
il diritto naturale alla proprietà privata contro la dottrina socialista
della trasformazione collettivistica della proprietà, prendeva le
distanze dal sistema capitalistico per l'ingiustizia sociale e la miseria che
provocava. Oltre a ciò, ammetteva la validità di quanto nel
socialismo marxista corrispondeva ai principi cristiani, ma non esitava a
condannare tale dottrina in quanto materialista. La
R. sosteneva
altresì la necessità di un accordo reciproco tra datori di lavoro
e lavoratori, auspicando l'intervento dello Stato a tutela dei diritti degli
operai. Tra l'altro, essa affermava che «l'operaio ha l'obbligo di prestare
interamente e fedelmente il servizio pattuito, senza recare danno alla roba
né offesa alla persona dei padroni e astenendosi da atti violenti quali
il ricorso a scioperi». Quanto ai capitalisti e ai padroni, affermava i
seguenti doveri: «non tenere gli operai in luogo di schiavi; rispettare in
essi la dignità dell'umana persona, nobilitata dal carattere
cristiano»; proseguiva, poi, affermando che «il troppo e gravoso
lavoro e la mercede giudicata scarsa porgono non di rado agli operai motivo di
sciopero. A questo sconcio grave e frequente occorre che ripari lo Stato. Il
rimedio più efficace e salutare è di evitare il male
coll'autorità delle leggi e impedirne lo scoppio rimuovendo a tempo le
cause da cui si prevede che possa nascere tra operai o padroni il
conflitto». Quindi, dopo aver affermato che il quantitativo del salario
«non deve essere inferiore al sostentamento dell'operaio, frugale s'intende
e ben costumato», l'enciclica consigliava i padroni e i governanti di
consentire all'operaio di accumulare risparmio e diventare piccolo proprietario,
in modo che «l'una classe venga avvicinandosi a poco a poco
all'altra». Interessante fu anche l'introduzione del concetto di
moralità nell'ambito dell'economia: basti pensare alla rivendicazione di
un salario giusto, come pure alla condanna di un'eccessiva sperequazione della
ricchezza; a tutto ciò si collega l'affermazione della dignità del
lavoro umano, che non va trattato alla stregua di mera merce. Tra i mezzi per
portare a soluzione la questione sociale venivano indicate le corporazioni di
arti e mestieri, tutelate dalla Chiesa e rispettate dallo Stato, e le
società di mutuo soccorso, nonché le assicurazioni private di
assistenza e di previdenza. Il contenuto dell'enciclica leonina incoraggiava la
realizzazione di un movimento sociale cattolico, tale da elevare il prestigio
della Chiesa nel mondo, aprendola ai problemi del lavoro e ponendola alla guida
delle classi lavoratrici. Essa rappresentò un punto d'appoggio
fondamentale per quei cattolici che intendevano impegnarsi nell'organizzazione
del mondo del lavoro contro la legge capitalistica del profitto e che
auspicavano una società cristiana, corporativa e interclassista, in
contrapposizione alla società liberista e allo Stato borghese. Fu
ispirandosi alla
R. che i cattolici democratici assunsero posizioni di
rottura, propugnando una lotta per la liquidazione dello Stato borghese e la
riconquista cristiana della società e dando origine al movimento
democratico-cristiano di Romolo Murri, il cui programma, pubblicato nel 1899,
cercava di cogliere le istanze democratiche del tempo, filtrandole attraverso le
enunciazioni economico-sociali della
R. Nonostante queste iniziative,
supportate talvolta da vari rappresentanti dei ceti privilegiati, la Chiesa non
proseguì nella linea tracciata dalla prima enciclica leonina. Rispetto ad
essa, l'enciclica
Graves de communi, emanata da Leone XIII nel gennaio
1901, segnò un passo indietro; basti pensare all'affermazione in base
alla quale il termine «democrazia cristiana» non poteva coprire alcun
«fine politico per portare al potere il popolo promuovendo quella forma di
governo in luogo di altre, che in tal modo, mirando al bene della plebe e
mettendo in disparte gli interessi delle altre classi, sembri rimpicciolirsi
l'azione della religione cristiana». Alla
R. continuarono a
ispirarsi e a richiamarsi larghi strati del Cattolicesimo militante, soprattutto
negli anni del pontificato di Pio X quando, messi al bando i democratici
cristiani, i clerico-conservatori divennero una forza di riserva della classe
politica di Governo.