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Rāma.

Eroe e protagonista del poema epico Rāmāyana (V.), che ne racconta in chiave mitologica le gesta straordinarie. Probabilmente in virtù di queste ultime, la tradizione e la religiosità dell'epoca trasformarono R. da eroe a figura divina, incarnazione (avatāra) del dio Visnu (V.). Infatti la prima versione del poema epico a lui dedicato, che comprendeva i libri II-VI della redazione attuale, rappresentava R. solo in veste di grande sovrano, propagatore delle istituzioni, delle idee e dei costumi della civiltà brahmanica, equo, magnanimo, forte in battaglia, colto e pio. Invece, nelle versioni successive dell'opera, cui furono aggiunti i libri apocrifi I e VII, e nei Purana (V.) R. assurse alla dignità di avatāra del dio Visnu. • Rel. - La corrente visnuita conosce in realtà due incarnazioni del dio come R., rispettivamente la sesta e la settima: nella sesta è detto R. con l'ascia (Paras'u-R.) o R. della stirpe dei Bhargava, una famiglia sacerdotale di brahmani; si tratta di un personaggio cui sembra non mancare una certa identità storica, successivamente assorbita e dissimulata dal mito e dalla tradizione religiosa. Questo R. visse in un'epoca di scontri sociali e di lotte anche cruente che videro insidiato il ruolo e la superiorità socio-religiosa della casta sacerdotale da parte di quella guerriera: per tale ragione, secondo la teologia visnuita, egli sarebbe disceso come sesto avatāra per restaurare il corretto assetto religioso, sociale e funzionale delle due caste. La tradizione attribuisce a Paras'u-R. conquiste territoriali ingenti, che adombrano la sua importanza come colonizzatore ariano dell'India occidentale e meridionale, ma la letteratura visnuita ne sottace il lato sanguinario per accentuarne quello religioso. Alcuni studiosi definiscono la sua, più propriamente, un'āves'avatāra, cioè un'incarnazione solo temporanea del dio, dal momento che il mito stesso ci dice che egli fu sconfitto infine da R.-candra: settimo e più famoso avatāra di Visnu stesso e protagonista dell'epopea a noi più nota. Questi era figlio ed erede del re di Kosala, Das'aratha, ma per gli intrighi della matrigna fu escluso dalla successione e costretto all'esilio insieme alla moglie Sīta. Il rapimento di quest'ultima da parte dei demoni guidati da Ravana e la sua liberazione grazie a R. e la riconquista del Regno paterno sono oggetto del poema citato. R. e Sīta divennero così il prototipo perfetto della coppia di sovrani, esempi normativi del giusto comportamento per gli individui di casta kshatriya. Col tempo, e in particolare a partire dal XIV sec. per l'opera del brahmano Rāmānanda (V.), il culto di R. si diffuse per l'India, analogamente a quanto accadde per quello di Krshna, ottavo avatāra di Visnu. Il Ramaismo si radicò maggiormente nell'India settentrionale; i suoi fedeli, che ancora oggi costituiscono una delle sette più grandi all'interno dell'Induismo, praticano prevalentemente culti ascetici, fondati sulla ripetizione di speciali preghiere e salmodie (mantra), la più importante delle quali è costituita dal semplice nome di R. stesso. Secondo i ramaiti, questo mantra conterrebbe in sé l'intero universo e da esso, unico suono primordiale, avrebbe avuto origine ogni linguaggio umano. L'affermazione della divinità di R. portò alla pratica di una devozione specifica (bhakti) pari a quella ugualmente diffusa rivolta a Krshna. La diffusione della R.-bhakti fu ottenuta in larga parte mediante la produzione artistica e letteraria: il poeta e mistico Kabir (1440-1518) operò con le sue liriche una sorta di sincretismo tra il culto di R. e alcuni aspetti dell'Islam; Tulsī Dās (1532-1623), rielaborò e rivisitò il Rāmāyana in lingua hindi nel suo poema Il lago delle imprese di Rāma, che più di tutti contribuì a radicare nel senso religioso il carattere compassionevole e misericordioso del dio.