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Racine, Jean.

Poeta e drammaturgo francese. Appartenente a una famiglia della borghesia provinciale, rimase orfano di entrambi i genitori e fu allevato dalla nonna paterna, la quale era molto vicina all'ambiente di Port-Royal. Questo celebre monastero, da cui ebbe origine il movimento religioso giansenista, era, a quei tempi, un centro di studi di grande rilevanza, dove R. come allievo delle Petites-Ecoles dal 1649 al 1653, poté ricevere un'educazione classica ampia e accurata, che completò poi frequentando il collegio d'Harcourt a Parigi (1658-59). Agli anni trascorsi a Port-Royal, assai importanti per la formazione spirituale e culturale di R., risalgono sia i suoi primi tentativi poetici, Le Paysage ou Promenade de Port-Royal-de-Champs (raccolta di sette odi), sia la passione per le lingue classiche e per gli autori greci, sia infine i presupposti di un serio sentimento religioso. Per contro, in seguito al trasferimento a Parigi, R. subì il fascino dell'ambiente mondano e galante della corte di Luigi XIV e fu spinto dall'ambizione a una brillante carriera letteraria a dedicarsi alla poesia celebrativa e d'occasione, componendo madrigali, sonetti e odi; di queste ultime, meritano di essere ricordate La nymphe de la Seine (1660), in onore delle nozze di Luigi XIV, e l'Ode sur la Convalescence du Roi (1663), scritta al rientro a Parigi dopo un soggiorno a Uzès. Nel 1664, grazie ad alcune protezioni mondane, riuscì a far rappresentare dalla compagnia di Molière il suo primo lavoro teatrale, La Tebaide o i fratelli nemici, nel quale affrontava, per sua stessa ammissione, «il tema più tragico dell'antichità». La Tebaide ebbe un modesto successo, ma con la tragedia Alessandro il Grande, portata in scena nel 1665, R. conquistò grande popolarità presso l'ambiente mondano della capitale, ottenendo anche uno stipendio dal re. Nel 1666, in seguito alle critiche mosse dai giansenisti agli autori di teatro, tacciati d'immoralità, R. attaccò con violenza inaudita - indizio forse di un intimo disagio - i suoi ex maestri di Port-Royal e la loro concezione religiosa. Nel decennio 1667-77 R. produsse e rappresentò, spesso seguendone personalmente gli allestimenti, i suoi capolavori. All'Andromaca (1667), che ottenne un successo trionfale, fecero seguito: I litiganti (1668), la sua unica commedia, ispirata alle Vespe di Aristofane e composta in polemica gara con Molière; Britannico (1669), di soggetto storico romano; Berenice (1670), scritta in concorrenza con P. Corneille, la cui tragedia Tito e Berenice uscì sconfitta dal confronto; il cupo dramma Bajazet (1672), il solo di argomento contemporaneo; Mitridate (1673), tragedia grandiosa e patetica, la cui messa in scena seguì l'ingresso di R. nell'Académie Française; Ifigenia (1674), nella cui prefazione era ribadita la necessità di ispirarsi ai modelli classici; infine, Fedra (1677), che è ritenuta il vertice più alto del suo genio poetico. L'ostilità di alcuni ambienti letterari e cortigiani per l'opera di R. si manifestò, clamorosamente, nel corso della prima di Fedra: un pubblico numeroso, sobillato dai detrattori del poeta, affollò il teatro dove si dava Fedra e Ippolito del mediocre Pradon, disertando la rappresentazione del capolavoro di R., il quale tuttavia non tardò a riscuotere il meritato trionfo. Nello stesso anno, forse per una crisi di coscienza o per l'amarezza suscitata dall'accanimento dei rivali e dalle continue polemiche, R. abbandonò bruscamente l'attività teatrale, assumendo l'incarico, socialmente assai più prestigioso, di storiografo ufficiale del re. Tali eventi lo indussero a riconciliarsi con i suoi antichi maestri di Port-Royal e a rinunciare alla vita libera, galante e spregiudicata, che fino allora aveva condotto. Ritornò al teatro solo anni dopo, per l'insistenza della marchesa di Maintenon, scrivendo due drammi di carattere religioso a sfondo morale, Esther (1689) e Athalie (1691); ebbe anche modo di redigere un'opera storico-apologetica, Breve storia di Port-Royal (postuma, 1742 e 1767), vero modello di prosa storiografica, in difesa dell'austerità di Port-Royal, dove alla sua morte chiese e ottenne di essere sepolto. Tutta la produzione di R., considerato con P. Corneille il massimo esponente del teatro tragico francese del XVII sec., si fonda sulla profonda conoscenza degli autori greci, che egli seppe interpretare e assimilare in modo esemplare, adattando i valori e gli ideali offerti dalla tradizione classica alle esigenze e alla sensibilità dell'uomo moderno, inserito nella società del suo tempo. La tragedia di R., che è essenzialmente tragedia del sentimento e della passione, ha un rapporto anche contenutistico assai preciso con i modelli classici: come la tragedia greca raffigurava in forma eroica la lotta dell'individuo contro il fato, lotta tanto vana quanto necessaria all'affermazione della dignità umana, così i personaggi dei drammi di R. tentano invano di resistere alle passioni che irresistibilmente e fatalmente sommergono ogni difesa della ragione, dell'onore o del dovere sociale, e li conducono alla rovina e alla morte. Particolarmente importante appare, per questo motivo, lo studio e l'approfondimento dei caratteri: i suoi eroi, anche quando soggiacciono alla mortale violenza della passione che li trascina verso il loro tragico destino, mostrano note di umanità e di sofferenza; ciò è evidente soprattutto nei drammi d'amore, nei quali i personaggi femminili sono travolti dalla passione amorosa come da un fato doloroso al quale non è dato sfuggire. Secondo il noto giudizio di J. de La Bruyere, mentre Corneille raffigura gli uomini quali dovrebbero essere, R. li mostra quali in effetti sono: si comprende allora l'ostilità della Chiesa cattolica, in particolare dei suoi settori più intransigenti, che percepivano come la passione rappresentata da R. non fosse mai descritta come un vizio o un disordine transitorio, bensì apparisse come la suprema esaltazione della natura umana, ammirevole e invidiabile nonostante le sue funeste conseguenze. Da menzionare è poi l'atteggiamento che R. ebbe nei confronti delle regole del teatro, all'epoca assai rigide e precise: pur attenendosi ai principi della convenienza e della verosimiglianza, si può affermare che questo drammaturgo sia riuscito a sfuggire, grazie alla sua notevole intelligenza poetica, alla ripetitività tipica della tragedia barocca (La Ferté-Milon, Valois 1639 - Parigi 1699).