Fis. - Termine usato per indicare la quantità minima fisicamente
possibile di una grandezza che varia con discontinuità. L'introduzione di
tale concetto è dovuta a M. Planck, e nacque dall'esigenza di conciliare
i risultati sperimentali con la teoria di irraggiamento elettromagnetico del
corpo nero (1900). Planck suppose che l'energia elettromagnetica irradiata alle
varie frequenze da un corpo caldo fosse emessa solo mediante un gran numero di
processi elementari per quantità
E, piccole ma finite. Egli,
cioè, assimilò il corpo nero, su scala microscopica, a un elevato
numero di oscillatori armonici elettricamente carichi, ciascuno in grado di
assorbire o di emettere radiazioni di una determinata frequenza, propria
dell'oscillatore armonico: in contrasto con i principi della fisica classica,
egli suppose che l'energia meccanica totale emessa da ciascun oscillatore,
E, fosse un multiplo intero di una quantità piccola ma finita, il
q., pari a
hν, dove
ν indica la frequenza della
radiazione emessa e
h è una costante indipendente dalla frequenza
stessa, detta
costante di Planck,
pari a 6,6 ·
10
-34 · s. Il concetto di
q., e l'ipotesi connessa di
struttura granulare dell'energia meccanica, assume un'importanza fondamentale
negli studi sulle particelle elementari e sulle loro interazioni. ║
Teoria dei q.: interpretazione sistematica dei fenomeni ondulatori e
corpuscolari a livello atomico e subatomico. Ebbe origine alla fine
dell'Ottocento dagli studi fatti dai fisici sull'emissione di energia dal corpo
nero nelle varie regioni dello spettro, al variare della temperatura. Dopo
alcuni tentativi di W. Wien e di altri studiosi, M. Planck riuscì, nel
1900, a esprimere la variazione di tale energia con una formula che porta il suo
nome; essa si fonda sull'originalissimo principio che le particelle indivisibili
della materia (oscillatori, atomi), eccitate dal calore, non possono emettere
l'energia ricevuta se non come multiplo intero del prodotto di una costante
h per la frequenza di oscillazione propria della particella, prodotto che
prende il nome di
q. Nei lavori di A. Einstein sull'entropia della
radiazione elettromagnetica in equilibrio termico di alta frequenza (1907), la
teoria di Planck trovò la sua prima e più importante conferma: la
radiazione elettromagnetica si comporta, dal punto di vista termodinamico, come
un insieme discreto di enti indipendenti e localizzati nello spazio, i
q. di
luce o
fotoni, a ciascuno dei quali compete un'energia
hν. Sulla base del comportamento corpuscolare della radiazione
elettromagnetica, Einstein formulò le leggi dell'effetto fotoelettrico,
che trovarono conferma solo 10 anni dopo con gli esperimenti di R.A. Millikan;
l'universalità della costante
h e dell'ipotesi di Planck venne
confermata, inoltre, dagli effetti Zeeman, Stark, Compton, Raman. In
particolare, nel 1912, J.W. Nicholson mostrò che il momento angolare di
un atomo è un multiplo di
h/2; un anno dopo N. Bohr mostrò
che la lunghezza d'onda di tutte le linee spettrali degli elementi potevano
essere calcolate, come prima di lui (1885) empiricamente aveva fatto Balmer per
lo spettro dell'idrogeno, con le differenze di due termini della forma
T
=
E/
h, ove in entrambe le espressioni
h è la
costante di Planck. Sempre a N. Bohr si deve la proposta di abbandonare le
ipotesi classiche della meccanica atomica a favore di una nuova teoria basata
sulle seguenti supposizioni: l'elettrone può muoversi solo su alcune
orbite tra quelle possibili secondo la meccanica classica, dette
stabili
o
quantiche, costituenti una successione discreta e determinate dalla
quantizzazione della quantità di moto; l'elettrone non irradia quando si
trova su un'orbita quantica; l'elettrone passa da un'orbita quantica a un'altra
mediante emissione o assorbimento di una quantità di energia che sia
multipla del
q. elementare. Le ipotesi fatte da Bohr furono estese da A.
Sommerfeld a sistemi più complessi, e la costante
h prese anche il
nome di
q. d'azione; le verifiche sperimentali di J. Franck e di G. Hertz
(1914) ne confermarono direttamente la validità. Sebbene la teoria basata
sull'ipotesi di Planck aderisca così intimamente ai fenomeni fisici, non
sempre riesce a darne un'interpretazione adeguata. Infatti, tutte le forme della
materia (sia che si tratti di fotoni, sia che si tratti degli elementi
costitutivi dell'atomo) hanno, come abbiamo visto, valori discreti per
l'energia, per il momento angolare, per la massa e per la carica,
cosicché si può parlare di particelle o corpuscoli; d'altra parte,
le radiazioni emesse si propagano nello spazio sotto forma di onde, alle quali
possono essere applicati i concetti della teoria ondulatoria. Si deve quindi
parlare di un dualismo onda-corpuscolo: da un lato i fenomeni di tipo
corpuscolare non possono essere interpretati nell'ambito della teoria
ondulatoria classica, dall'altro i fenomeni ondulatori (come per esempio la
diffrazione di radiazione corpuscolare) non si possono conciliare con il
comportamento di una particella che si muove secondo le leggi della meccanica
classica. Per dare un'interpretazione teorica di questi fenomeni, risultò
necessario formulare una nuova teoria quantistica, che prese il nome di
meccanica ondulatoria (De Broglie, Schrödinger e altri): la
meccanica ondulatoria, insieme alla
meccanica delle matrici (Heisenberg),
sta alla base della moderna teoria quantistica. Le due nuove teorie sono
completamente equivalenti per il loro contenuto, e si differenziano solo per i
loro diversi punti di partenza, tanto che oggi si raggruppano entrambi i metodi
sotto uno dei due nomi. L'ipotesi essenziale della meccanica ondulatoria
è che a ogni particella sia associata un'onda, la cui frequenza
ν e lunghezza
λ sono date dalle relazioni
E =
hν e
p =
h/
λ; tale ipotesi trovò
conferma sperimentale nell'osservazione degli effetti di diffrazione che si
verificano quando un fascio di elettroni incide su un cristallo. Il problema
della propagazione di queste onde associate alla materia venne risolto da
Schrödinger: egli ipotizzò che la frequenza di un'onda di materia
ψ (x, t) fosse una funzione della lunghezza d'onda, ed espresse il legame
tra
ν e
λ mediante un'equazione differenziale che prese
il suo nome. La meccanica ondulatoria è così in grado di mettere
in connessione logica le proprietà ondulatorie e corpuscolari; tutte le
possibili affermazioni su un determinato stato possono essere ricavate dalla
funzione d'onda ψ, benché ψ, di per sé, non rappresenti
nessuna grandezza osservabile. Una forma della teoria quantistica equivalente
alla meccanica ondulatoria è la
meccanica delle matrici o
quantomeccanica (Heisenberg, 1925), nella quale si descrive la dipendenza
temporale di un sistema non mediante una funzione d'onda dipendente dal tempo,
ma mediante operatori dipendenti dal tempo; le equazioni fondamentali, pertanto,
non hanno la forma dell'equazione di Schrödinger, ma sono relazioni di
commutazione che determinano la dipendenza temporale degli operatori.
Poiché la quantomeccanica e la meccanica ondulatoria sono equivalenti, le
due espressioni sono oggi usate come sinonimi per indicare una parte comune
della teoria quantistica, e per distinguerla dalla
teoria quantistica
relativistica (nella quale sono determinanti velocità dell'ordine di
grandezza della velocità della luce; per esempio la teoria di Dirac
dell'elettrone) e dalla teoria dei campi (nella quale si considerano la
creazione e la distruzione di particelle).