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Purusha.

Voce sanscrita: uomo. Nella cosmologia vedica, principio cosmogonico e creativo che racchiude in sé l'intero universo. Un inno del RigVeda (X, 90, detto appunto purusāsūkta: inno dell'uomo) narra il sacrificio che gli dei compirono immolando l'essere primigeno, il P., gigante dai mille occhi e dalle mille teste da cui ebbe origine, secondo una visione panteistica del creato, tutto l'esistente. L'autore di questo inno volle descrivere per la prima volta, in chiave simbolica, una creazione secondaria del cosmo, giustificando e fondando miticamente la struttura politica ed economica della società vedica. L'inno del P. narra l'origine della partizione in quattro caste (varna) del genere umano, definite secondo le funzioni e le occupazioni di ciascuna e corrispondenti alle diverse parti del corpo del P. sacrificato e smembrato. La sua bocca produsse la classe sacerdotale, la più elevata (brāhmana,); le sue braccia la classe dei re e dei guerrieri (rājanya o kshatriya); le sue cosce la classe dei contadini e del popolo che produce ricchezza (vais'ya); i suoi piedi la classe dei servi (s'udra). Tuttavia il sacrificio del P., su cui si basa l'unità e l'interdipendenza del genere umano, fu anche il momento creativo dell'intero universo: dalla sua mente ebbe origine la luna, dal suo occhio il sole, dal suo respiro il vento, dal suo ombelico l'atmosfera, dalla sua testa il cielo. Il P., considerato principio vitale del macrocosmo, assunse poi, secondo il consueto percorso analogico del pensiero indiano, l'accezione di principio vivificante il microcosmo del singolo uomo, cioè di “anima individuale”. Nel sistema filosofico Sāmkhya, P. venne a significare l'anima universale increata e inattiva, principio passivo della creazione, complementare a quello attivo (prakrti) della materia in processo evolutivo e da esso assolutamente disgiunto.