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Purāna.

Voce sanscrita: antico racconto. Termine che designa sia la raccolta di un numero definito di opere considerate sacre dall'antico Induismo e redatte in sanscrito, sia un genere letterario che si sviluppò a partire da tali opere. • Encicl. - I P. hanno carattere narrativo e didattico, ma la loro peculiarità risiede nella finalità per la quale furono concepiti e cioè quella di trasmettere, preservandole nel tempo, le verità e gli insegnamenti contenuti nei Veda (V.) e nella tradizione rendendoli accessibili soprattutto agli illetterati, cioè ai membri delle caste inferiori (S'udra) e alle donne, ai quali era vietato accostarsi direttamente ai Veda. A partire da versioni popolari, dette proto-p., verosimilmente tramandate per via orale e costituite da materiale abbondante, furono in seguito tratti modelli sacerdotali riferiti in particolare alle tre divinità maggiori della Trimūrti. La genesi letteraria di questi testi è adombrata nel racconto puranico stesso, che narra come in origine esistesse un solo e unico P., eterno e imperituro, che comprendeva un miliardo di strofe. Il dio Visnu, assunte le sembianze del poeta e saggio Vyasa, ridusse questa mole imponente a sole 400.000 s'loka (strofe di quattro versi ciascuna), che ordinò in 18 sezioni affinché gli uomini potessero farne uso; e in effetti, l'estensione delle redazioni oggi disponibili dei 18 P. maggiori corrisponde alla cifra indicata dal mito. L'immenso corpus della letteratura puranica riveste eccezionale importanza, almeno pari a quella del Mahābhārata, per la conoscenza dell'Induismo nelle sue forme classica, medioevale e più recente: la vita dei fedeli indù, infatti, è a tutt'oggi scandita da gesti, riti, credenze, festività la cui descrizione ed eziologia mitica e cultuale è contenuta nei P. La vocazione enciclopedica di tali testi, basati sul materiale mitologico che in parte confluì anche nel Mahābhārata, portò a una varia rielaborazione delle gesta e delle figure delle divinità vediche, man mano integrate con la religiosità e le tradizioni delle popolazioni indigene pre-arie del continente indiano. Sebbene molti contenuti puranici siano antichi, le redazioni in nostro possesso sono in realtà relativamente recenti, e verosimilmente non anteriori all'epoca Gupta (V. sec.). Inoltre è facilmente rilevabile un gran numero di interpolazioni e modifiche successive, protrattesi fino all'epoca moderna (secondo alcuni fino al XVI sec., secondo altri addirittura fino al XVIII sec.): esse testimoniano il percorso di progressivo superamento della concezione essenzialmente teistica dei Veda in favore delle divinità della Trimūrti e poi l'affermarsi della dimensione devozionale e affettiva (V. BHAKTI) nei culti s'ivaita e visnuita, in competizione tra loro a partire dall'epoca medioevale. La tradizione aveva stabilito un canone compositivo per i testi puranici, detto pañcalakshana: ciò che ha i cinque argomenti. Un P., cioè, dovrebbe offrire il racconto della creazione dell'universo (sarga); quello della ri-creazione dell'universo dopo la sua ciclica distruzione (pratisarga); quello della genealogia degli dei e degli antichi saggi veggenti (vams'a); quello delle epoche dei Manu - sorta di patriarchi del genere umano - che si contano in numero di 14 per ogni creazione (manvantara); quello delle dinastie regali del Sole e della Luna (vams'ānucarita). In realtà nessuno dei testi, così come ci sono giunti, rispetta questo schema se non in minima parte, soffermandosi invece in descrizioni accurate della perfezione delle età passate in opposizione alla corruzione di quella presente, nella narrazione delle tradizionali cronologie indiane, nel racconto di miti, leggende edificanti, pratiche rituali, inni dedicati a divinità e veri e propri poemi indipendenti. Assai ampie, inoltre, sono anche le sezioni di tipo «laico», dedicate, per esempio, ad argomenti di astrologia, geografia, anatomia, medicina, arti militari, politica, diritto, arte poetica e drammaturgica. La maggior parte delle notizie e delle informazioni sono fornite dagli stessi dialoghi, che spesso ne contengono a loro volta un altro o più, secondo la tecnica delle scatole cinesi, condotti da un saggio divinamente ispirato che risponde alle domande di un discepolo. Complessivamente è possibile dividere la letteratura puranica in due gruppi di testi: i Mahā-p., cioè i maggiori, e gli Upa-p., cioè i minori. I P. principali furono a loro volta suddivisi, in base al contenuto, in tre categorie riferite rispettivamente a Brahma, S'iva e Visnu. Quelli relativi a Brahma (assegnazione piuttosto forzata, poiché tale divinità rimane in ombra nella teologia puranica) sono detti Rājas-p. e sono: Brahma o Adi, Brahmānda, Brahmavaivarta, Mārkandeya, Bhavisya, Vāmana. In essi prevale, appunto, il rājas che, tra gli elementi (guna) vivificanti la materia grezza della creazione (prakrti), rappresenta l'energia motoria e l'attività mentale. I P. dedicati a S'iva sono detti Tāmasa-p., in quanto vi prevale il guna tamas (che rappresenta l'oscurità e il silenzio che seguono alla distruzione del cosmo) e sono: S'iva, Linga, Skanda, Agni, Matsya, Kūrma. I P. dedicati a Visnu, infine, sono chiamati Sāttvika-p., in quanto vi prevale il guna Sattva (che rappresenta la purezza e sottigliezza della materia e la sua qualità esistenziale), e sono: Visnu, Bhāgavata, Nārada, Garuda, Padma, Vārāha. Infine, fu redatta una lista dei P. minori, calcolati anch'essi in 18, per analogia. Esiste inoltre un numero, non determinabile con sicurezza, di cosiddetti sthala-p., composizioni a diffusione locale incentrate sulla descrizione di luoghi sacri e delle tradizioni relative, redatte non solo in sanscrito ma anche in vari dialetti pracriti o, in tempi più recenti, in lingue dravidiche o neo-indiane.