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GEOGRAFIA - ITALIA - PUGLIA

PRESENTAZIONE

La Puglia è una regione che ha molte singolarità rispetto alle altre regioni italiane. Infatti è una delle quattro regioni italiane bagnate da due mari (Adriatico e Ionio); è anche la regione che vanta il più lungo perimetro costiero: 784 km. Un'altra peculiarità della Puglia è quella di essere stata abitata da popolazioni non italiche. D'origine illirica infatti erano gli Iapigi e lo stesso dicasi dei Messapi, tutti antichi abitatori del territorio pugliese. "Porta dell'Oriente" fin dall'età romana, la Puglia costituisce ancora oggi una sorta di ponte verso la Grecia e il Levante: ai suoi porti adriatici (Bari, Brindisi, Otranto) fa infatti capo il movimento passeggeri verso l'Albania, la Grecia e la Turchia.
Il termine Puglia deriva direttamente dalla denominazione latina di Apulia, con cui era definita in età romana la regione bagnata dal mare Adriatico e compresa tra il corso del fiume Biferno e l'istmo Messapico (o Soglia Messapica), corrispondente alla linea Taranto- FrancaviIla Fontana- Brindisi. Nei primi secoli del Medioevo il termine cadde in disuso, ma fu ripreso in età normanna; nel XII secolo designava l'Italia meridionale continentale in contrapposizione al termine Lombardia, usato in quell'epoca come sinonimo di Italia settentrionale. Il termine venne nuovamente abbandonato e fu sostituito dalle tre unità amministrative di Capitanata, Terra di Bari e Terra d'Otranto (con capoluoghi rispettivamente Foggia, Bari e Lecce). Queste tre circoscrizioni provinciali furono mantenute anche dal Regno d'Italia; nel 1923 fu creata la nuova provincia di Taranto, nel 1927 quella di Brindisi e nel 2004 quella di Barletta-Andria- Trani. Oggi le province sono quindi sei: Bari, capoluogo della regione, Foggia, Lecce, Taranto, Brindisi e Barletta-Andria-Trani.
La Puglia ha una superficie totale di 19.363 kmq; confina a Nord con il Molise, ad Est con la Campania e la Basilicata, a Sud è bagnata dal Mar Ionio e a Ovest dal Mare Adriatico. A 30-40 km dalla costa settentrionale del Gargano si trova l'arcipelago delle Tremiti, che appartiene alla Puglia dal punto di vista amministrativo, ed è composto da quattro isole: San Domino, Caprara, San Nicola e Pianosa. Queste isole sono meta turistica di grande bellezza e pur avendo una popolazione di 380 abitanti, d'estate sono molto affollate.
Gli abitanti della Puglia sono 4.086.422, con una densità di 211 abitanti per kmq, leggermente superiore alla media nazionale. L'alto tasso di natalità ha compensato lo spopolamento causato dalle grandi ondate emigratorie comprese tra gli anni 1880 e 1950, che sono state comunque inferiori a quelle lucane o calabresi. A partire dall'Unità d'Italia la Puglia ha così triplicato i suoi abitanti; negli ultimi anni del Novecento il calo del tasso di natalità è stato compensato dall'immigrazione straniera (soprattutto albanese, favorita dalla vicinanza geografica), cosicché la Puglia presenta una densità di popolazione superiore alla media italiana.
Malgrado ciò, le campagne della Puglia sembrano, a chi le attraversa, quasi spopolate. Ciò si deve al fenomeno delle "città contadine" pugliesi, che avevano - prima della terziarizzazione dell'economia italiana - l'aspetto e le funzioni di grossi borghi agricoli. L'origine di questi insediamenti è legata sia alla scarsità d'acqua - che rendeva difficile, prima della costruzione negli anni Trenta dell'Acquedotto Pugliese, l'insediamento di case sparse sui fondi - sia alla particolare natura dei rapporti agrari, in cui predominava un tempo la grande proprietà coltivata da braccianti che, non essendo legati ad alcun appezzamento, risiedevano nei borghi.
La popolazione non è comunque distribuita in modo uniforme sul territorio. Le zone più densamente abitate sono la Terra di Bari (e in particolare l'area metropolitana del capoluogo), la Murgia dei trulli e il Salento, mentre risultano scarsamente abitati il Gargano, il Tavoliere e le Murge. In tre comuni della Puglia (Chieuti e Casalvecchio di Puglia in provincia di Foggia, San Marzano di San Giuseppe in provincia di Taranto) una parte della popolazione parla ancora l'antico dialetto albanese, frutto di un flusso migratorio giunto dall'altra sponda dell'Adriatico nel Cinquecento. Molto più antica (di età bizantina, o forse addirittura risalente ai tempi della Magna Grecia) è la comunità della cosidetta "Grecia salentina", piccola area raggruppata intorno al comune dal nome ellenico di Calimera, in provincia di Lecce, dove una quota ormai minoritaria della popolazione parla un dialetto greco, ma fioriscono numerose iniziative per la conservazione e la valorizzazione delle tradizioni locali. A Faeto e Celle di San Vito sull'Appennino Dàuno, infine, il dialetto è di ceppo provenzale, in seguito a un'immigrazione tardomedievale proveniente da una località non identificata.
La Puglia è dunque una regione caratterizzata dalla varietà e diversità dei suoi caratteri ambientali, etnici, storici e culturali, di assoluta originalità rispetto a qualsiasi altra regione d'Italia.
Cartina della Puglia

IL TERRITORIO

Di forma stretta e allungata, la Puglia è bagnata a Nord-Est dal mare Adriatico e a Sud-Ovest dal mar Ionio. Il suo profilo è caratterizzato da due penisole: il Gargano e la penisola Salentina, rispettivamente "sperone" e "tacco" dello Stivale. Oltre ad avere il più lungo perimetro costiero, un'altra singolarità della Puglia è quella di essere la regione meno montuosa d'Italia, infatti è coperto da montagne solo l'1,5% del suo territorio, ed ha fenomeni carsici molto estesi. Rilievi montagnosi di grossa importanza sono rari: si hanno il massiccio del Gargano (Monte Calvo, 1.056 m), i Monti della Dàunia (Monte Cornacchia, 1.151 m) che si trovano al confine col Molise e la Campania. L'Appennino dàuno, chiamato anche di Capitanata, presenta ancora tracce di boschi di querce e di faggi, grandi distese verdi e fioriture primaverili in un clima sereno e temperato. Un elemento nel paesaggio è il fiume Fortore (lunghezza 100 km).
La pianura occupa oltre metà del territorio pugliese. Dalla costa essa si spinge all'interno; a Nord, con il Tavoliere, giunge sino ai piedi delle colline della Capitanata; scendendo verso Sud, sempre lungo la costa, occupa la Terra di Bari e la Terra d'Otranto, nella penisola salentina. Il resto del territorio è formato da colline a tavolati o gradini con altezza decrescente da Nord a Sud. La pianura della Terra di Bari e d'Otranto è dominata dalle Murge, colline che raramente superano i 500 m. A Sud i rilievi delle Murge Tarantine e Salentine sono meno accentuati (200 m) e quasi non interrompono l'uniformità del paesaggio pianeggiante.
Il suolo pugliese presenta vaste depressioni, voragini, fenditure, grotte bellissime e grandiose come quelle di Castellana. Dal punto di vista del paesaggio, la nota dominante è data dai vasti altopiani calcarei, soprelevati su alte scarpate, debolmente ondulati e privi di idrografia superficiale. Benché la Puglia sia costituita da regioni morfologiche diverse con caratteristiche ben definite, sono le pianure e gli altopiani carsici a conferirle una sua precisa unità. Ciò è dovuto alla grande diffusione di rocce calcaree mesozoiche e cenozoiche, disposte in potenti strati orizzontali o suborizzontali. Ne conseguono una forma generale tabulare del paesaggio e una struttura idrografica estremamente povera in superficie per il fenomeno dell'infiltrazione (le acque, scavando le tenere rocce calcaree, formano un letto sotterraneo); anche la piovosità è insufficiente, tanto che si è dovuto fare ricorso a grandi opere artificiali per poter irrigare le vaste aree agricole. L'acquedotto pugliese, alimentato dalle sorgenti del Sele, è infatti destinato per un terzo della sua portata all'irrigazione.
I fiumi hanno una portata media alquanto modesta; i principali sono il Fortore e l'Ofanto, alle due estremità del Tavoliere; entrambi nascono dall'Appennino e si gettano nel mare Adriatico. Il Fortore scorre in Puglia solo per gli ultimi 25 km del suo percorso e sfocia a Nord della penisola del Gargano. L'Ofanto attraversa la Puglia soltanto nella parte finale del suo percorso e sfocia nell'Adriatico presso Barletta. Gli altri maggiori corsi d'acqua, e cioè il Candelaro, il Cervaro e il Carapelle, scendono pure dall'Appennino e attraversano stancamente il Tavoliere con portate modeste e regime torrentizio. Anche i laghi scarseggiano; sono di discreta importanza i due laghi costieri di Varano, di 60 kmq, e di Lesina, vasto 51,3 kmq, ai piedi del versante Nord-occidentale del Gargano. Ambedue sono più simili a lagune che a laghi, in quanto in comunicazione con il mare, da cui sono separati da sottili lidi. Non hanno grande importanza dal punto di vista economico e idrico, ma sono molto belli dal punto di vista paesaggistico.
La Puglia è caratterizzata dal tipico clima mediterraneo caldo e secco, con precipitazioni scarse e siccità estiva. La sismicità è molto bassa, fatta eccezione per la provincia di Foggia, dove tutti i comuni rientrano nelle due massime zone di rischio. La regione non possiede risorse minerarie, a parte la bentonite dell'Appennino Dauno e i materiali da costruzione estratti da numerose cave situate specialmente nel territorio della provincia di Bari; notevoli quantità di salmarino provengono dalle saline di Margherita di Savoia.
Il Gargano e la penisola Salentina (o Salento) sono, con il Tavoliere e le Murge, le quattro regioni geografiche della Puglia; esse si succedono gradualmente senza netti contrasti. A queste si possono aggiungere il cosiddetto "Appennino di Capitanata", nome che gli deriva dai governatori bizantini (catapani) presenti qui sino al XII secolo, e la pianura costiera che si stende ad anfiteatro nell'immediato retroterra di Taranto.
Il Gargano è un tozzo promontorio in cui si passa da un paesaggio montano - caratterizzato dalle cime di monte Calvo (1056 m), monte Spigno (1008 m) e monte Sacro (872 m) - a paesaggi marini, con la costa spesso strapiombante sul mare. Proprio nel Gargano si può cogliere la ricchezza dei panorami della Puglia: dal vasto altopiano carsico alle numerose grotte (quella interna di Montenero e quelle marine di Pèschici e Vieste); dalle splendide foreste cantate da Lucano e Orazio agli stagni lacustri di Lésina e Varano.
Sorprende, dopo il Gargano, lo scenario del Tavoliere, grande pianura dalla forma piatta e quadrata, compresa tra i corsi del Candelaro e dell'Otranto e i rilievi appenninici. Si affaccia al mare Adriatico a Sud del Gargano (golfo di Manfredonia) con coste basse, sabbiose e orlate da dune costiere; queste costituiscono un serio ostacolo al deflusso al mare dei pochi fiumi che attraversano la regione. Così chiamato dalle Tabulae Censoriae (il libro in cui erano registrati gli estesi pascoli in possesso del fisco), il Tavoliere fu sempre utilizzato, soprattutto nel Medioevo, per il pascolo del bestiame, e soltanto in epoca recente è stato trasformato in terreno coltivabile (cereali e vigneti). Va comunque ricordato che l'imperatore Federico II iniziò l'opera di disboscamento di una parte della selva del Tavoliere per dar luogo a una coltivazione di cereali, imbarcati nei porti di Manfredonia, Barletta, Trani e Bari e commercializzati nei paesi affacciati sul Mediterraneo (soprattutto Francia e Spagna). Il Tavoliere era scelto dalle confinanti zone montuose del Molise, dell'Abruzzo e dell'Irpinia per far svernare le greggi: oltre un milione di pecore erano portate in Puglia in inverno, lungo i tratturi, vere strade erbose che D'Annunzio ricorda come "l'erbal fiume silente". I mutati rapporti sociali degli ultimi 50 anni hanno reso diverso l'aspetto di queste zone: al vecchio latifondo la riforma agraria ha sostituito la piccola proprietà contadina, le distese dei pascoli sono diventate colture cerealicole, e quasi assenti sono le pecore.
Procedendo verso Sud-Est, oltre il corso dell'Ofanto e fino all'istmo Messapico si stende la regione tabulare delle Murge, formata da banchi calcarei, che a Sud-Ovest precipitano rapidamente verso la cosiddetta "Fossa Bradanica", in territorio lucano, mentre digradano dolcemente e in forma di ampie terrazze verso la costa adriatica. Le Murge, con il loro paesaggio carsico, sono una vera scoperta: mancano corsi d'acqua, ma si incontrano spesso veri anfiteatri naturali (puli) e scenografici burroni detti gravine, lungo i quali sono abbarbicate case e chiese a scandire il bisogno di difesa degli antichi abitanti di paesi quali Gravina in Puglia, Laterza, Ginosa, Massafra, Mòttola, Castellaneta. Il nome di questo lungo altopiano, con povera e rada vegetazione e uno sterminato tappeto di pietre affioranti, sembra derivare da murex, sporgenza rocciosa; qui la pietra è stata via via utilizzata per piccole case, che ricordano i nuraghi della Sardegna, trulli con il tipico tetto a cono, muretti a secco.
La Puglia termina con il Salento, il "tacco d'Italia", dalla costa a volte alta e frastagliata, a volte bassa e sabbiosa, bagnato su tre lati dal mare. Il paesaggio della penisola Salentina è assai simile a quello delle Murge: anche qui si ritrovano gli stessi ripiani calcarei, gli stessi profili orizzontali e la mancanza pressoché totale di corsi d'acqua superficiali. Nell'Otrantino il litorale presenta un caratteristico gradino roccioso (basso nella costa ionica, alto su quella adriatica), mentre per il resto le coste digradano basse e sabbiose. Dove la costa si presenta piatta, le numerose insenature costituiscono ottimi porti naturali, alcuni di grande importanza come Brindisi e Taranto. Tante cittadine - Otranto, Gallipoli, Nardò e una nobile Lecce - rendono articolato il paesaggio costruito dall'uomo nei confronti di quello ancora segnato dalla presenza di ulivi.
Panorama costiero sul Gargano

PARCHI NAZIONALI E REGIONALI

Nella conservazione della biodiversità mediterranea, la Puglia continua a soffrire essenzialmente per due punti di criticità: gli incendi e l'intensa attività venatoria, che mettono a rischio una ricchezza vegetale e animale di estrema importanza nel panorama nazionale. Con la Legge regionale del 24 luglio 1997 n. 19 (Norme per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette nella Regione Puglia) si è dato un assetto nuovo e moderno alla gestione e tutela dei beni naturali, individuando e definendo emergenze naturali e aree meritevoli di protezione, anche in ossequio alle direttive CEE 79/409 "Uccelli" e 92/43 "Habitat" e alle Liste rosse degli Animali e delle Piante d'Italia. In Puglia sono stati censiti ben 44 dei 244 tipi (cioè il 19%) di habitat individuati su tutto il territorio della Comunità Europea. In Puglia sono presenti una decina delle 37 specie di anfibi esistenti in Italia e 21 specie di rettili sulle 49 nazionali. Ricchissimo il settore avifaunistico: delle 250 specie nidificanti in Italia ben 179 sono qui presenti. Nella Lista rossa nazionale riguardante la flora, su un totale di 1.111 specie, ben 78 sono quelle pugliesi.
Il Parco Nazionale del Gargano rappresenta la quasi totalità delle aree protette, prevalentemente costituite da riserve naturali e aree marine, per un'estensione pari al 7,7% del territorio regionale. Anche l'Alta Murgia ha visto la creazione di un parco nazionale, istituito nel 1998. Fra le aree marine protette spicca quella delle isole Tremiti che, oltre alla loro bellezza, offrono fondali di grande interesse scientifico. Tra le comunità montane spicca la Comunità Montana Monti Dauni Meridionali, al confine con la Basilicata e la Campania. Il bosco è la componente fondamentale del suo paesaggio; di particolare interesse sono le foreste a galleria di Salix alba e Populus alba e le popolazioni di orchidee selvatiche. La presenza di rare specie floro-faunistiche conferisce a tutta l'area una particolare importanza dal punto di vista naturalistico.

Parco Nazionale del Gargano

Istituito con Legge 394/91, il Parco Nazionale del Gargano ha un'estensione di 121.118 ettari più 7.408 di area protetta, interessando 18 comuni compresi nella provincia di Foggia. Esso è nato per tutelare il territorio del promontorio del Gargano il quale costituisce, dal punto di vista biologico, un'isola separata dal resto della penisola dalla piana del Tavoliere delle Puglie. Il Parco comprende gran parte del litorale, la zona sommitale del promontorio, due terzi del lago di Lésina e quello di Varano, la zona umida a Sud di Manfredonia, la riserva marittima dell'arcipelago delle isole Trèmiti e altre otto riserve naturali gestite dal Corpo forestale dello Stato.
In origine il promontorio garganico era completamente coperto da foreste. Oggi l'estensione della selva si è ridotta rispetto al passato (circa 25.000 ettari rispetto ai 200.000 del Medioevo), ma nel contesto dei paesaggi boscati d'Italia si segnala come un'oasi di verde tra le più importanti. La vegetazione è costituita dal greco pino d'Aleppo, che cresce come nella tradizione mediterranea per lo più spontaneamente e si sviluppa dai pianori a medie altezze (600-800 m) sino al mare.
Nel Parco del Gargano è possibile compiere in un giorno un excursus capace di comprendere l'intera natura del Mediterraneo incontrando su pochi chilometri gli habitat più diversi: dalle fitte ed estese foreste alla macchia mediterranea, dai grandi altipiani carsici, ricchi di doline ed inghiottitoi, alle ripide falesie sul mare, punteggiate da fantastiche grotte, dalle erte e boscose valli che scendono verso il mare alle lagune costiere di Lesina e Varano, dalle colline e pianure steppose alle Paludi di Federico II. Pochi luoghi come il Parco Nazionale del Gargano, infatti, racchiudono in così poca estensione tanta biodiversità: il Gargano può ritenersi un piccolo microsmo, una vera isola biologica, giacché la parte più alta del promontorio è stata isolata per un lunghissimo periodo preistorico. Da ciò dovrebbero derivare fenomeni come l'endemismo ed il macrosomatismo. Il fenomeno del macrosomatismo, ossia una crescita abnorme delle specie vegetali, si può osservare in certi esemplari di pini d'Aleppo, faggi, lecci e tassi di dimensioni monumentali. è da menzionare altresì la presenza di endemismi famosi tra i quali: la campanula garganica, la scabiosa Dallaporta, il citiso, la santoreggia, l'inula candida, il Cisto di Clusio, rara specie i cui pochi esemplari si possono osservare sulle dune di Lesina, il fiordaliso delle Tremiti, presente solo sulle isole Tremiti, l'erba ghiacciola che vive sulle rupi marittime e sui litorali sabbiosi di Vieste.
L'ambiente più rappresentativo delle aree interne del Gargano è la Foresta Umbra, la zona più spettacolare, nota e frequentata del Parco, così fitta che in alcuni punti non penetra un raggio di sole. Per alcuni il nome Umbra deriverebbe da antiche popolazioni di Umbri (una tribù preistorica celtica), abitanti della foresta; per altri, più semplicemente, indicherebbe un luogo ombroso. A dispetto delle devastazioni e dei dissennati disboscamenti degli ultimi tre secoli, la Foresta ha conservato quasi intatto il suo maestoso e imponente rigoglio vegetativo, con ricca varietà di specie e forme. Il faggio nella Foresta Umbra conta esemplari che raggiungono i 2 m di diametro e i 30 di altezza.

Le zone umide e le Riserve naturali

Uno dei motivi che hanno portato all'istituzione del Parco del Gargano è stato senza dubbio la presenza di importanti zone umide quali le lagune di Lesina e di Varano, le paludi di Frattarolo - ribattezzate "Paludi di Federico II", nelle cosiddette Paludi sipontine -, e l'ex riserva venatoria di Dàunia Risi, altrimenti detta Oasi Lago Salso. Quest'ultima, che comprende oltre 540 ettari di zone allagate, vasti canneti e lunghi canali, è ormai un habitat naturale per anfibi, rettili e moltissimi di uccelli migratori che qui sostano; si vuole inoltre reintrodurvi il Gobbo rugginoso, o anatra dal becco blu, estinto in Italia agli inizi del XX secolo. Più a Sud si incontrano le Saline di Margherita di Savoia e le paludi circostanti dove regna incontrastato il fenicottero rosa e, in settembre-ottobre e febbraio-marzo, oasi speciale di anatre, folaghe, avocette e limicoli.
Le zone umide del Gargano e della Capitanata hanno da sempre suscitato un notevole interesse negli studiosi e negli appassionati, ponendosi fra le più importanti d'Italia oltre che per la varietà di ambienti anche per la posizione strategica sulle rotte migratorie degli uccelli acquatici tra l'Africa e l'Europa centro- orientale. Già nel XIII secolo l'Imperatore Federico II di Svevia rimase affascinato da questi ambienti palustri che gli ispirarono il famoso trattato "De arte venandi cum avibus".
La Riserva marina delle Isole Trèmiti, di circa 1.509 ettari, è nata nel 1989 - una delle prime istituzioni del genere in Italia - per essere poi compresa nel Parco Nazionale del Gargano. Le isole di San Dòmino, San Nicola, Capraia, Cretaccio e Pianosa, meno di 300 ettari di superficie al largo della costa settentrionale del Gargano, sono le antiche Diomedeae, dove Omero pose la sepoltura di Diomede, il mitico eroe amico di Ulisse. Emerse e sommerse diverse volte nella loro storia geologica, grazie alla loro natura calcarea sono scavate da un gran numero di grotte marine, ricche di incredibili e sempre diversi paesaggi e di coste frastagliate. Solo il periplo in barca consente di apprezzare in pieno la bellezza delle coste, con un susseguirsi di cale rocciose, scogliere dirupate e cavità naturali dove nidificano le Diomedee, per la leggenda i compagni di Diomede così trasformati da Afrodite, che continuano a piangere la morte del loro eroe. Se sulla terraferma allignano il leccio, il pino d'Aleppo o l'endemico fiordaliso delle Trèmiti, nel mare verde smeraldo dai ricchi fondali si osservano la cernia bruna, il sarago, l'occhiata.
Ancora nel Parco del Gargano è la Laguna di Varano, una superficie di 6500 ettari separata dal mare da una lunghissima duna chiamata l'Isola: è una zona molto importante per il passo degli uccelli e per le tante varietà di fauna ornitologica, rettili e anfibi.

La fauna del Parco

Alla diversità di paesaggi del Parco corrisponde una diversità di fauna. Dal punto di vista faunistico l'eccezionalità del promontorio garganico è data dalla presenza, ad esempio, del capriolo italico (una sottospecie endemica ed esclusiva del Parco) e di ben cinque specie di picchi, che vivono nelle foreste dell'interno: verde, rosso maggiore, mezzano, minore e di Lilford (gli ultimi due assai rari e localizzati, presenti in Italia unicamente all'interno di aree protette). Oltre al capriolo, tra i mammiferi sono presenti il cinghiale, il daino, la donnola, la faina e il gatto selvatico, magnifico felino predatore che vive nel folto della boscaglia della Foresta Umbra, la lepre, il riccio, la talpa, il tasso, la volpe, il ghiro, il moscardino, diverse specie di topi ed arvicole. è estinta la foca monaca, sicuramente presente in alcune grotte delle isole Tremiti fino ad alcuni decenni fa.
Sul territorio del Parco nidificano ben 179 specie di uccelli su 250 nidificanti in tutta Italia. Tra i rapaci nidificanti ricordiamo la poiana, il gheppio, lo sparviero, il falco pellegrino, il lanario, il falco di palude, l'albanella minore, oltre al biancone che caccia rettili nelle zone assolate. Inoltre si segnala la presenza di alcuni falchi pescatori e rare aquile anatraie minori, durante il periodo migratorio. Tra i rapaci notturni sono presenti il gufo reale, il gufo comune, il barbagianni, l'allocco e l'assiolo. Nelle zone umide nidificano circa 46 delle oltre 60 specie legate all'ambiente acquatico, nidificanti in Italia. Tra le altre ricordiamo l'airone rosso e cinerino, la garzetta, il tarabuso, il basettino e la nitticora, il germano reale, l'alzavola, la marzaiola, la moretta tabaccata, il mestolone, il corriere piccolo, il fratino, il cavaliere d'Italia, la gallinella d'acqua, la folaga. Negli acquitrini della zona di Frattarolo durante i passi autunnali e primaverili è possibile ammirare combattenti, pittime reale, pettegole pantane, piovanelli e piro piro di diverse specie, pernici di mare, pavoncelle, pivieri, chiurli, beccaccini, frullini, ecc. Nei pascoli steppici della fascia pedegarganica, tra innumerevoli difficoltà, sopravvivono all'estinzione l'occhione e la gallina prataiola e volteggiano in numero consistente allodole, calandre, cappellacce e succiacapre. Nelle numerose grotte vivono colonie di pipistrelli delle specie nottola, ferro di cavallo, ecc.
Tra i rettili e gli anfibi, presenti in numero cospicuo anche per l'abbandono delle zone rurali, vi sonoi la tartaruga terrestre e palustre, l'orbettino, il colubro di Esculapio e il colubro liscio, la luscegnola, il geco verrucoso, la vipera comune, il cervone, la natrice dal collare, il ramarro, la lucertola campestre, ecc. Gli anfibi sono presenti con la raganella, la rana verde e dalmatina, il rospo comune e smeraldino e il tritone italico e crestato. Questi animali occupano le zone acquitrinose, i canali, le sponde delle lagune ed i cutini in varie zone boscose del Parco.

La flora

Ognuno degli ambienti del Parco è caratterizzato da una flora molto varia: si contano più di 2.200 specie botaniche, che rappresentano circa il 35% dell'intera flora nazionale. Grazie a condizioni climatiche particolari e a venti settentrionali che si caricano di umidità, sul promontorio cadono circa 1300 mm di acqua sottoforma di pioggia. Tutto ciò permette lo sviluppo di un microclima molto particolare in cui alcune essenze vegetali riescono a vivere in condizioni non riscontrabili in nessuna altra parte d'Italia e del mondo: si tratta di grandi boschi di faggi, lecci, cerri e, a volte associati a farnetti, olmi, frassini, che si distribuiscono nell'area più interna dei promontorio. Sulla costa dominano invece le pinete di pino d'Aleppo, circa 7.000 ettari che si alternano alla macchia mediterranea, ricca di formazioni a lentisco, firillea, erica multiflora, e corbezzolo. In alcuni angoli molto particolari vegetano esemplari di tassi, faggi e pini d'Aleppo incredibili per dimensioni e vetustà.
Nelle radure e nelle zone steppose fioriscono le orchidee selvatiche, che all'interno del Parco del Gargano sono presenti con 56 specie e 5 sottospecie e ne fanno la località più ricca d'Europa. Sui pendii assolati crescono rigogliosi gli olivastri, i perastri, i melastri, i biancospini attorniati da cespugli di lentisco, ginepro, timo, rovi, fichi d'india ed un albero bellissimo detto "l'albero del diavolo", ovvero il carrubo.
Nella zona pedemontana, dove la steppa predomina, cresce un fungo molto particolare, il Pleurotus eringi. I laghi di Lesina e Varano sono caratterizzati da un bosco intralitorale che cresce sulla sottile lingua di sabbia che li divide dal mare e in cui vegeta il famoso Cisto di Clusio. Deve essere ricordato infine il ruolo che nel passato il promontorio ha avuto come collegamento con la fauna e la flora della penisola balcanica, provato dal numeroso elenco di specie cosiddette "transadriatiche".

Parco Nazionale dell'Alta Murgia

Istituito nel 1998, il Parco nazionale dell'Alta Murgia ha una superficie di 67.739 ettari ripartita in 13 comuni della provincia di Bari. La nascita del Parco è coincisa con l'attuazione di un progetto mirante, essenzialmente, a sostenere la valorizzazione e lo sviluppo eco-compatibile di quest'area. Finalmente è stata accettata l'idea che la ricchezza della Murgia risieda nel bagaglio d'usi, costumi ed attività economiche tradizionali che la caratterizzano e che quindi devono essere tutelate. Circa 19.000 ettari del territorio sono tuttora coltivati a grano duro, cereali, a colture arboree (mandorlo, olivo) e vigna..
L'Alta Murgia si estende tra la costa adriatica ed i rilievi lucani in una suggestiva successione di depressioni, colline, scarpate e lame, raggiungendo la massima altezza, 679 metri, in corrispondenza di Monte Caccia. Quest'area è prevalentemente costituita da rocce calcaree risalenti al cretaceo, ma vi sono anche formazioni rocciose più recenti, come i tufi, formatisi nel pliocene, ed i sacchi d'argille, sabbie, nonché i depositi alluvionali terrosi e ciottolosi, risalenti all'ultima era geologica, che misti a humus e terre rosse formano gli unici terreni adatti alla coltivazione. L'Alta Murgia custodisce l'ultimo esempio di steppa pseudo-mediterranea dell'Italia peninsulare. Sui pascoli, che a prima vista potrebbero apparire aridi e pietrosi, nascono diverse specie vegetali. Si va dai micropaesaggi di licheni e muschi, a varie specie di graminacee, ferule ed asfodeli. Mentre, all'ombra degli splendidi lecci e cerri, cresce un sottobosco cespuglioso con rose canine ed orchidee selvatiche. Questa terra, inoltre, offre alcune delizie gastronomiche, come gli asparagi, i lampascioni ed i pregiati funghi cardoncelli. Altrettanto variegato è il patrimonio faunistico: 14 specie di rettili, 80 di uccelli nidificanti al suolo, 17 specie di mammiferi. L'asperità di queste zone, infatti, se da un lato ha reso meno frequenti gli insediamenti umani, dall'altro ha favorito la conservazione di un ambiente favorevole al prosperare di diverse specie animali. In primo luogo, vanno ricordati gli anfibi ed i rettili. Fra le specie più diffuse il trifone italico, il rospo comune e quello smeraldino, la rana verde, il geco kotschy, il ramarro, la vipera e l'emblematica lucertola campestre. Tra i mammiferi più facili da incontrare vanno menzionati la volpe, la faina, la lepre ed il riccio. Tra le 80 specie d'uccelli che nidificano sull'Alta Murgia, spiccano la calandra, il lanario, il corvo imperiale e lo splendido falco naumanni, chiamato anche grillaio.
Anche i segni lasciati dall'attività umana rendono tipico il territorio dell'Alta Murgia. Possiamo distinguere, fondamentalmente, tre categorie di costruzioni: anzitutto quelle legate all'attività pastorizia ed agricola, gli edifici religiose e infine i castelli. L'Alta Murgia conta inoltre sei tratturi, antiche "vie erbose" lungo le quali le greggi transumanti dovevano spostarsi per raggiungere i pascoli. Vanno poi ricordate le poste, aree recintate con muretti a secco, costruite per proteggere gli armenti dal freddo, e gli jazzi, strutture destinate all'allevamento degli ovini, solitamente situate a Sud ed in pendenza, in zone interne. Un'attenzione particolare va riservata alle masserie. La loro origine risale al XV secolo: con la fondazione della Regia Dogana della Mena delle Pecore, si ebbe una rigida organizzazione dell'economia agricola pugliese, che portò alla costruzione di strutture - appunto le masserie - adatte a sostenere lo sfruttamento pastorale e cerealicolo del territorio. Fino al XVII secolo la loro diffusione fu strettamente controllata sia nel numero che nell'estensione, poiché la Regia Dogana aveva interesse a mantenere a pascolo la maggior superficie del territorio murgiano. Tra la fine del XVII secolo e l'inizio del XIX, le masserie divennero il centro organizzativo dei latifondi. Il paesaggio dell'Alta Murgia è poi nobilitato dai grandi manieri, testimoni solenni di un'antica civiltà che affonda le sue origini nella prima fase della penetrazione basiliana nella regione. Fra questi castelli ricordiamo: il Castello del Garagone, il Castello di Gravina di Puglia ed il magnifico Castel del Monte. Infine, l'Alta Murgia custodisce splendide chiese rupestri, simbolo della profonda spiritualità che promana da questa terra brulla e silenziosa. La presenza di insediamenti preistorici, peuceti, classici e medievali consente di rilevare quanto sia antico, nell'Alta Murgia, il fenomeno dell'antropizzazione. Nel complesso carsico di Lamalunga è stato rinvenuto l'Uomo di Altamura, uno scheletro completo di ominide vissuto tra 400.000 e 80.000 anni fa, collocabile tra l'homo erectus e l'uomo di Neandertal.

Parco Regionale di Porto Selvaggio

Sul litorale jonico, tra Gallipoli e Porto Cesareo, si estende il Parco Naturale di Porto Selvaggio-Torre Uluzzo, un'area di 420 ettari salvata dalla selvaggia aggressione dell'edilizia vacanziera alla costa ionica salentina. Costituito nel 1980, il Parco è il simbolo di quanto l'opinione pubblica e le associazioni di tutela possono fare contro la speculazione edilizia che qui, intorno al 1970, prevedeva una massiccia cementificazione della costa con l'insediamento di un grande villaggio turistico.
La linea costiera che unisce Porto Cesareo a Gallipoli alterna strisce di sabbia ad una scogliera piatta e bassa, ma si alza improvvisamente nei bastioni rocciosi di porto Selvaggio. Se sulle coste sabbiose il mare appare in una diversa tonalità di azzurro per ogni livello di profondità, a Porto Selvaggio le fasce di colore scompaiono in un blu notte omogeneo. Le pareti strapiombanti in alcuni punti raggiungono un'altezza di 40 metri e spariscono sotto le onde per continuare la loro corsa di roccia. Sulla costa si aprono una serie di mirabili grotte marine: grotte di Uluzzo, Carlo Cosma, del Cavallo, delle Corvine, Verde.
La zona sottoposta a tutela ospita ambienti costieri tipici dell'area mediterranea. In cima alla scogliera la terra rossa del Salento ospita cespugli fitti di macchia mediterranea, lentisco, cisto marino, fillirea, rosmarino, timo, tutte specie che riescono a sopportare l'alto tasso di salinità e difficili condizioni climatiche. Dagli anni Cinquanta del XX secolo si è aggiunta, per effetto del rimboschimento operato dal corpo forestale dello Stato, una cospicua colonia di pini d'Aleppo, pianta pioniera che attecchisce perfettamente su questi terreni aridi e rocciosi.
Oltre ad essere un'area di rilevante valore naturalistico e paesaggistico, Porto Selvaggio rappresenta una zona di straordinario interesse archeologico. La baia di Uluzzo custodisce infatti uno dei depositi preistorici più conosciuti a livello europeo: nelle grotte di Carlo Cosma, di Uluzzo e del Cavallo sono stati rinvenuti manufatti del paleolitico, resti di grandi mammiferi (anche rinoceronti), oggetti recanti graffiti decorativi a soggetto naturalistico o geometrico. Studiate per la prima volta nel 1961, le grotte hanno rivelato una frequentazione antropica di questi siti a partire dalla fine del Paleolitico medio (circa 40.000 anni fa), in un ambiente completamente differente da quello attuale, quando cioè il livello del mare era più basso di circa 100 metri rispetto ad oggi e le grotte erano emerse ed abitate. L'importanza del sito dal punto di vista scientifico è testimoniata dalla definizione di un'autonoma "cultura uluzziana", caratterizzata dall'utilizzo di lastrine calcaree per ricavare strumenti utili alle esigenze della vita quotidiana e dalla creazione di una particolare punta fittile, a forma di semiluna. Ma altri interventi umani caratterizzano in maniera ancora più evidente il paesaggio: le due torri costiere - denominate Uluzzo e dell'Alto - che delimitano il territorio del parco. Le torri facevano parte del sistema di avvistamento eretto nel corso dei secoli XVI e XVII a difesa delle coste dalle incursioni dei pirati.

Riserva marina di Torre Guaceto

In provincia di Brindisi s'incontra poi la Riserva marina di Torre Guaceto, con 940 ettari di area terrestre e 2207 di area marina, che a seguito della Convenzione internazionale di Ramsar del 1971 è ritenuta di primaria importanza. Caratterizzata da un grande fragmiteto costituito per lo più dalla cannuccia di palude e ampie chiare d'acqua a volte dolce a volte salmastra, prende il nome dall'antica torre di guardia che si erge sul punto più esposto della baia, e che è diventata emblema della Riserva.
Torre Guaceto è stata nei secoli un costante punto di riferimento per chi, arrivando in nave dai porti del Sud del Mediterraneo, cercava acqua dolce ed un approdo sicuro e ben protetto dai venti. Il nome stesso "Guaceto" deriva dall'arabo gawsit, che significa "luogo d'acqua dolce" a testimonianza della conoscenza accurata che i Saraceni avevano di queste acque. Con il passare del tempo la zona, seguendo le varie vicissitudini storiche, ha conosciuto momenti di intenso traffico e periodi di minor utilizzo, ma la sua posizione strategica per la rotta che collegava Brindisi a Venezia e per la logistica militare ha sempre destato l'interesse dei navigatori. Proprio per questa facile possibilità di sbarco, gli aragonesi, nel XVI secolo, decisero di presidiare la rada con una torre di avvistamento che si inserì nel sistema difensivo della costa. La torre che prese il nome di Torre Guaceto fu costruita attorno al 1531 e fortificata nel 1567. L'importanza strategica di questo presidio fece sì che potesse arrivare fino a noi in miglior stato di conservazione della altre torri. Un ulteriore elemento d'interesse della Riserva è dato dalla sue rilevanza archeologica: nella radura antistante la torre sono stati trovati frammenti di arte micenea e messapica e numerose presenze dell'età del Bronzo. Dal punto di vista naturalistico, l'area ospita un'avifauna di enorme interesse e comprende, in un area ridottissima, tre ecosistemi diversi che interagiscono tra di loro, influenzandosi a vicenda: la macchia mediterranea, la zona umida e il mare.

L'ECONOMIA

Il livello di sviluppo economico della Puglia è relativamente superiore a quello medio delle regioni meridionali italiane. Il sistema economico vanta un settore agricolo di affermate tradizioni, che ha saputo localmente acquisire forme organizzative moderne, e uno sviluppo industriale piuttosto dinamico. Aspetti negativi sono il forte tasso di disoccupazione e certe carenze infrastrutturale (trasporti, servizi) e strutturali (tipologie produttive, innovazione): malgrado l'evoluzione registrata anche negli anni Ottanta del Novecento, la regione non appare ancora pienamente in grado di trasformare i progressi ottenuti in una crescita equilibrata.
La risorsa economica più importante della Puglia è l'agricoltura, favorita dal clima mediterraneo e dalle grandi estensioni delle pianure. Il territorio pugliese è per il 65% interessato da processi agricoli (rispetto a una percentuale nazionale del 44%), ma solo nel 9% dei casi vede avviato o promosso l'utilizzo di pratiche biologiche più rispettose dell'ambiente e con un minore consumo di prodotti fertilizzanti; un territorio che presenta in alcune sue parti (soprattutto nell'Appennino Dauno) anche rischi idrogeologici.
Caratterizzato dalla piccola e media proprietà fondiaria, e quindi con prevalente conduzione diretta, il settore agricolo conta un numero di addetti fra i più alti del Paese (10,2%). Il volume della produzione e la varietà delle colture contribuiscono a far conseguire alla Puglia la più alta produttività dell'Italia meridionale e pongono la regione ai primi posti, a livello nazionale, per produzioni quali l'olivo, la vite e il mandorlo. La Puglia vanta infatti il primato nazionale di superficie agricola utilizzata per colture arboree permanenti. Tali risultati sono stati conseguiti nonostante la natura calcarea del suolo e una carenza idrica cui si è cercato di supplire con la formazione dell'Acquedotto Pugliese e con l'approvvigionamento dai bacini- serbatoi della vicina Basilicata. Inoltre, nonostante l'alta qualità dei prodotti tradizionali, l'agricoltura pugliese stenta a guadagnare significative posizioni nei mercati internazionali a causa di una scarsa integrazione con il sistema industriale e quello commerciale.
La coltura viticola dà non solo ottima uva da tavola, ma anche vini ad alta gradazione alcolica, in parte utilizzati come vini da taglio per rinvigorire la qualità dei vini di altre regioni italiane ed estere. Importanza rilevante riveste la produzione di cereali, in particolare avena e frumento (soprattutto nella zona del Tavoliere), che sostiene la non trascurabile industria pugliese molitoria e della pastificazione. Le colture irrigue, presenti fondamentalmente nelle Murge e nel Salentino, sono costituite principalmente da ortaggi, che garantiscono un terzo della produzione nazionale di carciofi ed un quarto di quella di insalata, pomodori e finocchi. Non mancano nemmeno le colture industriali (il tabacco concorre per circa un terzo alla quota nazionale) che sostengono un'importante industria manifatturiera locale.
L'allevamento del bestiame, nonostante il discreto numero di ovini e una relativa specializzazione nell'allevamento avicolo, costituisce oramai solo una risorsa residua nell'economia pugliese. La pesca, organizzata su scala industriale, ha un ruolo non trascurabile nell'economia delle popolazioni costiere, in particolare nella zona della Capitanata e della Terra di Bari. La regione ha nel Mare Piccolo di Taranto le principali coltivazioni di molluschi (cozze e vongole) ed è la prima in Italia per pescato complessivo.
L'industria (26,8% degli occupati), nonostante i massicci interventi esterni, non ha fatto registrare la crescita autonoma prevista in seguito alla formazione, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, del Triangolo industriale del Sud, Bari-Brindisi-Taranto. I poli siderurgico di Taranto e petrolchimico di Brindisi sono entrati in crisi, mentre in alcune aree come la Terra di Bari, con l'agglomerazione di Bari-Modugno e la direttrice costiera fra il capoluogo e Barletta, si sono sviluppate produzioni diversificate (meccanica, abbigliamento, calzature, ecc.), talora di buon livello tecnologico; anche nel Salento leccese si contano numerosi addensamenti manifatturieri (Nardò, Maglie, Galatina, Gallipoli, Tricase). I due poli calzaturieri di Barletta e di Casarano sono gli unici distretti industriali della regione classificati come tali e sono basati principalmente su piccole e medie imprese spesso a conduzione familiare. Un'altra area specializzata molto importante è quella del mobile imbottito (divani e poltrone), che ha i suoi centri principali ad Altamura e Santeramo in Colle (provincia di Bari) e a Matera in Basilicata; vi si produce oltre il 60% dei divani in pelle imbottiti fabbricati in Italia. Discretamente sviluppate sono pure le industrie di lavorazione e conservazione dei prodotti agricoli e di quelli della pesca. Le piccole e medie imprese della trasformazione alimentare hanno dimostrato una resistenza alle fasi congiunturali. Numerose soprattutto nella provincia di Foggia, costituiscono un quarto delle aziende pugliesi.
Il capoluogo della regione, Bari, vanta uno dei porti più attivi dell'Adriatico da cui partono linee per il Medio e l'Estremo Oriente; ma anche gli altri porti pugliesi rivestono un ruolo di importanza strategica per l'occupazione terziaria. Le attività terziarie (63% degli occupati), del resto, sono venute assumendo importanza crescente anche in Puglia, riuscendo a realizzare miglioramenti qualitativi di rilievo nei segmenti più avanzati (servizi finanziari, organizzativi, di consulenza aziendale). La modernizzazione del settore è guidata dal polo tecnologico "Tecnopolis" di Bari (ingegneria, informatica), con ricadute positive sull'economia locale e interregionale. Il capoluogo regionale concentra il 30% dei servizi assicurativi e finanziari. Sempre a Bari, ogni anno, ha luogo l'annuale Fiera dei Levante, istituita nel 1930 e divenuta seconda manifestazione del genere in Italia, punto di riferimento nei rapporti fra continente e area mediterranea.
Il turismo riveste notevole importanza per l'economia regionale. Grazie ai 748 km di costa, molto sviluppato è il turismo balneare ed inoltre la buona rete di comunicazione (autostrade e aeroporto) fa della Puglia una delle regioni più facilmente accessibili. Le zone balneari più rinomate sono quelle nel Gargano, nella zona dei trulli e le Isole Tremiti. Tuttavia, nelle aree di maggiore sviluppo, come il Gargano e la Penisola salentina, il turismo si è tradotto in una crescita spesso incontrollata, con fenomeni di degrado del litorale.

CENNI STORICI

I primi insediamenti umani

Le caratteristiche geologiche ed orografiche della Puglia (con grotte e anfratti dovuti al carsismo del suolo, e senza grandi catene montuose a protezione del territorio) hanno fatto sì che essa fosse abitata sin da tempi antichissimi, com'è testimoniato dai reperti - oggetti in pietra scheggiata provenienti dal Gargano -risalenti al Paleolitico inferiore. Inoltre, la sua accessibilità dal mare l'ha esposta ai flussi delle più svariate popolazione.
Di particolare rilevanza è stato il ritrovamento, nel 1994, di uno scheletro umano in una cavità sotterranea presso Altamura, risalente a 40.000 anni a.C., mentre tracce di insediamenti neolitici, dove vivevano popolazioni dedite all'allevamento e all'agricoltura, sono state ritrovate nelle Murge, a Polignano a Mare e nel Salento: si tratta di circa 200 villaggi di forma per lo più circolare, racchiusi entro muri a secco e contenenti resti di capanne. Ma la Puglia custodisce ulteriori, singolari testimonianze della cultura preistorica: le specchie, cumuli di pietre alti a volte più di 15 metri, dal significato misterioso; i dolmen, tombe costituite da lastroni infissi nel terreno sui quali poggia un'ampia lastra calcarea monolitica; i menhir, sorta di primitivi obelischi di oltre due metri, presenti in tutta Europa come prima manifestazione architettonica, e in Puglia ricorrenti nei dintorni di Bari.

I Greci e Roma

Dal II millennio a.C. è invece accertata la presenza in Puglia degli àpuli (o iapigi) e dei messapi. Dal 1200 a.C. circa dagli àpuli si cominciarono a formare le etnie dei dàuni e dei peucezi; solo nel Salento i messapi mantennero un'individualità propria. In questo periodo si situa una produzione di metalli e di ceramiche con decorazioni dipinte, e prende avvio la formazione delle prime città.
Data la sua posizione geografica la Puglia fu, a partire dall'VIII secolo a.C., uno degli obiettivi dell'espansionismo degli antichi Greci, tanto che l'ellenizzazione della regione si poteva considerare compiuta al momento della conquista romana (IV secolo a.C.). In effetti la tradizione storica e letteraria, suffragata dalle scoperte archeologiche, conferma lo sviluppo di centri economicamente importanti, con manifestazioni di arte e architettura di grande qualità: Arpi, Siponto, Herdoniae, Canosa di Puglia, Taranto; quest'ultima, favorita dalla collocazione sui due mari, fu uno dei maggiori centri commerciali della Magna Grecia. I musei pugliesi conservano testimonianze preziose delle forme d'arte e della civiltà del periodo, quando queste città erano in stretto contatto con l'arte e gli stili di vita di Atene, Sparta, Corinto, Rodi, Delfi.
Dopo un'iniziale, tenace resistenza all'avanzata romana (Taranto cadde solo nel 272 a.C., e Brindisi nel 244 a.C.), la Puglia venne definitivamente conquistata diventando l'Apulia romana e, in età augustea, l'Italiae regio secunda, ovvero la seconda regione d'Italia, unita al resto della Penisola mediante la via Appia e la via Traiana. Questa denominazione attesta l'importanza della Puglia dal punto di vista della produzione agricola (grano e olio) e dei traffici commerciali; l'importazione, tra l'altro, di ceramiche orientali e africane conferma l'esistenza di scambi con ambienti eterogenei. Le città fioriscono, nascono gli statuti cittadini e cresce un'aristocrazia terriera che informa di sé l'immagine delle città e condiziona lo stile delle architetture. Gli anfiteatri di Lucera, Herdoniae, Lecce consentono una valutazione dell'organizzazione degli abitati, veri luoghi di sviluppo della cultura, dell'artigianato, dell'arte.

Dai Bizantini a Federico II

Dopo il dissolvimento dell'Impero romano, dal IV secolo in avanti si assiste al succedersi di diversi soggetti politici, militari e culturali, in un'alternanza di governi senza dubbio dannosa per lo sviluppo delle colture agricole e il commercio: prima i Bizantini, che così affermano la presenza in Italia dell'Impero orientale di Costantinopoli; nell'VIII secolo i Longobardi e, a varie riprese, soprattutto tra l'VIII e il IX secolo, i Saraceni berberi, popolazioni islamizzate che provenivano dall'Africa settentrionale e dalla Sicilia.
I Longobardi occuparono quasi tutto il territorio pugliese ad eccezione di Trani, Bari, Brindisi, Otranto, Gallipoli e Taranto, che rimasero ai Bizantini. I Saraceni invasero diverse volte i centri costieri, soprattutto Bari e Taranto, che furono per loro importanti roccaforti.
Alla fine del IX secolo la regione rientra nella sfera di influenza dell'Impero di Bisanzio. è un periodo nel quale l'agricoltura rifiorisce e si sviluppano i rapporti commerciali con l'Oriente. Bari divenne il capoluogo di un'area estesa sino alla Lucania (l'odierna Basilicata) e un catapano, governatore bizantino, reggeva tutti i territori. Si diffuse allora una religiosità orientale fatta anche di chiese e luoghi di culto. In questo periodo si consolidarono le città disposte lungo le coste del mare Adriatico, mentre nelle zone interne la vita si svolgeva attorno a piccoli ma vivaci centri urbani.
Verso l'anno Mille arrivarono i Normanni , mercenari provenienti dal Nord Europa che strapparono ai Bizantini i territori meridionali; dopo un iniziale, aspro conflitto con il papato, ottenutone un aperto consenso, il normanno Roberto I il Guiscardo diventò dal 1056 il sovrano di Puglia e Calabria. La stabilità politica che ne seguì determinò un rafforzamento del modello territoriale, fatto di agricoltura nelle zone interne e di commerci sul mare; sorsero castelli, cinte murarie e, soprattutto, grandi cattedrali. L'episodio del trafugamento a Bari delle spoglie di S. Nicola, uno dei santi più venerati del Cristianesimo medievale, fece convergere sulla Puglia l'attenzione di tutta Europa. Bari divenne, con Roma e la spagnola Santiago de Compostela, la terza città d'Europa legata al culto di un santo, meta di pellegrinaggi e di una forte devozione popolare. La prima crociata (1096-99) determinò il vero salto di qualità nella storia medievale della Puglia, perché la regione venne attraversata da un flusso di uomini e di ricchezze che ne accrebbero l'importanza strategica e il prestigio in Europa.
Con gli Svevi la Puglia ebbe quella che viene ricordata come la stagione forse più felice nella storia della regione, grazie al governo di sovrani illuminati e saggi quali Federico II e Manfredi. Specialmente l'operato dell'imperatore Federico II, così legato alla Puglia da essere chiamato puer Apuliae, fu determinante per la trasformazione del territorio: nuovi spazi furono destinati alle colture disboscando vaste aree del Tavoliere e furono aperte nuove strade per portare i prodotti delle campagne verso i porti delle città costiere. Inoltre fu edificata una straordinaria serie di edifici laici e religiosi, in una riuscita simbiosi tra arte e necessità di difesa. Foggia, Barletta, Lucera, Altamura si arricchirono di castelli e grandi cattedrali.
La stessa politica, attenta ai ceti medi e al mondo agricolo e commerciale, sarà perseguita dal figlio di Federico II, Manfredi; a lui si deve la fondazione di Manfredonia, dove si rifugiarono gli abitanti della distrutta Siponto. L'ultimo erede, il giovane re Enzo, esiliato a Bologna dagli Angioini, canterà la Puglia in versi dolci e malinconici.

Angioini e Aragonesi

Dalla metà del Duecento, con il subentrare dei d'Angiò, la regione entra in una fase di declino e incuria. La nuova casa regnante impone feudatari avidi, pronti a badare ai propri interessi piuttosto che al bene pubblico. Risorgono rivalità tra i feudi, i traffici si spostano dall'Adriatico al Tirreno, con grave danno economico per le città pugliesi. Nemmeno i successivi dominatori spagnoli seppero rimediare al generale impoverimento, anche se i re Alfonso I e Ferdinando d'Aragona, nel Quattrocento, cercarono di frenare la tirannia dei potenti feudatari. La regione continuò a soffrire l'assenza di una politica rivolta a tutto il territorio e fu anche vittima delle scorrerie turche, la più feroce delle quali vide il massacro di 800 cittadini a òtranto nel 1480.
Successivamente Francia e Spagna si contesero il possesso della Puglia: episodio famoso di questa guerra fu la Disfida di Barletta (febbraio 1503) nella quale tredici italiani al servizio degli spagnoli vinsero altrettanti uomini d'arme francesi. Famosi fra gli italiani Ettore Fieramosca, Giovanni Brancaleone e Fanfulla da Lodi. La guerra fu vinta dalla Spagna che dominò la Puglia fino al 1707, anno in cui si verificò l'occupazione austriaca.

I Borbone e il periodo napoleonico

la Puglia tornò quindi sotto la dinastia dei Borbone e conobbe, almeno sotto la guida illuminata di Carlo III, un periodo di riforme e di modernizzazione: la costruzione di strade (soprattutto la Napoli-Bari), il rilancio dei porti sull'Adriatico e la riorganizzazione delle strutture statali sono i segni di una volontà di cambiamento su un territorio vessato dall'arbitrio dei singoli signorotti e privo di un'idea di governo centralizzato e programmatore. Si rifà vivo un gusto artistico, che dal Barocco di Lecce muove a toccare l'architettura delle città con una serie di elaborate decorazioni di stile rococò; ma soprattutto nasce una generazione formatasi su idee liberali e riformiste.
Anche i pochi anni (1806-1815) di dominio napoleonico saranno improntati ad una politica riformista grazie all'azione del viceré Gioacchino Murat, che da Napoli diresse con lucidità il processo di rinnovamento; le città si espansero secondo precisi progetti urbanistici: Bari con il borgo murattiano e Taranto non sono che due dei tanti casi realizzati in questi anni. Il ritorno dei Borbone e la restaurazione del Regno delle Due Sicilie non interruppe del tutto questo processo di trasformazione del territorio; furono infatti realizzate opere quali strade e canali di bonifica, ma non vennero debellati i retaggi feudali legati alle classi elevate, poco propense a perdere i loro secolari privilegi.

Dall'Unità d'Italia ad oggi

La riunificazione della Puglia al Regno d'Italia dopo la spedizione del Mille (1860), pur segnando la fine di secoli di dominazioni, di sfruttamenti, di assenza di una vera guida, non apportò sostanziali mutamenti al quadro regionale, che rimase piuttosto statico. Dalla crisi del latifondo si sviluppò una piccola e media proprietà contadina, l'attività commerciale proseguì, articolata in una fitta rete di scambi regionali ed extraregionali. Le tappe di questo percorso furono scandite dalle opere pubbliche degli anni del fascismo, dalle bonifiche e dalla riforma agraria degli anni Cinquanta del secolo scorso, dalla nascita (e successiva crisi) del centro siderurgico dell'Italsider a Taranto, dallo sviluppo del turismo negli anni Ottanta. Un processo segnato anche dallo spostamento di abitanti dalle campagne alle città, dall'emigrazione verso le aree di sviluppo europee o del Nord Italia e, infine, dalla nascita di un ceto medio composto da commercianti e impiegati.

IL PERCORSO ARTISTICO E CULTURALE

Le vicende artistico-culturali della Puglia seguono, qui più che altrove, l'alternarsi dei popoli che vi hanno dominato: Greci, Romani, Bizantini, Normanni, Svevi, Francesi, Spagnoli hanno impresso nel territorio una successione di segni ancora leggibili. Spesso le realizzazioni artistiche sono frutto di elaborazioni che mescolano caratteri eterogenei: l'Oriente bizantino e l'Occidente benedettino o longobardo, il Romanico della Padania e il Gotico francese, la pittura delle cripte rupestri e le tavole di sapore veneto. Lo esemplifica al meglio il Romanico, dove sono presenti elementi provenienti dal Nord Italia ed Europa con i Normanni e, a un tempo, decorazioni orientali.

Dalle origini alla latinità

I cospicui siti archeologici sparsi su tutto il territorio regionale testimoniano la presenza di tribù preistoriche, che trovavano rifugio nelle grotte e nelle cavità naturali di cui è ricco il suolo pugliese. Restano anche le tracce di numerosi puli, villaggi trincerati, e soprattutto menhir e dolmen, risalenti all'età del Bronzo.
La colonizzazione greca a partire dall'VIII secolo a.C. determina, da una parte, l'importazione di manufatti dall'Attica e dal Peloponneso, come le ceramiche ritrovate a Taranto, nel Salento e in tutte le zone interne; dall'altra, lo sviluppo di cultura autonoma, anche se influenzata dalla cultura greca, che ha prodotto oggetti artistici di singolare interesse.
Con la conquista romana e con la successiva ripresa economica si fondano nuove città e si ampliano ed arricchiscono quelle già esistenti, si aprono strade consolari come la Via Appia, di cui rimane a Brindisi la colonna terminale. I resti di templi e di edifici a Canosa di Puglia, gli anfiteatri di Lecce, Lucera e Herdoniae, i ruderi di città come Egnazia rivelano la notevole consistenza degli abitati e la presenza di un sistema di ville rustiche. La ricca serie di manufatti conservata nei musei pugliesi testimonia l'attività di fiorenti botteghe artigiane.
Con l'affermarsi del Cristianesimo, a partire dal III secolo la Puglia fu organizzata in diocesi, ciascuna presieduta da un vescovo. Edifici di epoca romana vengono ristrutturati per servire le esigenze del culto; peculiare di questo periodo è la mescolanza di forme artistiche del vicino Oriente e dell'Occidente: in pavimenti di basiliche paleocristiane si ritrovano tecniche e iconografie orientali, mentre le decorazioni recano simbologie cristiane occidentali.

Il Medioevo

I secoli dal VII all'XI vedono il susseguirsi di Bizantini, Longobardi, Normanni e Arabi.
Dell'occupazione longobarda non rimangono testimonianze artistiche significative, perché spazzate dal fervore di rinnovamento che investirà la regione dalla metà dell'XI secolo. Anche delle moschee e dei minareti sorti a Bari o Taranto durante i periodi di dominazione saracena non resta traccia, mentre nei centri storici di Bari, Altamura, Gallipoli, Grottaglie, Martina Franca sono ancora leggibili gli intricati impianti urbani del mondo arabo; lo schema viario a "strigae" parallele, di tradizione antica, è impiegato con continuità negli interventi bizantini (Taranto nel X secolo) e si fonde con l'apporto culturale dei Normanni.
Anche i luoghi di culto risentono della diversità di culture e società: dalle chiese a croce greca dei secoli IX e X, di derivazione bizantina, si passa alle prime cattedrali medievali, rapportabili al Romanico del Centro-Nord Italia e d'Oltralpe. Con la stabilità politica garantita dal governo normanno inizia per la Puglia una vera, felice stagione culturale: le città si ampliano e si dotano di grandi cattedrali, costruite secondo lo stile definito sinteticamente come "Romanico pugliese".
Grazie ai Normanni e quindi agli Svevi, l'architettura si arricchisce di elementi artistici latini. Si impiegano particolari materiali e si adottano soluzioni stilistiche come i capitelli con pulvino, o campanili quadrati con finestre. Grande influenza ha l'ordine benedettino, che è incentivato a istituire monasteri e abbazie, unificando tutto il tessuto storico di matrice greca, fatto di chiesette, casali, villaggi rupestri, monasteri con compresenza greco-italica.
Custode dal 1087 delle spoglie di S. Nicola, uno dei santi più venerato nel Medioevo cristiano, Bari diventa meta di pellegrinaggi e punto d'imbarco dei crociati verso la Terra Santa; qui sorge la basilica dedicata al santo, edificio di chiara matrice romanico-padana, ma nel quale sono evidenti anche altre, peculiari influenze: i campanili a forma di torri riportano alla dominazione normanna; la possente struttura muraria, la decorazione scultorea e i matronei - qui adottati per la prima volta in Puglia - riportano invece alla tradizione della Borgogna francese. Altre singolari, splendide cattedrali vengono costruite a Trani, Bitonto, Bisceglie, Ruvo di Puglia, Giovinazzo, e diventano il modello per altre chiese nella regione ed anche fuori di essa. Nello stesso periodo, benché segnate dalla storia della zona in cui sorgono, si mettono in evidenza la Cattedrale di Taranto, e poi quelle di Canosa di Puglia, Lucera, Foggia, S. Maria di Siponto.
Il governo di Federico II sarà poi determinante nel plasmare il paesaggio, con segni tuttora leggibili: vaste aree conquistate all'agricoltura e numerose opere poste a difesa di questo nuovo territorio antropizzato, costituite su una precisa linea da Nord a Sud; sono i castelli, tra i quali spicca il Castel del Monte, che uniscono elementi gotici come le finestre bifore a decorazioni simili a quelle dei castelli francesi.
Appartengono alla splendida stagione federiciana anche eccezionali opere scultoree, come la porta della Cattedrale di Trani, l'ambone della Cattedrale di Bitonto, la cattedra dell'abate Elia in S. Nicola a Bari.

Il Barocco

Il declino economico e sociale che contrassegna i periodi angioino e aragonese non permette l'affermazione di correnti artistiche originali e realmente significative. Dal Trecento alla fine del Seicento si assiste al fenomeno dell'arte importata, con una committenza formata da una nobiltà feudale che relega l'arte, e in genere l'abbellimento delle città, nel novero di operazioni dovute e prive di conseguenze reali sul territorio. Così si abbelliscono luoghi di culto, ma gli artisti locali sono semplici esecutori di pitture senza un valore se non quello storico. Nel Cinquecento è forte l'influenza di Venezia, soprattutto nei centri sull'Adriatico (Trani, Monòpoli); ma, piuttosto che artisti, arrivano opere destinate a chiese e cappelle private, tanto che non è raro trovare nella regione tele di Palma il Giovane o di Veronese. Palazzi, castelli e fortificazioni vengono rifatti secondo lo stile architettonico vigente nel resto d'Italia.
Dopo secoli di crisi, l'episodio del Barocco coinvolge la Puglia intera, concretizzandosi in grandi opere di decoro, soprattutto di interni: stucchi realizzati da maestranze locali vengono sovrapposti alla scarna nudità delle architetture medievali, dando luogo a cicli decorativi molto articolati. A volte il decoro tende a invadere positivamente l'intera città, come accade a Martina Franca, Putignano, Conversano, Monòpoli. Il fenomeno ha il suo centro propulsore nella città di Lecce, dove il cosiddetto Barocco leccese si esprime nelle residenze civili, negli edifici religiosi e nelle decorazioni urbane, attraverso l'impiego di materiali da costruzione teneri e facilmente modellabili. Pur debitore verso il Barocco romano e napoletano, il Barocco leccese mescola in modo del tutto originale elementi spagnoli e siciliani.
Con la ripresa economica settecentesca si apre per la Puglia e per tutto il regno di Napoli un periodo di fervore artistico e architettonico. L'azione culturale di re Carlo III di Borbone contribuirà a provincializzare l'arte pugliese favorendo i contatti tra la capitale e gli altri centri del Regno. A Napoli viene fondata la manifattura di Capodimonte e in Puglia si diffonde ovunque la decorazione in stile rococò.

Il rinnovamento napoleonico

Particolarmente significativo dal punto di vista urbanistico fu il periodo napoleonico (1806-1815), che ebbe ripercussioni positive anche dopo la restaurazione dei Borboni. Le città pugliesi si accrebbero oltre le mura medievali secondo lo schema a scacchiera per lotti regolari che l'urbanistica europea stava adottando in quegli anni. Da Bari, che si ampliò nel borgo detto murattiano dal nome del viceré di Napoli Gioacchino Murat, l'esempio si trasmise a quasi tutti i centri della regione.
Altri edifici, concepiti per il risanamento delle città e per la cultura, furono realizzati in consonanza con il neoclassicismo napoletano, come il Teatro Piccinni di Bari. Il dibattito artistico sviluppatosi nell'Accademia di Belle Arti di Napoli trovò una vasta eco in tutto il regno, e giovani pittori, scultori e architetti formatisi nel capoluogo partenopeo diffusero un linguaggio nuovo nelle città pugliesi.

Dall'Unità d'Italia al ventennio

L'architettura del periodo unitario e del ventennio fascista consiste soprattutto in edifici e strutture di pubblica utilità, oppure destinati alle funzioni del nuovo Stato italiano. Si tratta di palazzi per uffici, prefetture, stazioni ferroviarie o arterie di comunicazione, che uniformano la regione al resto della Penisola e sono testimoni del gusto di un'epoca. Come tali vanno considerati, per esempio, i palazzi pubblici d'epoca fascista a Foggia o la serie di edifici che negli anni Trenta del XX secolo sorgono sui lungomare di Bari e di Taranto.

LE CITTÀ

Bari

(332.143 ab.). La città di Bari, situata sul litorale adriatico, è il capoluogo regionale e il più importante centro culturale, agricolo, commerciale (prodotti agricoli, ortofrutticoli e industriali) e industriale della regione, con una notevole attività portuale. Le industrie principali sono quelle molitorie, alimentari, chimiche, vetrarie, tessili, del cemento, del legno, della carta e metallurgiche. Bari è divisa tra la parte vecchia, abbracciata dall' Adriatico e protetta da strutture difensive, e la città nuova, sviluppatasi da inizio Ottocento (il "borgo murattiano") e sino ai tempi più recenti verso l'entroterra. Una duplice storia quindi, per il capoluogo regionale: quella di una città di mare, dal quale avrà lustro e fama e che, legandola all'Oriente, ne segnerà i commerci e gli scambi economici e culturali; e quella di una città di terra, rivolta all'interno, dove una fertile agricoltura produce grano, olio e, negli ultimi decenni, uva da tavola e da vino. La città di Bari è legata, da sempre, alla figura del più popolare santo taumaturgo d'Oriente: S. Nicola.
STORIA. I primi insediamenti umani si ebbero nella penisola dove oggi sorge Bari vecchia, un luogo dotato di anfratti naturali e circondato dal mare, tale da offrire protezione e una maggiore possibilità di difesa. Abitata dalla popolazione dei peucezi, Bari (latinamente Barium) divenne poi municipium romano, collegato al resto della penisola per mezzo delle strade consolari. Con la costituzione dell'Impero romano d'Oriente la città divenne un centro importante nel basso Adriatico, ma dal VI d.C. in poi si trovò contesa tra Bisanzio e Longobardi prima, Saraceni poi (840-880). Negli ultimi decenni del X secolo Bari fu sede del catapano, il funzionario imperiale che governava sui territori bizantini nelle regioni meridionali della penisola. Nel secolo successivo si rafforzò la sua posizione di città commerciale e portuale, attiva nei traffici con l'Adriatico, l'Egeo e l'Oriente. Grazie all'intervento dell'alleata Venezia, Bari fu liberata da un assedio saraceno all'inizio dell'XI secolo; i duraturi rapporti con la Serenissima spiegano la presenza, nella Bari medievale, di case e luoghi sacri d'impronta veneziana. La conquista normanna (1071) liberò la città dal dominio bizantino e favorì ulteriormente le attività economiche tanto che, con il formarsi di una classe borghese agiata, ci furono diversi tentativi di rendere la città autonoma. Di particolare rilevanza fu l'arrivo a Bari (1087) delle spoglie di S. Nicola, trafugate da Mira in Asia Minore; le conseguenze di questo fatto resero la città una delle maggiori mete della religiosità medievale in Europa (dopo Roma e Santiago de Compostela). L'opera di costruzione di edifici religiosi (Cattedrale, basilica) e civili (castello) ricevette nuovo impulso; inoltre, tra il XII e il XIV secolo, dal porto barese partirono schiere di crociati alla volta della Terra Santa, dopo aver visitato le spoglie di S. Nicola. Bari conquistò così un ruolo egemone nei confronti delle altre città della Puglia.
Durante il XIII secolo, gli Svevi - e particolarmente Federico II - arricchirono la città di altri edifici rappresentativi, sia religiosi che laici. Le successive dominazioni, i d'Angiò e gli Aragona, videro il permanere di attività commerciali, che ebbero inevitabili riflessi sull'organizzazione degli spazi urbani. Nel Cinquecento, sotto il casato aragonese, Bari fu sede per diversi anni della corte e venne dotata di una nuova struttura difensiva. Il secolo successivo fu un'epoca di decadenza, caratterizzata da una stasi sia nella crescita demografica, sia nello sviluppo urbano.
Nel 1707 Bari passò a Carlo VI d'Austria, il quale, a sua volta, la cedette ai Borboni di Napoli (1734) i quali, con Carlo III, avviarono una politica nuova per le regioni meridionali. Il sovrano promosse la costituzione della strada Napoli-Benevento-Avellino-Foggia-Bari-Brindisi. Nel progetto di ampliamento urbano oltre le mura e nella realizzazione di nuovi edifici si possono riconosce i riflessi del vivace dibattito culturale che allora animava Napoli, capitale del regno.
Nonostante la sua brevità (1806-1815), il periodo napoleonico vide il compimento del progetto di ampliamento urbano detto "borgo murattiano", dal nome del viceré di Napoli Gioacchino Murat. Il modello è quello che si stava sviluppando in Europa e che aveva un esempio nel "borgo teresiano" di Trieste: una pianta a scacchiera caratterizzata da lotti quadrati o rettangolari per la residenza e il commercio. Lo slancio progettuale non si fermò con il ritorno dei Borbone; furono realizzati il Teatro oggi intitolato al musicista barese Niccolò Piccinni, la Prefettura, il cimitero e alcune chiese.
Una nuova fase di espansione si ebbe durante il ventennio fascista, quando Bari venne vista come una ideale testa di ponte verso l'Oriente. L'ampliamento del porto, la costruzione dei lungomare di levante e di ponente con una ricca serie di edifici rappresentativi (il Palazzo dell'Intendenza di Finanza, l'ex albergo delle Nazioni, il Palazzo della Provincia, ecc.), la creazione della Fiera del Levante sono tutti segni che evidenziano il ruolo-guida assunto dal capoluogo regionale negli anni Trenta del XX secolo nei confronti della Puglia e di un più vasto entroterra meridionale.
Dal secondo dopoguerra ad oggi Bari è diventata la seconda città più popolata del Mezzogiorno, ma il suo disordinato sviluppo urbano ha prodotto enormi quartieri dormitorio che hanno stravolto la precedente fisionomia del territorio.
ARTE. La città vecchia, situata sul promontorio che divide il porto vecchio dal porto nuovo, custodisce i principali monumenti di Bari: la Cattedrale, la chiesa di San Nicola e il Castello normanno. Attorno a questi edifici è sviluppato l'impianto medioevale del nucleo antico, caratterizzato da un intrico di strade, stradine e vicoli. La città vecchia è protetta dal mare dalla muraglia, l'antica cerchia cittadina, lambita dall'acqua fino agli anni Trenta del XX secolo, quando furono costruiti i lungomare. Fa parte della struttura difensiva anche il fortino di S. Antonio Abate, edificato nel 1500, all'epoca dell'ampliamento del Castello. Il centro politico ed economico della città medievale era Piazza Mercantile, dove sorge il Palazzo del Sedile dei Nobili, sede del consiglio cittadino tra Seicento e Ottocento e più volte rifatto, tanto da avere perduto uno stile unitario, sebbene conservi elementi riconducibili all'architettura settecentesca napoletana.
Capolavoro del Romanico pugliese, la basilica di S. Nicola fu costruita dal vescovo benedettino Elia sul luogo dove si trovava il Palazzo del catapano, distrutto durante una rivolta. Forse la chiesa ha inglobato il palazzo, al quale apparterrebbe una delle torri che affiancano la facciata. Secondo le fonti antiche, l'arrivo a Bari (1087) delle spoglie di S. Nicola pose subito il problema della costruzione di un idoneo luogo di culto; la basilica, iniziata sotto il principe normanno Ruggero I d'Altavilla, fu completata nel 1139 sotto Ruggero II d'Altavilla. Essa è in ordine di tempo la prima chiesa di tipo romanico che documenta influenze stilistiche provenienti dall'Occidente e non dalla tradizione orientale bizantina, molto diffusa nell'architettura pugliese medievale. Per questo si è ipotizzata la presenza di maestranze provenienti dal Nord Italia e depositarie di tecniche e stilemi nuovi per la Puglia bizantina del XII secolo. La semplice e maestosa facciata della basilica, tripartita e coronata dal tipico motivo romanico degli archetti, presenta monofore, bifore e una finestra circolare, ed è aperta in basso da tre portali; quello centrale è arricchito da un protiro con colonne poggianti su buoi ai quali nel XVIII secolo furono tolte le corna dorate. La facciata è chiusa tra due torri di stile diverso; una di queste è forse un residuo del precedente Palazzo del catapano. Le profonde arcate sui fianchi della basilica sono ornate da sculture che raffigurano, tra l'altro, scene cavalleresche e, soprattutto, due rappresentazioni di mesi, motivo tipico dell'arte medievale del centro-Nord d'Italia. Di derivazione romanico-lombarda o toscana è pure, all'interno della basilica, la copertura delle tre navate: volte a crociera nelle navate minori, a capriate lignee nella navata centrale, oggi nascoste da un controsoffitto barocco con pitture e ricca doratura; influssi bizantini sono tuttavia riconoscibili nella zona dell'altare, dove una sorta di iconostasi divide il presbiterio dalla navata centrale. Di chiara matrice occidentale sono gli affreschi dell'abside, attribuibili ad artisti vicini a maestri umbri o toscani del XIII secolo. La basilica conserva inoltre due tra i maggiori esempi di scultura medievale pugliese: il ciborio del XII secolo che sovrasta l'altar maggiore e la retrostante cattedra marmorea (1105) del vescovo Elia, opere intrise di un realismo del tutto nuovo per queste aree meridionali. Di raffinata eleganza è il sepolcro della regina Bona Sforza, di fattura napoletana del tardo Cinquecento. Dalla navata destra si scende nella cripta, le cui 28 colonne recano capitelli romanici e bizantini, in una singolare commistione tra arte greca e arte latina; l'altare custodisce le reliquie di S. Nicola, molto venerate nel mondo cristiano sia orientale sia occidentale; questo spiega la presenza, nella cripta, di una cappella adibita a funzioni di rito greco-ortodosso.
Secondo monumento romanico della città vecchia, la Cattedrale fu edificata tra la prima metà dell'XI secolo e la fine del successivo, e dedicata a S. Sabino. Ampiamente alterata da una decorazione barocca, ha recuperato le essenziali forme del Romanico pugliese a seguito di restauri, a volte pesanti, eseguiti negli anni Sessanta del XX secolo. Tuttora la facciata mostra sia elementi romanici, come le lesene e il rosone, ornato da sculture di esseri fantastici, sia elementi barocchi, come la decorazione dei portali. Profonde arcate caratterizzano, come in S. Nicola, i fianchi. A sinistra è l'interessante costruzione detta trulla, considerata un antico battistero (ipotesi non confermata dagli ultimi restauri), trasformata nel XVII secolo in sagrestia. L'interno della chiesa è diviso in tre navate; il pulpito, il ciborio dell'altare e la cattedra episcopale sono ricomposti con frammenti datati dal XIII secolo. La cripta conserva le reliquie di S. Sabino e l'icona della Madonna Odegitria, che si dice venuta dall'Oriente nell'VIII secolo ma in realtà più tarda. Il Museo della Cattedrale custodisce tre codici, tra i più importanti dell'Alto Medioevo; si tratta degli "Exultet", decorati su un verso e fitti di preghiere pasquali sull'altro, che venivano utilizzati nei riti della Settimana santa: mentre lo scritto era rivolto al celebrante, le immagini scorrevano davanti agli occhi dei fedeli.
Tra gli altri luoghi di culto, spesso di piccole dimensioni, che punteggiano Bari vecchia, vanno citate le chiese di S. Gregorio e di San Marco. Quest'ultima fu probabilmente edificata dai veneziani presenti a Bari dall'XI secolo, forse per ricordare l'aiuto dato dalla Serenissima durante l'assedio saraceno. Situata a destra della basilica di S. Nicola, la romanica chiesetta di S. Gregorio è frutto della ristrutturazione di una precedente chiesa; i grani del rosario impreziosiscono le finestre della facciata e dell'abside.
Il Castello è, insieme a Castel del Monte, tra i più illustri esempi di architettura civile medievale. Costruito dai Normanni come struttura difensiva, fu trasformato da Federico II per farne un simbolo del potere imperiale. Il nucleo originale sorse tra il 1230 e il 1250 secondo una pianta trapezoidale; poi fu chiuso entro una fortificazione nel Cinquecento, quando la corte aragonese si spostò a Bari. A quest'epoca risalgono l'ampio fossato e i poderosi bastioni lanceolati, mentre sono medievali il lato Nord, con bifore di sapore gotico, e l'interno. Elementi tipici delle architetture federiciane sono la cosiddetta torre dei Minorenni, quadrata e dal caratteristico bugnato rettangolare, e un portale ogivale, per il quale si passa nel cortile interno. L'atrio d'ingresso presenta volte a crociera e due colonne con capitelli di gusto classico, esempi della qualità di alcuni particolari scultorei voluti da Federico II. Nel Castello è ospitata la Gipsoteca provinciale, che riunisce calchi di sculture e frammenti architettonici provenienti da monumenti antichi, mentre gli ambienti dei vari piani conservano tracce degli interventi operati dagli Angioini e frammenti di affreschi quattrocenteschi.
Il Corso Vittorio Emanuele II divide nettamente la città medievale dal "borgo murattiano", voluto dal viceré di Napoli Gioacchino Murat al principio dell'Ottocento. Ancora oggi è ben riconoscibile l'impianto urbano, costituito da una rete di vie che si intersecano ad angolo retto, mentre sopravvivono pochi degli edifici originari, sostituiti negli anni da palazzi moderni spesso di gusto discutibile. La città ottocentesca è caratterizzata da alcuni edifici storici, come il teatro Piccinni, dall'elegante prospetto neoclassico, il Palazzo della Prefettura (1813), frutto della trasformazione del convento di S. Domenico, o il più tardo Palazzo Ateneo che, progettato nel 1867 da Giovanni Castelli e terminato nel 1887, è sede di alcune facoltà universitarie. Poco lontano sorge il teatro Petruzzelli, massima istituzione teatrale della Puglia. Esso fu costruito tra il 1877 il 1903, grazie al mecenatismo della famiglia Petruzzelli. Dopo il devastante incendio doloso del 1991, oggi se ne può osservare solo l'esterno, decorato con statue di musicisti (Giuseppe Verdi, Gioacchino Rossini, Vincenzo Bellini) e con un ricco fastigio (Apollo che incorona la Musica) in facciata. Molto legato all'immagine di Bari è anche un altro edificio teatrale, il Politeama Margherita, inaugurato nel 1914 per ospitare spettacoli di varietà, secondo il gusto dell'epoca.
La fisionomia cittadina è contrassegnata da alcuni rilevanti interventi urbanistici realizzati durante il ventennio fascista. Una serie piuttosto unitaria di edifici degli anni Trenta - tra cui il Palazzo dell'Intendenza di Finanza, la ex Facoltà di Economia e Commercio e le caserme - testimonia, come in molte città italiane, della volontà del regime di consolidare la propria immagine attraverso opere pubbliche. La Fiera del Levante fu anch'essa progettata negli anni Trenta con l'intenzione di proporre una Bari rivolta ad un'economia più moderna, aperta verso l'Oriente. Il modello fu quello delle Esposizioni universali e nazionali: una serie di edifici assemblati in un impianto a scacchiera, con grandi viali e spazi verdi. Oggi il quartiere fieristico non è più così unitario, essendosi nel tempo aggiunti nuovi padiglioni; dell'impianto originario restano lo schema e, soprattutto, l'ingresso monumentale, caratterizzato da stilemi orientali (finestre moresche, minareti, pinnacoli). Sul lungomare Nazario Sauro si trovano altre interessanti realizzazioni nel tipico stile dell'edilizia pubblica fascista: sono l'ex albergo delle Nazioni (Alberto Calza Bini, 1932-35) e il Palazzo della Provincia, oggi sede dell'Amministrazione Provinciale e della Pinacoteca provinciale, eretto nel 1930-32 da Saverio Dioguardi. La facciata neo-rinascimentale presenta un porticato e finestre che riprendono quelle usate da Leon Battista Alberti per i palazzi fiorentini; un'elegante torre svetta sulla costruzione, realizzata interamente in pietra. Lo stesso architetto Dioguardi progettò nel 1930 il Circolo Canottieri Barion secondo la forma di una nave, al cui interno dà luce una serie di oblò. Il disegno originale e l'elegante trattazione dei materiali conferiscono alla costruzione quel carattere novecentesco così caro all'art déco.
Infine è da segnalare lo Stadio S. Nicola, realizzato per i campionati mondiali di calcio del 1990 dal famoso architetto genovese Renzo Piano ed ora riconosciuto come una delle più significative architetture contemporanee.
Bari è sede di alcune rilevanti istituzioni museali. Le collezioni archeologiche di proprietà della Provincia, collocate presso il complesso conventuale di S. Scolastica, nel Borgo antico, sono costituite dalle accorte acquisizioni dei padri fondatori del Museo e dalle donazioni di privati. Tra i principali manufatti figura la ceramica, per lo più a carattere funerario, sia proveniente dal mondo greco, sia di produzione locale; una menzione particolare meritano il corredo di una sepoltura arcaica di Noicàttaro e quello dalla tomba Varrese scoperta a Canosa di Puglia.
La Pinacoteca provinciale, allocata nel Palazzo della Provincia, consta di un originario nucleo di pitture venete cui si sono via via aggiunte interessanti opere pugliesi e opere di autori contemporanei. Si notino la Madonna col Bambino e i Ss. Antonio ed Enrico di Paris Bordone, S. Rocco e gli appestati di Tintoretto, la Madonna in gloria con le Ss. Orsola e Caterina di Veronese, S. Giovanni da Capestrano appare a S. Pietro d'Alcantara di Luca Giordano. I dipinti dell'Ottocento svelano la vivacità della pittura pugliese, vicina ai temi che si svolgevano all'Accademia di Belle Arti di Napoli; lo documentano quadri di Francesco Netti, Gioacchino Toma, Domenico Morelli, Giuseppe De Nittis.
Nel Palazzo dell'Acquedotto Pugliese, costruito in stile medievale tra il 1927 e il 1932, sono stati allestiti il Museo storico dell'Acquedotto Pugliese e il Museo Duilio Cambellotti. Quest'ultimo presenta un'eccezionale rassegna di decorazioni, mobili, suppellettili, tappeti, pavimenti che inneggiano a "sorella acqua".
LA PROVINCIA. La provincia di Bari (1.571.233 ab.; 5.138 kmq) occupa il territorio della Terra di Bari e l'altopiano delle Murge. La pianura costiera è molto fertile (produzione di cereali, mandorle, olive, vino, ortaggi), mentre la zona interna sulle Murge è ricca di pascoli e boschi storicamente votati all'allevamento del bestiame. Diffusa lungo la costa è la pesca. Le industrie più importanti sono quelle alimentari, chimiche, tessili, maglifici, cementifici. Tra i centri principali ricordiamo: Alberobello, Altamura, Andria, Barletta, Bisceglie, Bitonto, Canosa, Castellana Grotte, Corato, Gravina, Molfetta, Monopoli, Trani.
La porzione di territorio storicamente identificata nell'antica Peucezia e detta Terra di Bari (una denominazione risalente all'epoca angioina e aragonese, e rimasta in uso sino agli anni Venti del XX secolo) è un'area che si sviluppa in tre direzioni, alle quali corrispondono altrettante identità culturali e territoriali: la costa meridionale, caratterizzata dal succedersi di cittadine sul mare (Mola di Bari, Polignano a Mare, Monopoli, ecc.) e un immediato entroterra a vocazione agricola (viti e ulivi), punteggiato da centri urbani ricchi di testimonianze storiche; il litorale Nord, anch'esso costellato da popolosi centri urbani (Molfetta, Trani, Barletta, ecc.), per i quali l'Adriatico è stato nel corso dei secoli il punto di riferimento, per le attività commerciali, di pesca e di scambio culturale con il Mediterraneo orientale; l'altopiano delle Murge, che arriva sino ai 686 m di altitudine di Torre Disperata, per lo più brullo e storicamente usato per la pastorizia, oggi testimone di uno dei paesaggi medievali meglio conservati.
La basilica di San Nicola a Bari

Bari: il lungomare

Bari: scorcio della città vecchia

LE GROTTE DI CASTELLANA

Nella parte Sud-orientale della Terra di Bari, all'inizio della Murgia dei trulli, sorge uno dei più grandiosi complessi speleologici d'Italia: le Grotte di Castellana. Si tratta di un insieme di cavità carsiche formatesi in seguito all'azione di un fiume sotterraneo e poste al centro di una zona ampiamente interessata da tali fenomeni. Le grotte furono scoperte il 23 gennaio 1938 dal prof. Anelli, il quale, durante l'esplorazione della voragine a cielo aperto chiamata la Grave, si accorse che dietro di questa si apriva un complesso di cavità, collegate da passaggi e corridoi, che si estendeva per circa due chilometri. Gli anfratti servivano come discarica di vinacce e sanse, questo perché fino al giorno della scoperta si credeva che la Grave fosse in realtà un abisso senza fine.
La visita parte dal fondo della Grave - che si raggiunge per una grande scalinata o in ascensore - dove si trova un gruppo di stalagmiti di proporzioni colossali: sono i Ciclopi, illuminati dalla luce che scende dall'apertura centrale. I visitatori vengono da qui guidati in una appassionante passeggiata per grotte e gallerie, dove la grande quantità di formazioni stalattitiche e stalagmitiche compone scenari di incomparabile bellezza. Superati i Ciclopi e lasciata la luce alle spalle, si attraversa la Grotta Nera e si arriva alla Caverna dei Monumenti, dove si possono ammirare gruppi simili a statue creati dalle stalagmiti. Proseguendo si incontrano altre creazioni favolose: l'Angelo, una formazione naturale nell'omonima grotta dai colori tenui e trasparenti, la Civetta, concrezione cristallina dalle sembianze animalesche, il corridoio del Serpente e le caverne dell'Altare, dalle sottili stalagmiti e stalattiti che sembrano ceri. Ma il luogo che certamente colpisce di più lo spettatore e che più a lungo rimane impresso nella sua memoria è la famosissima Grotta Bianca. Qui le concrezioni cristalline danno forma a figure fantastiche che rendono ancora più spettacolare l'ambiente il cui profondo silenzio è talvolta interrotto da un ritmico sgocciolio. Cadenzano il percorso di ritorno la caverna della Cascata di Alabastro e il corridoio del Presepe. La visita si completa con il Museo speleologico.

Barletta-Andria-Trani (Provincia di)

Istituita ufficialmente il 12 maggio 2004, con l'approvazione finale da parte del Senato della repubblica, la provincia conta circa 390.000 abitanti, con capoluogo congiunto fra le città di Barletta, Andria e Trani.

Andria

(95.073 ab.). Città sulle colline delle Murge, a poca distanza dall'Adriatico. Le origini della città di Andria sono incerte e risalenti al periodo preistorico. Si dice che a fondare la città sarebbe stato l'eroe greco Diomede, ma l'ipotesi non è suffragata da alcuna testimonianza storica. Le ricerche archeologiche confermano invece che nei pressi di Andria vi era la stazione Rudae, sulla Via Traiana, intorno alla quale sorsero nel Medioevo borghi e chiese. Nel 1046, Pietro il Normanno, Conte di Trani, cinse di mura i casali che vi erano sparsi nel territorio elevando Andria al rango di civitas.
Nel XII secolo la città passò sotto il dominio svevo. L'imperatore Federico II la tenne in grande considerazione per la fedeltà dimostratagli in occasione delle ribellioni seguite alla sua scomunica da parte del papa Gregorio IX: nei pressi della città, infatti, sorge la superba costruzione di Castel del Monte e, secondo la tradizione, la cripta della Cattedrale conserva le spoglie mortali delle mogli, Iolanda di Brienne e Isabella di Inghilterra. Ad Andria nacque il figlio Corrado IV di Svevia, futuro imperatore. Sconfitto Manfredi a Benevento nel 1266, Andria passò agli Angioini divenendo dapprima Contea e, successivamente, Ducato con Francesco I Del Balzo. Il duca Francesco II Del Balzo, nel 1438, in seguito al ritrovamento delle ossa di S. Riccardo, protettore della città, istituià la Fiera di Aprile che si tiene ancora oggi. Nel 1507 il Ducato di Andria fu donato da Ferdinando il Cattolico a Consalvo di Cordova come ricompensa dell'appoggio nella lotta contro i Francesi. Nel 1522 Andria, insieme al Castel del Monte, fu acquistata dal Conte di Ruvo Fabrizio Carafa. Nel 1799, le truppe francesi della Repubblica Partenopea guidate dal generale Broussier e da Ettore Carafa assediarono Andria e la posero a ferro e fuoco. Dopo la tragica conclusione della rivoluzione napoletana, Re Ferdinando fece giustiziare a Napoli Ettore Carafa. La breve stagione murattiana vide l'abolizione della feudalità e la confisca dei beni ecclesiastici. Ma Andria restò fedele ai Borboni. In seguito la città seguià l'evolversi delle vicende risorgimentali, del Regno d'Italia e della Repubblica. Tra i monumenti principali si ricordano il Duomo in stile gotico (IX-X sec.), la chiesa di Sant'Agostino (XII sec.), la chiesa di San Domenico, di età tardo-gotica, il Palazzo ducale, la Porta di S. Andrea o Arco di Federico II, di epoca normanna.

Barletta

(92.305 ab.). Città della Puglia, attivo porto peschereccio e commerciale.
La prima menzione storica risale all'epoca romana. La Tabula Pentigeriana cita infatti il sito dell'attuale Barletta con il toponimo di Barduli, Baruli o anche Bardulos. Il ritrovamento di tombe apule del III e II secolo a. C. testimonia la presenza di un villaggio indigeno, probabilmente il porto di Canosa. Fu tuttavia solo in epoca normanna che Barletta assunse importanza come piazza militare e attivo centro commerciale. Successivamente, con la venuta degli Angioini crebbe la sua importanza come scalo marittimo attivo negli scambi con l'Oriente. Durante la guerra tra francesi e spagnoli divenne famosa per la celebre Disfida di Barletta del 13 febbraio 1503, quando un gruppo di cavalieri italiani, capitanato da Ettore Fieramosca, combatté e sconfisse in un torneo il gruppo dei cavalieri francesi. Distrutta dai terremoti (1689, 1731) e dalle pestilenze (1656-57) si riprese soltanto dopo la prima metà del secolo scorso. La città di Barletta, vanta nel suo territorio, numerosissimi monumenti che ne dimostrano le lontane origini e l'indubbia importanza che ha avuto in ogni epoca. Degni di nota sono: il Castello Svevo, eretto da Federico II, il Duomo (o chiesa di Santa Maria Maggiore), il Colosso, una statua di bronzo del 300, alta più di 5 metri, proveniente da Costantinopoli e raffigurante l'imperatore Valentiniano I, la chiesa del Santo Sepolcro (XIII sec.). Altri edifici importanti sono Palazzo della Marra e Porta Marina. Da visitare, inoltre è Piazza della Sfida, costruita in onore della Disfida, e la Cantina della Sfida dove sono esposti numerosi oggetti d'epoca, in un edificio con caratteristiche medioevali.

Trani

(53.923 ab.). Città della Puglia sulla costa adriatica. Porto commerciale e peschereccio. Mercato agricolo e del bestiame. Industrie alimentari, olearie, enologiche, delle calzature, dei mobili. Fonderia di campane. Cave di tufo.
La leggenda vuole che la città sia stata fondata da Tirreno, figlio dell'eroe greco Diomede; ma l'origine è incerta fino all'anno Mille, quando, distrutta Canosa dai Saraceni, assunse grande importanza come centro della diocesi e del gastaldato longobardo. Il primo insediamento abitativo - sulla penisoletta a Nord del porto - fu favorito dall'insenatura naturale. In epoca bizantina il porto ebbe un ruolo importante nel commercio con le altre città adriatiche e con la stessa Costantinopoli. Sembra inoltre che a quel periodo risalga la compilazione degli Statuti marittimi, che costituirebbero così il più antico codice marittimo del Medioevo. Con Federico II, che eresse il poderoso castello e le nuove mura difensive, la cittadina raggiunse l'apice del benessere e il porto la massima vitalità commerciale. Decadde sotto gli Angioini, per rifiorire però successivamente. Nel Seicento furono istituite la famosa Accademia dei Pellegrini (di grande importanza per lo sviluppo culturale dell'intera regione) e l'Università di studi giuridici. La classe borghese tranese, attiva economicamente e culturalmente, aderì ai moti per la Repubblica Napoletana del 1799. Mantenne a lungo il primato commerciale, culturale e giudiziario della provincia: fino al 1808 fu capoluogo della provincia. L'Ottocento fu caratterizzato dall'espansione urbana - avvenuta contestualmente all'abbattimento delle mura -, con pianta a scacchiera e ampie strade. Nell'interessante nucleo medievale, sorge la famosa Cattedrale dell'XI sec., eretta su una chiesa sotterranea del VII sec. Castello svevo (XIII sec.), chiesa dei Templari, trecentesco Palazzo Carretta.

IL NUMERO MAGICO DI CASTEL DEL MONTE

Sulle caratteristiche architettoniche di Castel del Monte si sono interrogati studiosi e appassionati di esoterismo, che vedono in questo edificio l'espressione diretta della personalità complessa ed enigmatica di Federico II. Intanto, il ripetersi ossessivo del numero otto è stato considerato come volontà di riaffermare simbolicamente l'unione tra Dio e l'uomo: a pianta ottagonale sono l'edificio e le sue torri, e otto sono le stanze in cui è diviso ciascun piano. è stato inoltre notato che l'ottagono ha a che fare anche con l'astronoma: alla latitudine in cui sorge Castel del Monte (N 41°5'), nei giorni equinoziali il sole ha, un'ora prima di mezzogiorno e rispetto alla linea meridiana, un'apertura angolare di 22°30'. Uguale apertura ha ovviamente un'ora dopo. Sommando questi due valori si ottiene un angolo di 45° che determina il lato di un ottagono regolare inscritto in una circonferenza. Anche le proporzioni dell'edificio sarebbero determinate dal movimento apparente del sole: man mano che questo entra nei vari segni zodiacali, la parete Sud proietta a mezzogiorno, con la sua altezza di m 20,5, un'ombra di lunghezza pari all'ampiezza dei diversi corpi di fabbrica (cortile, sale), circonferenza teorica in cui è inscritto l'ottagono; le ombre estive non riescono mai a raggiungere la parte centrale del cortile, dove si sarebbe trovata una vasca di marmo.
Visita virtuale al castello di Federico II a Castel del Monte

Volo virtuale e sezione interattiva del castello di Federico II a Castel del Monte

Brindisi

(94.029 ab.) La città di Brindisi sorge su un basso promontorio a penisola circondato dai due bracci di mare detti rispettivamente Seno di Levante e Seno di Ponente, costituenti il porto interno; essi comunicano con il porto medio attraverso il canale Pigonati e con l'esterno mediante un altro imbocco. La fortuna della città è stata da sempre legata a questa naturale conformazione della costa, che permetteva un approdo sicuro e protetto; dalla curiosa forma a testa di cervo dell'approdo (in messàpico brunda o brendon) deriverebbe il toponimo Brindisi. I Romani furono i primi a sfruttare la vocazione portuale del luogo. La latina Brundisium fu scalo prediletto in seguito dai crociati, dai veneziani che svilupparono un imponente commercio di olio, e oggi dalle migliaia di turisti diretti in Grecia. Altre attività economiche sono la pesca e l'industria (industrie alimentari, chimiche e petrolchimiche). La produzione agricola è soprattutto di ortaggi, frutta, cereali, olio e vino.
STORIA. Il territorio brindisino era già abitato nell'età del Bronzo, come testimoniano i ritrovamenti di Torre Guaceto. In seguito i messàpi occuparono la collina di ponente, e Brendon divenne sede regia e attivo polo commerciale nei traffici con l'altra sponda dell'Adriatico. In competizione con Taranto, ne divenne alleata nella resistenza contro la conquista romana. Una volta capitolata (244 a.C.), Brindisi legò la sua storia a quella di Roma: grazie al prolungamento della consolare via Appia e alla successiva apertura della via Traiana (voluta dall'omonimo imperatore agli inizi del I secolo), il suo porto divenne punto di transito privilegiato verso l'Oriente. Qui avvennero fatti cruciali per la storia di Roma: gli eserciti di Cesare, cercando di accerchiare Pompeo, bloccarono l'uscita dal porto; fu qui stipulato il foedus brindisinum fra Ottaviano e Marco Antonio, pace che sancì un lungo periodo di tranquillità. Fu anche un centro culturale: qui nacque il padre della tragedia latina, Marco Pacuvio, Cicerone scrisse le "Lettere brindisine" e Virgilio compose qui i suoi ultimi versi e vi morì, nel 19 a.C. Con l'arrivo dei Longobardi la città decadde, tanto che, dopo essere stata rasa al suolo nel 674, vide la sede episcopale spostata a òria. Brindisi venne poi dominata dai Saraceni (836-866) e dai Normanni (1071-1110) che ne ultimarono la ricostruzione; furono qui celebrate le nozze di Ruggero I d'Altavilla con Irene, figlia dell'imperatore di Costantinopoli, evento che segnò un periodo di tregua con il potere di Bisanzio. Fra l'XI e il XII secolo il porto tornò a nuova vita grazie al flusso di crociati in partenza per l'Oriente; lo stesso Federico II, scomunicato, si imbarcò qui per la riconquista della terra santa. Il sovrano svevo vi fece costruire le mura e il Castello, e scelse Brindisi per celebrarvi le sue nozze con Jolanda di Brienne, regina di Gerusalemme (1225).
Nel XIII secolo iniziò per Brindisi un lento e lungo processo di decadenza che venne aggravato dalla parziale insabbiatura del porto. Per risollevare la città dalla crisi demografica ed economica susseguente alla peste del 1348, gli Angioini provvidero a un massiccio ripopolamento e costruirono un nuovo sistema difensivo contro l'incombente minaccia turca (ristrutturazione del Castello svevo, Forte di mare). Ma una vera ripresa commerciale si ebbe solo a partire dal 1869, con l'apertura del canale di Suez, quando Brindisi tornò a essere una base importante per le rotte orientali, ospitando nel porto la celebre "Valigia delle Indie". Fu anche capitale d'Italia per cinque mesi, quando vi ripararono, dopo l'8 settembre del 1943, il re Vittorio Emanuele III e il maresciallo Badoglio.
ARTE. Pochi resti delle terme e degli acquedotti di Claudio e di Traiano sono quanto rimane della città romana, seppellita da una scriteriata cementificazione. Il più rappresentativo monumento brindisino d'epoca romana è un'alta colonna che segnava il punto terminale della Via Appia. La seconda colonna, di cui resta visibile il piedestallo, cadde rovinosamente nel 1528 e venne regalata a Lecce. Realizzata in cipollino d'Africa, la colonna superstite è alta 19 m e, con una base di 2,65 m e culmina in un capitello decorato agli spigoli da quattro coppie di tritoni e da altrettanti dei (Giove, Nettuno, Pallade e Marte). Un'epigrafe a destra della colonna ricorda il luogo dove la tradizione poneva la casa ove morì Virgilio, nel 19 a.C., al rientro dalla Grecia con Marco Antonio e Augusto.
Nel dedalo di viuzze del borgo antico si apre piazza del Duomo. Il Duomo risale al 1100, ma fu riedificato quasi del tutto dopo il terremoto del 1743; lo documentano sia la facciata, a due ordini scanditi da lesene e attribuibile a Mauro Manieri, sia l'interno, a tre navate: gli altari ai lati del presbiterio conservano tele di Oronzo Tiso, attorno all'altare maggiore sono i resti di un pavimento a mosaico del XII secolo, mentre il retrostante coro in noce è cinquecentesco.
Sulla stessa piazza prospettano: la loggia Della Ragione o Balsamo (il nome ricorda l'ultima famiglia proprietaria), di datazione incerta (XIV o XV secolo), sostenuta da otto archetti intervallati da mensoloni antropomorfi; il Seminario, commissionato nel 1720 al Manieri che, ispirandosi ai modelli romani, lo ornò nel piano superiore di statue personificazioni delle Dottrine, realizzate nella pietra locale. Al piano inferiore è sistemata la Biblioteca arcivescovile "Annibale De Leo", detta la "piccola vaticana" per il preziosissimo patrimonio di incunaboli e codici miniati; vi si conserva l'arca di S. Teodoro d'Amasea, protettore della città, opera in argento di età federiciana che conteneva le reliquie del santo oggi nel Duomo.
Gioiello dell'architettura normanna è la chiesa di S. Giovanni al Sepolcro (XI sec.), commissionata da Boemondo d'Altavilla, le cui gesta furono cantate da Torquato Tasso; la chiesa fu sede dei Templari e poi dei Canonici regolari del Santo Sepolcro. Lo splendido portale, dalla ricamata cornice di marmo, è arricchito da un protiro sorretto da due colonne poggianti su leoni in marmo. L'interno, con pianta a staffa di cavallo, è diviso da otto colonne dagli svariati capitelli; sulle pareti, tracce di affreschi eseguiti fra il Duecento e il Quattrocento. Poco lontano sorge la chiesa di S. Benedetto, con campanile romanico a trifore; il portale d'accesso (XI sec.) è incorniciato da una decorazione ad intrecci di influenza lombarda e bizantina; l'architrave reca bassorilievi raffiguranti Scene di caccia ad animali fantastici. Altri due luoghi di culto degni di nota sono la chiesa di S Lucia e la chiesa del Cristo, entrambe duecentesche. All'interno della chiesa di S. Lucia sono conservati affreschi datati del XIII e XIV secolo e un prezioso Crocifisso ligneo cinquecentesco. La sottostante cripta a tre navate è sostenuta da colonne i cui capitelli raffigurano demoni con in capo la mitra, a testimonianza dei cattivi rapporti tra Federico II e il papato. La chiesa del Cristo custodisce due opere lignee tra le più significative della produzione duecentesca pugliese: una statua della Madonna in trono e, sull'altar maggiore, un Crocifisso venerato in tutto il Salento e legato a una leggenda che vuole sia rimasto in questa chiesa perché nessuna forza fu in grado di caricarlo sulla nave che lo avrebbe condotto a Venezia, dove giunse solo l'indice della mano destra.
Sul seno di Ponente si affaccia il Castello svevo, voluto da Federico II e finito nel 1233, ampliato prima (1483) da Ferdinando d'Aragona e poi (1550) da Carlo V: eretto con materiale ricavato da edifici romani, presenta una pianta trapezoidale e si compone di un mastio quadrato con torrioni angolari (il profondo fossato fu colmato per ricavarne ambienti). Rimane anche, presso il porto, il Forte a mare, detto anche rosso dal colore della pietra. Il castello fu edificato da Alfonso I d'Aragona nel 1445, nel luogo dove sorgeva un convento benedettino del secolo XI; dopo il 1481 furono aggiunti il torrione circolare di S. Filippo e un bastione triangolare.
Al Museo archeologico provinciale "Francesco Ribezzo", dalle cospicue collezioni, si accede attraverso il Portico dei Cavalieri templari, resto di un complesso monumentale realizzato nel XIV secolo e appartenuto all'ordine templare; il portico è a due campate con volte a crociera e arcate ogivali, riecheggiante gli stilemi classici dell'architettura svevo-angioina nella bicromia dei conci. Nel Museo archeologico sono conservati reperti provenienti dal territorio brindisino. La sezione preistorica spazia dal Paleolitico all'età del Bronzo con i materiali scoperti a Torre Guaceto e in altre località. Nella collezione di ceramiche, di produzione greca e locale, spiccano i vasi di Gnathia dalla decorazione bianca e gialla sovrapposta all'uniforme strato di vernice nera. Interessante è il calco della colonna Traiana di Roma dove è raffigurato il porto di Brundisium; dagli scavi condotti nel complesso termale individuato presso Valésio provengono reperti databili quasi esclusivamente al periodo imperiale; i bronzi, pure di età imperiale, nel 1992 hanno fatto pensare a un ritrovamento paragonabile a quello dei bronzi di Riace.
LA PROVINCIA. Istituita nel 1927, la provincia di Brindisi (413.243 ab.; 1.839 kmq) mantiene ancora inalterate le caratteristiche geomorfologiche del territorio contiguo al quale storicamente appartiene: il Salento. Povero di sorgenti, il Brindisino vede predominare incontrastati l'ulivo e la vite, vicino a estese coltivazioni di carciofi e cocomeri (in dialetto chiamati "sarginischi"). All'agricoltura si è affiancata - attivamente in passato - la grande industria, con gli stabilimenti Montedison, Agusta e le discusse centrali Enel.
La costa corre bassa e rettilinea da Brindisi fino a Ostuni e a Egnazia, scelta dai Romani quale punto di sosta e di piacevolezze. I chilometri di spiagge sull'Adriatico e il clima, qui mite fino a ottobre inoltrato, attirano un gran numero di turisti per i quali sono sorti come funghi insediamenti residenziali che hanno spesso danneggiato ambienti naturali di straordinario valore (è un'eccezione l'area protetta di Torre Guaceto).
Più all'interno è, invece, la traccia normanno-sveva che domina nell'architettura urbana dei piccoli centri e nei castelli, spesso di fondazione federiciana, come l'imponente fortilizio che domina òria. E sempre all'interno, al margine del Comprensorio dei Trulli e delle Grotte, sono Fasano, Cisternino e Ostini, detta la "città bianca", che costituisce da anni un polo di richiamo artistico di cospicuo livello.
Panorama della zona portuale a Brindisi


Foggia

(155.237 ab.) La città di Foggia è situata al centro della pianura del Tavoliere e tra il Gargano e il Subappennino, in un punto nodale della rete viaria e ferroviaria. Si tratta di una città moderna, che conserva tuttavia il ricordo della storia passata già nello stesso toponimo, derivante probabilmente dal latino foveae, le cisterne per la conservazione del grano. Foggia è un importante mercato agricolo (produzione di frumento, foraggi, olio, vino, frutta) ed un attivo centro industriale con pastifici, zuccherifici, fonderie, caseifici, industrie meccaniche, della cellulosa e della carta.
STORIA. Poco si conosce sulle origini della città; i primi documenti risalgono al Medioevo (XI e XII secolo), al tempo della dominazione normanna. Fu durante il successivo periodo svevo che Foggia assunse un ruolo centrale, dal punto di vista amministrativo, rispetto all'intero territorio; Federico II fece qui erigere il Palazzo imperiale (1223); incerta è la presenza di mura, mentre risulta quella di un fossato. Anche Carlo I d'Angiò la scelse quale residenza prediletta, facendovi costruire una nuova reggia. Ulteriore sviluppo si ebbe con gli aragonesi, che nel 1447 istituirono la Dogana della mena delle pecore, sistema di tassazione delle greggi in transito dall'Abruzzo al Tavoliere; pur portando alle casse statali molto denaro, questo sistema condizionò per i secoli successivi lo sviluppo dell'agricoltura, a causa delle "terre sode" o "salde" (così si definivano quelle destinate al pascolo) e del progressivo impaludamento della pianura da parte dei torrenti provenienti dal Subappennino. La città subì inoltre il terremoto del 1456, che causò notevoli danni all'abitato. Nel XVII secolo il malgoverno spagnolo portò alla rivolta delle popolazioni locali. Oltre alle avverse condizioni politiche ed economiche, Foggia dovette fronteggiare un secondo, disastroso terremoto (1731) che quasi la cancellò, annullando anche gran parte delle vestigia storiche. Diventata sede vescovile nel 1855 al posto della vicina Troia, con l'Unità d'Italia e l'abolizione definitiva della Dogana, la città fu oggetto di un'opera di rinnovamento per dotarla delle necessarie infrastrutture e per recuperare all'agricoltura gli antichi pascoli e i terreni paludosi, a causa dei quali la malaria imperversava tra la popolazione del Tavoliere. Foggia fu ricostruita quasi per intero dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Oggi, nonostante questo sostanziale rifacimento, è possibile ancora leggere, nel tessuto urbanistico e nelle tipologie edilizie, la cultura della città: gli edifici barocchi e neoclassici, i palazzi del potere realizzati nel ventennio fascista convivono con brani di architetture minori e con luoghi di culto di antica fondazione.
ARTE. Il più importante monumento di Foggia è la Cattedrale, costruita da Guglielmo il Buono nel 1172, ampiamente rimaneggiata nel Seicento e rifatta dopo il terremoto del 1731. la chiesa subì inoltre gravissimi danni dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Dell'originaria basilica romanica si conserva, all'esterno, la parte inferiore che nella sequenza degli archi ciechi ricorda la Cattedrale di Troia; sopra di essi corre un fregio scolpito, probabilmente opera di Bartolomeo da Foggia. L'interno è settecentesco e conserva la cappella dell'Icona Vetere, una tavola bizantina sulla quale è dipinta una Madonna: racconta la leggenda che alcuni pastori la rinvennero, illuminata da tre fiammelle, nelle torbide acque di una palude su cui poi fondarono la città. Nella cripta, a croce greca con cupola centrale, si trovano splendidi capitelli, probabilmente opera di Nicola, figlio di Bartolomeo da Foggia.
Interessante è anche il complesso barocco della chiesa del Calvario e delle Sette Croci (1693), posta sulla strada per San Severo lungo il tracciato di un regio tratturo. Il luogo di culto è costituito da una sequenza di cappelle che definiscono una sorta di "calvario in pianura" creando una singolare fusione tra il tratturo e l'elemento architettonico.
Della residenza fatta erigere da Federico II nel 1223 restano solo l'arco di un portale poggiante su due aquile che fungono da mensole - opera di Bartolomeo da Foggia - e una lapide, incorporati a Palazzo Arpi, edificio costruito sui resti dell'antico Palazzo imperiale. Qui sono sistemati il Museo e la Pinacoteca comunali, con una sezione archeologica (reperti dalla Dàunia, ceramiche a figure rosse e stele, corredi tombali da "Arpi"), una raccolta di dipinti di autori locali, una sezione riguardante le tradizioni popolari (interessanti i manufatti di artigianato dàuno) e un lapidario. Lungo via Arpi, asse centrale del nucleo antico, sorge il rinascimentale Palazzo De Rosa dal singolare loggiato al primo piano. Ottocentesco è il pronao d'ingresso alla Villa comunale, il parco pubblico della città. Sono invece di epoca fascista le "sedi del potere": il Palazzo della Prefettura e l'imponente Municipio, eclettica reinterpretazione del "castellum" incorniciato da ampi scaloni sotto i quali si accede al cortile interno.
LA PROVINCIA. La provincia di Foggia (695.646 ab., 7.190 kmq) comprende la pianura del Tavoliere, la penisola del Gargano, le isole Tremiti, il lato orientale dell'Appennino campano e i monti della Daunia. Il Tavoliere è attraversato da una serie di torrenti - di cui il più importante è il Carapelle - a valenza stagionale, che prima delle opere di bonifica hanno causato verso la costa rilevanti problemi di impaludamento. Anticamente il litorale tra Manfredonia e Barletta era molto più arretrato e per buona parte occupato da un'estesa laguna, su cui si articolò un sistema di città (come Salapia e Siponto) e di strade oramai del tutto scomparse; dopo alterne vicende che hanno interessato il secondo millennio, tali bacini salmastri sono stati in parte interrati e in parte trasformati in saline.
Il Subappennino invece, con le valli incassate dei sopracitati corsi d'acqua, è costellato da molti piccoli abitati sorti in epoca medievale per le favorevoli opportunità difensive e oggi decaduti. In pianura, i centri agricoli di San Severo e Cerignola hanno richiamato, assieme al capoluogo provinciale, quote di popolazione dal territorio rurale, che risente della crisi del lavoro nei campi e della conseguente espulsione di mano d'opera.
In queste due dimensioni geografiche si dispongono le testimonianze della storia: gli antichi centri riemersi nelle campagne archeologiche (Aecae, Ausculum, Herdoniae, Salapia); le strutture medievali che a quelli si sostituirono, con i castelli, simbolo del potere amministrativo e militare, e con le chiese e i monasteri, simbolo del potere religioso. Sul territorio si possono ancora leggere i segni impressi innanzitutto dall'opera di Federico II e poi dai Normanni e dagli Angioini, che promossero la straordinaria stagione dell'arte romanica. San Severo, Lucera e Troia custodiscono le più significative emergenze architettoniche del periodo. Dall'avvento degli aragonesi si assiste ad un progressivo degrado, trascinatosi sino all'inizio del XX secolo. Da allora prende il via, infatti, il periodo della bonifica e dello sviluppo agricolo intensivo. L'economia della provincia è tuttora basata essenzialmente sull'agricoltura (frumento, mandorle, uva, olive e agrumi); residuale l'allevamento del bestiame. La pesca è sviluppata lungo il litorale adriatico. Le industrie più importanti sono molini, pastifici, oleifici, zuccherifici, distillerie, industrie enologiche e chimiche. Estrazione di sale, bromo e bauxite. L'industria turistico-alberghiera è sviluppata nelle località del Gargano e nelle isole Tremiti. Fra i centri principali ricordiamo: Cerignola, Lucera, Manfredonia, Monte Sant'Angelo, S. Giovanni Rotondo, San Severo.
Foggia: panorama


LE ISOLE TREMITI

Il minuscolo arcipelago, situato a circa 10 miglia marine dalla costa settentrionale del Gargano, è costituito dalle isole di San Dòmino, San Nicola, Capraia (o Caprara) e da alcuni isolotti di cui il più grande è quello del Cretaccio. L'arcipelago fa parte della provincia di Foggia ed è tutelato come Riserva naturale marina, della quale fa parte anche l'isola di Pianosa. Chiamate anche "Diomedee" (in quanto mitologico luogo di sepoltura dell'eroe omerico Diomede), le isole Tremiti sono citate da Tacito come "Trimerum", luogo in cui Giulia, nipote di Augusto, morì dopo essere stata qui esiliata da Tiberio con l'accusa di adulterio. Plinio le chiama invece "Teutria", e solo nel Medioevo appare la dizione "Tremitis".
I manufatti (vasi fittili, armi in pietra, asce e altro) ritrovati a San Dòmino e sul Cretaccio testimoniano che le isole furono abitate sin dal Neolitico. La necropoli di San Dòmino, databile all'Eneolitico, indica la presenza di popolazioni illiriche, trapiantatesi sia qui che sul Gargano. I colonizzatori greci utilizzarono le isole come punto d'appoggio nei commerci con le antiche città magnogreche, soprattutto Siponto. I Romani ne potenziarono la vocazione di collegamento con la dirimpettaia Illiria, adibendolo però anche a luogo di deportazione. Verso l'XI secolo, sull'isola di San Nicola i monaci benedettini provenienti da Montecassino fondarono un monastero e una chiesa, eretta su una precedente luogo di culto risalente forse al 300 d.C. Il primo nucleo benedettino raggiunse in breve tempo dimensioni ragguardevoli con l'aggiunta di donazioni nel Gargano e nel Molise, tanto da conquistare uno posizione autonoma rispetto all'abbazia madre. Durante il regno di Federico II il complesso religioso - e quindi l'arcipelago - decadde; con l'arrivo dei Cistercensi le fortificazioni dell'isola di San Nicola furono ampliate e consolidate, anche con l'ausilio degli Angioini. Ai Cistercensi subentrarono i Canonici regolari lateranensi, che riportarono in auge l'abbazia trasformando l'arcipelago in una base di appoggio della Repubblica di Venezia. Se la battaglia di Lèpanto fece cessare le incursioni turche, non debellò tuttavia la pirateria, che sullo scorcio del XVII secolo causò alle Trèmiti un nuovo periodo di grave decadenza. Con l'avvento dei Borboni e la soppressione definitiva dell'abbazia, le isole divennero ancora luogo di deportazione e sede di una colonia penale: tali rimasero anche dopo l'unificazione d'Italia e durante il fascismo, quando, pur chiusa la colonia penale, San Nicola fu luogo di confino di oppositori del regime; nel 1932 le Tremiti e l'isola di Pianosa divennero comune autonomo con sede a San Nicola; la popolazione civile fu trasferita sull'isola di San Dòmino dove venne costruito un nuovo abitato. Dal secondo dopoguerra le Trèmiti sono venute scoprendo la loro vocazione turistica, che ha trovato un adeguato strumento nell'istituzione della Riserva naturale marina.
L'isola di San Nicola, la più piccola dell'arcipelago (lunga circa 1600 m e larga nel punto massimo 450), è il capoluogo amministrativo, nonché il punto di approdo dei traghetti per il continente. Nell'estremità Sud-Ovest sorge il borgo di San Nicola di Trèmiti (70 m, 366 ab.), per il resto l'isola è occupata da terreni a pascolo. San Nicola è costituita da un altopiano che si affaccia sul mare Adriatico con precipizi e scarpate modellati dal vento e dall'azione erosiva. Nella costa meridionale si aprono la grotta Capo di Morte e quella del Ferraio; doppiata la punta del Cimitero, vertice orientale dell'isola, si trova la grotta della Madonna. I luoghi di interesse storico-artistico di San Nicola sono le antiche mura e quanto rimane dell'abbazia fondata nel Medioevo dai Benedettini. All'estremità delle imponenti mura sorgono due torrioni: la torre dei Cavalieri del Crocifisso, munita di piombatoio, che conserva sull'architrave due bassorilievi e una scritta ("coteret et confriget") a memoria delle vicende dell'isola; la torre del Pennello, struttura difensiva di forma quadrangolare pure protetta da un piombatoio con scivoli e merli: qui è l'antico corpo di guardia (Stanza dell'Uomo armato), ove i visitatori erano un tempo invitati a lasciare le armi prima di accedere al paese. Ulteriori sopravvivenze delle fortificazioni sono il bastione del Cannone, postazione di fuoco a difesa dell'isola sin dal XVI secolo, e il torrione angioino, di forma circolare e coronato di rostri, posta a cerniera delle mura. Il complesso abbaziale comprende invece la medievale chiesa di S. Maria a Mare, dalla semplice facciata in pietra bianca pugliese aperta da un portale quattrocentesco. All'interno, il pavimento conserva diverse tracce del mosaico eseguito dai monaci benedettini verso la metà dell'XI secolo; sono invece barocche le ricche decorazioni del soffitto. Significative opere d'arte custodite nella chiesa sono un polittico in legno del XV secolo realizzato da artisti veneziani, la statua lignea di S. Maria a Mare e la preziosa Croce tremitese, esempio di arte greco-bizantina. La struttura abbaziale comprende un chiostro più antico, con un pozzo settecentesco, e il cosiddetto Chiostro nuovo, ornato di preziosi medaglioni; qui si affaccia il lato superstite del dormitorio dei Canonici lateranensi, che ricorda l'ospedale degli Innocenti di Brunelleschi; dalla balconata di fronte, a picco sul mare, si gode una splendida vista sull'isola di San Dòmino. Prossimo all'abbazia è il torrione dei Cavalieri di S. Nicolò, ultimo baluardo di fronte alla piana disabitata. Il torrione è munito di un gigantesco occhio di guardia rivolto verso la Tagliata, passaggio angusto realizzato artificialmente per meglio difendere il luogo. In mezzo alla macchia mediterranea si apre la zona archeologica di San Nicola, dove sono state trovate le fondamenta di un'ara votiva, alcune sepolture a fossa, una tomba a tholos attribuita a Diomede e la tomba di Giulia. In direzione del cimitero si scorgono i tumuli delle sepolture dei ras libici deportati qui nel 1911 durante la guerra di conquista della Libia.
L'isola di San Dòmino è la più grande dell'arcipelago (lunghezza 2,8 km, larghezza 1,7, massima elevazione 116 m); ha un abitato che conta, oltre agli insediamenti residenziali, diverse strutture ricettive turistiche. La morfologia delle coste e la vegetazione sono sostanzialmente diverse da quelle delle altre isole; San Domino è ricoperta in gran parte da pineta, e solo nelle zone centrali da lecci e dalla macchia mediterranea. Sul versante costiero Sud-orientale si incontrano, tra le altre, le cale del Sale e delle Roselle, immerse nella pineta che scende a lambire il mare, e la grotta delle Viole, così detta per gli effetti coloristici che la luce mattutina crea sull'acqua. Oltre la punta di Ponente, al largo della quale si trova il relitto di una nave romana, è la grotta del Bue Marino, dove è segnalata la presenza delle foche monache. Altissimi strapiombi caratterizzano la parte estrema della costa occidentale: qui il paesaggio cambia profondamente, a causa dell'esposizione ai venti. La parte Nord-occidentale della costa presenta invece fondali di sabbia chiarissimi nelle cale Tramontana e Tonda. Doppiata la punta del Diamante, estremo Nord dell'isola, la costa è di nuovo a strapiombo, e il mare disseminato di scogli modellati da vistosi fenomeni erosivi.
Posta a Nord di San Nicola, l'isola di Capraia si presenta come un vasto falsopiano brullo, dove l'unica forma di vegetazione è rappresentata da cespugli di lentisco e di cappero; è disabitata, anche se i ruderi di una Casa, detta del Cafone, ricordano la presenza di pastori. Costeggiando il fianco Sud-orientale dell'isola, si incontrano la cala del Falconetto (per via dei numerosi falchi che vi nidificano) e, avanti, la cala del Cafone con l'omonima grotta. Doppiata punta Secca, vertice orientale dell'isola, appare lo spettacolo del grande Architello di Capraia, un arco naturale dovuto all'erosione marina; oltre punta del Grottone, dove sorge il faro, si costeggia L'altarino, un tratto di litorale dalla particolare conformazione morfologica.

Lecce

(98.974 ab.). La città di Lecce, capoluogo del Salento, sorge in una zona pianeggiante a 12 km dalla costa adriatica. Lo stile del Barocco salentino, diverso da quello romano o napoletano, dà alla città un aspetto assolutamente peculiare. L'originalità e l'opulenza architettonica del centro storico sono il risultato anche dell'impiego della pietra locale, un calcare leggero e facilmente lavorabile il cui colore bianco si arricchisce di una calda sfumatura dorata al contatto con l'aria. La presenza di un tale complesso unitario di tesori artistici ha valso a Lecce l'appellativo di "Firenze del Barocco", coniato nel XIX secolo dallo storico tedesco Ferdinand Gregorovius. Dal punto di vista economico, Lecce è un centro agricolo-commerciale (olio, vino, cereali, frutta, tabacco, ortaggi) e industriale (industrie del tabacco, enologiche, molitorie, olearie, vetrarie).
STORIA. Le radici dell'abitato di Lecce affondano in epoche remote, come testimonia il ritrovamento in città di alcune tombe messàpiche. Al tempo dei Romani Lupiae fu dapprima municipio e poi colonia grazie all'imperatore Marco Aurelio, nato da queste parti. Dal toponimo sembra derivare anche la figura della lupa che campeggia nello stemma cittadino. Dopo la caduta dell'Impero Lecce subì al pari di altri centri le invasioni barbariche e decadde, anche a causa della guerra tra Longobardi e Bizantini. Nell'XI secolo venne assegnata al catapano bizantino di Bari e conobbe un periodo di ripresa, anche se il suo rilancio fu condizionato dal parallelo sviluppo di òtranto, città favorita dai Bizantini fino a diventare il centro più importante dell'intera area, allora detta appunto Terra d'òtranto. Con l'arrivo dei Normanni, nel 1069, Lecce diventò contea e vi si cominciarono a insediare ordini religiosi - soprattutto Benedettini - con il preciso scopo di soppiantare l'egemonia culturale di Costantinopoli; sorsero così chiese e monasteri di chiara influenza occidentale, come Ss. Nicolò e Cataldo e S. Maria di Cerrate. La dominazione sveva non lasciò tracce particolarmente significative sulla città, mentre con gli Angioini Lecce intraprese la sua ascesa economica e politica, grazie ai commerci con la Repubblica di Venezia e l'azione delle potenti famiglie dei Brienne e degli Enghien, una crescita mai più interrotta, grazie anche alla progressiva decadenza della "rivale" òtranto. Nel 1463 la città entrò a far parte del regno di Napoli e arrivò al culmine della sua potenza divenendo il centro dei traffici commerciali del basso Adriatico e raggiungendo un considerevole benessere economico. Agli Aragona si deve un riassetto urbanistico di Lecce, che venne dotata di mura e torri fino alla costa, a difesa dalle invasioni musulmane verificatesi da fine Quattrocento fino alla battaglia di Lèpanto (1571). Grazie a Carlo V Lecce ebbe una vera e propria riorganizzazione urbanistica, che le conferì l'aspetto che ancora oggi la caratterizza. Nel Seicento la diffusione di potenti ordini religiosi (Teatini e Gesuiti), successiva al concilio di Trento, determinò l'affermazione di uno stile barocco originale rispetto alla scuola romana e napoletana. Da un punto di vista artistico, sono proprio il Seicento e il Settecento i secoli che hanno formato indelebilmente l'immagine della città, il cui centro storico presenta un'omogeneità di stile che lo rende un caso pressoché unico nel panorama artistico italiano. Nel 1860, dopo la formazione di un governo provvisorio che depose i Borboni, Lecce venne annessa al Regno d'Italia e cominciò ad essere oggetto di interventi di edilizia civile per dotarla delle necessarie infrastrutture. Nella prima metà del XX secolo la stessa piazza principale della città è stata notevolmente alterata a causa, dapprima, degli scavi archeologici, poi per l'abbattimento dei circostanti edifici sei-settecenteschi per far posto alla costruzione di nuovi palazzi. A questi stravolgimenti del nucleo storico ha corrisposto, nel corso del XX secolo, l'espansione dell'abitato oltre le mura con la creazione di anonimi quartieri residenziali.
ARTE. Il borgo antico di Lecce, racchiuso nel perimetro delle mura cinquecentesche, ha mantenuto l'uniformità stilistica nel corso dei secoli, e il colore dorato delle costruzioni dovuto alla pietra leccese gli conferiscono un fascino singolare. Anche gli edifici religiosi del periodo normanno, come la Cattedrale e la chiesa dei Ss. Nicolò e Cataldo, vennero rifatti nel corso dei secoli XVII e XVIII. In quell'epoca ben oltre 40 chiese sorsero o furono ristrutturate. Dopo la rivolta di Masaniello (1647) e il ritorno degli spagnoli a Napoli, Lecce diventò un vero e proprio cantiere edilizio: maestri come Giuseppe e Francesco Antonio Zimbalo, Giuseppe Cino, Mauro Manieri, sostenuti da vescovi-mecenati, diedero un contributo essenziale all'affermazione del gusto barocco. Fu un tripudio originale e geniale di decorazioni, che nel XVIII secolo si spinse fino ai toni di un raffinato rococò.
Ma il centro storico di Lecce racchiude anche le testimonianze della città romana e pre-romana: una necropoli messàpica è stata individuata al di sotto dell'anfiteatro, risalente probabilmente al periodo dell'imperatore Adriano. Scoperto agli inizi del Novecento, l'imponente anfiteatro romano è di forma ellittica e con doppio ordine di gradinate (in gran parte rifatte); scavato nel tufo, misurava 102x83 metri e poteva contenere forse 20.000 persone. L'anfiteatro era ornato da un parapetto con fascia marmorea ricco di rilievi raffiguranti combattimenti fra uomini e leoni, tori e orsi, in parte sparsi nell'arena, in parte conservati nel Museo "Sigismondo Castromediano". Nello stesso Museo si possono ammirare anche le statue marmoree che decoravano il muro della cavea del teatro romano, scoperto a poca distanza dall'anfiteatro. Realizzato nella prima metà del II secolo, il teatro è di piccole dimensioni (40 metri il diametro esterno della cavea) e poteva forse contenere 5.000 spettatori. D'età romana è anche la colonna di S. Oronzo, per la quale fu utilizzato uno dei signacoli che a Brindisi indicavano il punto terminale della Via Appia; in cima alla colonna, innalzata nel Seicento in ringraziamento per lo scampato pericolo da un'epidemia di peste, è la statua del santo protettore di Lecce.
L'edificio storico più famoso e rappresentativo della città, capolavoro del Barocco leccese, è la basilica di Santa Croce. La struttura generale e la parte inferiore della facciata sono dovute a Gabriele Riccardi, che cominciò a lavorare intorno al 1549 su un più antico luogo di culto; a Francesco Antonio Zimbalo si devono il protiro e i portali laterali (1606), a Cesare Penna la parte superiore della facciata. Come riporta un'incisione sul tamburo della cupola, l'interno fu completato nel 1590, mentre l'edificio fu ultimato dopo quasi un secolo e mezzo. La facciata della basilica, scandita da sei colonne a fusto liscio, è ricchissima di decorazioni soprattutto nella parte alta, dove la balaustra è affollata da 13 putti abbracciati ai simboli del potere spirituale e temporale; il rosone di ispirazione romanica ha un'elaborata ghiera barocca. Il luminoso interno, in cui si riconosce la lezione del Brunelleschi, è diviso in tre navate da file di colonne con capitelli finemente scolpiti (volti degli apostoli); la navata maggiore è coperta da un seicentesco soffitto ligneo a lacunari. Di particolare bellezza e ricchezza decorativa gli altari, specie quello dedicato a S. Francesco di Paola (1614), opera dello Zimbalo, arricchito da 12 superbi bassorilievi raffiguranti Episodi della vita e miracoli del santo.
Uno scenografico spazio barocco è costituito da piazza del Duomo, aperto alla città solo nel 1761 e composto dall'omonima chiesa, dal Palazzo vescovile e dal Seminario, tra i maggiori edifici del Barocco leccese. Il Duomo fu costruito da Giuseppe Zimbalo sul primo luogo di culto, eretto dal vescovo Formoso intorno al 1100. Oltre alla facciata principale, dove si apre un portale in bronzo realizzato per il Giubileo del 2000, la chiesa presenta un altro prospetto - laterale rispetto all'orientamento della chiesa - in stile barocco per l'esuberanza della decorazione, che culmina nella statua di S. Oronzo racchiusa in un arco trionfale. A Giuseppe Zimbalo si deve anche il campanile a cinque piani, di cui l'ultimo formato da un'edicola ottagonale a cupola con vasi fioriti a mo' di pinnacoli. L'interno del Duomo è a croce latina su tre navate e con soffitto ligneo a cassettoni; i preziosi altari in pietra leccese sono opera di Giuseppe Cino e Cesare Penna. La chiesa custodisce preziosi dipinti di Oronzo Tiso (Sacrificio di Noè dopo il diluvio, Assunta e Sacrificio del profeta Elia) e un Presepe, opera scultorea di Gabriele Riccardi.
Il Palazzo vescovile, documentato fin dal Quattrocento, è però frutto di un rifacimento settecentesco; presenta un alto basamento bugnato e un arioso loggiato ad archi, e custodisce al centro, in alto, uno dei primi orologi pubblici di Lecce. Il Seminario, opera in parte di Giuseppe Cino, è ornato da un bugnato liscio che richiama il Palazzo del Governo, da belle finestre laterali e da un'elegante loggia a tre archi. Al centro del cortile interno è un pittoresco pozzale, riccamente decorato, pure del Cino; nel palazzo ha sede la Biblioteca Innocenziana, ricca di volumi rarissimi.
Ancora a Giuseppe Cino si deve la decorazione, nel più sontuoso stile barocco, del secondo piano del Palazzo del Governo, mentre il primo piano è da attribuirsi a Giuseppe Zimbalo. Il Palazzo - sede della Prefettura e della Provincia - è l'ex convento dei Celestini, eretto nel 1659. Poco più avanti, il Palazzo Adorno è uno dei più fastosi esempi di architettura civile cinquecentesca.
Tra i numerosissimi luoghi di culto che sono espressione del Barocco leccese meritano un cenno particolare almeno le chiese di S. Irene, di S. Chiara, di S. Matteo e del Gesù. La chiesa di S. Irene, detta anche dei Teatini, è uno degli esempi più significativi dell'architettura controriformata leccese. Fu disegnata nel 1591 da Francesco Grimaldi e portata a termine nel 1639, con un livello di sontuosità che rivela quanto fosse sentita la devozione alla santa, patrona di Lecce prima di S. Oronzo. La facciata, a due piani, richiama lo stile romano cinquecentesco: i pilastri seguono verticalmente tutta la facciata e terminano curiosamente in piccole candelabre. L'interno custodisce alcuni degli altari più fastosi della scultura barocca leccese: quello dedicato a S. Gaetano da Thiene, fondatore dell'ordine dei Teatini, e quello di S. Oronzo; dietro l'altare maggiore, il capolavoro di Oronzo Tiso: Trasporto dell'Arca santa.
La seicentesca chiesa S. Chiara è stata attribuita a Giuseppe Cino, ma è più probabile che egli abbia realizzato un preesistente progetto. La facciata arcuata è divisa in due ordini e incompiuta. Nell'elegante interno, a navata unica ottagonale, sono custodite statue policrome del Cino e pitture di scuola napoletana; al di sopra delle cappelle laterali si vedono le grate attraverso cui le monache seguivano le funzioni religiose.
Estranea ai modelli architettonici locali e vicina invece al modello borrominiano è la settecentesca chiesa di S. Matteo. La facciata è composta da due piani: l'inferiore convesso e con un ornato a squame, il superiore concavo e perfettamente liscio; sono invece tipici del Barocco leccese i pinnacoli dall'esuberante ornamentazione. L'interno, a pianta ellittica su un'unica navata, è meno originale dell'esterno; l'altare maggiore è della scuola di Giuseppe Cino; pregevole anche il seicentesco gruppo ligneo della Pietà, proveniente da Venezia.
All'altro, potente ordine controriformato che operò a Lecce, quello dei Gesuiti, si deve l'edificazione della chiesa del Gesù (1575), progettata dal gesuita comasco Giovanni De Rosis sul modello dell'omonimo luogo di culto romano, come si desume facilmente dalla facciata, articolata su due ordini, e dall'interno a croce latina, aula unica vasta e luminosa che ben interpreta lo spirito della Controriforma, volta alla devozione collettiva e alla predicazione. Il sofisticato altare maggiore è di Giuseppe Cino.
Una vera e propria teoria di altri edifici di culto barocchi caratterizza la via Libertini, sulla quale affacciano chiese di minore maestosità architettonica, ma non per questo meno interessanti. La prima che vi si incontra è la chiesa di S. Teresa, iniziata attorno al 1620 da Cesare Penna e proseguita da Giuseppe Zimbalo, che realizzò anche uno degli altari. Segue, poco avanti, S. Anna, risalente alla seconda metà del XVII secolo. La chiesa del Rosario, infine, ricostruita nel 1691 su un precedente edificio trecentesco, fu l'ultima opera di Giuseppe Zimbalo e rappresenta la sintesi ideale di tutta la vita artistica; a croce greca attorno a un vano ottagonale, innovativo rispetto alle precedenti realizzazioni dello Zimbalo, impostate su un impianto longitudinale, ricorda nella facciata la basilica di Santa Croce; nell'interno, dai ricchi altari, il pulpito è l'unico in città a essere realizzato in pietra leccese.
Al di fuori dell'antica cerchia di mura sorge la chiesa dei Ss. Nicolò e Cataldo con l'annesso convento degli Olivetani, una delle sedi universitarie della città. Furono entrambi edificati nella seconda metà del XII secolo per volere di Tancredi d'Altavilla, conte di Lecce e ultimo re dei Normanni. Dell'originale facciata romanica, cui nel 1716 Giuseppe Cino aggiunse motivi barocchi, restano il rosone e la raffinata decorazione vegetale che incornicia il portale.
Edificio difensivo di grande mole e notevole interesse storico è il Castello, frutto della ristrutturazione di un'analoga costruzione normanna. Voluto da Carlo V e realizzato nel 1539-49 da Gian Giacomo dell'Acaja (che morì proprio nelle sue segrete), il Castello è a pianta trapezoidale, con un sistema di cinta bastionata fra i più innovativi dell'epoca, in grado di far fronte alle nuove tecniche offensive basate sull'uso delle armi da fuoco. Due entrate (a est la Porta falsa, a Ovest la Porta reale) davano accesso all'interno, più volte rimaneggiato: la parte più antica resta un mastio quadrangolare di epoca angioina (prima metà del Trecento), al di sotto del quale è una delle due cappelle del fortilizio.
Fondato nel 1868 dal duca Sigismondo Castromediano di Cavallino, il Museo Provinciale "Sigismondo Castromediano" è stato il primo Museo della Puglia. Vi si trova un'interessante sezione archeologica organizzata in chiave didattica, impostazione più adatta a valorizzare i reperti e a illustrare la storia della Puglia dall'Età del Bronzo al tardo Impero romano. I reperti più importanti sono le ceramiche: vasi attici a figure nere del VI secolo a.C. e figure rosse del V a.C., vasi italioti, àpuli del V-IV a.C., messàpici, ceramica di Gnathia; notevoli anche le raccolte di terrecotte, statuette fittili, iscrizioni messàpiche e romane; nella sezione dedicata alla Lecce romana spiccano le statue in marmo (Amazzone ferita, Ares, Athena con lo scudo) che decoravano il teatro. Dell'istituzione fanno anche parte una Pinacoteca, con dipinti dal XV al XVIII secolo (polittico di Bartolomeo Vivarini, bozzetti di Corrado Giaquinto) e tele pregevolissime (Vergine tra i Ss. Benedetto e Ignazio) di Oronzo Tiso, e la Biblioteca Provinciale "Nicola Bernardini".
Altra rilevante istituzione museale della città è il Museo missionario cinese e di Storia naturale, con l'annessa Pinacoteca Museo "Roberto Caracciolo". Il Museo missionario custodisce interessanti avori e mobili; di particolare interesse una consistente collezione di farfalle provenienti dall'isola di Formosa. Nello stesso edificio, che ingloba un ninfeo del XV secolo, è anche la Pinacoteca Museo "Roberto Caracciolo", con opere realizzate dai Francescani nel Salento.
Nell'immediato circondario di Lecce vi sono tre luoghi particolarmente ricchi di storia e strettamente collegati alle vicende del capoluogo: l'abbazia di S. Maria di Cerrate, l'area archeologica di Rudiae e il borgo di Acaia. Isolata nella campagna, a circa 17 km da Lecce, l'abbazia di S. Maria di Cerrate costituisce un mirabile esempio di architettura religiosa medievale. Costruita probabilmente nei primi anni del XII secolo forse per interessamento di Tancredi d'Altavilla (è già citata in documenti risalenti al 1113), nel Cinquecento l'abbazia fu saccheggiata dai turchi e abbandonata. Restaurata nelle sue eleganti forme romaniche nel 1965, la chiesa presenta un portale scolpito e un protiro (XII-XIII secolo), mentre nell'attiguo chiostro si possono ammirare le colonne dai capitelli riccamente lavorati (XIII secolo). Tra il XII e il XIV secolo l'interno dell'abbazia fu interamente ricoperto di affreschi bizantineggianti, ai quali ne vennero sovrapposti altri di gusto rinascimentale (fine XV secolo). Nella masseria, l'antico convento modificato nei secoli, è collocato il Museo delle Arti e Tradizioni popolari del Salento, che conserva arredi, utensili e ambientazioni tipiche delle popolazioni della Terra d'òtranto.
L'area archeologica di Rudiae, a tre km dal capoluogo in direzione Sud-Ovest, è ritenuta il sito originario dell'attuale città di Lecce. L'abitato, di origine messàpica, fu municipium romano (vi nacque il poeta Ennio) e venne distrutto nel XII secolo. Nell'area archeologica si vedono ancora tracce di mura, un ipogeo e tombe messàpiche, resti di una fontana monumentale, strade lastricate, un anfiteatro ed edifici di età romana; la maggior parte dei reperti è stata trasferita nel Museo provinciale di Lecce.
A Est del capoluogo e distante da esso circa 13 km sorge il suggestivo paesino di Acaia. Di chiara impronta aragonese, nel Duecento fu donato da Carlo II d'Angiò alla famiglia dell'Acaja. Attraverso la Porta Terra, che si apre nella cinta muraria eretta nel 1535 da Gian Giacomo dell'Acaja, si entra nel nucleo antico dove domina la mole del Castello aragonese, costruito nel 1506 e munito di torrioni. Morto Gian Giacomo in miseria, il feudo passò di mano in mano e il Castello cadde poco a poco in abbandono.
LA PROVINCIA. La provincia di Lecce (817.398 ab., 2.759 kmq) occupa il territorio più a Sud della penisola salentina ed è compresa fra il Mare Adriatico e il Mare Ionio. La penisola salentina appare come un vero e proprio ponte gettato verso l'Oriente. Una traccia, questa, ben presente non solo nella storia e nell'architettura, ma anche nella natura - che annovera numerose specie vegetali presenti anche sull'altra sponda dell'Adriatico - nella lingua e nella gastronomia. Oggi questa vicinanza all'Oriente si fa sentire a causa degli sbarchi clandestini, oggettivamente favoriti dallo stretto braccio di mare costituito dal canale d'òtranto. Secondo la leggenda, a occupare per primi il Salento furono proprio i salentini, provenienti forse dal mare e stanziatisi in epoca preistorica sul versante occidentale della penisola (dal nome del loro re, Sale, deriverebbe Salento). La costa adriatica, scoscesa e di difficile accessibilità, è stata per molti anni risparmiata dal turismo di massa: il mare del litorale orientale si è quindi mantenuto integro e assai pescoso. Più forte l'antropizzazione sul versante jonico, basso e sabbioso (ma non mancano piccole insenature protette), tale da favorire lo sviluppo dell'industria turistico-alberghiera nelle località balneari lungo la costa. Molto forte, nella provincia, rimane l'agricoltura, che produce olio, tabacco, vino, cereali, fichi, mandorle e ortaggi. Altra importante risorsa economica è la pesca. L'agricoltura alimenta l'industria della trasformazione. Altre industrie sono quelle estrattive, del cemento, dei laterizi, del tessile, dell'abbigliamento. Fra i centri principali ricordiamo: Copertino, Galatina, Galatone, Gallipoli, Maglie, Nardò, Otranto, Santa Cesarea Terme, Squinzano.
Il centro di Lecce


Taranto

(209.297 ab.). La città di Taranto è situata nel punto più interno del golfo omonimo. è la seconda città della Puglia per numero di residenti. La compongono due parti ben distinte: la città vecchia, detta Isola perché sorge su un'isola artificiale creata nel 1480 tagliando l'istmo che la collegava alla terraferma, e la città nuova con impianto a scacchiera, sorta sull'area dove si trovava l'antica colonia laconica. La città è bagnata a Nord da un'ampia laguna a due bacini, detto Mar Piccolo, e a Sud dal mare aperto, detto Mar Grande, collegati fra loro da un canale naturale e da uno artificiale, creato appunto nel XV secolo tagliando l'istmo e ampliato poi nell'Ottocento. Entrambi i canali sono attraversati da ponti: il canale naturale è sormontato da un ponte di pietra, quello artificiale da un caratteristico ponte girevole in ferro. Taranto è un porto commerciale e militare; perpetua inoltre la vocazione marinara nella flotta di pescherecci di media stazza e nell'Arsenale, coinvolto però nella sfavorevole congiuntura di buona parte dei cantieri navali italiani. L'area industriale, dominata dalla presenza delle acciaierie e di grossi gruppi multinazionali (raffinazione di petroli e cemento), si è trovata ad affrontare gravi difficoltà: l'Italsider ha subito negli anni Ottanta del XX secolo la crisi della siderurgia in Italia, con pesanti contraccolpi sull'economia cittadina.
STORIA. Taranto fu fondata verso il 700 a.C. da coloni spartani proveniente dalla Laconia, tuttavia i ritrovamenti compiuti in località Scoglio del Tonno, presso la stazione ferroviaria, testimoniano che il sito era abitato già in età protostorica; il toponimo Taras sembra in effetti un'eredità dei messapi, popolo italico che qui abitava prima dell'arrivo dei greci. Grazie alla sua posizione geografica che la rendeva facilmente difendibile e nello stesso tempo favoriva il commercio, Taranto divenne la più potente città della Magma Grecia. L'egemonia greca introdusse uno stile di vita assai progredito. Nel IV secolo a.C. la città contava circa 300.000 abitanti e aveva esteso la sua supremazia sul Metaponto e sulla pianura di Siri. Allo sviluppo economico e demografico si accompagnò anche una fervida attività culturale. Furono fondate prestigiose scuole filosofiche, la cui fama travalicò i confini locali; a Taranto nacquero il filosofo Archita, amico di Platone, e il poeta e tragediografo Livio Andronico. Il governo della cosa pubblica avveniva nello spirito democratico di Pitagora, osservato anche nelle sottocolonie fondate come Gallipoli. Ma la potenza militare di Roma incombeva. Nel 281 a.C. le navi romane entrarono nel porto e assediarono la città con il pretesto di portare aiuto all'alleata Thurii: nonostante l'alleanza con Pirro, nel 272 a.C. la resistenza di Tarentum (così fu rinominata dai vincitori) fu vinta. Nel 212 a.C. la città si alleò con Annibale nel tentativo di riconquistare l'autonomia, ma fu definitivamente sconfitta da Quinto Fabio Massimo. Durante la dominazione romana Taranto divenne luogo di soggiorno dorato per i ricchi; inoltre poeti come Orazio, Virgilio, Properzio e Tibullo vennero qui a ispirarsi. Le invasioni dei Goti, dei Longobardi e dei Saraceni causarono alla città terribili devastazioni e saccheggi - particolarmente feroce fu la distruzione operata dai Saraceni del 927 - finchè nel 961 l'imperatore bizantino Niceforo II Foca la conquistò, ricostruendo l'abitato sull'Isola (l'attuale città vecchia) e facendone un forte centro militare contro i Normanni. Il re normanno Roberto I il Guiscardo se ne impadronì comunque nel 1063. Ai Normanni seguirono gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi. Taranto conobbe un periodo di autorevolezza e benessere come capoluogo dell'omonimo principato e come tale passò, nel 1463, al Regno di Napoli. Nel 1480 fu realizzata la già citata opera di taglio dell'istmo che separò dalla terraferma il centro abitato, onde renderlo meno accessibile alle incursioni turche. Nel breve periodo napoleonico (1801-1815) furono sfruttate le potenzialità della città quale base navale contro le flotte inglesi e russe. Nel 1861 Taranto entrò a far parte del Regno d'Italia che ne promosse la rinascita confermandola come base navale e facendone sede dell'Arsenale militare (1883). Iniziò allora lo sviluppo della città nuova, secondo la classica pianta ortogonale, là dove si stendeva l'abitato laconico; nel 1914 venne fondato il cantiere navale. Il secondo dopoguerra fu contrassegnato dalla creazione del polo siderurgico e dall'esplosione edilizia incontrollata, che ha cementificato gran parte delle antiche testimonianze. All'inizio del XXI secolo Taranto deve affrontare i problemi legati alla crisi economica e all'alto tasso di disoccupazione operando un rilancio basato sulla riconversione industriale e su un compatibile, oculato sfruttamento turistico del proprio litorale.
ARTE. Le felici caratteristiche naturali del territorio tarantino hanno fatto sì che esso venisse abitato fin dalla preistoria. In seguito allo sbarco dei coloni greci Taranto poté diventare una ricca e potente città della Magna Grecia, mentre nel resto della Puglia le popolazioni locali guerreggiavano ancora fra loro. Le testimonianze del grandioso passato di Taranto sono conservate nel Museo archeologico nazionale, la cui raccolta costituisce la più ampia documentazione sull'arte e sulla civiltà della Magna Grecia.
L'Isola è il centro storico di Taranto, lentamente recuperato da un gravissimo stato di degrado e abbandono. La caratterizzano i "pittaggi", ovvero i vecchi quartieri intersecati da vicoli strettissimi, con tante scalinate e con palazzi addossati gli uni agli altri, immersi in una suggestiva atmosfera mediterranea.
Sull'Isola si concentrano le maggiori testimonianze architettoniche del passato, a cominciare dalle tre colonne scanalate che sono ciò che resta del tempio dorico dedicato a Poseidone (VI secolo a.C.), uno dei più antichi magnogreci insieme a quello di Siracusa, e uno dei pochi resti visibili della colonia spartana.
Principale monumento di epoca medievale è il Duomo, una delle più antiche chiese romaniche della Puglia essendo stata costruita nel 1071-1072 e dedicata a S. Cataldo, patrono della città. Tuttavia solo i fianchi esterni della chiesa conservano tracce del primitivo edificio, mentre la facciata è stata rifatta in stile barocco nel 1713 da Mauro Manieri, e il campanile è un rifacimento quattrocentesco. L'interno presenta 16 colonne con capitelli bizantini e romanici. Prezioso il cappellone di S. Cataldo, che lo storico Ferdinand Gregorovius definì di "una ricchezza abbagliante", per le statue, gli affreschi e le tarsie marmoree che datano dal Cinquecento al Settecento; imponente e incrostato di pietre preziose è anche l'altare, dietro il quale sono conservate le reliquie del santo, vescovo di Rachan in Irlanda. Per una scalinata si accede alla cripta dell'XI secolo, divisa in due navate originariamente affrescate; restano solo alcuni frammenti, raffiguranti S. Cataldo, la Vergine e altri santi.
Un altro notevole edificio romanico è la chiesa di S. Domenico Maggiore, costruita nel 1302 sulla chiesa bizantina di S. Pietro Imperiale (da qui l'altro nome con cui il luogo di culto è noto), a sua volta sorta, ai tempi di Niceforo II Foca, su un tempio antico. Introdotta da una scalinata barocca, la facciata ha mantenuto l'elegante portale ogivale con baldacchino e lo squisito rosone; barocchi sono invece gli altari delle cinquecentesche cappelle all'interno, decorate di marmi policromi.
Imponente edificio civile della città vecchia è il Castel S. Angelo, fortezza costruita nel X secolo dopo la terribile invasione turca per difendere meglio la città dalle incursioni nemiche provenienti dal mare. L'attuale aspetto si deve agli interventi effettuati nel 1492 per volere di Ferdinando d'Aragona, e nel 1577; nel Settecento fu utilizzato come carcere e dal 1887 è sede del Comando della Marina militare. è di forma quadrangolare con quattro torrioni cilindrici, ornati da archetti e beccatelli e collegati tramite cortine a possenti baluardi.
Settecentesco è il Palazzo Pantaleo, affacciato sul Mar Grande; fu costruito da Francesco Miraglia per il barone Francesco Pantaleo di Palagiano. Superato l'ingresso, una grande e scenografica scalinata a doppia rampa conduce agli appartamenti padronali dagli splendidi pavimenti in maiolica tuttora conservati. In alcune sale sono visibili opere pittoriche di Domenico Carella.
Dal lungomare dell'Isola (oggi corso Vittorio Emanuele II) è possibile vedere in lontananza le isole Chèradi. Pur essendo vicinissime alla costa e sedi di impianti militari, sono naturalisticamente intatte: S. Paolo, la più piccola, ha una superficie di sei ettari; S. Pietro, estesa su 113 ettari, prende nome da una badia basiliana, ora distrutta, dedicata al santo.
Alla Taranto moderna si accede attraverso il ponte girevole, una delle opere-simbolo della città; ricostruito nel 1958, è formato da due bracci mobili gettati sul canale navigabile, permettendo l'ingresso e l'uscita delle navi. Sul lungomare Vittorio Emanuele III si affaccia una serie di imponenti palazzi che risalgono in buona parte al regime fascista. Tra questi il Palazzo della Prefettura, disegnato da Armando Brasini, il Palazzo della Banca d'Italia di Cesare Bazzani, autore anche del Palazzo delle Poste, dove sono conservati diversi elementi architettonici databili all'età imperiale. Nella città nuova si trova anche Villa Peritato, uno dei pochi polmoni verdi della città, donato al comune dai proprietari con l'unica condizione che non se ne modificasse la destinazione d'uso; ricco di palme e di pini, nasconde i resti di una villa di età romana imperiale.
La maggiore istituzione museale tarantina - e la maggiore dell'Italia meridionale dedicata al mondo antico dopo quella di Napoli - è il Museo archeologico nazionale, istituito nel 1887 nel convento degli Alcantarini annesso alla chiesa di S. Pasquale di Baylon, poi ingrandito e risistemato a partire dal 1903. Di particolare rilievo sono le collezioni di ceramiche e le oreficerie, nonché alcuni esemplari di statuaria sia in bronzo che in terracotta. La sezione preistorica presenta manufatti del Paleolitico, Neolitico, Eneolitico, prima età dei Metalli, Età del Bronzo, Età del Ferro. Del periodo paleolitico sono i reperti provenienti dalla Grotta dei Cervi e le due sculture realizzate in osso che rappresentano divinità femminili, provenienti dalla grotta delle Veneri, nel comune di Parabita. Del Neolitico si segnalano una coppa a decorazione graffita e impressa (dalla grotta di Sant'Angelo di Ostuni) e una scultura raffigurante la dea madre (dalla tomba a grotticella di Arnesano). Da una grotta presso Santa Cesàrea Terme viene invece un modellino di casa-tempio con decorazione graffita. Accette, pugnali e piccoli utensili documentano l'Eneolitico e vari prodotti metallurgici l'Età del Bronzo.
La sezione classica raccoglie manufatti che datano dal VII secolo alla fine del I secolo a.C. Fra i principali reperti ricordiamo i celebri corredi funerari delle tombe tarantine (VII-VI secolo a.C.), generalmente di importazione corinzia e di altre fabbriche greche e asiatiche; di grande interesse le tombe degli atleti e gli oggetti ivi contenuti, in particolare i vasi ceramici decorati con soggetto attinente all'esercizio sportivo praticato dal defunto. Famose poi le coppe laconiche, tra le quali spiccano quella con tonni e delfini (VI secolo a.C.) e la coppa a figure nere con Zeus e l'aquila (580-510 a.C.). Alla ceramica attica segue la copiosissima produzione vascolare àpula a figure rosse e quella cosiddetta sovradipinta, rappresentate tra l'altro da una vaso a figure rosse con Afrodite che allatta Eros (metà IV secolo a.C.). Di epoca romana sono la raffinatissima testa di Artemide in marmo pario (I secolo a.C.), alcune bottiglie di vetro, un cippo funerario che raffigura una testa maschile e altri pezzi di buona fattura. Da segnalare la collezione di terrecotte votive, tra le quali le tre terrecotte funerarie che riproducono rispettivamente la nascita di Afrodite (fine IV secolo a.C.), un gladiatore (fine I sec. a.C.) e un lettore di papiro (I sec. a.C.-I sec. d.C.).
LA PROVINCIA. La provincia di Taranto (588.902 ab., 2.437 kmq) occupa la piana tarantina sovrastata dalle ultime propaggini delle Murge, che si dispongono ad anfiteatro parallelamente alla costa e hanno nel monte Bagnolo la massima vetta (124 m). Da queste alture scendevano a valle corsi d'acqua che nel corso dei secoli hanno scavato profondi burroni, dette gravine o lame. A questa suggestiva presenza naturale se ne affianca un'altra, di carattere storico: le grotte - o laure -, utilizzate come santuari o abitazioni dai monaci basiliani venuti dall'Oriente, nel Medioevo, in cerca di rifugio dopo essere sfuggiti alle persecuzioni iconoclaste. In queste basse grotte di origine carsica dove si possono trovare affascinanti affreschi bizantini, tuttavia, si era già sviluppata, fin dalla preistoria, la cosiddetta civiltà rupestre, che trova i più significativi esempi attorno a Massafra e a Mòttola.
Accanto al territorio aspro che caratterizza la parte più a Nord della provincia e a quello noto come valle d'Itria, la provincia tarantina comprende il litorale ionico del golfo di Taranto, noto fin dai tempi di Orazio che ne esaltò il clima, il vino e il miele. Dagli anni Sessanta del XX secolo lo sviluppo delle seconde case ha profondamente - e spesso irreparabilmente - intaccato l'ecosistema del golfo di Taranto. Tuttavia esistono ancora tratti di costa caratterizzate da spiagge sabbiose costellate da calette e bagnate da un mare cristallino, intervallate da piccoli promontori rocciosi.
Punto forte dell'economia di questo territorio è l'agricoltura, fondata essenzialmente su viticoltura, olivicoltura, agrumeti, ortaggi, mandorle, fichi, tabacco. Importante il settore zootecnico, per quanto riguarda sia i cavalli che gli asini martinesi, una razza autoctona. Attiva è la pesca; inoltre nel Mar Piccolo e nel Mar Grande esistono consistenti impianti di mitilicoltura. Nel settore artigianale spicca Grottaglie, per le famose manifatture della ceramica. Le industrie più importanti sono quelle alimentari, tessili, dell'abbigliamento, del legno, le manifatture di tabacco. Fra i centri principali ricordiamo: Castellaneta, Ginosa, Grottaglie, Manduria, Martina Franca, Massafra, Mottola, Sava.
Taranto: panorama

PICCOLO LESSICO

Apulia

Era così chiamata la regione compresa tra il Biferno e il capo di Leuca, comprendente l'Irpinia con Benevento. Nel 317 a.C. fu conquistata dai Romani e durante l'epoca dell'impero ebbe una certa importanza per le molte vie di comunicazione e i numerosi porti. Oggi Puglia.

Disfida di Barletta

Avvenne il 13 febbraio del 1503, durante l'assedio francese alla città di Barletta, fra tredici cavalieri italiani e tredici francesi. Il singolare duello, che vide la vittoria italiana, fu immortalato da Massimo d'Azeglio nel romanzo Ettore Fieramosca.

Gravina

Lungo crepaccio dall'andamento tortuoso, frequente nei terreni calcarei.

Japigi

Antico popolo illirico stanziatosi presso il Gargano (XI-X sec. a.C.) e poi nella Puglia meridionale (V sec. a.C.).

Lamia

Copertura a volta, caratteristica delle abitazioni rustiche dell'Italia meridionale.

Laura

Grotta adibita a luogo di culto e di ascesi da monaci di provenienza orientale.

Magna Grecia

Denominazione in uso già nel II sec. a.C. per designare il complesso delle colonie greche dell'Italia meridionale.

Manifattura

Termine comune nell'industria tessile per indicare gli stabilimenti di trasformazione di materie prime in prodotti lavorati.

Messapi

Popolazione d'origine illirica, stanziatasi nella penisola salentina. Fondarono Brindisi e furono sottomessi dai Romani nel 266 a.C. La regione che abitavano venne compresa nell'Apulia.

Murge

Altopiano di forma rettangolare che si eleva in Puglia, nella provincia di Bari, tra il corso inferiore dell'Ofanto e la linea trasversale fra Taranto e Brindisi, detta anche soglia messapica, culminante nella Torre Disperata (686 m); si suddivide in Murge basse e Murge alte. Il terreno scarsamente abitato è in via di trasformazione con la coltura della vite, ulivo, mandorle; caratteristici di alcune zone delle Murge sono i trulli, abitazioni rurali costruite in pietra a copertura conica.

Tavolato

Terreno di elevazione intermedia (250 m s/m circa) fra i bassipiani e gli altipiani, con stratificazione orizzontale.

Viticoltura

è quella branca della frutticoltura che si interessa alla coltivazione della vite. La viticoltura detta le norme pratiche e scientifiche sull'impianto di un vigneto, sulla moltiplicazione della pianta, sulla crescita, sulla potatura, sulla concimazione, sui vari lavori del suolo, sulla scelta dei porta innesti e delle varietà, sugli innesti ecc. Ha quindi lo scopo precipuo di aumentare e migliorare la produzione dell'uva.

PERSONAGGI CELEBRI

Carlo Cafiero

Uomo politico (Barletta, Bari, 1846 - Nocera Inferiore, Salerno, 1892). Appartenente ad un'agiata famiglia pugliese, intraprese la carriera diplomatica. A Londra conobbe Marx ed Engels. Convintosi della giustezza delle loro analisi politiche, aderì alla I Internazionale e si dedicò alla diffusione delle idee socialiste, rinunciando ai suoi beni. A Napoli diresse il giornale La Campana. Nel 1872 presiedette a Rimini il Congresso anarchico, diventando, con E. Malatesta e A. Costa, uno dei capi dell'internazionalismo anarchico italiano. Nel 1877 fece parte della banda del Matese e fu condannato a 18 mesi di carcere. A Cafiero si deve un sunto del primo volume del Capitale di Marx.

Barisano da Trani

Scultore (XII sec.). Fonditore in bronzo vissuto nella seconda metà del XII secolo, è l'autore del portale del Duomo di Trani, che risale pressappoco al 1175, della porta della Cattedrale di Ravello (1179) e di un portale laterale del Duomo di Monreale (1185-1190). Artista nitido e fantasioso, Barisano da Trani si valse dei più vari elementi iconografici bizantini.

Giuseppe De Nittis

Pittore (Barletta 1846 - St. Germain-En-Laye 1884). Impressionista pugliese. compì il suo primo apprendistato all'Accademia di Napoli. Ma il suo spirito ribelle lo portò ad allontanarsi dall'ambiente accademico per cercare altre strade: confluì nel gruppo della Scuola di Resina, presso Napoli, che perseguiva obiettivi simili a quelli dei macchiaioli toscani. Gli artisti del gruppo napoletano, dediti soprattutto alla pittura di paesaggio, manifestavano un particolare interesse per il vero, per l'immediatezza dell'impressione. A vent'anni De Nittis partì per Firenze, dove entrò in contatto con i macchiaioli che, tuttavia, non ebbero molta influenza sulla sua arte. L'anno dopo si trasferì a Parigi, città nella quale finì per stabilirsi definitivamente dal 1871. Diventò raffinato interprete della vita parigina della quale era partecipe in prima persona, organizzando in casa propria serate alle quali intervenivano pittori e letterati illustri, come Degas, Manet, Zola, Oscar Wilde. Considerato dai vecchi compagni italiani troppo acquiescente alle richieste del mercato dell'arte, nel 1874 venne tuttavia invitato dagli impressionisti a partecipare alla loro prima mostra, perché la sua presenza attenuasse la diffidenza della critica ufficiale nei loro confronti. In realtà De Nittis è vicino agli impressionisti nei temi e nella ricerca luministica, anche se in alcuni dei suoi dipinti più tardi si rivela ancora l'esperienza maturata in gioventù presso la Scuola di Resina. De Nittis morì prematuramente, a soli trent'otto anni, a Saint-Germain-en-Laye.

Giovanni Laterza

Editore (Putignano 1873 - Bari 1943). Fondatore della Casa editrice Laterza nata nel 1901 a Bari. Benedetto Croce affidò alla Laterza la rivista "La critica" (dal 1903) e quasi tutti i suoi scritti. Tra le edizioni più prestigiose della Casa pugliese ricordiamo la collana "Scrittori d'Italia", edita a partire dal 1910, quella di "Filosofi antichi e medioevali e quella dei "Classici della filosofia moderna".

Aldo Moro

Politico (Maglie, Lecce 1916 - Roma 1978). Laureatosi in Giurisprudenza, dal 1939 al 1942 fu presidente della Federazione universitaria cattolica italiana e, successivamente, del Movimento laureati cattolici. Deputato alla Costituente e, dal 1948, alla Camera per il Partito democratico-cristiano, non abbandonò la carriera accademica e, nel 1948, ottenne la cattedra di diritto penale presso l'università di Bari.
Sottosegretario agli Esteri nel quinto ministero De Gasperi, assunse successivamente la presidenza del gruppo parlamentare democristiano e occupò vari incarichi ministeriali. Il 6 marzo 1978 fu rapito da terroristi delle Brigate Rosse mentre si recava in Parlamento e, dopo un drammatico alternarsi di trattative e incertezze circa la sua liberazione, venne ritrovato senza vita il 9 maggio nel centro di Roma.

Giovanni Paisiello

Musicista (Taranto 1740 - Napoli 1816), fu attivo alle corti di Russia, di Francia e di Napoli. Durante il soggiorno a Pietroburgo scrisse due opere buffe: La serva padrona e Il barbiere di Siviglia. Tornato a Napoli compose La bella molinara e Nina o la pazza per amore, il suo capolavoro. Oltre alle numerose opere liriche lasciò cantate, messe, sinfonie e concerti.

Nicola Zingarelli

Letterato (Cerignola 1860 - Milano 1935). Fu professore di letterature romanze nelle Università di Palermo e Milano. Nel 1899 pubblicò uno studio su Dante e nel 1922 il Vocabolario della Lingua italiana che è stato più volte ristampato.

CENTRI MINORI

Alberobello

(10.871 ab.). Centro in provincia di Bari celebre per i suoi trulli. Il toponimo deriva da Silva Arboris Belli ("selva dell'albero della guerra"), un bosco di cui restano alcune tracce. Alberobello fu fondata nel XV secolo dai conti Acquaviva di Conversano. Dopo essere stata contesa fra Martina Franca, Monòpoli e Conversano, nella prima metà del Seicento la città conobbe un nuovo impulso grazie al conte Giangirolamo Acquaviva, detto il Guercio di Puglia. Il predominio della famiglia Acquaviva terminò solo alla fine del Settecento per intervento diretto di Ferdinando I di Borbone.
Anche se in parte alterato dalle moderne espansioni, l'abitato di Alberobello mantiene il suo fascino fiabesco grazie agli oltre mille trulli disseminati fra le stradine scoscese dei rioni Aia Piccola e Monti (dove anche la novecentesca chiesa di S. Antonio riprende le forme del trullo); da segnalare il Trullo sovrano (XVIII sec.), l'unico a due piani. Per la sua eccezionalità il centro storico di Alberobello è stato proclamato dall'UNESCO "Patrimonio dell'Umanità". Importanti monumenti cittadini sono la Casa d'Amore, che esemplifica il passaggio dall'architettura tradizionale alla palazzina del XIX secolo, e il seicentesco santuario dei Ss. Cosma e Damiano.
I trulli di Alberobello

ALBEROBELLO: UN PAESAGGIO DI FIABA TRA GIARDINI E VIGNETI

La rinomanza internazionale di Alberobello è legata ai trulli, antiche abitazioni di forma cilindrica costruite a secco con schegge di calcare ("chiancarelle"); il tetto è costituito da una cupola a cono in pietra grigia, in mirabile contrasto con il bianco delle pareti. La storia attribuisce la creazione dei trulli a Giangirolamo Acquaviva, conte di Conversano, detto il Guercio di Puglia, nella prima metà del Seicento. Quando la corte di Napoli emanò l'editto Prammatica de Baronibus che imponeva l'autorizzazione regia per ogni nuova costruzione, il Guercio ordinò ai sudditi di edificare le case senza impiegare la malta in modo da poter essere facilmente smontate in caso di ispezioni governative. La struttura dei trulli riporta a un passato ben più remoto, alle "tholos" di Micene e alla tomba detta Tesoro di Atreo. Inoltre soluzioni architettoniche molto simili si ritrovano in epoche diverse e in luoghi diversi: Cappadocia, Egitto, Grecia, Dalmazia, Sicilia, Sardegna. La costruzione di un trullo prevede varie fasi, precedute dalla raccolta delle pietre necessarie nei campi circostanti. Alla fine, sul cocuzzolo, viene issato un pinnacolo con indecifrabili simboli per propiziarsi salute, felicità e prosperità, tramandati forse dai popoli primitivi orientali.

Altamura

(63.957 ab.). Centro in provincia di Bari, situato su un alto colle delle Murge, in un paesaggio quasi totalmente privo di vegetazione. L'area in cui sorge Altamura fu abitata sin dal II millennio a.C., anche se solo con i peuceti si delineò un vero e proprio abitato, cinto da mura di cui sono tuttora visibili alcuni tratti. Distrutta dai Saraceni, nel XIII secolo la città rinacque con Federico II, all'opera del quale si deve far risalire l'attuale aspetto del centro storico. Arricchita di nuove mura, del castello e della Cattedrale, Altamura attirò comunità latine e greche - chiamate dallo stesso imperatore - e conobbe uno sviluppo economico che si protrasse anche nei secoli successivi. Alla fine del Settecento entrò in crisi la struttura feudale che aveva fino allora governato Altamura: alle trasformazioni economiche e politiche si aggiunse un'espansione della città oltre la cinta muraria, secondo un impianto regolare a scacchiera in parte alterato dalla crescita edilizia del secondo dopoguerra.
Peculiarità di Altamura sono i cosiddetti "claustri", sorta di residenze chiuse, giustificate in origine da motivi difensivi ed economici. I circa 200 claustri della città sono composti da uno stretto vicolo - di derivazione latina, ma anche araba - che sbocca in un cortile, di origine greca, dove affacciano le abitazioni, abbellite dall'uso del tufo e della pietra; gli slarghi fungevano da punto di ritrovo e di vita sociale. Al centro del nucleo storico della città sorge la Cattedrale, l'unica chiesa della Puglia voluta espressamente da Federico II, che ne fece porre la prima pietra nel 1232. Nel 1316, dopo un terremoto, venne parzialmente ricostruita; fu rimaneggiata nel Cinquecento e rifatta all'interno nell'Ottocento, tuttavia sono ancora riconoscibili le linee del Romanico pugliese (definito da alcuni addirittura federiciano per il forte segno impressovi dalla personalità dell'imperatore), rintracciabili soprattutto nel fianco destro dell'edificio, a sette arcate e un portale voluto da Roberto d'Angiò. Nella facciata, chiusa da due campanili, si aprono un portale quattrocentesco, ritenuto il più ricco della Puglia per i bassorilievi del timpano e dell'architrave, e il rosone, dalla ghiera altrettanto riccamente scolpita. Nell'interno, dell'originaria costruzione restano i capitelli e le sculture sopra le porte e le finestre. La compresenza in città, nel passato, di comunità sociali e religiose diverse è testimoniata dalla chiesa di S. Nicolò dei Greci, fondata a fine Duecento per la colonia greca che la utilizzò sino al XVII secolo: il portale è ornato da bei rilievi con Storie evangeliche e della Genesi.
Il Museo archeologico della città conserva il corredo rinvenuto nella tomba a grotticella di Casal Sabini e materiali provenienti nel pulo di Altamura (cavità profonda 90 metri e larga 500, situata a 7,5 chilometri dalla città), abitato nel Neolitico. Una mostra documentaria è dedicata al famoso Uomo di Altamura, uno scheletro completo di ominide vissuto tra 400.000 e 80.000 anni fa.
Nel territorio di Altamura si trova il più ricco giacimento di impronte di dinosauri scoperto nel mondo. Si tratta di un'area di circa 12.000 mq, coperta di circa 30.000 impronte databili a circa 70 milioni di anni fa.

Bisceglie

(47.408 ab.). Centro agricolo costiero in provincia di Barletta-Andria-Trani. Origina probabilmente dall'agglomerato formato dalla popolazione residente nei casali del circondario, riunitasi per difesa dalle incursioni saracene. Il nucleo storico conserva la fisionomia medievale normanna, pur rivelando gli interventi operati soprattutto nel Quattrocento dagli aragonesi. Il principale luogo di culto cittadino è la Cattedrale (XI-XIII sec.), ampiamente rimaneggiata a seguito di un terremoto nel XVIII secolo e oggetto di consistenti restauri che hanno lasciato l'esterno in stile barocco, mentre hanno restituito le fattezze romaniche all'interno. Singolare è la chiesa di S. Margherita (XII sec.), per il suo impianto a croce contratta sormontata da una cupola rivestita a piramide quadra: epilogo dell'esperienza architettonica benedettina, l'edificio è arricchito dalle sculture dei sepolcri della famiglia Falcone che la fece edificare. Il Castello svevo è una struttura difensiva che comprende anche la possente Torre maestra, alle spalle della quale sono la chiesa di S. Adoeno (XI sec.), punto focale del tessuto urbano, e il palazzo che ospita il Museo civico archeologico, con reperti preistorici dalla grotta di S. Croce e dalla cava di Mastrodonato. Uscendo dalla città vecchia si può scorgere l'ampio porticciolo, in mezzo al quale si ergono, come un'isola, i resti dei moli settecenteschi con le poderose bitte in pietra.
La campagna attorno a Bisceglie conserva, immerse tra rigogliosi uliveti, torri di avvistamento residui di antichi casali e diversi dolmen, il più importante dei quali è il dolmen della Chianca, composto da quattro lastre - tre confitte nel terreno e una a mo' di copertura - che formano una camera sepolcrale.

Bitonto

(56.655 ab.). Cittadina delle Murge, in provincia di Bari. Il nucleo antico sorge nel vallone a gravina del torrente Tiflis, qui chiamato Lamaja, che ha rappresentato nei secoli una difesa naturale. Insediamento peucèta, Bitonto fu poi municipium romano, toccato dalla via Traiana. Nell'XI secolo, a seguito delle scorrerie saracene, i residenti nei casali del territorio si riunirono formando un abitato che venne cinto di mura e, nel secolo successivo, arricchito da una Cattedrale. Con gli Angioini Bitonto ebbe una crescita economica come centro di produzione e commercializzazione dell'olio d'oliva. Feudo di diverse famiglie nel periodo aragonese, la città si affrancò a cavallo del Cinquecento; alla riconquistata libertà corrispose lo sviluppo della vita culturale e artistica cittadina, con l'edificazione di palazzi e il restauro di chiese. Dopo la battaglia del 1734 tra spagnoli e austriaci (ancora oggi ricordata da sfilate in costume), Bitonto passò sotto i Borbone; si formò allora il primo quartiere fuori le mura. Il periodo napoleonico comportò la soppressione di conventi e monasteri e il progressivo formarsi di una borghesia agraria cui si deve in parte l'attuale fiorente economia agricola.
Il nucleo storico entro le antiche mura, conservate a tratti, si caratterizza ancora oggi, pur in stato di degrado, per l'intrico di vicoli e strade, dove si alternano edifici religiosi, palazzi nobiliari e case popolari, addossati gli uni agli altri. Nel cuore del quartiere medievale sorge la Cattedrale, tra le massime realizzazioni del Romanico pugliese del XII secolo. Fu concepita secondo il modello della basilica di S. Nicola a Bari, come si evince dalla facciata e dal fianco destro, scandito da sei arcate cieche che reggono una loggetta a esafore. La ricca ornamentazione della facciata - concentrata soprattutto nel portale mediano - rappresenta uno dei più interessanti corredi decorativi della Puglia, in cui spicca un eccezionale intreccio tra motivi occidentali, giunti con i Normanni e i benedettini, e orientali, presenti nella regione tra l'XI e il XIII secolo. All'interno, ritornato all'originario splendore dopo la rimozione degli stucchi settecenteschi, si conserva un ambone considerato uno dei capolavori della scultura medievale di Puglia, firmato da Nicolaus "sacerdos et magister" e datato 1229. Alcuni recenti scavi hanno evidenziato sotto il pavimento delle navate l'impianto di una basilica preromanica con un nucleo paleocristiano, altomedievale e protoromantico: un lacerto di pavimento musivo mostra un bellissimo grifo.
Tra gli edifici religiosi della città storica si ricorda la duecentesca chiesa di S. Francesco che mostra, nella splendida trifora della facciata, come le forme e il gusto gotico siano presenti in Puglia già nel XIII secolo. Tra i luoghi di culto seicenteschi, la chiesa di S. Gaetano documenta l'importazione degli stilemi architettonici controriformisti a Bitonto. Tra gli edifici civili, dell'originario castello resta solo il trecentesco torrione angioino; l'elegante Palazzo Sylos-Calò (XVI sec.), appartenuto a una potente famiglia spagnola, presenta una loggia con colonne e pilastri con statue, e un cortile interno di impianto rinascimentale.
Le più importanti istituzioni museali della città sono: il Museo civico "Eustachio Rogadeo", con una sezione archeologica (reperti preistorici, greci e romani rinvenuti nei dintorni) e una pinacoteca di opere sei-settecentesche e opere pugliesi otto-novecentesche; la Fondazione De Palo-Ungaro, che raccoglie corredi tombali del VI-III secolo a.C. rinvenuti nella necropoli àpula della città.

Canosa di Puglia

(31.535 ab.). Centro in provincia di Barletta-Andria-Trani, posto su un colle che guarda alla valle dell'òfanto, in un luogo da sempre a vocazione di transito. Abitato sin dall'VIII secolo a.C., come testimoniano i ritrovamenti di manufatti in ceramica e ossidiana, tra il VI e il III a.C. il luogo fu famoso per la produzione di ceramiche, esportate in tutta la Magna Grecia. La ricchezza e la fama della città sono documentate anche dalle numerose tombe ipogee, scavate nel tufo, ma articolate in modo tale da simulare un vero spazio architettonico costruito e non scavato. Assoggettata da Roma nel 318 a.C., Canusium ebbe un ruolo all'indomani della battaglia di Canne (216 a.C.), quando qui trovarono rifugio i Romani sconfitti da Annibale. Presso Canosa, inoltre, Annibale uccise, nel 208 a.C., il generale romano Marcello uscito in ricognizione. In età augustea Canosa assurse al rango di municipium ricevendo anche alcuni luoghi di culto e infrastrutture pubbliche. Nel VI secolo d.C. il vescovo Sabino promosse la fondazione di una nuova cittadina sul pendio Nord-Est del colle, ricca di chiese. Tuttavia Canosa soffrì la predilezione dei Bizantini per Bari e, nonostante l'effimera rinascita voluta dai Normanni (Boemondo d'Altavilla fu sepolto qui), subì un progressivo decadimento.
Monumenti di epoca ellenistica sono le tombe ipogee Lagrasta, ricavate nel tufo e in uso fino al I sec. a.C., ornate da decorazioni architettoniche ricche di influenze orientali e, un tempo, da affreschi; le celle funerarie sono disposte a forma di croce e spesso dotate di più braccia. L'edificio storico più rappresentativo della città è la Cattedrale, costruita su una basilica bizantina e consacrata nel 1101, ma così rimaneggiata che è difficile coglierne le linee originarie. La facciata conserva l'antico portale architravato mentre all'interno - a croce latina coperta da cupole secondo un uso diffuso in Puglia nel Medioevo - si ammirano l'elegante pulpito marmoreo di Acceptus (metà XI sec.) e la cattedra, sostenuta da elefanti ed eseguita da Romualdo. Dal transetto della Cattedrale si accede alla tomba di Boemondo, principe normanno morto ad Antiochia durante la prima crociata (1111): la piccola cappella, a pianta quadrata, è sormontata da una cupola; sulle due porte di bronzo che immettono nell'ambiente Ruggero da Melfi incise con rara finezza le effigi degli esponenti più importanti della dinastia normanna. Testimonianze del mecenatismo del vescovo Sabino sono il battistero di S. Giovanni, a pianta dodecagonale, costruito su un tempio romano, e la basilica di S. Leucio, situata poco a Sud dell'abitato; di quest'ultima restano imponenti ruderi: colonne, capitelli figurati e mosaici pavimentali danno il senso della grandiosità di questo edificio, a pianta quadrata e con absidi e cupola. Canosa custodisce nel suo Museo civico interessanti reperti archeologici, tra i quali spiccano i vasi canosini (notevoli gli askòi, contenitori per l'acqua), dapprima prodotti avendo a modello la coeva ceramica attica a figure rosse, poi variati secondo il gusto locale tramite l'aggiunta di elementi plastici.

Castellaneta

(18.022 ab.). Centro in provincia di Taranto. L'elemento naturale che caratterizza l'abitato è l'estesa gravina che lo circonda per due terzi, di cui oltre 400 ettari sono oggi un'oasi protetta. Le grotte naturali che si aprono nelle pareti della gravina servirono come rifugio ai contadini del contado verso le incursioni dei pirati. Queste cavità naturali, utilizzate sia per usi civili sia come chiese-cripte, rimandano alle origini stesse dell'abitato, delineatosi probabilmente nel X secolo. Nel 1081 Castellanetum venne conquistata da Roberto il Guiscardo, divenendo da allora sede vescovile. Più tardi fu ducato dei Caracciolo. Vi nacque a fine Ottocento il divo cinematografico Rodolfo Valentino.
Nel centro storico di Castellaneta, di impronta medievale e barocca, sorge la Cattedrale, eretta nel 1220 (lo ricorda il campanile tardo-romanico), fu riedificata nel XVIII secolo, come documentano il soffitto ligneo dell'interno e le tele di Niccolò Porta. Il vicino Vescovado custodisce un polittico cinquecentesco (Madonna con santi) di Gerolamo da Santacroce. La cittadina ha istituito il Museo "Rodolfo Valentino" nel centenario della nascita dell'attore pugliese; la sua vita pubblica è raccontata attraverso locandine di film, fotografie, riviste italiane e straniere, dischi, ecc.; la vita privata è narrata, per esempio, attraverso le poesie da lui composte e il commovente necrologio letto da Charlie Chaplin al momento della prematura scomparsa dell'amatissimo attore.

UN "DIVO" PUGLIESE A HOLLYWOOD

Rodolfo Valentino era il nome d'arte di Rodolfo Pietro Filiberto Raffaello Guglielmi, nato a Castellaneta il 6 maggio 1895, proprio quando i fratelli Lumière presentavano per la prima volta al pubblico francese il cinematografo. Nel 1912 Rodolfo andò a Parigi e l'anno dopo negli Stati Uniti; qui iniziò a lavorare come ballerino al Maxim's Atlantic, ma ben presto si trasferì a Hollywood per intraprendere la carriera cinematografica. Nel 1921 venne scelto per interpretare il ruolo di un giovane affascinante e spregiudicato nel film I quattro cavalieri dell'Apocalisse: fu l'inizio di un successo senza precedenti nel cinema. Considerato come l'"amante latino" per eccellenza, appassionato e bello, romantico ma al tempo stesso virile, Valentino consolidò la sua immagine in altri film: Lo sceicco (1921), Sangue e arena (1922), Monsieur Baucaire (1924) e Il figlio dello sceicco (1926). Nello stesso anno, a soli trentun anni, l'attore morì a New York di peritonite. La notizia della sua morte scatenò manifestazioni di fanatismo senza uguali. La fine prematura alimentò il mito, tanto che il "tipo" creato da Valentino servì da modello a non pochi altri attori hollywoodiani di quegli anni e anche dei successivi.

Ceglie Messapico

(20.293 ab.). Centro in provincia di Brindisi, situato sulle ultime propaggini Sud-orientali delle Murge. Di origini antichissime, fu denominata Kailia dai messapi. Questi antichi abitatori della Puglia ne fecero un importantissimo centro militare, riuscendo a opporsi all'avanzata dell'esercito tarantino deciso ad aprirsi uno sbocco sull'Adriatico e cedendo solo nel 473 a.C. Fu poi la romana Caelium, che nel Medioevo perse influenza fino a divenire un villaggio dominato solo dal Castello baronale; fu quindi feudo dei principi di Taranto e poi ducato dei Sanseverino, che nel XV secolo ne rafforzarono le strutture difensive.
Dell'antico nucleo messàpico, collocato ai piedi della collina, restano blocchi di pietra che costituivano le poderose mura, dette oggi il Paretone. Alla collina-acropoli si saliva grazie a una ripida scalinata detta in dialetto "li ciend scalun" (i 100 gradini), tuttora conservatisi. Nel borgo medievale sorgono la chiesa Matrice, del XVI secolo ma rimaneggiata due secoli dopo, e la seicentesca chiesa di S. Domenico, di scuola berniniana. Il Castello, eretto a fine secolo XIII sui templi e l'acropoli antichi, è costituito da una serie di piccole torri innalzate nel XV secolo e collegate le une alle altre da mura che inglobano anche due corpi di fabbrica più antichi: una torre normanna quadrata e una, altissima e merlata, del Quattrocento. Nel Palazzo Allegretti è allocata una Pinacoteca nata nel 1977 a seguito alla donazione che il pittore futurista Emilio Notte ha fatto alla città natale.

Cerignola

(56.520 ab.). Centro agricolo in provincia di Foggia. Il suo nome deriverebbe da Cerere, dea latina delle messi. La città sorse sulla via Traiana attorno a un antico villaggio chiamato Keraunaia. Raggiunse l'apice dello sviluppo sotto i Normanni e gli Svevi; dopo la sconfitta degli Angioini e il successivo dominio aragonese, divenne feudo dei Caracciolo e dei Pignatelli. Nelle sue vicinanze gli spagnoli comandati da Consalvo di Cordova sbaragliarono, il 28 aprile 1503, i francesi guidati dal duca di Nemours.
La città non offre molte testimonianze storiche a causa del terremoto del 1731 che ne distrusse quasi interamente il centro; l'impianto urbano a scacchiera è ottocentesco, mentre il piccolo nucleo antico si trova in posizione decentrata. Il Duomo ottocentesco, progettato da Giuseppe Pisanti, è coronato da una cupola alta 80 m, che tanto ricorda quella di S. Maria del Fiore a Firenze; vi si conserva, per sei mesi all'anno, la tavola del XIII secolo della Madonna di Ripalta, protettrice di Cerignola, che per il resto dell'anno è custodita nell'omonimo santuario presso il fiume Ofanto. All'economia cerealicola della città è dedicato il Museo del Grano, che illustra all'aperto la lavorazione del prodotto dalla preistoria al giorno d'oggi. Il Museo Etnografico Cerignolano riunisce invece strumenti e attrezzi del XIX-XX secolo.

Copertino

(23.795 ab.). Centro in provincia di Lecce. Di origini molto antiche, la cittadina fu normanna, sveva e assai fiorente sotto gli Angioini. Conserva un Castello che è una delle opere difensive più interessanti del Salento; eretto nel 1535-40 da Evangelista Menga su una struttura medievale, ha pianta trapezoidale e un imponente portale rinascimentale a foggia d'arco di trionfo; all'interno sono il mastio angioino quadrato, 90 cannoniere e la Cappella di S. Marco, affrescata da Gianserio Strafella, al di sotto della quale si trova una cripta paleocristiana. In centro, la chiesa romanica della Madonna delle Nevi (1088) fu trasformata nel Settecento, come ricorda il campanile barocco. A S. Giuseppe da Copertino, il santo "dei voli" patrono della città, è intitolato l'omonimo luogo di culto settecentesco, di fronte alla casa natale.

Gallipoli

(21.089 ab.). Centro in provincia di Lecce, situato su un'isoletta del golfo di Taranto, collegata da un ponte ferroviario e stradale a un promontorio della costa; il nucleo vecchio sorge sulla piccola isola, mentre l'espansione moderna ha occupato il retrostante basso promontorio. Pesca, commercio del pesce e dei prodotti agricoli della regione. Industrie alimentari, metallurgiche e tessili. Toponimo di origine greca (kalé polis, ossia "città bella"), secondo Dionigi di Alicarnasso fu fondato dallo spartano Leucippo, anche se l'area fu frequentata sin dalla preistoria. Forse colonia di Taranto, ne fu comunque alleata contro i Romani, venendo conquistata nel 265 a.C. Saccheggiata da Totila nel 542, rimase a lungo bizantina: nel 551 fu sede vescovile soggetta al patriarca di Costantinopoli (il rito greco si conservò fino al 1500); nel 1071 fu conquistata dai Normanni, per passare quindi sotto gli Svevi e poi sotto gli Angiò, che lasciarono cospicue tracce nell'architettura. Con gli Aragona, nel XVI secolo, Gallipoli accrebbe tanto la sua importanza di scalo commerciale che i veneziani pensarono di conquistarla per avere una base efficiente e fortificata per gli scambi con il Levante. A fine Cinquecento la città era riconosciuta tra le maggiori piazze commerciali d'Europa, specialmente per il commercio dell'olio. Con la prosperità si ebbe un nuovo impulso nell'edilizia civile e religiosa, che si protrasse sino al XVIII secolo.
Il centro storico, racchiuso da mura, si presenta come un inaspettato angolo d'Oriente, con la sua fitta trama di vicoli e corti su cui affacciano case in tufo dipinte a calce e adorne di balconcini e logge. A presidio della città antica si erge il Castello, progettato da Francesco di Giorgio Martini e realizzato da Gian Giacomo dell'Acaja nel XVI secolo; l'imponente mole quadrangolare, rinforzata sugli spigoli da bastioni, è preceduta da un possente rivellino isolato. Al centro del nucleo storico sorge la Cattedrale, intitolata a S. Agata, protettrice di Gallipoli. Fu iniziata nel 1629 su progetto dell'architetto gallipolino C. Bernardino Genuino e ultimata solo nel 1696. Al Barocco leccese si richiamano sia la parte superiore della facciata, sia l'interno a croce latina, scandito da un colonnato con fregio a mètope e triglifi di sapore ancora rinascimentale; le ricchissime tele sono di pittori gallipolini (come Giovanni Andrea Coppola) e napoletani (come Nicola Malinconico). La settecentesca chiesa di S. Francesco d'Assisi, dalla caratteristica facciata concava, custodisce il Crocifisso barocco ligneo Misma, noto come il "Malladrone" e ricordato da Gabriele D'Annunzio come "l'orrida bellezza".
Esempi di architettura civile gallipolina sono il cinquecentesco Palazzo Granafei e il settecentesco Palazzo Tafuri, con portale e finestre racchiuse entro cornici rococò. Il Museo civico raccoglie materiali eterogenei: monete, ceramiche, ma anche una ricca collezione di dipinti di Giovanni Andrea Coppola.

Gravina in Puglia

(41.436 ab.) Centro in provincia di Bari. Come indica il nome stesso, il carattere distintivo della cittadina è che gran parte delle abitazioni sono state scavate nella roccia di una gravina. Alle origini dell'abitato ci fu un villaggio (Silvium) fondato - alla luce dei più recenti scavi - nel VII secolo a.C. dai peucèti e coinvolto dapprima nelle lotte contro l'espansionismo di Taranto, poi contro Roma. La scelta di far passare da qui la via Appia rappresentò la fortuna di Silvium, che ebbe la cittadinanza romana, fortuna che declinò con l'apertura della via Traiana. In seguito alle incursioni barbariche del V secolo gli abitanti si rifugiarono nelle grotte, ritornando sul soprastante pianoro solo a fine IX secolo, quando i Bizantini fecero del luogo una piazzaforte contro Arabi e Longobardi. Assediata e devastata dai Saraceni, Gravina in Puglia ebbe sotto i Normanni la Cattedrale, e con Federico II un castello di caccia. Poi fu una continua successione di famiglie feudatarie, tra cui spiccano, per longevità di potere, gli Orsini (qui nacque Pietro Francesco Orsini, diventato papa col nome di Benedetto XIII). La presenza degli Orsini si ravvisa nella Cattedrale, della quale la famiglia commissionò la ricostruzione e le successive trasformazioni, culminate nelle aggiunte barocche. Sebbene di origini normanne (fine XI sec.), oggi la Cattedrale presenta nella facciata la fisionomia conferitale da maestranze provenienti dalla Dalmazia, che operarono un'abile fusione tra elementi romanico-gotici e rinascimentali. L'intervento degli Orsini si ebbe anche nella chiesa del Purgatorio, voluta dalla famiglia come propria cappella funeraria. Costruita a metà Seicento, la chiesa è tra i numerosi edifici religiosi che in Puglia, ma anche in Calabria e Sicilia, sono legati al culto dei defunti; lo ricordano gli scheletri che affollano il timpano del portale. Gli orsi che compaiono ai lati dell'ingresso ricordano il nome della famiglia mecenate. Altre interessantissime chiese cittadine sono: la bizantina chiesa di S. Michele; la chiesa della Madonna delle Grazie (1612) dalla singolarissima facciata modellata a stemma araldico di monsignor Da Chio e raffigurante un'aquila ad ali spiegate; le chiesette rupestri di S. Maria degli Angeli (secoli VIII-IX) e della Madonna della Stella, che sorgono sui fianchi della gravina.
Del Castello voluto da Federico II resta un ambiente dalle eleganti finestre gotiche, probabilmente eseguite dalle stesse maestranze attive a Castel del Monte.
Il Museo "Pomàrici Santomasi" possiede una ricca collezione archeologica (crateri a figure nere e rosse, corredi tombali e monete del IV secolo a.C.), dipinti sei-settecenteschi e la ricostruzione della chiesa di S. Sisto Vecchio, con affreschi bizantineggianti del XIII secolo.

Grottaglie

(32.332 ab.). Cittadina in provincia di Taranto, situata sul ciglio di un gradone murgiano digradante verso il Mar Piccolo. Il toponimo ricorda le numerose e belle grotte - le "grottaglie" appunto - che si aprono nelle gravine attorno all'abitato. La fama della città è legata alla produzione di ceramiche artistiche, attività favorita dall'abbondanza di argilla del territorio. Iniziata in età greca - o addirittura in epoca anteriore - la manifattura della ceramica ebbe particolare sviluppo nei secoli XV e XVI, quando i vasi raggiungevano i mercati turchi e austriaci; nel Settecento il settore contava 42 botteghe e oltre 5.000 addetti. L'abitato di Grottaglie trae origine dal nucleo di fuggitivi che dai vicini casali ripararono nelle grotte nel 960, a causa delle invasioni saracene; successivamente furono i monaci basiliani a risiedervi fino alla fondazione del centro urbano, databile al 1297. Feudo arcivescovile, Grottaglie fu conteso dal feudo di Martina Franca; tale controversia portò all'instaurazione di una duplice baronia, laica ed ecclesiastica, fonte di scontento da parte della popolazione che si sentiva doppiamente oppressa dal potere locale.
L'emergenza storica più significativa di Grottaglie è il quartiere delle ceramiche, detto nel dialetto locale "Camenn'ri" (camini) e caratterizzato da cumuli di anfore e giare che vengono accatastate secondo usi risalenti al XVI secolo; oltre ai laterizi e ai mattoni si producono oggetti dalle caratteristiche fogge "a galletto" o "a stella", che ritornano sia sui piccoli boccali sia sui cosiddetti "capasoni", grandi contenitori per la conservazione del vino di cui Grottaglie è produttrice. Presso l'Istituto d'Arte per la Ceramica, attivo sia nella formazione di maestranze, sia nello studio di nuove tecniche, si conserva una collezione di pezzi storici di realizzazione locale.
Nel centro dell'abitato, sulla sommità di una delle gravine, si innalza il poderoso Castello, simbolo del dominio vescovile e sede del Museo della Ceramica. Eretto nel XIV secolo su una costruzione duecentesca e rimaneggiato fino al Settecento, il Castello si presenta con una torre maestra merlata e da un'altra più piccola pure merlata, e con il piano terra scavato direttamente nel tufo. Il principale edificio storico religioso della città è la chiesa Madre, di fondazione romanica e rimaneggiata nei secoli successivi, con facciata risalente al 1379; all'interno, il barocco Cappellone di S. Ciro o del Rosario, voluto da S. Francesco de Geronimo, originario di Grottaglie. Alle spalle di questo luogo di culto si trova il barocco convento di S. Francesco da Paola, con un bellissimo chiostro affrescato. Nella chiesa del Carmine, parte dell'omonimo convento risalente al Cinquecento, si conserva un presepe del 1530 opera di Stefano da Putignano.

Lucera

(35.849 ab.). Centro in provincia di Foggia. Di economia agricola, commerciale e industriale, la cittadina è posta sulla sommità di un colle che domina la pianura di Foggia. Di antichissime origini - come dimostrano alcuni ritrovamenti archeologici -, Lucera fu municipium in epoca romana; alleata di Roma nelle guerre sannitiche, rimase fedele a questa contro Annibale. In età augustea ebbe le terme e l'anfiteatro, di cui restano notevoli tracce. Città strategica per Bizantini e Longobardi grazie alla sua posizione, fu distrutta nel VII secolo d.C. da Costante II; risorse sotto Federico II che vi costruì un maestoso castello, sul quale Carlo I d'Angiò edificò un altro fortilizio. L'imperatore svevo considerò Lucera come sua residenza previlegiata e vi stabilì la sede di una colonia militare di Saraceni di Sicilia, la propria guardia del corpo; la colonia saracena qui eresse moschee ed edifici dallo stile caratteristico (1233). Caduta la dinastia degli Svevi la città passò a Carlo I d'Angiò; ma i Saraceni si ribellarono in favore di Corradino (1267). Dopo alcuni mesi di lotta, la città dovette capitolare e Carlo I fece strage dei ribelli, sostituendoli con provenzali. Ma tra Saraceni e provenzali si ingaggiarono aspri scontri, fomentati dal dissidio religioso, finché, nel 1300, Carlo I fece massacrare tutti i Saraceni che non vollero rinunciare alla loro religione. Con la distruzione della colonia musulmana crebbero le opere difensive e Lucera divenne capoluogo del territorio della Capitanata e del Molise, posizione mantenuta sino ai primi del XIX secolo, come è ampiamente documentato dagli edifici del centro storico.
Pesantemente restaurato negli anni trenta del XX secolo, l'anfiteatro romano fu costruito utilizzando una depressione naturale a Est dell'abitato attuale. Il centro storico della città, cui si accede attraverso le antiche porte, presenta un tessuto urbanistico ed edilizio per nulla rimaneggiato e, quindi, di suggestivo fascino. Al centro sorge il Duomo, un severo edificio del XIV secolo in stile gotico, costruito per volere di Carlo II d'Angiò sulla moschea musulmana. A differenza delle cattedrali pugliesi, la Cattedrale di Lucera presenta una facciata in mattoni alquanto povera di decorazioni scultoree; inoltre essa non è simmetrica: a destra del corpo centrale (su cui troneggia il rosone) si erge il campanile a torre, sovrastato da un tamburo ottagonale che ricorda il profilo di Castel del Monte; sul lato sinistro si apre una grande monofora. Nell'interno a croce latina si possono ammirare pregevoli opere: l'altare maggiore, costituito da una tavola marmorea (la mensa di Federico II a Castel Fiorentino) di gusto tipicamente romanico; la statua trecentesca della Madonna col Bambino; una tavola (Madonna tra i Ss. Nicola e Giovanni evangelista).
Il Castello di Lucera occupa un'altura - sito dell'acropoli della città romana - in parte rimboschita in parte 'mangiata' dalle cave di argilla. Il fortilizio, di forma pentagonale, fu fatto costruire da Carlo I d'Angiò; tra le torri che la muniscono, due sono di forma circolare: la torre della Leonessa, di imponenti dimensioni, ha il basamento a bugnato. Le mura racchiudono i resti del Palazzo di Federico II, un castello a "donjo" (torre su scarpata); questo magnifico edificio ci è noto solo attraverso alcuni disegni del Settecento, quando fu definitivamente smantellato per recuperare materiali utili alla costruzione della sede del tribunale a Lucera. Il Palazzo di Giustizia è una delle architetture frutto della settecentesca risistemazione urbanistica dell'abitato. Allestito nel Palazzo Nicastri, il Museo civico "Giuseppe Fiorelli" illustra la storia di Lucera in età romana e medievale. Tra i reperti archeologici si segnalano il mosaico pavimentale del I secolo e le monete, spesso esemplari assai rari, coniate durante l'impero. Il vasellame duecentesco attesta le importazioni dall'Oriente compiute dai Saraceni; il salotto Cavalli è un interessante documento di arredo settecentesco.

Manduria

(31.502 ab.). Centro in provincia di Taranto. Produzione di olio e vino. Di matrice messàpica, in età ellenistica fu strenua avversaria di Taranto. Ancora oggi la sua identità salentina è riconoscibile nel dialetto locale ed anche nella specifica interpretazione dello stile barocco. Il sito dove sorge la città fu abitato sin dalla preistoria, come documentano i resti di un villaggio neolitico. Durante la sua resistenza contro Taranto riuscì a respingere l'assedio di Archidamo re di Sparta che, chiamato in soccorso dai tarantini, morì nella battaglia del 338 a.C. Fu conquistata da Annibale nel 212 a.C. e poi da Quinto Fabio Massimo, che si impadronì di un ricco bottino. Distrutta da Totila nel 541 d.C., la città rinacque nel 1090 con Ruggero I d'Altavilla, che la chiamò Casalnuovo, nome che conservò fino al 1789, quando Ferdinando I di Borbone le restituì quello più antico di Manduria.
La città possiede tre siti che sono stati compresi in un Parco archeologico per sottolinearne il valore storico-archeologico. Il primo dei tre siti è costituito dalle poderose mura messàpiche, definite dal Galateo, nel XVI secolo, "le più belle e le più maestose" della Puglia. Sono riconoscibili tre cerchie: quella più interna e antica (V sec. a.C.) forma un pentagono irregolare ed è costruita con grossi massi poligonali; quella mediana, di circa un secolo più tarda, è più alta e costituita da blocchi regolari; la più esterna e recente, di forma ovale, è composta da due cortine riempite con terra e pietrisco in modo da formare un terrapieno. Attorno alle mura, servite da strade tuttora riconoscibili, sono state rinvenute diverse necropoli, i cui reperti sono in parte conservati nella locale Biblioteca. Il secondo sito del Parco archeologico è il Fonte pliniano, di epoca romana, citato da Plinio il Vecchio nella "Naturalis Historia". è una caverna sotterranea (in epoca protostorica adibita a luogo di culto), in parte artificiale e accessibile per una monumentale scalinata scavata nella pietra; al centro vi è una vasca rotonda dove si riversa una sorgente perenne, un tempo ritenuta curativa; sul lucernario dal quale il fonte prende luce è piantato il mandorlo sacro, simbolo civico. Il terzo sito è il complesso di S. Pietro Mandurino: lo compongono una chiesetta, collegata a un ipogeo basilicale affrescato (VIII-X secolo) e ad un ambiente quadrangolare ritenuto una tomba di età ellenistica (III a.C.).
Sulla piazza principale della moderna Manduria sorge l'imponente Palazzo Imperiali, tardo-barocco, eretto su disegno di Mauro Manieri; l'edificio presenta una balconata che attraversa l'intera facciata con una mirabile ringhiera in ferro battuto e un grandioso portale.

Manfredonia

(58.580 ab.). Città in provincia di Foggia, situata nella parte più interna dell'omonimo golfo, alle pendici meridionali del Gargano. Mercato agricolo; attiva la pesca. A Nord della città sorge un impianto petrolchimico. La città prende il nome da Manfredi, re di Sicilia, che ne iniziò la costruzione, a metà del Duecento, per trasferirvi gli abitanti di Siponto. Florida sino a tutto il Quattrocento, Manfredonia risentì poi pesantemente dell'isolamento rispetto all'entroterra foggiano, al quale la ricollegarono, nel XIX secolo, l'inizio dei piani di bonifica e l'apertura della ferrovia.
Il Castello, iniziato da Manfredi nel 1256 con impianto quadrilatero e quattro torri angolari, fu completato sotto gli Angioini da Pierre d'Angicourt; nel Cinquecento fu aggiunto un baluardo pentagonale, più adatto a resistere alle armi da fuoco. Adibito sotto i Borbone a carcere, è oggi sede del Museo Nazionale del Gargano, che raccoglie il prezioso materiale delle civiltà protostoriche della Dàunia. I più antichi reperti risalgono al IV millennio a.C.; eccezionali sono i frammenti di vasi micenei che attestano commerci con l'Oriente già nel II millennio a.C. Pressoché unica è la collezione di stele dàunie (VII-VI secolo a.C.), oltre 1500 pezzi tutt'oggi oggetto di studi interpretativi da parte degli studiosi.
La Cattedrale, edificata nel 1680 dopo la distruzione, ad opera dei turchi, della precedente chiesa gotica, è un significativo esempio del Barocco locale.

Martina Franca

(45.307 ab.). Città in provincia di Taranto, situata sulle ultime pendici meridionali delle Murge, in mezzo alla valle d'Itria. Vasti vigneti e oliveti; produzione casearia e laniera. Nelle vicinanze della città vi è il Centro per la Conservazione del Patrimonio genetico dell'Asino di Martina Franca, una delle poche razze autoctone in Italia. Martina Franca ospita il prestigioso Festival della Valle d'Itria.
Nel Trecento l'antico villaggio di San Martino venne ampliato e fortificato per volere di Filippo I d'Angiò principe di Taranto, il quale gli concesse speciali franchigie, donde appunto il nome di "Franca". L'area su cui sorse il borgo era frequentata sin dal Neolitico e fu poco influenzata dalla magnogreca Taranto. Verso la fine del XV secolo Ferdinando d'Aragona concesse il governo della città al ricco ceto dei possidenti terrieri; attorno alle floride masserie si formarono alcuni ordini sociali privilegiati, come gli "agrari" e gli "artieri". Nel Cinquecento la città fu ducato dei Caracciolo; nel secolo successivo le esose richieste del duca Francesco I causarono dapprima forti contrasti e poi violente sommosse. Il suo successore, Petracone V dette il via, con la costruzione del proprio palazzo, al rinnovamento urbano settecentesco, che tutt'oggi caratterizza il centro storico. La demolizione delle mura trecentesche permise, nella seconda metà del XIX secolo, l'espansione di Martina Franca, che nel secondo dopoguerra è diventata disordinata e caotica.
Eretto sul trecentesco castello degli Orsini, il maestoso Palazzo Ducale, oggi sede del municipio, fu voluto da Petracone V Caracciolo nella seconda metà del Seicento; la sua architettura evidenzia la commistione tra modelli tipici dell'arte dei maestri locali e di stilemi propri del vicino Salento. Nella facciata, l'arco d'ingresso è impreziosito da bassorilievi; all'interno, affreschi di Domenico Carella, con scene bibliche, mitologiche e arcadiche.
Risalente alla seconda metà del Settecento è la chiesa di S. Martino, uno dei migliori esempi di Barocco martinese sia nella slanciata facciata, sia nel bellissimo altare maggiore. Il campanile appartiene invece alla precedente costruzione romanico-gotica. Il nucleo storico rivela appieno il suo carattere barocco anche in altri edifici settecenteschi, come il Palazzo della Corte e la Torre civica, i Palazzi Motolese e Grassi, con portali riccamente decorati, o la chiesa di S. Domenico (1760), dalla facciata raffinata e riccamente ornata.
Un angolo caratteristico del centro storico di Martina Franca, che ospita il Festival della Valle d'Itria, è costituito da un dedalo di viuzze, nel quale l'impronta barocca domina nelle piccole corti, con le basse case dipinte a calce ("inchiostra"), come nelle residenze gentilizie.

Massafra

(31.067 ab.). Centro in provincia di Taranto. Situato in posizione dominante su una piana ad agrumeti e uliveti, l'abitato è diviso in due dalla gravina di S. Marco; solo un antico ponte congiunge la parte nuova, il borgo S. Caterina, a quella più antica, chiamata Terra. Già abitata nel Neolitico, l'area fu poi probabilmente colonizzata dai messàpi; sembra anche sia stata punto di sosta di Annibale. Nella gravina di San Marco vi sono grotte (laure) un tempo abitate da pastori e contadini e, dal IX al XIII secolo, occupate da monaci basiliani che ne fecero luoghi di preghiera e di lavoro; per tale ricchezza di testimonianze della civiltà rupestre, Massafra è detta la "Tebaide d'Italia".
Sul versante orientale della gravina di S. Marco si apre il gruppo di grotte che compone la laura-cenobio di S. Marina, martire di Antiochia assai venerata dai Bizantini; vi si trovano la cripta di S. Marina, di pianta basilicale e probabilmente precedente al Mille, con altari e affreschi piuttosto deteriorati che rappresentano la santa, e la Casa dell'Igumeno, scavata in alto e dominante il panorama come una roccaforte: a questo luogo è legato il leggendario processo intentato per stregoneria a Margherita, figlia del mago Greguro, dotto botanico greco esperto in pozioni che operava nell'omonima farmacia del villaggio trogloditico. Di notevole bellezza sono anche la chiesa-cripta di S. Marco, la cripta di S. Leonardo (XIII-XIV sec.), dai numerosi e bellissimi affreschi, e il complesso di grotte della Candelora, pregevolissimo esempio di architettura rupestre medievale, riproducente in miniatura la struttura delle chiese a cupole presenti a Costantinopoli nell'XI secolo. La cripta di S. Antonio Abate, del X-XI secolo e ampliata nel XIV, è ricoperta di affreschi ritenuti fra i più antichi della zona.
Sulla gravina di S. Marco domina il severo e maestoso castello, un quadrilatero munito di torri angolari, di fondazione medievale e ristrutturato nel XVI secolo dai Pappacoda, feudatari locali. Dal sagrato del santuario della Madonna della Scala (sorto nel 1731 nello stesso luogo dove fu rinvenuta la leggendaria icona medievale della Madonna col Bambino, detta Madonna della Cerva, che tuttora vi si conserva) si accede al villaggio trogloditico, un complesso unico costituito da centinaia di grotte scavate nei fianchi del burrone; qui si trova anche la farmacia del Mago Greguro, complesso di celle intercomunicanti con una serie di nicchie in cui venivano conservate le erbe medicinali.

Mesagne

(29.081 ab.). Centro in provincia di Brindisi, situato al limitare della piana messàpica. Il toponimo deriva proprio dal messàpico Mesania ("città di mezzo", trasformatosi in età romana in Medianea), in quanto borgo sorto appunto in posizione strategica a metà dell'antico percorso òria-Brindisi. Le quattro necropoli rinvenute testimoniano le origini messapiche di Mesagne, risalenti al IV secolo a.C.; ai messapi seguirono i Romani e poi i Bizantini (il rito greco si conservò qui sino al Cinquecento). La città subì le scorrerie saracene e, nell'XI secolo fu conquistata dai Normanni. Completamente distrutta dagli Svevi nel 1256, venne ricostruita dagli Angioini. Il nucleo antico offre monumenti significativi, come la chiesa Matrice, dalla facciata affollata di statue; eretta nel periodo bizantino (X sec.) e riedificata dagli Angioini nel 1322, fu nuovamente ricostruita nel 1653. Di particolare rilevanza è l'imponente Castello Granafei, originariamente voluto da Roberto I il Guiscardo (1062) e, dopo la distruzione saracena, ricostruito da Manfredi (1256); ristrutturato intorno al 1430, fu trasformato in dimora baronale nel Seicento: della struttura originaria resta un torrione a pianta quadrata, mentre l'elegante loggia è rinascimentale.

Minervino Murge

(10.160 ab.). Centro in provincia di Barletta-Andria-Trani. Immerso nel tipico paesaggio delle Murge, sorge in splendida posizione panoramica: arroccato sul fianco di un colle, viene chiamato "balcone della Puglia". Secondo la tradizione deriva la prima parte del nome da un tempio di Minerva su cui sorse l'abitato. Il Duomo (XI secolo, ricostruito nel XVI) testimonia dei sei secoli in cui il paese fu sede vescovile. Curioso il faro (1932) eretto in memoria dei caduti: dall'alto dei suoi 32 metri domina le Murge e la valle dell'òfanto.

Molfetta

(66.668 ab.). Città in provincia di Bari, sulla costa adriatica. è uno dei più attivi porti da pesca della Puglia settentrionale. Nei cantieri navali si producono ancora tradizionali imbarcazioni in legno di media stazza. Attività agricola (olive, mandorle, uva, prodotti ortofrutticoli). Industrie metallurgiche, del cemento, enologiche, delle paste alimentari, olearie, dei laterizi.
Il sito fu abitato sin dalla preistoria, come documentano i ritrovamenti d'età neolitica effettuati nel pulo di Molfetta, una delle più significative doline della Puglia centrale (lunga 170 m, larga 130, profonda 35 m). Il borgo, il cui nome era Melphicta, assorbì progressivamente gli abitanti dei 24 casali sparsi nei dintorni, divenendo già nell'XI secolo sede vescovile. La città conobbe le dominazioni longobarda, bizantina, normanna, sveva, angioina, aragonese. Lo sviluppo di Molfetta fu in gran parte determinato dalla fervida attività portuale, cui corrispose una crescita quasi interrotta dell'abitato. Il porto fu punto di traffici mercantili con le Repubbliche marinare di Venezia e Amalfi, con la Grecia e la Dalmazia (il primo accordo con Ragusa, ora Dubrovnik, risale al 1148); di qui passò buona parte del traffico legato alle crociate in Terra Santa.
Il nucleo antico, anche qui costruito su una piccola penisola, è dominato dal Romanico Duomo vecchio (XII sec.), dedicato al protettore della città S. Corrado, nobile di Baviera che dopo una gioventù di guerriero alle Crociate si ritirò in eremitaggio in una grotta in Terra di Bari. Questo edificio presenta una fisionomia pressoché integra, non avendo subito le usuali manipolazioni barocche grazie al passaggio, a fine Settecento, del titolo di chiesa madre alla vicina Cattedrale. Lo schema costruttivo del Duomo vecchio ricalca quello dei complessi conventuali benedettine della zona, già ampiamente in uso dall'XI secolo: esso consta di tre cupole di diversa dimensione, rivestite all'esterno con strutture piramidali, e di navate laterali con copertura a semibotte. La costruzione dovette avere diverse fasi di esecuzione, come dimostrano le due torri campanarie (unico esempio giunto integro fino ad oggi) e l'accenno delle arcate laterali cieche, che ricordano la basilica di S. Nicola a Bari. L'attuale facciata, tipica del Romanico pugliese, fu pensata in modo che la chiesa fosse ben visibile dal mare, ma in origine un lato della chiesa costituiva la facciata, rivolta al nucleo storico. Aggiunte quattrocentesche al Duomo sono le cappelle a ridosso dell'edificio e il coro, di cui restano due soli frammenti.
La Cattedrale di Molfetta, costruita nel Settecento, offre esempi dello stile barocco leccese; custodisce inoltre un'Assunta di Corrado Giaquinto.
L'ottocentesco Santuario della Madonna dei Martiri, eretto laddove sorgeva l'ospedale dove venivano curati i reduci dalle crociate, nasconde addirittura origini normanne (XII sec.); antica è l'icona di stile bizantino della Madonna Glikophylousa, che si vuole portata dall'Oriente dagli stessi Crociati.

Monopoli

(48.581 ab.). Centro in provincia di Bari; porto sul mar Adriatico. Di antica origine àpula, in epoca medievale fu probabilmente abitato dagli esuli della distrutta Egnazia. Fiorente città marinara in età bizantina e normanna, fu depredata a più riprese dai pirati. Sede vescovile dall'XII secolo, fu occupata dai veneziani e quindi conquistata dagli Aragonesi, che edificarono il castello, imponente struttura poligonale inglobante alcune preesistenze, come la chiesa di S. Nicola de Pinna, parte di un cenobio basiliano e una torre difensiva, che risalirebbe nelle strutture originarie all'età romana. Un ulteriore impulso edilizio si ebbe in età barocca con la costruzione di residenze patrizie (spicca il Palazzo Palmieri) e il rifacimento della Cattedrale, fondata all'inizio del XII secolo, uno degli esempi più significativi del Barocco in Terra di Bari; a Palma il Giovane e a Francesco De Mura si devono i dipinti dell'interno, dove spicca anche l'icona bizantina della Madonna della Madia, databile intorno al 1280 e venuta, secondo la leggenda, dal mare su una catasta di tronchi poi usati per fare le capriate della copertura.

Monte Sant'Angelo

(17.071 ab.). Centro in provincia di Foggia. Sorge su uno sperone roccioso del Gargano, in suggestivo affaccio sul Golfo di Manfredonia. Dal VI secolo è meta di pellegrinaggi per la cristianità, che vi accorse in massa soprattutto all'epoca delle crociate in Terra Santa: secondo la leggenda, nel 490, 492 e 493 (anni di dominazione longobarda) l'arcangelo Michele apparve in una grotta, sulla quale fu poi eretto il Santuario di S. Michele. Nel secondo Duecento Carlo I d'Angiò volle l'edificazione della navata a tre campate che, insieme alla grotta dell'apparizione, costituisce l'interno del santuario. Coevo è il campanile di forma ottagonale, che ricorda le torri di Castel del Monte. Nei battenti in bronzo del portale, fusi a Costantinopoli nel 1076, sono raffigurate 24 scene del Vecchio e del Nuovo Testamento e l'Apparizione dell'arcangelo a Lorenzo Maiorano.
Sul punto più elevato della città sorge il castello, edificio composito e gigantesco, munito di torri di forma ed epoche diverse: eretto dai Normanni (ai quali è da riferire la torre dei Giganti, a pianta pentagonale), il castello fu ampliato da Svevi, Aragonesi e Borbone. La più significativa testimonianza storico-artistica della città è però la Tomba di Rotari, in realtà un battistero del XII secolo, il cui nome deriverebbe dalla copertura a cupola ("tumba"); dal portale impreziosito da rilievi si accede all'interno, con pilastri dagli elaborati capitelli. La vicina S. Maria Maggiore (secoli XI-XIII) richiama, nelle arcature cieche e nel coronamento ad archetti della facciata, la chiesa di S. Maria di Siponto; anche qui l'interno presenta pilastri dai capitelli istoriati.
A circa dieci km da Monte Sant'Angelo si trovano i ruderi dell'abbazia di S. Maria di Pulsano, fondata nel VI secolo, in un ambiente naturale ricco di fenomeni carsici e di grotte naturali (già antichi rifugi di eremitaggio); non è inusuale poter osservare qui falchi e corvi reali.

òria

(15.427 ab.). Cittadina in provincia di Brindisi. Secondo lo storico Erodono fu fondata nel 1214 a.C. da coloni cretesi approdati a causa di una tempesta sulla costa dell'antica Japigia. Da allora Hyria crebbe sino a diventare il vero capoluogo della Messapia e dimora di re japigi. Fu municipium romano, caro a Cicerone; S. Pietro vi predicò undici anni dopo la morte di Cristo - così almeno è riportato su una lamina di rame trovata nella chiesa di S. Domenico. All'epoca longobarda risale invece la leggenda delle spoglie di S. Barsanofio, rinvenute qui miracolosamente. Le reliquie del santo protettore della città sono custodite dall'878 nella cripta inglobata dalla chiesa di S. Francesco, eretta nel XVI secolo su un luogo di culto trecentesco. Forte fu il segno lasciato su òria da Federico II, che la ebbe cara e che vi fece costruire il castello sull'altura dell'acropoli romana, mentre l'insediamento di una comunità ebraica vi favorì lo sviluppo dei campi letterario e scientifico. Passata in seguito agli Angioini e agli Aragonesi, nel Cinquecento fu feudo della famiglia Borromeo che la vendette agli Imperiale.
Il castello, che domina l'abitato, fu commissionato espressamente, nel 1227, da Federico II, come "punta" del solido triangolo difensivo impostato sulle salentine Gallipoli e òtranto. A pianta triangolare, il castello ha parte delle mura coronate da merli e presenta su un lato tre torrioni: una più antica torre quadrata, le angioine torre del Cavaliere e torre del Salto, di forma circolare. Un altro torrione quadrangolare, detto dello Sperone, è situato al vertice. In un angolo del cortile interno si trova la chiesa dei Ss. Crisante e Daria, risalente al IX secolo, forse la prima Cattedrale della cittadina.

Ostuni

(32.810 ab.). Centro agricolo in provincia di Brindisi. Sorge su tre colli posti alle ultime propaggini delle Murge ed è parte del Comprensorio dei Trulli e delle Grotte per la presenza di trulli nella campagna circostante. è detta la "bianca", perché bianche sono tutte le case del suggestivo borgo medievale, un dedalo di vie che ricorda una casbah araba. A sette chilometri, sulla costa, si è sviluppata Marina di Ostuni, polo turistico-balneare della "città bianca". Incerta l'origine del nome, forse derivante dal greco astu neon ("città nuova") o da hostium unio ("insieme di persone di diversa provenienza"). Città messàpica, fu conquistata dai Romani; decadde con il crollo dell'impero e fu saccheggiata da Totila nel 549, dai Longobardi e dai Saraceni. Nell'VIII secolo nel territorio confluirono monaci basiliani giunti dalla Siria e dall'Egitto. Nell'XI secolo i Normanni svilupparono la coltura dell'ulivo e i commerci; nel secolo successivo Ostuni passò alla contea di Lecce e nel Trecento al feudo del principe di Taranto. Ebbe dagli Angioini una cinta di mura, rinforzata dagli Aragonesi nel Cinquecento.
Il centro storico si sviluppa tutto in altezza, percorso da stradine e scalinate, sormontate da archi, che permettono di raggiungere la sommità del colle. Nel rione Spessito le case sono ricavate in antiche grotte. Tra le più belle della Puglia, la Cattedrale di Ostuni fu completata nel 1469-95; la facciata tardo-gotica è aperta da tre portali ogivali sormontati da bassorilievi, da un rosone centrale e da due rose. L'interno, rimaneggiato più volte fino stravolgere l'originaria architettura, ha pianta basilicale. Sulla piazza della Cattedrale si trova l'Archivio capitolare, con oltre 200 pergamene del XII secolo. Nella piazza Libertà affaccia il Palazzo municipale, ristrutturazione ottocentesca dell'ex convento trecentesco dei francescani (l'omonima chiesa è una delle più antiche di Ostuni), e vi svetta la "culonna", ovvero il settecentesco obelisco scolpito dedicato a S. Oronzo. Appartata è la chiesa dello Spirito Santo (XVII sec.): sulla facciata spicca un pregevole portale con lunetta scolpita a bassorilievi (XIII-XV sec.). Il Museo delle Civiltà preclassiche della Murgia meridionale è ospitato nel settecentesco monastero delle Carmelitane: il reperto più importante del Museo sono i resti di una donna gravida ritrovati nella grotta di S. Maria di Agnano e databili al Pleistocene. Fa parte del Museo anche la ex chiesa di S. Maria Maddalena, detta delle Monacelle, con la cupola ricoperta da piastrelle policrome, risalente a metà Settecento.

Otranto

(5.341 ab.). Cittadina in provincia di Lecce. Sorge sulla costa adriatica (canale d'Otranto), in una piccola insenatura, alla foce dell'Idro. Porto peschereccio. Mercato agricolo (olio, vini, frutta, ortaggi). Il nome Hydruntum deriva forse dal fiume Idro oppure da odronto ("altura"). Fondata forse dai cretesi, Otranto fu in seguito municipium romano. Nell'840 subì la prima, feroce distruzione ad opera dei turchi. Nel Medioevo fu uno dei più importanti centri bizantini, tanto che per lungo tempo si chiamò "Terra d'Otranto" sia il Salento che l'attuale provincia di Matera; nell'XI-XII secolo, sotto la dominazione normanna, si affermò come importante scalo per i traffici connessi alle crociate e per i commerci con veneziani, ebrei, dalmati e levantini. Nell'estate del 1480 Otranto fu posta sotto assedio dai turchi, che volevano conquistare un avamposto per muovere contro i cristiani; dopo una resistenza di 15 giorni, la città capitolò: 800 residenti, i famosi martiri idruntini, furono massacrati. La città fu ripresa dagli Aragonesi nel 1481 ma, nonostante la ricostruzione, dalla seconda metà del Seicento decadde sempre più, in parallelo alla crescita della "rivale" Lecce.
Il borgo antico, racchiuso dalle mura aragonesi e bianco per le sue case tinte di calce, si è mantenuto quasi integro. Nella cinta muraria, riedificata dagli Aragona dopo il 1481, spiccano la Torre Alfonsina e la mole del castello, edificio a pianta pentagonale con tre torri circolari poste agli angoli; nel Cinquecento venne aggiunto un poderoso bastione che si spinge fin quasi al porto.
Il più importante edificio storico-artistico di Otranto è la Cattedrale, fondata in età romanica e ricostruita dopo la devastazione turca. La facciata, a doppio spiovente, è priva di ornamenti, tranne che per il quattrocentesco rosone a trafori e la decorazione barocca sopra il portale. Il severo interno della Cattedrale, a pianta basilicale, è in buona parte ricoperto da un pavimento a mosaico, l'unico della Puglia quasi integralmente conservatosi. Realizzato dal 1163 al 1165 con tessere policrome in calcare duro, rappresenta una sintesi originalissima fra la tradizione culturale occidentale e quella orientale. Il mosaico raffigura un enorme albero della vita, sorretto da una coppia di elefanti e animato da una moltitudine di figure allegoriche. Oltre ad avere un chiaro significato cristiano di redenzione, il mosaico presenta per immagini tutto il sapere medievale, dal "Physiologus" al "Romanzo di Alessandro" e alla leggenda di re Artù. Da notare anche i 12 segni zodiacali (l'anno comincia con il Capricorno) e le date nel mosaico; la prima data - il 1163 - è vicina all'altare maggiore, la seconda è in prossimità dell'ingresso, ad indicare che il lavoro fu eseguito iniziando dal fondo della chiesa. Altri interessanti monumenti della Cattedrale sono la Cappella dei Martiri, di forma ottagonale, che conserva parte delle ossa degli 800 abitanti trucidati dai turchi, e la cripta (1088), a cinque navate spartite da una selva di 42 colonne in marmi diversi con capitelli di varie epoche e decorate con affreschi cinquecenteschi.
Importante istituzione cittadina è il Museo diocesano, volto alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico-artistico del Salento: notevoli la collezione lapidea (fonte battesimale quattrocentesco e il cinquecentesco Cristo morto in pietra leccese) e i frammenti del mosaico tardo-romano rinvenuto sotto il pavimento musivo della Cattedrale.

Peschici

(4.369 ab.). Centro in provincia di Foggia, posto su una rupe a picco sul mare Adriatico, nella parte Nord del Gargano. Stazione balneare. Il nucleo più antico, circondato da mura ancora leggibili, si pone in netto contrasto con l'espansione moderna, rivolta all'entroterra. Il nome del centro deriva dalle due parole slave pesek e cist ("sabbia pura"), derivate dalle popolazioni balcaniche che si insediarono qui nei secoli. Fondata probabilmente nell'XI secolo da soldati mandati nella zona per scacciare i Saraceni, Pèschici è legata storicamente all'abbazia benedettina di Calena sulle isole Trèmiti, di cui era possedimento. Il singolare fascino del centro storico è dato dall'intrico delle viuzze su cui prospettano le bianchissime case medievali, spesso coperte a cupola (lamie). Sull'estremità della rupe si trova il piccolo castello, della metà del XIII secolo, appartenuto all'abbazia di Calena. Alle spalle del porticciolo, nell'ampia piana di Calena si trovano i ruderi della chiesa di S. Maria, parte del complesso religioso edificato verso la fine del XII secolo e appartenuto alla stessa abbazia.

Putignano

(28.097 ab.). Centro agricolo e industriale in provincia di Bari. è famoso il suo carnevale, culminante in una sfilata di magnifici carri allegorici. Il borgo ha origini peucete, come dimostrano i consistenti ritrovamenti nel circondario; nel Medioevo, feudo dell'abbazia benedettina di S. Stefano di Monopoli, ebbe notevole sviluppo, come testimonia il bellissimo centro storico, dalle significative architetture: l'ex convento dei Carmelitani oggi sede del Municipio, costruito su un Castello federiciano; il Palazzo Romanazzi o del Balì, sede del Museo civico; la chiesa Madre dedicata a S. Pietro, risalente al XII secolo ma più volte rimaneggiata; la seicentesca chiesa della Madonna del Carmine e la chiesa di S. Maria la Greca, del XIV secolo (a tale secolo risale la splendida icona della Madonna) ma rimaneggiata in forme barocche. Poco distante dall'abitato si trova la grotta di Putignano, cavità naturale ricca di traslucide concrezioni alabastrine.

Ruvo di Puglia

(25.698 ab.). Cittadina in provincia di Bari, situata in posizione collinare. Di origine peucèta (VIII-VII sec. a.C.), fu in contatto con la Grecia, Taranto e gli etruschi. Municipium romano e stazione di sosta lungo la via Traiana, nel Medioevo Ruvo di Puglia fu dominata da Bizantini, Longobardi, Normanni, Svevi e quindi da vari feudatari; dopo la disfida di Barletta appartenne ai Galzarano de Requesend e poi, sino a inizi Ottocento, ai Carafa. Oggi la cittadina presenta una un'armoniosa contiguità tra il nucleo antico e il borgo ottocentesco, divisi da quattro viali alberati detti lo "stradone". Interessanti i palazzi cinquecenteschi del centro storico, costruiti in pietra dal colore caldo e bruno, e la torre dell'Orologio (1604); notevoli anche le chiese barocche di S. Angelo e di S. Domenico. La fama della cittadina è tuttavia legata alla splendida Cattedrale, esempio di sapiente fusione di elementi nordici gotici ed elementi romanici. Fondata nel XII secolo, ebbe nel tempo una serie di modifiche e rimaneggiamenti. La facciata, dagli pioventi assai inclinati, è aperta da tre portali e, in alto, da una bifora con soprastante rosone. Il portale centrale è chiuso da colonnine sostenute da leoni e terminanti in grifi alati; sugli archi, i simboli degli evangelisti e i 12 apostoli attorno alla figura centrale di Cristo. Al di sotto degli spioventi e sui fianchi della chiesa corre una serie di archetti pensili, impreziosita da teste umane e animali o da motivi vegetali. Sulla destra della chiesa, staccato e arretrato, svetta il campanile. L'interno, a tre navate su pilastri e altrettante absidi, presenta un ballatoio retto da mensole figurate, che funge da sostegno alle bifore e alle trifore del finto matroneo. Sotto la Cattedrale, un percorso ipogeo evidenzia resti romani, resti dell'antico edificio e sepolture antiche e medievali. A pochi metri dalla Cattedrale, sotto la chiesa del Purgatorio, è la grotta di S. Cleto, cisterna di terme romane del II secolo.
Il Museo Nazionale "Jatta" custodisce materiali provenenti dalle necropoli dell'abitato peucèta e da altri centri della Magna Grecia. Tra i reperti ceramici del Museo ve ne sono di produzione locale (secoli VII-III a.C.), come le anfore àpule con Antigone prigioniera di Creonte e Consegna delle armi ad Achille, e il cratere protoitaliota con Combattimento tra Ercole e Cicno. Vasi corinzi e vasi attici a figure nere e rosse documentano invece i rapporti della città peucèta con la Grecia: tra questi, il preziosissimo cratere attico (V sec. a.C.) che raffigura la Morte di Talos, custode dell'isola di Creta che sta per cadere sotto gli incantesimi di Medea. Notevoli anche i rythà, bicchieri a forma di testa umana o animale.

Santa Maria di Leuca, Capo

Estremità Sud-orientale della penisola salentina nel comune di Gagliano del Capo (Lecce). Si protende con il dirupato sperone della Punta Meliso sulle acque dove lo Jonio e l'Adriatico si mescolano. Faro. Il nome deriva dal greco leuké, "bianca". Famoso luogo di culto è il Santuario di S. Maria di Leuca, noto anche con il nome di santuario de Finibus Terrae, essendo costruito "a un estremo del mondo", in analogia con un similare luogo di culto in Bretagna. Secondo la leggenda fu S. Pietro a consacrare la chiesa, mentre è documentato storicamente la presenza di illustri visitatori, come S. Francesco e i papi Costantino e Giovanni Paolo II (quest'ultimo, nel 1990, ha elevato il luogo di culto al rango di basilica pontificia minore); distrutto dai turchi, il santuario venne ricostruito più volte, l'ultima nel 1722. Oggetto di venerazione è l'immagine della Madonna, copia di un dipinto di Palma il Giovane.
A poca distanza sorge Marina di Leuca, centro turistico collocato sull'estremità del tallone d'Italia. Protetto tra due punte, il luogo offre un clima mite fino a ottobre inoltrato. Alla fine del XIX secolo risalgono la scoperta del luogo di vacanze e l'inizio della costruzione delle ville che si allineano sul lungomare Colombo in stili assai diversi (moresco, pompeiano, gotico, liberty). Una miriade di barche di vario cabotaggio sono ancorate nel porticciolo. La costa attorno all'abitato è ricca di grotte, interessanti dal punto di vista sia naturalistico che storico; frequentate dall'uomo nella preistoria, furono anche luogo di rifugio di monaci basiliani nel Medioevo: la grotta Porcinara, ricca di iscrizioni greche e latine e di croci incise sulle pareti dai naviganti, fu frequentata già dall'VIII al II secolo a.C., come documentano reperti devozionali in onore del dio Batys (Giove), di Venere e di Fortuna; anche la vicina grotta del Diavolo, così detta perché in essa si udivano cupi rimbombi, sorgeva su un'area sacra. Sono da segnalare anche le grotte del Bambino (vi fu infatti trovato un molare appartenente a un essere umano preistorico di circa dieci anni d'età) e dei Giganti, il cui nome deriva dal rinvenimento di ossa e denti di pachidermi preistorici.

Troia

(7.602 ab.). Cittadina in provincia di Foggia. Sorge sulle prime alture del Subappennino e in affaccio sul Tavoliere, nella regione storica detta Capitanata. Centro àpulo con il nome di Aecae, dopo la conquista romana fu Colonia Augusta Apula, in posizione strategica lungo la via Traiana. Fortificata sotto i Bizantini, divenne importantissima sede vescovile nell'XI secolo, come testimoniano i vari concili ecumenici qui tenuti e il privilegio - ormai perduto - concessole dai papi per la sua posizione antifedericiana; per questo Federico II la rase al suolo nel 1229. Troia restò feudo religioso fino al XVIII secolo. Di questo passato è splendida testimonianza l'imponente Cattedrale, edificata tra la fine del XII secolo e l'inizio del seguente su una preesistente chiesa a croce greca. è un caso particolarissimo nella cultura architettonica del tempo in Puglia perché rappresenta un sintesi di arte romanica, bizantina e islamica. La facciata, realizzata in due tempi, ricorda nella parte inferiore la chiesa di S. Maria di Siponto; i bellissimi battenti in bronzo del portale raffigurano le Storie di Santi e Vescovi di Troia, opera duecentesca di Oderisio da Benevento; nella parte superiore della facciata si apre lo splendido rosone.

Vieste

(13.514 ab.). Centro agricolo e commerciale in provincia di Foggia, sulla costa orientale del Gargano. Industria conserviera. è il più rinomato centro turistico del Gargano. Forse identificata con l'antica Apeneste, la città è documentata in età romana. Il nucleo storico è arroccato sulla penisola di S. Francesco, che si protende sull'Adriatico. Il Castello svevo è attualmente utilizzata dalla Marina militare. La Cattedrale è uno degli esempi più significativi dell'arte pugliese dell'XI secolo. Recenti restauri hanno restituito l'aspetto originario all'interno a tre navate, dove i capitelli del colonnato sono scolpiti con motivi tratti dall'oreficeria altomedievale, di gusto bizantino e islamico. Nei pressi di questo luogo di culto si conserva la "chianca amara", pietra sulla quale un consistente numero di abitanti venne trucidato dal pirata turco Dragut intorno alla metà del Cinquecento.
Il Museo archeologico civico accoglie vari corredi funerari dalla vicina necropoli di S. Salvatore (IV-II secolo a.C.); il Museo malacologico custodisce una ricca raccolta di conchiglie provenienti da tutto il mondo.
La zona attorno a Vieste è ricca di suggestivi anfratti, significativi da un punto di vista naturalistico, ma anche per le testimonianze dell'uomo in essi conservate. Sull'isola del Faro di S. Eufemia vi è una grotta dove si conserva un'iscrizione di Orseolo II, doge veneziano che si impegnò in difesa di Bari e della Puglia intorno al Mille.