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Proverbi.

Libro canonico dell'Antico Testamento; primo tra i libri didattici, appartiene al genere letterario della poesia gnomica. Il titolo deriva dalla versione latina della Bibbia Liber proverbiorum; il titolo ebraico è Mishlē (che significa paragoni, similitudini, parabole). • Encicl. - I P. si aprono con un prologo (1,7-9) che, fungendo da prefazione al libro, invita alla lettura del medesimo. Vi appaiono, da un lato, la Sapienza personificata nell'atto di imbandire una mensa mistica, dall'altro la Follia, anch'essa personificata: l'una e l'altra cercano di attirare l'umanità ai propri piaceri. La veste letteraria caratteristica del prologo lo differenzia dal resto dell'opera: qui, infatti, le sentenze brevi che contraddistinguono il seguito lasciano il posto ad ampi e sinuosi periodi ben sviluppati (le strofe sono di circa 10 versi ciascuna). Dal punto di vista contenutistico e stilistico-formale si individuano generalmente nei P. otto sezioni. La prima sezione è costituita da sentenze sulla vita e i costumi. La seconda sezione comprende una raccolta di proverbi sugli obblighi verso il prossimo e le convenienze sociali. La terza sezione è molto simile alla precedente. La quarta sezione è costituita da sentenze con le medesime caratteristiche di quelle della prima sezione. La quinta sezione include massime di quattro stichi sulla sublimità di Dio e la moderazione dell'uomo. Nella sesta sezione si trovano p. anonimi di contenuto morale, caratterizzati dal parallelismo a numero ascendente. Le sentenze della settima sezione sono avvertenze sul vino, le donne e la giustizia. L'ottava sezione è un vero e proprio elogio della donna "virtuosa". Quanto al contenuto complessivo, dunque, la maggior parte dei P. ha carattere morale e religioso: si esorta alla carità (specialmente verso le vedove, gli orfani e i poveri), alla saggezza (quale premessa per ottenere i beni terreni), alla giustizia, alla religiosità. Ciò nondimeno, una parte non trascurabile dei P. ha un contenuto di tipo realistico e pratico che, esulando da preoccupazioni religiose, invita semplicemente a tenere una condotta proporzionata alla società in cui si vive. Le massime, così, insegnano anche a servirsi dell'intelligenza e del lavoro per procurarsi la ricchezza, a mantenere il controllo di sé, ad avere moderazione, a godere, purché con misura ed equilibrio, dei piaceri della vita; addirittura, sembra che debba essere lo stesso interesse personale a dettare la buona condotta. Presumibilmente, i P. si legano alla civiltà che fiorì nel Vicino Oriente e, soprattutto, alla letteratura sapienziale dell'antico Egitto, ricca di raccolte similari. Quanto agli autori, è probabile che i P. siano il frutto dell'esperienza concreta di individui qualificati: i cosiddetti saggi. Essi appartenevano a una categoria ben distinta, i cui componenti si ergevano a maestri e consideravano la propria occupazione superiore a qualsiasi altra, specie se manuale. Dunque, per quanto fondata sulla tradizionale e riconosciuta saggezza del re, l'attribuzione a Salomone risulta essere un semplice artificio letterario. In merito al tempo della composizione, il prologo è unanimemente considerato l'ultima parte del libro (l'epoca proposta dai più corrisponde al III sec. a.C.); quanto al resto dell'opera, in genere si ritiene che le sezioni più lunghe siano le più antiche; le più brevi, invece, le più recenti. Sembra indubbio, comunque, che la stesura del libro debba considerarsi conclusa intorno al III sec. a.C.