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Provenzale.

Della Provenza. • Ling. - Lingua p. o lingua d'oc: denominazione dell'antica lingua della Francia meridionale comprendente i dialetti della Provenza, della Linguadoca, della Guascogna, del Périgord, del Limosino e dell'Alvernia. La denominazione di lingua d'oc deriva dal particolare modo che il p. aveva per esprimere l'affermazione (dal latino hoc: questo), in contrapposizione a quella dell'antico francese, detto anche lingua d'oil. Appartenente al ceppo delle lingue neolatine, la lingua p. presenta le seguenti caratteristiche fonetiche: conservazione della a accentata in sillaba aperta; conservazione della a atona finale; conservazione del dittongo au e dei gruppi ca e ga; differente esito delle occlusive sorde p, c, t. • Lett. - I primi documenti letterari in lingua p. (detta anche limosina o occitanica) risalgono al X sec. Si tratta di opere di contenuto religioso-morale: poemi sulla Passione, su Boezio, su santa Fede di Agen, oltre a poesie dedicate alla Vergine e sermoni. Fu tuttavia nelle composizioni profane dei trovatori che il p. raggiunse i migliori risultati letterari, divenendo espressione della civiltà colta e raffinata delle corti dei grandi feudatari. Il primo poeta di lingua occitanica di cui si conservi memoria è il duca d'Aquitania Guglielmo IX (m. 1127) che, nelle sue composizioni, prefigurò quel concetto di amor cortese, rimasto poi alla base di tutta la letteratura p. Seguirono Marcabruno e Cercamon, con i quali si delineò la forma stilistica preferita dalla poesia p., ovvero la canzone, caratterizzata, per ragioni di natura musicale, da uno schema di rime inflessibile. Sempre con questi due poeti si manifestò la tendenza verso una poesia di tipo prezioso, ottenuta tramite una scrittura ermetica (trobar clus) o attraverso una mescolanza sorprendente di significati (trobar ric). Si ricordano ancora Pietro d'Alvernia, Rambaldo d'Orange, Giraldo di Borneil e Arnaldo Daniello, apprezzato anche da Dante e Petrarca, che lo celebrarono per le sue doti tecniche e di ispirazione. Forme tipiche della lirica p. furono, oltre la canzone, il discordo, la tenzone, il partimen e il sirventese; mentre sul versante della prosa il frutto più originale della letteratura p. fu la novella o romanzo di costumi, che grande successo ebbe anche al di fuori dell'area di origine. Rimangono inoltre versioni della Bibbia, vite di santi, sermoni religiosi, scritti di carattere scientifico e storico e alcune biografie di trovatori. La crisi della letteratura p., iniziata nel 1233 con l'apertura dei processi dell'Inquisizione affidati ai Domenicani e testimoniata dalle opere di autori come Arnaldo di Mareuil, Folchetto di Marsiglia, Guillem Montanhagol e Ricaut de Barbezieux, divenne totale con la dispersione dei trovatori operata durante la crociata contro gli Albigesi. Se tale diaspora portò alla fine della letteratura p. in senso stretto e a quella della grande civiltà di cui era stata espressione, essa tuttavia favorì la diffusione, in tutta Europa, di contenuti e modelli propri della lirica occitanica. Numerosi trovatori si rifugiarono in Italia, presso le corti del Monferrato, di Savoia, di Lunigiana, di Ferrara, di Verona, di Padova, ove ebbero modo di influenzare gli artisti locali. La lingua p. venne soppiantata dal francese letterario tramite un lungo processo, conclusosi definitivamente nel 1539, quando l'editto di Villers-Cotterêts impose il francese come lingua amministrativa della regione. Nel XIX sec. ci fu un tentativo, risultato fallimentare, di ridare vita al p. ad opera dal movimento felibrista di F. Mistral.