eXTReMe Tracker
Tweet

Proposizione.

(dal latino propositio: il mettere innanzi). Ciò che si dichiara, si afferma, si enuncia e la frase che esprime l'enunciato. ║ Ogni affermazione dotata di una certa autorità e spessore, di solito di carattere dottrinario, teologico, filosofico, ecc. • Gramm. - Unità di significato compiuto, formata essenzialmente da due elementi: soggetto e predicato. • Log. - In logica formale, espressione di un giudizio, formata da soggetto, predicato e copula. Viene detta semplice nel caso in cui essa esprima una sola affermazione o negazione; qualora invece sia composta da diverse p. semplici, è detta composta. • Mat. - Enunciazione di un problema o di un teorema e delle sue premesse. • Lett. - In retorica, una delle parti dell'orazione. ║ Parte iniziale di una composizione poetica in cui si enuncia la materia trattata e che, unitamente all'invocazione e alla dedica, costituisce il proemio o protasi. • Dir. - Soprattutto nella terminologia giuridica, l'atto di proporre, di porre innanzi; proposta, ciò che si propone. • Rel. - I pani della p.: espressione biblica, indicante i pani che gli Ebrei offrivano a Yahvé nel tempio ogni Sabato. • Filos. - Unità di significato cui spetta un valore di verità; tale nozione coincide con quella aristotelica di logos apophantikòs o protasis (termini tradotti dai Latini rispettivamente con enunciatio e propositio), ovvero di discorso che non solo risulta dotato di significato, ma che può anche essere vero o falso. Secondo tale definizione la p. è ciò che viene comunicato da un enunciato assertorio e si distingue da altri tipi di enunciato (comandi, esortazioni, preghiere, ecc.), privi di valore di verità. La concezione aristotelica, che ignorava la distinzione fra enunciato e p., caratterizzò tutta la filosofia antica e medioevale, con l'unica eccezione della logica stoica, che introdusse la nozione di lektòn (corrispondente al contenuto semantico di un enunciato dichiarativo). La distinzione, fra enunciato (unità sintattica composta da segni combinati secondo definite regole di formazione) e p. (contenuto semantico espresso da tale unità sintattica) comincia ad affacciarsi solo nell'Ottocento. Essa è presente in nuce nel pensiero di J.S. Mill e, in modo più esplicito, in quello di B. Bolzano, secondo cui le p. in sé sono entità astratte (di tipo platonico), del tutto indipendenti dal fatto che siano scoperte, pensate o enunciate. A. von Meinong definì, in maniera simile, ciò che, nella sua terminologia, chiama obiettivi, ovvero puri e astratti contenuti proposizionali, che l'atto del giudizio può riconoscere come veri o falsi. Un notevole impulso alla definizione del moderno concetto di p. fu dato da G. Frege, G.E. Moore e B. Russell: essi, intendendo la p. come un'entità astratta, corrispondente a ciò che viene pensato o affermato, contribuirono a rafforzare l'ontologia platonica propria della logica degli inizi del Novecento. Nella sua teoria del significato, Frege intese la p. (o pensiero) come contenuto semantico di un enunciato dichiarativo. Facenti parte di "un terzo regno", né fisico, né mentale, le p. sono puri contenuti proposizionali non asseriti, cioè non ancora giudicati veri o falsi. Qualora più persone credano o affermino la medesima cosa, ciò che viene creduto o affermato non è identificabile né con un puro contenuto mentale (di natura soggettiva), né con un enunciato (la stessa cosa può essere espressa da una molteplicità di enunciati); è quindi per garantire l'intersoggettività che bisogna ammettere le p. come entità neutre e oggettive. Inoltre, per Frege, così come per Meinong e Russell, solo delle p. si può dire che siano vere o false e tale carattere è indipendente dal fatto che esse vengano formulate o meno; le p. vere corrispondono ai fatti. Il carattere marcatamente realistico-platonico di tale teoria delle p. sollevava diverse aporie, in primo luogo quella di dover ammettere l'esistenza di p. false, necessarie per attribuire un significato anche agli enunciati falsi, ma cui non corrisponde alcun fatto. Per risolvere questo tipo di problemi Russell cercò di dare una spiegazione di tipo psicologista della p., intendendola come "immagine complessa" o rappresentazione soggettiva di un fatto possibile. Tuttavia, tale concezione si dimostrò a sua volta incapace di spiegare in maniera completa il problema fondamentale della comunicazione. R. Carnap e molti altri filosofi del linguaggio del Novecento (S. Kripke, J. Hintikka, D. Lewis) ricorsero a una definizione formale di p., in termini di possibili stati di cose che, se da un lato diede importanti contributi alla semantica formale della logica della modalità e all'analisi dei contesti di credenza, si rivelò scarsamente utile nell'ambito della teoria del significato dei linguaggi naturali. Fra i più interessanti contributi della logica contemporanea al problema, ricordiamo inoltre gli studi di W.V. Quine, che ha svolto un'attenta critica delle teorie platoniste, mentalistiche e formali della p., mettendo in luce come esse si basino sull'accettazione di entità scarsamente esplicative, in quanto non empiricamente determinabili. • Ling. - La p. è definibile come un'entità linguistica formata da un verbo, riferentesi a un soggetto (esplicito o implicito), talvolta completata da vari tipi di complementi o altre determinazioni. L'elemento fondamentale della p. risulta quindi essere il verbo, anche se solo in rari casi (formulazioni impersonali o di tipo imperativo) esso esaurisce da solo l'espressione. In sintassi, le p. sono distinte in esplicite e implicite, a seconda che il predicato sia di modo finito o non finito. Rispetto all'autonomia sintattica, si distinguono p. principali (o indipendenti o reggenti) e secondarie (o dipendenti o subordinate). Considerando il modo in cui sono legate fra loro nel periodo, le p. possono essere coordinate, se unite fra loro senza congiunzioni o da congiunzioni coordinanti (in italiano e,, o, ma, ecc.), o subordinate, nel caso siano unite alla reggente tramite pronomi, aggettivi, avverbi relativi, o congiunzioni subordinanti. Le p. subordinate, a seconda del senso che esprimono possono essere consecutive, concessive, temporali, finali, causali, condizionali, dichiarative, soggettive, oggettive, interrogative, dubitative.