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Proposizionale.

Che fa riferimento a proposizioni. • Log. - Atteggiamento p.: espressione con cui B. Russell, per primo, indicò ciò che viene espresso da proposizioni psicologiche del tipo "A crede (dubita, è convinto, teme, spera, ecc.) che...", ossia la disposizione psicologica verso il contenuto dell'enunciato che viene creduto, messo in dubbio, ecc. A questo genere di asserzioni non è possibile applicare l'analisi standard di tipo estensionale (cioè in termini di denotazione e valori di verità); conseguentemente, come mise in luce G. Frege in Logica e aritmetica (1892), non ha alcun valore neppure il principio della sostitutività dell'identità o legge di Leibniz (ad esempio, da "A non è convinto che sia stato Cicerone l'autore del De senectute" non segue che "A non è convinto che Tullio sia stato l'autore del De senectute", nonostante Cicerone e Tullio siano la medesima persona; ciò poiché dalla prima proposizione non è possibile attribuire ad A un'ulteriore credenza sull'identità di denotazione in questione). Di qui la necessità di una logica intensionale, che si occupi non solo di riferimenti e valori di verità, ma anche del contenuto di significato dei nomi e degli enunciati. I principali rappresentanti di questo nuovo indirizzo di analisi logica furono A. Church, R. Carnap, J. Hintikka, S. Kripke e R. Montague. Ciò nondimeno, altri illustri studiosi, come W.V.O. Quine, I. Scheffler e D. Davidson, hanno cercato di riportare le proposizioni che esprimono un atteggiamento p. nell'ambito della logica estensionale. Quine, in particolare, si pose quale problema basilare la definizione di identità intensionale o sinonimia, considerandola come premessa indispensabile alla soluzione dei problemi logici implicati dalle asserzioni suddette; dopo anni di studi, tuttavia, fu costretto a riconoscere l'impossibilità, sia teorica sia empirica, di tale definizione. Ultimo, ma non meno importante, fu l'approccio di F. Brentano, che ravvisò nell'atteggiamento p. un tipico fenomeno dell'intenzionalità, sottolineando altresì l'enorme divario esistente fra il discorso mentalistico e psicologico (intensionale) e quello scientifico (estensionale). ║ Calcolo p.: un nuovo linguaggio, detto artificiale, di cui si occupa una particolare branca della logica matematica. Lo scopo precipuo di tale linguaggio è quello di rappresentare la struttura delle proposizioni della lingua italiana considerandole come risultanti dalla combinazione di due elementi: le proposizioni più semplici, dette anche proposizioni atomiche, e i connettivi vero-funzionali. Le prime, raffigurate mediante lettere dell'alfabeto (come p, q, r), interessano esclusivamente dal punto di vista della loro verità o falsità, senza alcun riguardo per il contenuto da esse veicolato. Ciò consente la massima generalità del linguaggio, nonché l'applicabilità delle lettere a qualunque proposizione (in questo senso si comprende perché le lettere vengano paragonate alle variabili dell'algebra). Quanto ai connettivi, ovvero agli operatori per la formazione di proposizioni a partire da proposizioni date, si ricorre generalmente a cinque simboli. È possibile dimostrare che questi cinque simboli permettono di rappresentare tutti i possibili connettivi vero-funzionali; è anche possibile dimostrare che ne sarebbero sufficienti due, o addirittura uno solo. La scelta di cinque va interpretata come un tentativo di contemperare fra loro considerazioni di economia concettuale e semplicità applicativa. Quattro dei connettivi in questione sono binari, nel senso che uniscono due proposizioni in un'unica proposizione. Il primo connettivo si traduce con il simbolo ∩; il connettivo italiano cui ∩ si avvicina maggiormente è la congiunzione coordinativa e. Il secondo connettivo si traduce con il simbolo ∪; il connettivo italiano cui ∪ si avvicina maggiormente è la congiunzione disgiuntiva o. Il terzo connettivo si traduce con il simbolo ⊃; il connettivo italiano cui ⊃ si avvicina maggiormente è l'espressione se... allora. Il quarto connettivo si traduce con il simbolo ≡; il connettivo italiano cui ≡ si avvicina maggiormente è l'espressione se e solo se. L'ultimo connettivo è diverso dagli altri e, in un certo senso, non è neppure un connettivo: anziché connettere due proposizioni, infatti, si limita a modificarne una sola. Per semplicità viene denominato anch'esso connettivo, non binario tuttavia, ma unario. Si traduce con il simbolo ∼ e corrisponde in italiano a un avverbio di negazione, come ad esempio non. Dalle proposizioni semplici, unite fra loro mediante i connettivi vero-funzionali, hanno origine le proposizioni molecolari. Alla base del calcolo p. stanno le tautologie, cioè quelle proposizioni che sono vere qualunque siano i valori di verità dei loro costituenti: il che equivale a dire che sono vere in virtù della loro forma logica, della loro struttura in termini di connettivi logici. Dalle tautologie, ricorrendo alle regole di deduzione, si ricavano i teoremi, ovvero le proposizioni derivate del linguaggio artificiale, il cui insieme coincide con quello delle tautologie. La principale regola di deduzione è quella del modus ponendo ponens (spesso abbreviata in MPP) per cui, date come premesse una proposizione condizionale e l'antecedente di quel condizionale, si ricava come conclusione il conseguente del condizionale stesso. MPP è un principio di ragionamento affidabile, che non potrà mai condurre da premesse vere a una conclusione falsa. Questo poiché condizione essenziale per l'uso di se... allora è che, se un condizionale è vero ed è vero anche il suo antecedente, allora anche il suo conseguente deve essere vero. • Encicl. - Il primo tentativo di costruire un calcolo p. va ascritto a G. Boole. Nell'opera dal titolo Le leggi del pensiero (1854), Boole trattò le proposizioni da un punto di vista algebrico, distinguendole in primarie (o concrete) e secondarie (o astratte): le prime si riferiscono a cose, le seconde, invece, ad altre proposizioni. Nonostante buone intuizioni, il tentativo del logico inglese risultò piuttosto artificioso; ciò per due motivi: in primo luogo, per la forma soggetto-predicato delle proposizioni, in secondo luogo, per l'utilizzo della nozione di tempo al fine di ricondurre le proposizioni secondarie a proposizioni primarie. Perché si possa parlare di calcolo p. vero e proprio, occorre attendere il Begriffsshrift (1879) di G. Frege, cui si ispirarono anche B. Russell e A.N. Whitehead nei Principia Mathematica e il logico polacco J. Lukasiewicz. Frege fu il primo, infatti, a considerare le proposizioni esclusivamente dal punto di vista della loro verità o falsità, pensando ad esse come a un tutto unico, rappresentabile mediante una singola variabile. A Frege, inoltre, si deve la sostituzione della struttura soggetto-predicato con la struttura funzione-argomento, che consentiva di trattare matematicamente le proposizioni, senza alcun riguardo per il rapporto sussistente fra i vari elementi delle proposizioni stesse.