(dal latino
proportio, der. della locuzione
pro portione: secondo
la porzione). Corrispondenza di misura tra due o più cose che siano in
stretta relazione tra loro:
esiste una p. tra colpa e pena. ║
Equilibrio di misura e giusto rapporto delle parti costituenti un corpo o un
oggetto:
p. tra gli elementi architettonici. ║ Al plurale,
grandezza, dimensione di un corpo, di un oggetto o anche di un evento:
le p.
di una statua; un disastro di vaste p. ║ Fig. -
Perdere il senso
delle p.: perdere il senso della misura delle cose, non saper valutare in
maniera adeguata il valore delle cose, non riuscire a dare la giusta importanza
alle cose e alle situazioni. ║
In p.: in confronto a, rispetto a,
di misura adeguata (
il guadagno è poco in p. al lavoro svolto).
• Arte - Rapporto di misura tra due elementi in relazione tra loro e tra
due diverse parti di un insieme, capace di produrre l'effetto di armonia.
Strutturata secondo determinati schemi geometrici e aritmetici, la
p.
corrisponde a un
modulo architettonico, a un
canone scultoreo e
alla
sezione aurea pittorica e del disegno in genere, ossia a un sistema
di rappresentazione artistica basato su precisi rapporti matematici. Tale
sistema proporzionale è conosciuto come
teoria delle p. •
Encicl. - Il più antico sistema di calcolo delle
p. di cui si
abbia notizia è quello egizio: in architettura, in particolare, il punto
di riferimento fondamentale era costituito dalla volta celeste e dalle
costellazioni, cosicché i lati e l'altezza delle piramidi erano
sottomultipli del diametro della Terra, della distanza tra la Terra e il Sole e
così via. In pittura, l'immagine era costruita per mezzo di un reticolo
quadrettato a maglie uguali che, applicato alla superficie da dipingere,
consentiva di organizzare le
p. della figura e di definirne movimento e
dimensioni. All'arte egizia, che mirava a conferire vita eterna al proprio
oggetto, ponendolo in una rappresentazione spaziale assoluta e cosmica, si
contrappone l'arte greca, basata sull'imitazione della natura all'interno di una
visione antropocentrica. I Greci, infatti, stabilirono un profondo rapporto tra
gli edifici umani e il paesaggio naturale in cui essi erano collocati, nella
ricerca continua di un equilibrio tra spazio umano e spazio cosmico, culminata
nel periodo classico. In architettura tale ricerca determinò la
fissazione di un modulo su cui erano calcolate le misure dei singoli elementi
architettonici: basamento, colonna, capitello, trabeazione. I tre ordini
architettonici greci (dorico, ionico e corinzio) nascono proprio dalla
variazione proporzionale tra questi elementi. Nella scultura, la teoria delle
p. greca fu canonizzata dallo scultore greco Policleto (V sec. a.C.), che
risolse la ricerca di armonia, simmetria e ritmo della raffigurazione del corpo
umano nell'opera esemplificativa il
Dorifero. I canoni classici furono
mantenuti anche in epoca romana, anche se in architettura si preferì
inserire l'opera in uno spazio tipicamente urbano e cittadino, piuttosto che in
uno spazio naturale, privilegiando una
p. interna, ossia una
p.
dei singoli elementi architettonici tra loro, tralasciando ogni relazione
con lo spazio esterno, che non fosse quello sociale. Celebre, a questo
proposito, fu il trattato
De architectura di Vitruvio (I sec. a.C.), nel
quale, peraltro, si fissarono anche i canoni della scultura: nella
raffigurazione del corpo umano fu assunto come modulo di riferimento il viso,
che era qui considerato come decima parte del corpo; perciò, le membra,
ad esso conformi, avevano la misura dieci volte superiore a quella del viso.
È questo il sistema proporzionale adottato anche in epoca bizantina: il
corpo corrispondeva a nove unità modulari, ossia a nove volte le
dimensioni del viso, in modo tale da accentrare l'attenzione dello spettatore
sul capo, simbolo del potere imperiale e spirituale. Durante il Medioevo,
l'organizzazione bidimensionale della rappresentazione e l'appiattimento delle
figure portarono all'abbandono delle
p. classiche. Inoltre, a partire
dall'XI sec., si diffuse l'uso di costruire il volto per mezzo di tre cerchi
concentrici, assumendo la lunghezza del naso come raggio del cerchio più
interno. Nell'arte romanica, i canoni proporzionali usati dagli artisti
variavano in continuazione, senza seguire regole fisse. Nell'arte gotica, al
disinteresse per le
p. della figura in rapporto allo spazio esterno, si
aggiunse quello per la struttura in sé del corpo umano: ciò che
contava era determinare i contorni e le direzioni del movimento della figura,
ignorando le dimensioni reali dell'organismo; furono perciò elaborati dei
metodi per la costruzione delle figure entro forme geometriche, senza più
alcun rapporto con l'anatomia. La teoria delle
p. tornò a godere
di enorme prestigio nel periodo umanistico e soprattutto in quello
rinascimentale, assumendo profondi significati metafisici: per la prima volta il
concetto di
p. riuniva sotto le stesse leggi tutte le manifestazioni
dell'arte (pittura, scultura, architettura) in quanto la realtà tutta
doveva corrispondere al sistema armonico micro-macrocosmico, avente al suo
centro l'uomo, secondo le
p. date dalla visione prospettica. Così
le
p. del corpo umano divennero il fondamento razionale della bellezza e
l'espressione dell'armonia tra microcosmo e macrocosmo, uomo e universo. Tali
principi trovarono la loro massima applicazione nei trattati di L.B. Alberti
(
De re aedificatoria, 1450), di L. Pacioli (
De divina proportione,
1509, con 59 disegni di L. da Vinci, in cui le
p. del corpo umano
venivano ricondotte a principi matematici e geometrici della cosiddetta
"sezione aurea"), di A. Palladio (
I quattro libri
dell'architettura, 1570). L'importanza della teoria delle
p.
andò via via riducendosi dopo il XVI sec., con l'affermarsi di una
concezione soggettiva della rappresentazione artistica; tuttavia, i modelli
teorici definiti nel Rinascimento influenzarono tutte le culture figurative
europee fino all'Ottocento. Soltanto nel XX sec. si assistette a un totale
cambiamento dei canoni proporzionali: fu abbandonata la prospettiva come legge
fondamentale della composizione, fu superato il concetto stesso di
p.,
sia a livello sperimentale, sia a livello teorico, e nacque così
un'architettura antimonumentale, in continua trasformazione, in cui furono
rifiutati i volumi chiusi, le
p. precostituite, come residui di una
concezione statica della vita. • Log. - Nella logica scolastica, modello
di argomentazione derivato dalla
analogia
(V.) aristotelica, basato sulla uguaglianza di due
rapporti (A : B = C : D), dove, al variare di uno dei due termini del rapporto
(ad esempio A), varia il termine corrispondente del secondo rapporto (C).
Perciò, aumentando le proprietà di A, aumentano nella stessa
misura le proprietà di C (
p. diretta), o, viceversa, diminuiscono
nella stessa misura (
p. inversa). Per esempio, data la proposizione:
la vecchiaia della vita è come la sera, ultima parte del giorno, i
primi due termini a confronto sono
vecchiaia (A) e
sera (C),
mentre i secondi sono
vita (B) da un lato e
giorno (D) dall'altro.
Perciò tale
p. si leggerà come segue:
La vecchiaia sta
alla vita come la sera al giorno, dove il termine di comparazione è
il
tempo; perciò quanto più scorre il tempo, tanto
più passano i giorni e con essi la vita. Ne consegue che,
proporzionalmente, ciò che vale per il rapporto A : B, a maggior ragione
vale per il rapporto C : D. Ad esempio:
se la sera reca con sé la
melanconia del giorno, ancora più melanconica sarà la vecchiaia,
la sera della vita. • Filos. - Il concetto filosofico di
p.
risale al primo Pitagorismo, che ne fece criterio di bellezza cosmica: secondo
la concezione pitagorica, infatti, la bellezza è innanzi tutto armonia,
definita da Filolao di Crotone (V sec. a.C.) come "l'unificazione del
diverso e ciò che rende concorde il discorde"; essa è
molteplicità di parti che, pur essendo distinte l'una dall'altra, sono
tuttavia tali da poter essere unificate, e hanno perciò in comune una
p. Tale concezione fu accolta dagli sviluppi filosofici successivi, in
particolare dal Platonismo, a cui si ispirarono, poi, le concezioni estetiche
umanistiche e rinascimentali: ritroviamo, infatti, il concetto di
p.
nella cosiddetta
sezione aurea, in cui L. Pacioli, nel trattato
De
divina proportione (1509), indica il canone fondamentale della bellezza.
• Mus. - La teoria delle
p. fu elaborata a partire dai secc.
XII-XIII contemporaneamente alla pratica polifonica del discanto, che consisteva
nell'aggiungere al di sopra di un canto preesistente una o due linee melodiche.
Essendo perciò sovrapposti in una stessa battuta valori di durata
diversa, sorse la necessità di calcolare la durata di una nota rispetto
all'altra, e quindi le
p. tra le diverse note. Il sistema delle
p.
fu suddiviso in cinque grandi classi, e cioè, dalla più semplice
alla più complessa:
multiplice, superparticolare, superparziente,
multiplice superparticolare, multiplice superparziente. Un'ulteriore
complicazione della teoria era creata dall'uso di non cambiare la
rappresentazione delle note quando, per effetto delle
p., cambiava il
loro valore di durata. La teoria delle
p. continuò a evolversi,
raggiungendo un elevatissimo grado di complessità nei secc. XV-XVI,
quando si elaborarono
p. duple, triple e
sesquialtere, che
diminuivano l'usuale valore delle note rispettivamente di 1/2, 1/3 e 2/3. Dopo
il XVI sec., ebbe luogo una semplificazione della dottrina e della pratica
musicale in genere. • Chim - Quantità in peso delle sostanze che
effettuano le loro combinazioni. ║
Legge delle p. semplici o
di
Proust: legge secondo la quale due elementi che si uniscono per formare un
composto si combinano in rapporti di peso costanti. ║
Legge delle p.
multiple o
di Dalton: quando due elementi si uniscono per dare
più di un composto, se la massa secondo cui reagisce uno degli elementi
rimane costante, la massa secondo cui reagisce l'altro elemento varia in modo
che i diversi valori stanno tra loro in rapporto esprimibile con numeri interi
generalmente piuttosto piccoli, e sono tutti multipli di una stessa
quantità minore. • Mat. - Dati quattro numeri
a, b, c, d in
un certo ordine, si dice che essi formano una
p. diretta quando il
rapporto fra i primi due è uguale al rapporto fra gli ultimi due,
cioè
a : b =
c : d (
a sta a
b come
c
sta a
d"); oppure, con altra notazione,
a/b =
c/d. I
termini
a e
d si dicono
estremi,
b e
c medi
della
p.; inoltre
a e
c si dicono
antecedenti,
b e
d conseguenti. Una
p. può essere stabilita anche
tra quattro grandezze, le prime due omogenee tra loro e così pure le
ultime due, ma non necessariamente omogenee con le prime due: essa è
equivalente alla
p. numerica tra le misure delle quattro grandezze.
Proprietà fondamentale delle
p. è che il prodotto degli
estremi è uguale a quello dei medi: cioè
ad =
bc. Da
tale proprietà discendono le seguenti regole: si possono invertire i
primi due termini, purché si invertano anche gli altri due, cioè
b : a = d : c; si possono permutare tra loro i medi o gli estremi,
cioè
d : b = c : a, oppure
a : c = b : d; si può
scomporre o dividere, ovvero
(a + b) : b = (c + d) : d.