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Programmazione.

L'attività o il risultato del programmare. • Teat. e Cin. - Inserimento di uno spettacolo in cartellone; anche con significato di rappresentazione‚ proiezione: un film di prossima p. in questa sala. ║ Nel linguaggio radiotelevisivo, sinonimo del più tecnico palinsesto, termine con il quale si designa l'insieme dei programmi radiofonici e televisivi che vanno in onda in un determinato periodo. • Pedag. - P. didattica: attività di organizzazione, coordinamento e verifica dei diversi elementi educativi che operano all'interno di un'unità scolastica (istituto, corso, classe). Rientra tra i compiti istituzionali dei docenti e comporta una metodologia di lavoro collegiale caratterizzata da diversi stadi: accertamento dei bisogni formativi e delle caratteristiche individuali degli alunni; definizione degli obiettivi didattici generali e specifici; scelta dei contenuti e determinazione del percorso formativo; scelta di metodi, materiali e sussidi didattici; osservazione e verifiche periodiche dei processi di apprendimento; valutazione dell'andamento didattico in relazione agli obiettivi programmati. L'attività di p. implica una certa flessibilità, che consenta di apportare lungo il percorso formativo le modifiche ritenute opportune. La p. didattica ha un ruolo preponderante nei sistemi scolastici che non prevedono programmi di insegnamento disposti da un'autorità centrale, ma assolve importanti funzioni anche laddove esistono programmi nazionali stabiliti a livello ministeriale. Nella legislazione scolastica italiana si fa per la prima volta esplicito riferimento alla p. nel D.P.R. 31-5-1974, n. 416, dove si assegna al collegio dei docenti il compito di programmare "l'azione educativa anche al fine di adeguare, nell'ambito degli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato, i programmi d'insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e di favorire il coordinamento interdisciplinare". Lo stesso documento riconosce al collegio dei docenti libertà di intervento in materia di formazione delle classi, di definizione dell'orario delle lezioni, di scelta dei libri di testo e dei sussidi didattici. • Econ. - P. di bilancio: sistema di gestione delle risorse pubbliche, noto anche con la sigla PPBS (dall'inglese planning, programming, budgeting system). È nato negli Stati Uniti come strumento tramite il quale superare le carenze della tradizionale impostazione del bilancio pubblico, generalmente di durata annuale. Grazie alla sua maggiore durata, il PPBS si è imposto anche negli altri Paesi come strumento di p. della pubblica amministrazione. Esso infatti, a differenza del bilancio tradizionale, consente la preventiva definizione degli obiettivi da raggiungere, l'esplicitazione dei criteri adottati nello scegliere tra più obiettivi alternativi, la misurazione dell'efficienza dell'esecuzione dei programmi, la definizione dei costi necessari per sostenere le decisioni prese. • Econ. az. - Formulazione di un piano-guida nel coordinamento e nel controllo della produzione durante il periodo cui la p. fa riferimento. Strumento della p. aziendale è innanzitutto il bilancio preventivo o budget, riguardante tre settori dell'attività aziendale: produzione, vendite, finanziamenti. A sua volta, il budget della produzione viene stabilito sulla base di preventivi parziali concernenti: lo sviluppo del processo di fabbricazione; i materiali richiesti per la produzione prevista; le macchine e le attrezzature di cui è necessario disporre; le manutenzioni; le spese di esercizio; il fabbisogno di manodopera. Una delle distinzioni più importanti è quella tra budget rigido e budget flessibile. Il budget rigido o statico si fonda su un determinato andamento aziendale e configura intorno ad esso le necessarie previsioni. Esso viene impiegato utilmente soprattutto nei riguardi di programmi particolari, non soggetti a variazioni e rischi di mercato (costruzione di impianti; attuazione di programmi di ricerca, ecc). Il budget flessibile o variabile prevede diversi volumi di produzione e indica per ciascuno di essi i costi prevedibili e gli altri elementi tecnici, finanziari ed economici che caratterizzano le varie ipotesi presenti nel budget. Un altro tipico strumento della p. aziendale è il programma organizzativo, concernente: la definizione degli obiettivi (volume di attività da svolgere, sua ubicazione e successione, scadenze); la divisione delle funzioni (distinzione delle attività in funzioni specifiche e distinte, ma tra loro omogenee); la distribuzione dei poteri (attribuzione delle responsabilità funzionali ai diversi livelli del coordinamento aziendale); la codificazione delle procedure. • Econ. pol. - Il complesso degli interventi dello Stato nell'economia, realizzati sulla base di un piano pluriennale. In questo senso il concetto non si discosta sostanzialmente da quello di pianificazione, come non c'è alcuna differenza logica tra piano e programma. La distinzione terminologica tra p. e pianificazione e tra programma e piano è motivata storicamente in quanto adottata da alcuni studiosi in riferimento rispettivamente all'economia di mercato dei Paesi occidentali e all'economia pianificata dei Paesi socialisti, dove le decisioni economiche, relative cioè al tipo e al volume degli investimenti, alle tecniche di produzione da adottare, al tipo e alla qualità dei beni da consumare erano prese da un'autorità centrale. Il termine p. ha finito con l'assumere il significato di pianificazione non rigida ed è spesso usato con riferimento a semplici piani indicativi e a schemi di sviluppo. L'introduzione del concetto di p. nella teoria economica e di esperienze concrete nei Paesi occidentali, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, è avvenuta per la convergenza di nuove importanti tendenze nelle politiche economiche e l'adozione di programmi economici globali, anche sulla base del lavoro impostato dagli economisti sovietici all'inizio degli anni Venti e trasferito gradualmente nelle economie di mercato dopo la grande depressione economica del 1929-33. L'adozione di metodi di p. si è inoltre imposta sulla base del riconoscimento delle deficienze dei meccanismi dell'economia di mercato e della necessità di un intervento sempre più attivo degli organi pubblici. Il concetto di p. economica fu dibattuto dopo la Rivoluzione sovietica da economisti liberali per dimostrare l'infondatezza logica di un'economia pianificata. In qualunque contesto istituzionale (liberista o collettivista) si svolga, un processo economico richiede efficienza; ciò significa che per conseguire l'obiettivo fissato va utilizzata la minor quantità di risorse e che con tali risorse si deve raggiungere il massimo risultato. Per avere un processo economico efficiente occorre che risorse e beni possiedano un indice di scarsità, ovvero un prezzo, come esso si forma attraverso il mercato, dove è possibile rilevare la scarsità di un bene o di una risorsa relativamente a quella delle altre risorse e degli altri beni. Poiché in un'economia pianificata il mercato non esiste, le scelte non poggerebbero su una base razionale e pertanto il problema dell'efficienza resterebbe irrisolto. A questa tesi si contrapponeva quella dell'economista E. Barone, il quale sostenne che, una volta noti i dati del problema e cioè la disponibilità di risorse, lo stato della tecnica e i gusti dei consumatori, è possibile, almeno teoricamente, calcolare i prezzi anche al di fuori di un effettivo sistema di mercato, cioè a prescindere dal verificarsi di un reale atto di scambio. Altri economisti, come L. Robbins, obiettarono che, anche se tale calcolo fosse possibile, esso richiederebbe un tempo tale che durante la sua esecuzione i dati del problema sarebbero cambiati. Per sostenere la praticabilità di un'economia pianificata, O. Lange propose un calcolo dei prezzi attraverso un meccanismo analogo al mercato concorrenziale, anche se da esso istituzionalmente diverso. II mercato concepito da Lange consiste in un complesso di unità di produzione di proprietà pubblica, ciascuna dotata di una notevole autonomia decisionale nell'ambito di regole generali di comportamento che non sono altro che le norme cui si atterrebbe un'azienda privata che perseguisse il fine del massimo profitto. L'altra risposta da parte socialista fu data da M. Dobb, che individuò nell'accumulazione, cioè nell'aumento delle risorse stesse, il problema che fondamentalmente si intende risolvere con la p. e per il quale la pianificazione si dimostra soprattutto efficace. Secondo Dobb, ai fini del problema dell'accumulazione, la pianificazione consentirebbe, a differenza del mercato, di coordinare a priori quelle decisioni di investimento che altrimenti vanno necessariamente coordinate a posteriori, cioè in base al sistema di valori espressi dal mercato. Anche nelle economie di mercato si è prodotta una riflessione sulla p. di cui fu iniziatore J.M. Keynes. Egli sostenne che nel breve periodo il mercato lasciato a se stesso può trovarsi in una situazione di non piena occupazione e che lo Stato può intervenire accrescendo la spesa pubblica per assicurare un livello di piena occupazione delle risorse disponibili. Sviluppando la teoria di Keynes, si è giunti alla constatazione che il mercato può tendere alla stagnazione anche nel lungo periodo, quindi, per conseguire l'obiettivo della piena occupazione e dello sviluppo, si rende necessaria una spesa pubblica produttiva, cioè volta a garantire indirettamente, per esempio con le opere pubbliche, o direttamente, cioè con aziende produttive di proprietà pubblica, un certo livello di reddito. In base a questa concezione, l'intervento dello Stato, che nei Paesi occidentali della seconda metà dell'Ottocento aveva compiti estremamente limitati sul piano economico, diventa decisivo per il conseguimento del livello del reddito e determina il tipo di sviluppo, assumendosi la responsabilità imprenditoriale globale mediante la formulazione e l'attuazione di programmi pluriennali o di lungo periodo, alla luce dei quali vanno poi elaborati programmi di breve periodo per il controllo della stabilità monetaria e l'equilibrio della bilancia dei pagamenti. Gli studi successivi, tra cui quelli di J.A. Schumpeter, J.K. Galbraith, W. Leontief, hanno contribuito a individuare due modelli attraverso i quali la politica di piano, pur nel rispetto dei meccanismi di mercato, può intervenire per regolare il processo di sviluppo. Si tratta di due schemi alternativi ma, una volta sceltone uno come strategia dello sviluppo, nella pratica esso non esclude l'adozione di alcuni elementi dell'altro. Il primo modello comporta la creazione di infrastrutture e di aziende produttive di proprietà pubblica nonché una politica di incentivi fiscali, creditizi, doganali, ecc., alle imprese private. Il secondo mira soprattutto a incentivare i consumi pubblici e sociali (l'edilizia popolare e pubblica, la scuola, l'assistenza sanitaria, il trasporto pubblico, la ricerca scientifica, ecc.) che assicurino uno sbocco sicuro alla produzione. Dal secondo dopoguerra, la p. economica degli Stati si è avvalsa sempre più di strumenti econometrici in grado di fornire proiezioni corrette sul sistema produttivo, sul bilancio pubblico, sull'andamento del mercato finanziario, al fine di stabilire interventi di politica economica necessari per il conseguimento degli obiettivi voluti. ║ La p. in Italia: il primo atto di p. intesa come insieme coordinato di interventi di politica economica è costituito dallo Schema di sviluppo dell'occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955-64 (schema Vanoni, 1954). Individuati tre obiettivi che il sistema economico italiano avrebbe dovuto conseguire entro il 1964 (creazione di quattro milioni di posti di lavoro, superamento del divario tra il Mezzogiorno e il resto del Paese, equilibrio dei conti con l'estero), il documento delineava una politica economica atta a determinare un flusso crescente di investimenti, sacrificando l'espansione dei consumi perché solo in tal modo si sarebbe potuta avere un'accumulazione di capitale in grado di risolvere i problemi indicati. Il Consiglio dei ministri nel 1954 istituì così il Comitato per lo Sviluppo dell'Occupazione e del Reddito, presieduto dallo stesso ministro Vanoni, per la realizzazione degli obiettivi indicati dallo schema, ma l'unica indicazione operativa importante che il Comitato riuscì a imporre fu quella di aumentare la produzione siderurgica italiana con un nuovo insediamento industriale nel Mezzogiorno. A partire dal 1957, quando fu conseguito per la prima volta il pareggio dei conti con l'estero, il meccanismo della politica di piano inaugurata dallo schema fu abbandonata, sembrando il mercato capace di assolvere spontaneamente i compiti originariamente assegnati a tale politica. Nel 1962 il ministro del Bilancio U. La Malfa presentò al Parlamento una nota dal titolo Problemi e prospettive dello sviluppo economico italiano, che riproponeva la necessità della politica di p. Secondo la nota, ai dati positivi relativi all'incremento del reddito e dell'occupazione, alla posizione dell'Italia nel mercato internazionale e all'equilibrio della bilancia dei pagamenti, si contrapponeva uno squilibrio tra agricoltura e gli altri settori produttivi, tra il Mezzogiorno e il resto del Paese, tra consumi pubblici e privati. Il primo Governo di centro-sinistra, presieduto da Moro, segnò un ritorno della politica di p. II ministro del Bilancio Giolitti istituì l'Ufficio del Programma, chiamato successivamente Istituto di Studi per la Programmazione Economica (ISPE), ma la discussione parlamentare del cosiddetto piano Giolitti per il quinquennio 1964-69 fu bloccata dalla caduta del Governo. La politica di p. del secondo Governo Moro si concretizzò nel programma economico nazionale per il quinquennio 1966-70, approvato dal Parlamento con L. 14-8-1967, n. 203. Tuttavia, il processo economico negli anni ai quali si riferiva il programma non si svolse nei modi da esso auspicati, ma fu il prodotto dei meccanismi di mercato in atto né, d'altra parte, fu intrapresa dal Governo alcuna iniziativa per orientare l'attività delle amministrazioni e delle imprese pubbliche verso l'attuazione del piano. Propedeutico all'elaborazione del secondo programma economico nazionale per il quinquennio 1971-75 fu il cosiddetto Progetto '80, messo a punto dal ministero del Bilancio e della P. economica nel 1969, in cui veniva fornito un quadro a lungo termine delle difficoltà, delle prospettive, delle linee di sviluppo dell'economia italiana e delle possibili scelte di politica economica. Veniva inoltre sottolineata la necessità di incrementare gli investimenti sociali e di rendere compatibili e coerenti fra loro la politica economica di lungo periodo, o p., volta a garantire il tipo e il livello dell'accumulazione e l'aumento del reddito nazionale e la politica economica di breve periodo, volta a garantire la stabilità monetaria e l'equilibrio della bilancia dei pagamenti. Ma la sfiducia verso la politica di p. di lungo periodo, accresciuta dai problemi quali l'inflazione, il deficit della bilancia dei pagamenti, la disoccupazione - che dal 1973 assunsero una gravità mai raggiunta dopo il 1950 - indusse a privilegiare la costituzione di piani annuali e piani settoriali (settori chimico, meccanico, zootecnico, ecc.), considerati strumenti più agili per indirizzare efficacemente gli interventi di politica industriale e degli investimenti per le imprese pubbliche e private. Espressione della p. settoriale fu la L. 12-8-1977, n. 675, che prevedeva l'elaborazione di diversi piani settoriali e la predisposizione di un documento annuale, la Relazione sullo stato dell'industria. Rimasta in gran parte inapplicata a causa del complicato meccanismo procedurale e burocratico che introduceva, la legge fu superata due anni dopo da un piano triennale (piano Pandolfi), destinato anch'esso a mancare il principale obiettivo posto, cioè la riduzione dell'inflazione, problema allora dominante nel dibattito economico. Con l'introduzione del piano a medio termine 1982-84, si puntò soprattutto a ridurre la dipendenza dall'estero per gli approvvigionamenti energetici e alimentari, a incrementare l'esportazione e il turismo e a favorire processi di ristrutturazione e di riconversione attraverso il contributo pubblico. Nonostante il prevalere della politica economica a breve termine non abbia permesso la realizzazione degli obiettivi a medio termine, gli investimenti della pubblica amministrazione ricevettero un nuovo impulso, anche attraverso il Fondo per l'Investimento e l'Occupazione (FIO). Per quanto riguarda la p. finanziaria, essa è stata introdotta con la L. 5-8-1978, n. 468 che prescrive alcuni atti di Governo concernenti la finanza del settore pubblico allargato: la legge finanziaria, la legge di bilancio annuale che deve contenere anche un bilancio pluriennale, il rendiconto e la legge di assestamento del bilancio annuale. Oltre che a livello nazionale, l'Italia è interessata a un'attività di p. regionale nonché di p. sovranazionale, in quanto membro dell'Unione Europea. A livello subregionale vanno ricordati i piani di sviluppo economico che per legge sono tenuti a fare le aree e i nuclei di industrializzazione, organismi creati per favorire lo sviluppo delle aree depresse, nonché altri piani o programmi che la legge assegna agli enti locali (provincia, comune o più comuni). ║ La p. in Europa: fanno parte della storia della p. comunitaria il piano Schumann (1950), da cui prese le mosse la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio) e il piano Mansholt (1969), che rappresentò un importante tentativo di coordinare alcuni aspetti della politica agricola dei Paesi membri. Da ricordare inoltre il rapporto Delors (1989), che definì un programma per la realizzazione dell'unione economica e monetaria tra i Paesi comunitari, documento base per i negoziati sfociati nel Trattato di Maastricht del 1992, istitutivo dell'Unione Europea. Per quanto riguarda le esperienze di altri Paesi ad economia di mercato, di particolare interesse è il piano Monnet (varato in Francia nel 1947 per il periodo 1947-53), frutto di una p. concertata tra rappresentanti dello Stato, delle imprese e dei lavoratori. In Gran Bretagna il primo documento programmatico, chiamato White paper on employment policy, fu elaborato dal Governo di coalizione nel 1944; negli anni 1947-48 le linee di politica economica ebbero il loro fondamento negli Economic Surveys. Tra gli ex Paesi a economia socialista, caratteristica fu la politica dei piani quinquennali varata dall'Unione Sovietica a partire dal 1928. Tali piani furono inquadrati, dal 1961, in un piano di durata almeno ventennale, periodicamente rielaborato o fatto slittare nel tempo. Fino alla metà degli anni Sessanta i piani furono concepiti senza tenere conto dell'efficienza, ritenendo preminente garantire che il livello della produzione di un settore non ostacolasse lo sviluppo di altri settori. Questo problema fu risolto col cosiddetto metodo dei bilanci materiali, cioè dei bilanci in quantità e non in valore, uno schema molto approssimativo dell'analisi delle interdipendenze strutturali elaborata da Leontief. Dopo la fase di ricostruzione seguente alla seconda guerra mondiale e raggiunto un sufficiente livello d'industrializzazione, si pose il problema di operare una scelta sul tipo di sviluppo da intraprendere attraverso gli investimenti, ed emerse la necessità di incrementare il consumo. Negli anni Sessanta alcuni economisti sovietici (tra cui E.G. Liberman) sostennero la necessità di ampliare il mercato al fine di dare efficienza al sistema economico. Alla fine prevalse l'idea che l'allargamento del mercato avrebbe compromesso le possibilità proprie di una economia pianificata di decidere a priori del tipo di sviluppo che si intende conseguire, e sarebbe stato inutile per una maggiore efficienza del sistema perché i metodi econometrici, supportati da strumenti di calcolo elettronici, avrebbero comunque consentito di realizzare un piano economico efficiente. In ogni caso, dagli anni Ottanta in poi l'instaurarsi di un'economia di mercato anche nei Paesi dell'ex blocco socialista ha progressivamente vanificato il vincolante potere di p. dei Governi. • Inf. - Elaborazione di un programma che l'elaboratore è in grado di leggere in base alle specifiche fornite dal programmatore. L'attività di p. comprende la definizione del problema da risolvere, la preparazione del diagramma di flusso del programma, la sua codifica (cioè la trascrizione, in un linguaggio opportuno, delle varie istruzioni), la preparazione di una documentazione a uso dell'utilizzatore. • Mat. - Problema di ottimizzazione con un unico funzionale, detto obiettivo, criterio o costo, da massimizzare o da minimizzare, e con un insieme di vincoli descritti da equazioni o, più in generale, da disequazioni. In base alla struttura dei vincoli e della funzione obiettivo, i problemi di p. matematica si distinguono in p. lineare, non lineare, quadratica, a numeri interi, ecc. ║ P. lineare: problema di p. matematica caratterizzato da una funzione obiettivo lineare e da vincoli espressi da equazioni o disequazioni lineari. Si dimostra che ogni problema di p. lineare può essere tradotto nel problema di minimizzare una funzione lineare data,

C = c1x1 + c2x2 + ... + cnxn

dove x1, x2, ..., xn sono le variabili e c1, c2, ..., cn sono costanti date, rispettando le condizioni o vincoli (con m < n) seguenti:

ai1 x1 + ai2x2 + ... + ainxn = ai0 (i = 1, ..., m) xj ≥ 0 (j = 1, ..., n)

Il metodo generale di risoluzione di un problema di p. lineare in n variabili è il metodo del simplesso, metodo iterativo che consente, partendo da una soluzione del sistema di equazioni e disequazioni vincolari, di arrivare alla soluzione ottima in un numero finito di passaggi (escluso il caso che il problema non ammetta soluzione). Qualunque sistema di valori xj che soddisfi le condizioni imposte dai vincoli viene detto soluzione ammissibile o accettabile; ogni insieme di m variabili xj linearmente indipendenti, cioè tali che il determinante della matrice dei loro coefficienti aij sia non nullo, si chiama base. Le variabili che formano una base si dicono variabili base, le altre sono dette variabili non di base o indipendenti; si chiama soluzione base accettabile una soluzione accettabile ottenuta risolvendo il sistema dei vincoli nel quale si siano poste uguali a 0 le variabili non di base. Date tali definizioni, si può enunciare il seguente teorema: se per un dato problema di p. lineare esiste una sola soluzione accettabile ottima, questa è di base; se ve ne sono più di una, ve ne sono infinite, tra cui almeno due soluzioni base. Grazie a tale teorema, per trovare il minimo della funzione C è sufficiente considerare solo le soluzioni base accettabili, che sono in numero finito; inoltre, tutte le soluzioni accettabili ottime sono combinazioni lineari a coefficienti non negativi delle soluzioni base ottime. ║ P. non lineare: problema di ottimizzazione nel quale o la funzione obiettivo o alcuni o tutti i vincoli non sono lineari. Questi problemi presentano maggiori difficoltà, in quanto i punti di massimo e minimo non appartengono necessariamente alla frontiera dell'insieme definito dai vincoli, come accade nel caso lineare; in particolare, una soluzione ottima può essere un punto interno di tale insieme, e non è detto che un punto di minimo o massimo locale sia anche minimo o massimo assoluto. Le ipotesi supplementari di differenziabilità e convessità della funzione obiettivo e dei vincoli consentono di fornire condizioni necessarie e condizioni sufficienti per la risoluzione del problema. ║ P. a numeri interi: problema di ottimizzazione caratterizzato dal fatto che le variabili sono vincolate ad assumere solo valori interi. In generale tali problemi sono riconducibili al caso, detto di p. lineare a numeri interi, in cui tutti i vincoli, ad eccezione di quelli di interezza, sono lineari; si tratta comunque di problemi di non facile soluzione. Le tecniche utilizzate per la p. a numeri interi possono essere estese al caso in cui solo parte delle variabili sono vincolate all'interezza (p. mista). ║ P. dinamica: particolare tecnica risolutiva per problemi di p. lineare o non lineare. La p. dinamica si fonda sul seguente principio di ottimalità: una scelta ottimale è tale che, quali che siano lo stato e la decisione iniziali, le decisioni rimanenti costituiscono una scelta ottimale nei riguardi dello stato che risulta dalla prima decisione. L'applicazione di tale principio consente di considerare una variabile alla volta, mediante formule ricorrenti che dipendono dal problema da trattare e che permettono di passare da un problema a i variabili al corrispondente a i + 1 variabili, fino ad arrivare a n variabili.