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Profitto.

(dal francese profit, der. del latino proficere: avanzare, giovare). Vantaggio, guadagno, giovamento. ║ Avanzamento, progresso in un determinato campo, nello studio, nel lavoro, ecc. • Econ. pol. - Comunemente, il termine indica la differenza tra i ricavi e i costi sostenuti dall'impresa ed equivale a utile di impresa. La teoria economica, però, è tutt'altro che concorde sulla natura del p.: secondo alcuni economisti, il p. consiste nel puro interesse del capitale investito dall'imprenditore; secondo altri nella remunerazione dovuta al lavoro di direzione o nella compensazione dei rischi che l'imprenditore si assume. Queste divergenze, unite alle difficoltà di distinguere chiaramente la nozione di p. da quelle di interesse e/o salario, si possono raggruppare in quattro categorie: 1) teoria del p. come grandezza residuale, formulata principalmente dagli economisti classici inglesi; 2) teoria marxista, che individua nel p. la quota di lavoro non pagata dal capitalista all'operaio e, dunque, la radice dello sfruttamento attuato dal primo nei confronti del secondo; 3) teorie che considerano il p. come il prezzo di un certo servizio produttivo: esse fanno capo all'economista francese G.B. Say e al tedesco J.H. von Thünen e hanno ricevuto il massimo sviluppo da A. Marshall. Secondo queste teorie, il livello dei p. è determinato da leggi identiche a quelle che determinano qualsiasi altro prezzo, ossia dalle leggi della domanda e dell'offerta. In genere il servizio produttivo, remunerato dal p., viene identificato con l'attività di direzione aziendale; 4) teorie che considerano il p. come un reddito dinamico (e che sono oggi prevalenti). Elaborate in particolar modo da J.B. Clark e da J.A. Schumpeter, queste teorie distinguono un p. normale (dato dalla remunerazione dell'attività di direzione aziendale quando il sistema economico è in equilibrio) e un p. puro (o extraprofitto), costituito dai redditi che si formano durante quei processi e attraverso quelle innovazioni che allontanano il sistema economico dalla situazione di equilibrio. ║ P. come grandezza residuale: gli economisti classici attribuiscono al p. carattere residuale, ovvero lo identificano come un reddito assegnato a determinati operatori economici dopo che i proprietari terrieri hanno ricevuto una rendita e i lavoratori un salario. Secondo A. Smith, la cui opera Ricerca sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776) è unanimemente riconosciuta come il primo trattato organico di economia, la nascita del p. è la conseguenza dell'accumulazione del capitale nelle mani di un certo numero di persone che, nel loro insieme, costituiscono la classe sociale dei capitalisti. Smith, poiché trae le proprie deduzioni dall'osservazione diretta di una società nella quale non si era ancora determinata la Rivoluzione industriale e nella quale la produzione faceva capo all'industria domestica (per cui il capitalista anticipava i materiali di lavoro e i mezzi di sussistenza, ma non era proprietario degli strumenti di lavoro che appartenevano ancora a chi li usava), finisce per considerare p. la differenza tra le somme anticipate ai lavoratori e il prezzo del prodotto venduto. Pertanto, secondo Smith, l'origine del p. non va ricondotta tanto alla proprietà che alcuni hanno sui mezzi di produzione quanto, piuttosto, alla proprietà sulle ricchezze adoperabili come capitale: si tratterebbe, cioè, di una "deduzione fatta sul prodotto del lavoro". Occorre poi distinguere, secondo Smith, tra p. lordo e p. netto: "il minimo saggio-ordinario dei p. deve essere sempre un po' di più di quanto è sufficiente a compensare le perdite accidentali alle quali è esposto ogni impiego di capitale. Soltanto questa eccedenza è il p. netto o puro". A Smith risale anche l'analisi della diminuzione sul lungo periodo del saggio di p. (intendendo con questo concetto il rapporto tra p. e capitale anticipato): egli individua la causa di questo fenomeno nella concorrenza che, determinando un aumento generale dell'offerta di capitali nel sistema, tende ad abbassare il p. L'analisi di D. Ricardo, condotta nei Principi di economia politica e della tassazione (1817), mutua da Smith l'idea dello stretto legame tra p. e proprietà, pur senza approfondire la questione posta da Smith sull'esistenza di un reddito del proprietario del capitale e della sua compatibilità col fatto che l'unica fonte di valore è il lavoro. Esaminando, poi, i rapporti tra salari e p., e avvalendosi della "legge degli sbocchi" di Say, secondo cui nessuna produzione nuova derivante dall'impiego di nuovi capitali, può risultare eccessiva rispetto alla capacità d'acquisto del sistema, Ricardo perviene alla formulazione di una teoria che, a differenza di Smith, non individua nella concorrenza la causa della caduta del saggio di p.: secondo Ricardo, il livello dei p. è, piuttosto, influenzato negativamente o dalla quota di prodotto sociale che va ai lavoratori o dalle rendite che vengono pagate ai proprietari terrieri per l'utilizzo delle loro terre (le quali crescono in ragione del fatto che, a causa dell'aumento della popolazione, devono essere messi a coltivazione terreni sempre meno fertili). Un'interpretazione residuale (ancorché modificata) del p. compare ancora in J.S. Mill, secondo cui il p. è ciò che resta all'imprenditore al netto del salario di direzione, del premio per il rischio e della remunerazione per l'astinenza che permette il reintegro dei capitali; il rapporto tra questo residuo e il capitale stesso è, invece, il saggio di p. Le forze che ostacolano la riduzione del saggio di p. (periodica distruzione del capitale in seguito a investimenti speculativi sbagliati; miglioramenti tecnici della produzione; importazione di prodotti a costi inferiori rispetto a quelli che comporterebbe la loro diretta produzione; esportazione di capitali verso Paesi in cui il saggio di p. è maggiore che all'interno) non impediscono, però, secondo Mill, che il progresso economico conduca inevitabilmente a uno stato stazionario in cui viene a cessare l'accumulazione. Questo fatto non è visto da Mill con preoccupazione, essendo egli convinto che in questo modo si profili l'opportunità per realizzare una migliore distribuzione delle ricchezze. ║ La teoria marxista: Marx, nella sua analisi, parte da premesse smithiane. Il p. è una quota-parte del prodotto del lavoro e il problema del p. va collegato all'esistenza di una classe nelle cui mani è concentrata la ricchezza impiegabile come capitale; è su queste basi che Marx formula la legge di formazione del p. Nelle società capitalistiche, il lavoratore possiede la merce forza-lavoro e la scambia sul mercato, avendo questa forza-lavoro un proprio valore di scambio determinato dalla quantità di lavoro necessario alla sua produzione. Ciò significa che il valore della merce forza-lavoro è costituito dalla quantità di mezzi di sussistenza (cibo, vestiario, casa, ecc.) che consentono al lavoratore di conservare, alimentandola, la propria forza-lavoro: esso si concretizza nel salario. Tuttavia, poiché solo una parte del lavoro erogato dal lavoratore è sufficiente al capitalista per reintegrare il valore di tutti i beni corrisposti al lavoratore, rimane una parte di lavoro non pagato che il capitalista, ossia colui che ha comprato la forza-lavoro, tiene per sé: questo lavoro non pagato costituisce il plusvalore. Pertanto, nella misura in cui il lavoratore fornisce ore di lavoro non pagato, egli viene sfruttato al saggio di plusvalore di cui si appropriano i capitalisti: la parte che essi tengono per sé costituisce il p., la parte che essi versano ai proprietari fondiari costituisce la rendita. Marx indica, perciò, la fonte del p. nel fatto che una parte del valore creato dal lavoro non torna a chi lo ha erogato, vale a dire al lavoratore, e definisce questo fatto come sfruttamento. Ora, se è vero che lo sfruttamento è esistito in tutti i sistemi economici succedutisi storicamente, ciò che distingue il sistema capitalistico è, propriamente, la forma in cui lo sfruttamento avviene, ossia la riduzione della forza lavoro a merce: Marx chiama saggio di sfruttamento il rapporto tra il plusvalore e il salario da corrispondere all'operaio. Sussiste, però, all'interno del sistema capitalistico, una "legge della caduta tendenziale del saggio di p.", che dimostrerebbe che questo sistema ha in se stesso le cause della propria rovina; la produzione capitalistica non è, pertanto, un modo assoluto di produzione, ma semplicemente un modo di produzione storico, corrispondente a una certa limitata epoca dello sviluppo delle condizioni materiali della produzione. ║ P. come prezzo per un certo servizio produttivo: in merito alla questione circa la natura del p., differente tanto rispetto all'approccio degli economisti classici quanto rispetto a quello marxiano risulta essere la posizione dell'economista francese G.B. Say, al quale si deve la prima elaborazione sistematica della scienza economica al di fuori della teoria del valore-lavoro. Say considera tre diverse forme di reddito (rendita, interesse, salario), ciascuna determinata da un autonomo fattore della produzione (rispettivamente terra, capitale, lavoro). A differenza degli economisti inglesi, Say pone una precisa distinzione tra capitalista (proprietario del capitale) e imprenditore (colui che organizza e dirige la produzione): quest'ultimo paga una rendita per la terra presa in affitto, un interesse per il capitale preso in prestito, un salario per i servizi dei lavoratori assunti e un salario a se stesso per il proprio lavoro imprenditoriale ("il salario del lavoro e dell'ingegno che egli ha messo nel suo affare"). Nel caso in cui il capitale sia, interamente o in parte, di proprietà dello stesso imprenditore, il suo reddito sarà, invece, formato oltre che dal salario dall'interesse sul capitale. Di conseguenza, secondo Say, il p. è, in parte, interesse su un capitale, in parte, salario per quel particolare tipo di lavoro che è il lavoro imprenditoriale. Anche la prospettiva del tedesco J.H. von Thünen si differenzia dall'impostazione del p. basata sulla teoria del valore-lavoro: secondo von Thünen, nel reddito di un imprenditore il vero e proprio p. è formato dalla ricompensa per quei rischi contro cui è impossibile assicurarsi e dal pagamento per la particolare produttività del lavoro imprenditoriale; in questo senso, il p. va distinto dalle altre componenti del reddito dell'imprenditore rappresentate dall'interesse del capitale, dall'assicurazione per determinati rischi e dal salario imprenditoriale. La trattazione più sistematica della teoria che considera il p. come la remunerazione di un determinato servizio produttivo risale, però, all'economista inglese A. Marshall, i cui studi hanno, peraltro, aperto all'interpretazione del p. come un reddito dinamico. Secondo Marshall, il p. non è altro che la remunerazione dell'attività organizzativa dell'imprenditore: esso non può sparire né sul breve né sul lungo periodo, mentre può darsi il caso, ancorché solo sul breve periodo, che si realizzino extra-p., ovvero p. superiori al compenso "normale" ricevuto dagli imprenditori per il loro contributo alla partecipazione. ║ P. come reddito dinamico: l'interpretazione del p. come reddito dinamico trova un primo importante teorizzatore nella figura di J.B. Clark. Secondo Clark, l'aspetto che i mutamenti dinamici assumono nell'azienda è costituito dall'introduzione di innovazioni che determinano un abbassamento dei costi. Ciò consente all'imprenditore di ottenere un guadagno differenziale rispetto a coloro presso i quali tale introduzione di invenzioni non s'è ancora verificata, e questo guadagno è il p. Tuttavia, poiché le invenzioni sono destinate a diffondersi rapidamente presso gli imprenditori concorrenti, il p. è un reddito solo temporaneo, destinato a fluire dalle mani del singolo imprenditore nel sistema economico a vantaggio di tutti i membri della collettività. All'imprenditore, in uno stato stazionario, restano esclusivamente i guadagni "normali" derivanti dal lavoro direzionale, che viene riconosciuto come economicamente identico a qualsiasi altro lavoro, tale, quindi, da non determinare una forma di reddito che si possa definire p. Le idee di Clark furono successivamente sviluppate e presentate con maggiore rigore da J.A. Schumpeter, che di Clark fa propria la distinzione tra stato stazionario e sviluppo dinamico. Nello stato stazionario esistono solo due forme di reddito: salari e rendite. Anche il reddito di chi dirige l'azienda deve essere considerato salario, dato che le sue funzioni consistono in un lavoro di routine. Il p. nasce solo quando un'impresa porta il sistema fuori dal binari ordinari in seguito all'introduzione di innovazioni che consentono di conseguire ricavi maggiori dei costi. Questo può accadere in vari modi: introducendo migliorie tecniche e/o tecnologiche che permettono di produrre a costi minori rispetto a quelli di altre aziende del settore; apportando mutamenti nell'organizzazione della produzione (per esempio, aumentando le dimensioni aziendali o utilizzando nuove e meno costose risorse produttive); creando beni nuovi che soddisfino meglio determinati bisogni già soddisfatti dalla produzione corrente; rinvenendo mercati nuovi nei quali un bene, anche di produzione corrente, sia sconosciuto e può, dunque, essere ceduto a prezzi più alti; ideando beni nuovi capaci di soddisfare bisogni nuovi e che consentono di imporre all'inizio prezzi che non hanno alcun rapporto con i costi reali della produzione. Schumpeter, come già Clark, evidenzia, tuttavia, come il p. sia un reddito temporaneo, destinato a essere annullato dal meccanismo della concorrenza, a meno che l'azienda non riesca a difendersi dalla concorrenza, stabilendo un monopolio permanente; in questo caso, però, il reddito che fluisce permanentemente cessa di essere p. e si tramuta in una rendita di monopolio. Degna di rilievo risulta essere anche l'analisi di Schumpeter riguardo ai fruitori del p.: per quanto il p. sia connesso all'attività imprenditoriale, il percettore del p. non è necessariamente l'imprenditore. Infatti, il p. "va agli imprenditori in quella forma di organizzazione che è caratterizzata dall'azienda familiare. È là che il p. ha quasi regolarmente costituito (insieme coi guadagni provenienti dalla speculazione e dalle posizioni monopolistiche) la base economica delle dinastie industriali, attraverso il suo reinvestimento o semplicemente la sua incorporazione nella proprietà di un impianto. Nel sistema industriale, basato sulle grandi società per azioni, il p. appartiene all'azienda come tale e la sua distribuzione cessa di essere automatica e diviene una questione di politica aziendale: possono riceverlo gli azionisti, i direttori (imprenditori o no), gli impiegati che nelle forme più varie possono ottenere delle porzioni di p.". • Contab. - Conto p. e perdite: denominazione di un particolare conto comunemente noto come perdite-p. presente nella contabilità di ogni tipo di azienda; accoglie gli elementi negativi e positivi del reddito d'esercizio. ║ P. scolastico: risultato raggiunto negli studi dall'allievo, con particolare riferimento all'apprendimento della materia in questione. ║ Fig. - Mettere a p. il tempo: impiegarlo razionalmente, senza sprecarlo inutilmente.