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Profilassi.

(dal greco profylacsis, der. di profylásso: prevengo, preservo). Med. - Insieme di norme e metodi atti a scongiurare o prevenire la diffusione di malattie. La p. è oggetto di interesse per quella branca della medicina denominata igiene. Anche se negli anni Ottanta e Novanta del XX sec., con la diffusione di malattie croniche degenerative, sono state incluse nella p. azioni di medicina preventiva, in senso stretto si parla di p. con riferimento alle malattie infettive. Essa comprende da un lato interventi rivolti alla fonte dell'infezione (p. diretta), dall'altro misure preventive nei riguardi di persone sane (p. indiretta). Nella p. diretta rientrano la denuncia alle autorità sanitarie competenti, l'isolamento degli infetti e dei portatori sani, la disinfezione e la disinfestazione. La denuncia è generalmente obbligatoria per le malattie a carattere epidemico, quali, ad esempio, peste, febbre gialla, colera, e ha lo scopo di orientare i successivi interventi di p., nonché di fornire un resoconto che, elaborato statisticamente, consente un ampliamento della conoscenza epidemiologica. L'isolamento delle persone infette o sospette serve, invece, a circoscrivere l'area di diffusione della malattia: si attua per un periodo di tempo variabile a seconda dell'agente eziologico e del suo periodo di incubazione attraverso varie modalità (ad esempio, tramite il ricovero in ospedale per infettivi) e la sua efficacia è strettamente legata alla tempestività di realizzazione. La disinfezione e la disinfestazione si praticano, invece, per distruggere e allontanare, rispettivamente, i germi patogeni e/o i vettori di trasmissione. La disinfezione può essere praticata col calore, col vapore o coi disinfettanti chimici in soluzione (acidi, alcali, alcool, essenze vegetali); la disinfestazione, al contrario, viene compiuta con insetticidi, ratticidi, ecc. La p. indiretta, invece, si attua mediante azioni di immunoprofilassi, ovvero attraverso la somministrazione di sieri (sieroprofilassi) o vaccini (vaccinoprofilassi) specifici per ciascun agente patogeno. La sieroprofilassi prevede l'iniezione di sieri immuni, già contenenti gli anticorpi specifici: in ragione della sua rapidità di azione, vi si ricorre in casi di pericolo imminente. La vaccinoprofilassi, invece, è finalizzata a stimolare l'organismo alla formazione di anticorpi: dal momento che questo processo richiede una o più settimane per compiersi, questa misura si applica su scala nazionale e internazionale, quando le infezioni epidemiche non sono ancora in atto a scopo di difesa collettiva e preventiva. A prescindere, comunque, dalla diversa tempestività della loro azione terapeutica, si tratta di due pratiche anche concettualmente differenti: i sieri forniscono, infatti, anticorpi protettori già preformati in un diverso organismo e capaci di immunizzare solo per il tempo necessario alla loro fisiologica demolizione (immunità passiva), mentre i vaccini inoculano un germe attenuato nella sua virulenza, che crea, quindi, una malattia "in miniatura", la quale, a sua volta, permette all'organismo di sviluppare anticorpi endogeni e garantirsi così una protezione relativamente stabile (immunità attiva). La vaccinazione obbligatoria sui bambini ha consentito negli ultimi decenni di debellare o circoscrivere molte infezioni virali prima non controllabili (vaiolo, poliomielite, ecc.); se, quindi, complessivamente la creazione dei vaccini ha sicuramente contribuito all'elevazione della qualità della vita, circa l'effettiva utilità (in un rapporto costi/benefici) di alcuni di essi la comunità scientifica non ha, peraltro, ancora raggiunto una concordanza di vedute.