(dal latino
processus, der. di
procedere:
procedere).
Svolgimento, sviluppo. ║ Complesso di fenomeni che si susseguono con una
certa unità o regolarità e che nel loro insieme rappresentano una
situazione in divenire:
p. storico, p. formativo, p. mentale, ecc.
║ Metodo adottato al fine di addivenire a un certo risultato. ║ Modo
di comportarsi, condotta. • Tecn. - Sequenza di operazioni per ottenere un
certo prodotto o attraverso cui si sottopone un materiale a un trattamento:
p. di fabbricazione, p. elettrolitico. • Anat. - Formazione
cartilaginea, oppure ossea, presente in molte forme nella struttura ossea degli
animali e dell'uomo. ║
P. alare: sporgenza laterale di ciascuna
trabecola (alisfenoide) dell'osso temporale, nel condrocranio dei mammiferi.
Nell'uomo designa le due formazioni dell'apofisi presente nel cranio. ║
P. alveolare: la parte di ciascun ramo della mandibola dei mammiferi in
cui si trovano i denti. ║
P. articolare: nella mandibola dei
mammiferi, la sporgenza del ramo ascendente, per mezzo della quale la mandibola
si articola col cranio. ║
P. basipterigoideo:
p. mediante il
quale il basisfenoide ossificante del cranio degli uccelli si articola con
l'osso pterigoideo. ║
P. ciliare o
corpo ciliare: la parte
interna, anteriore, ispessita, delle membrane uveali dell'occhio dei vertebrati,
cui di regola aderisce il cristallino. Insieme ai muscoli ciliari consente i
movimenti dell'occhio. ║
P. coracoideo o
apofisi coracoide:
situato nell'angolo laterale della scapola dei mammiferi placentati, serve come
inserzione dei muscoli. ║
P. cultriforme o
p.
parasfenoidale:
osso da membrana presente nel cranio dei rettili.
║
P. linguale dell'ioide: nei rettili e negli uccelli
è posto nel corpo centrale dell'osso ioide e serve da sostegno alla
lingua; è anche detto
osso entoglosso. ║
P.
mesocoracoideo: nella cintura toracica dei teleostei, quella parte spesso
ossificata che, partendo dal coracoide, si addossa internamente alla scapola.
║
P. olecranico: sporgenza dell'ulna dei mammiferi, in cui si
inseriscono i muscoli estensori. ║
P. orbitale: porzione dell'osso
quadrato del cranio degli uccelli, rivolta antero-medialmente. ║
P.
otturatore: sporgenza della faccia ventrale dell'ischio, sovrapposta al
post-pube. È caratteristica della cintura pelvica degli uccelli. ║
P. paramastoideo: sporgenza latero-ventrale dell'osso esoccipitale nel
cranio dei mammiferi. È particolarmente sviluppata nei roditori. •
Med. -
P. patologico o
morboso: sequenza di fatti e sintomi
clinici tra loro correlati. • Psicol. - Secondo un approccio teorico di
tipo cognitivo, complesso di attività mentali e di comportamenti messi in
opera per l'acquisizione, l'organizzazione e l'uso delle conoscenze. I
p.
cognitivi vengono distinti dai
p. dinamici e dai
p. di interazione
sociale. La corrente cognitiva si contrappone al comportamentismo e
all'associazionismo, per i quali il comportamento va studiato, più che
accentuando l'importanza dei
p. mentali interni, considerandolo come una
risposta a uno stimolo, condizionata dalla frequenza di associazioni e
dall'influsso ambientale. Secondo la teoria psicoanalitica freudiana i
cosiddetti
p. psichici si distinguono in
consci,
preconsci,
inconsci. Una distinzione fondamentale è quella tra
p.
primari e
p. secondari, indicante due tipi di funzionamento mentale:
il primo (
p. primario) caratteristico dell'attività mentale
inconscia, il secondo (
p. secondario) caratteristico del pensiero
conscio. La distinzione terminologica deriva dal fatto che, secondo Freud, i
p. dell'inconscio sono anteriori rispetto a quelli della coscienza e
agiscono seguendo regole proprie, mentre il modo razionale, coerente e
realistico con cui sono ordinati i pensieri coscienti rappresenta uno stadio
successivo. I
p. primari sono esemplificati dal sogno, i
p.
secondari dal pensiero. Il sognare a occhi aperti, l'attività
immaginativa e creativa e il pensiero emozionale sono formazioni che contengono
elementi costitutivi sia dell'uno che dell'altro
p. Nel
p.
primario le immagini tendono a fondersi e ciascuna può facilmente
sostituire e simboleggiare l'altra. Inoltre, esso usa "energia
mobile", ignora le categorie di spazio e di tempo ed è governato dal
principio del piacere. Invece, nel
p. secondario prevalgono le leggi
della logica formale e il "principio della realtà", per cui il
dispiacere della tensione istintuale viene ridotto mediante un comportamento
adattivo. Secondo Freud, i
p. primari, in quanto di formazione anteriore
rispetto a quelli secondari, sono scarsamente adattabili, considerato che tutto
lo sviluppo dell'Io è secondario rispetto alla loro rimozione. Invece, i
p. secondari si sviluppano parallelamente allo sviluppo dell'Io e
all'adattamento al mondo esterno, e sono intimamente connessi con il pensiero
verbale. • Fis. -
P. termodinamico:
complesso di
trasformazioni subito da un sistema dal suo stato iniziale a quello finale.
• Dir. - Complesso degli atti di cui si compone un'azione giudiziaria per
accertare, definire o realizzare una situazione giuridica o un atto o un negozio
giuridico. Nell'accezione più comune il
p. viene identificato
nella fase del dibattimento pubblico. Il significato giuridico del termine
risale al latino medioevale (
processus iudicii:
svolgimento del
giudizio). ║ Per estens. - Incartamento processuale. ║
P.
amministrativo: presupposto dell'avvio dell'iter processuale amministrativo
è il
ricorso; quest'ultimo deve essere presentato al TAR entro 60
giorni dal momento in cui l'interessato sia venuto a conoscenza dell'atto
amministrativo che intende impugnare. Il ricorso può essere proposto
anche contro provvedimenti non definitivi e può contenere la richiesta di
sospensione dell'esecuzione del provvedimento. Una volta depositato il ricorso,
l'organo che ha emesso l'atto impugnato ha 20 giorni di tempo per presentare
istanze, memorie e documenti. Perché il ricorso sia portato alla
discussione, è necessario che una qualunque delle parti ne faccia istanza
entro due anni dal deposito del ricorso, allo scadere dei quali il ricorso viene
considerato abbandonato. Il Tar può dichiarare il ricorso inammissibile,
oppure infondato. Se viceversa lo ritiene accoglibile, in quanto l'organo che ha
emesso il provvedimento contestato non era competente a farlo, annulla tale
provvedimento e individua l'autorità competente a dirimere la questione.
Se il ricorso viene accolto per altri motivi, il Tar annulla in tutto o in parte
l'atto impugnato e può modificarlo o riformularlo. Contro le decisioni
del Tar è possibile presentare ricorso al Consiglio di Stato entro 60
giorni dalla sentenza. Le decisioni del Consiglio di Stato sono impugnabili
davanti alla Corte di Cassazione solo nel caso in cui il Consiglio non avesse
giurisdizione per il ricorso su cui ha emesso sentenza. ║
P.
civile: complesso di attività del giudice e delle parti, ma anche di
organi minori (ufficiale giudiziario, cancelliere) e ausiliari (consulenti
tecnici), attraverso il quale si esplica la funzione giurisdizionale civile. Il
p. civile si fonda su alcuni principi fondamentali espressi dal Codice di
Procedura Civile: il
principio della domanda, secondo il quale chi vuol
far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente;
il
principio dell'interesse ad agire, secondo il quale per proporre una
domanda o per contraddire la stessa è necessario avervi interesse; il
principio del contraddittorio, che sancisce l'impossibilità da
parte del giudice a decidere se la parte contro la quale è proposta la
domanda non è stata debitamente citata e non è comparsa; il
principio di disponibilità delle prove, secondo cui sono le prove
a costituire il fondamento sul quale il giudice emette la sentenza. Vengono
distinti due fondamentali tipi di
p. civile: il
p. di cognizione e
il
p. di esecuzione. Il primo è diretto ad appurare i fatti
relativamente al caso sottoposto a giudizio e, qualora venga accertata una
responsabilità, ad applicare le sanzioni prescritte. A seconda dello
scopo e del risultato, il
p. di cognizione può essere
di mero
accertamento, dove si perviene a dirimere il rapporto giuridico controverso,
di accertamento costitutivo, il cui risultato è una situazione
giuridica nuova (per esempio, l'annullamento di un contratto), oppure di
condanna, se oltre all'accertamento del diritto vi è anche una
sentenza che obbliga il trasgressore ad agire in modo da soddisfare l'interesse
privato violato (per esempio, il pagamento di una somma alla parte lesa). A
quest'ultimo tipo di
p. segue, qualora la sentenza non venga osservata,
un ulteriore procedimento, cioè il succitato
p. di esecuzione, o
esecutivo, cui in alcuni casi si perviene anche senza passare attraverso il
p. di cognizione (per esempio il mancato pagamento di una cambiale). Dal
punto di vista formale e strutturale, il
p. esecutivo può essere
di tre tipi: espropriazione forzata, per il pagamento di crediti in denaro;
esecuzione per consegna e rilascio, che comporta l'obbligo a dare cose mobili o
immobili; esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare, in cui
l'autorità si sostituisce all'obbligato nell'eseguire un'opera dovuta o
nell'eliminarne una indebitamente realizzata. Il Codice di Procedura Civile,
riformato nel 1990, ha sistematizzato i principi regolatori di un terzo tipo di
p. civile, il
p. cautelare; quest'ultimo ha un carattere di
urgenza ed è strumentale rispetto ai primi due, assicurando prove che
rischierebbero di andare perdute se non assunte nel più breve tempo
possibile, provvedendo al blocco di beni da utilizzare per eseguire l'eventuale
condanna, o emettendo delle misure tutelari che risulterebbero inefficaci se
applicate tardivamente. Anche il
p. di cognizione può avere
carattere sommario se rientra nella categoria di procedimenti speciali
(procedimento d'ingiunzione, procedimento di convalida di sfratto) descritti nel
primo titolo del libro quarto del Codice di Procedura Civile o disciplinati da
alcune leggi speciali (legge sul fallimento, statuto dei diritti dei
lavoratori). Altrimenti il
p. di cognizione, disciplinato dal libro
secondo del Codice di Procedura Civile, ha uno svolgimento molto più
complesso, che può essere così sintetizzato: attraverso l'atto di
citazione, l'attore (chi promuove il procedimento) invita l'altra parte (il
convenuto) a comparire davanti al giudice. Se il convenuto non ottempera alla
richiesta è dichiarato contumace, ma ciò non libera l'attore
dall'onere della prova. Il
p. di cognizione può consistere in un
procedimento davanti al tribunale o davanti al pretore e al giudice di pace. Un
solo giudice (giudice istruttore) provvede all'istruzione della causa assumendo
dalle parti le prove che ritiene ammissibili o che egli stesso, in misura assai
limitata, può procurarsi d'ufficio. Quando ritiene l'istruzione completa,
il giudice istruttore rimette la causa al tribunale per la pronuncia della
sentenza. Dopo la riforma del Codice di Procedura Civile del 1990, il tribunale
(composto da tre elementi, tra cui il giudice istruttore) è l'organo
giudicante solo in cause specificamente prescritte dalla legge; in tutte le
altre è lo stesso giudice istruttore l'unico competente a decidere.
Contro le decisioni del tribunale è possibile ricorrere davanti alla
corte d'appello, mentre contro le sentenze del pretore e del giudice di pace si
ricorre davanti al tribunale; l'appello dà luogo ad un completo riesame
della causa. ║
P. costituzionale:
insieme di atti
finalizzati al giudizio sulla costituzionalità delle leggi, ovvero alla
loro legittimità rispetto a quanto statuito dalla Costituzione italiana.
Sono impugnabili davanti alla Corte Costituzionale tutti gli atti - emanati da
Stato e Regioni - aventi forza di legge; la questione relativa alla
costituzionalità o meno di una legge può venire sollevata solo in
via incidentale nel corso in un
p. civile, penale o amministrativo, a
meno che non si tratti di azioni promosse da una Regione contro un provvedimento
statale o, viceversa, dallo Stato contro una legge regionale in contrasto con
interessi nazionali o di altre Regioni o in violazione delle competenze statali;
in questi casi il giudizio può essere proposto alla Corte Costituzionale
in modo diretto. La causa costituzionale è condotta davanti a un collegio
giudicante composto da non meno di 11 giudici esclusivamente da parte di
avvocati abilitati al patrocinio in Cassazione. Il collegio può rigettare
o accogliere il ricorso; quest'ultima eventualità determina
l'inapplicabilità della norma giudicata incostituzionale sin dal giorno
successivo alla pubblicazione della sentenza. Oltre a pronunciarsi per un
accoglimento totale del ricorso, la Corte può emettere una cosiddetta
sentenza manipolativa, che mantiene in vita la norma, ma ne esclude certa
interpretazione ritenuta incostituzionale, o introduce elementi che ne
correggano l'illegittimità. Tale funzione "creativa" della
Corte Costituzionale usurperebbe, secondo alcuni, un compito riservato in via
esclusiva all'organo legislatore, pur permettendo di porre rimedio alle
omissioni del legislatore e di emendare le parti normative in contrasto con il
dettato costituzionale. ║
P. del lavoro: oggetto di
p. del
lavoro sono le controversie relative al lavoro o alla previdenza e assistenza
obbligatoria. Disciplinata dalle norme del titolo IV del Codice di Procedura
Civile, l'azione legale viene condotta in primo grado davanti al pretore, che
svolge la funzione di giudice del lavoro. Può essere fatta precedere da
un procedimento di conciliazione presso l'Ufficio del Lavoro o in sede
sindacale, cui intervengono i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di
lavoro. Una volta avviata la causa, anche il convenuto è tenuto a
produrre i mezzi di prova di cui intende avvalersi e a formulare la domanda
riconvenzionale. Il
p. si articola in una fase istruttoria, il cui
momento fondante è rappresentato dall'udienza di discussione, durante la
quale il giudice procede all'interrogatorio libero delle parti e tenta una
conciliazione; se questa non riesce si avvia la discussione della causa, per la
quale il giudice è autorizzato ad ammettere ogni mezzo di prova. Alla
fine della discussione viene emessa la sentenza; essa è sempre
provvisoriamente esecutiva a meno che non cagioni alla parte un danno
gravissimo. Il ricorso in appello viene presentato al tribunale territorialmente
competente come giudice del lavoro e durante lo svolgimento di questo grado di
giudizio, tranne parere diverso dei giudici, non sono ammessi nuovi mezzi di
prova. I ricorsi in cassazione vengono trattati da una sezione appositamente
istituita presso la Corte di Cassazione. ║
P. penale: con l'entrata
in vigore del nuovo Codice di Procedura Penale (1988) è stata ridefinita
la nozione di
p. penale, introducendo la distinzione tra procedimento,
con il quale si designa l'insieme delle indagini preliminari della polizia
giudiziaria e dell'attività svolta dal pubblico ministero, e il
p.
vero e proprio, che inizia con l'imputazione formulata dal pubblico ministero.
Secondo l'art. 405 Cod. Proc. Pen. il pubblico ministero, a meno che non chieda
l'archiviazione del procedimento, dà l'avvio all'azione penale con la
richiesta del rinvio a giudizio. Il
p. si articola a sua volta in diversi
stadi (udienza preliminare, predibattimento, dibattimento, postdibattimento) e
gradi (primo grado, appello, cassazione). Anche nel
p. penale si
distingue il
p. di cognizione e il
p. di esecuzione,
che serve ad attuare quanto stabilito nella sentenza finale. Il
p. penale
è caratterizzato dall'obbligatorietà, in quanto non è in
potere del pubblico ministero sottrarsi all'obbligo di dare avvio all'azione
penale e neppure il giudice può esimersi dal concludere il
p.
emettendo una sentenza. Altri fondamenti del
p. penale sono
l'indipendenza del giudice, sia dalle richieste del pubblico ministero, sia da
influenze esterne; il contraddittorio, con il quale all'imputato viene
consentito di esercitare il proprio diritto alla difesa. Condizione preliminare
indispensabile alla piena attuazione di questo diritto è un'informazione
puntuale e continua della situazione processuale. Ma la caratteristica che
soprattutto differenzia il
p. penale da quello civile è che il
fine del primo è l'accertamento della verità
"sostanziale", non "formale"; nel perseguimento di tale
verità al giudice è concessa una maggiore libertà di
iniziativa e una completa autonomia nella valutazione degli elementi
processuali. ║
P. penale militare: consiste nell'esercizio della
giustizia militare limitatamente ai reati militari commessi da appartenenti alle
Forze Armate. Secondo quanto dettato dal Codice Penale Militare di pace (e
convalidato da una pronuncia del 1989 della Corte Costituzionale), il
p.
penale militare è soggetto al nuovo Codice di Procedura Penale, in vigore
dal 1988. Le uniche differenze riguardano il ruolo della polizia giudiziaria
militare e dei giudici militari. Inoltre, rispetto al
p. penale comune,
una peculiarità del p. penale militare riguarda la limitazione della
funzione del pubblico ministero relativamente ad alcuni reati militari,
specificamente contemplati dal Codice Penale Militare di pace; questi ultimi
vengono perseguiti su richiesta del ministro competente o del comandante di
corpo cui appartiene l'imputato. La L. 7-5-1981, n. 180 ha introdotto delle
innovazioni riguardo il terzo grado di giudizio, sottraendolo ai giudici
militari e rimettendolo alla competenza della Corte di Cassazione; il primo
grado è svolto davanti ai tribunali militari, il grado di appello davanti
alla Corte Militare d'Appello, con sede a Roma e nelle sezioni staccate di
Verona e Napoli. Dal 1996, grazie a un'altra sentenza della Corte
Costituzionale, anche nel
p. penale militare, coloro i quali si ritengano
danneggiati dal reato commesso possono costituirsi parte civile. ║
P.
canonico:
diversamente dall'ordinamento dello Stato, il diritto
canonico non prevede un
p. civile e uno penale, limitandosi a distinguere
tra cause attinenti al bene pubblico e cause relative al bene privato,
assoggettando in ogni caso ogni procedimento al principio che pone al primo
posto il "fine supremo della salute delle anime" e gli interessi della
Chiesa. Pur esistendo un solo tipo di
p., nel diritto canonico sono state
elaborate norme particolari da applicare alle cause matrimoniali, amministrative
e penali, e a quelle di beatificazione e canonizzazione. Il
p. canonico
è un
p. segreto, caratteristica dovuta al principio inquisitorio
su cui è fondato. La segretezza del
p. - affermatasi durante il
papato di Innocenzo III - non appartiene alla Chiesa delle origini, in cui i
conflitti tra fedeli erano risolti dinanzi all'assemblea dei fedeli. In quanto
segreto, il
p. canonico è prevalentemente scritto, anche se
ciò non esclude la trattazione orale della causa. Oggi il potere
giurisdizionale viene esercitato dai tribunali diocesani e metropolitani, dai
tribunali della Santa Sede, come la Rota romana, la Segnatura apostolica, la
Congregazione per la dottrina della fede (ex Sant'Uffizio); in passato, invece,
non esisteva una chiara ripartizione dei poteri, essendo la funzione giudicante
esercitata da vescovi, abati, delegati della Santa Sede. Il
p. canonico
si articola in diversi momenti: la proposizione della domanda per libello; la
fase istruttoria, costituita dalla contestazione della lite e la conclusione in
causa; la fase della discussione. La sentenza è impugnabile tramite
l'appello, la
querela nullitatis (che differisce dall'appello in quanto
si presenta contro la sentenza nulla e non contro una sentenza ritenuta
ingiusta) e la
restitutio in integrum, invocata contro una sentenza
evidentemente ingiusta per motivi di fatto (l'intervento di fatti nuovi, la
comprovata falsità delle prove, ecc.) o di diritto (violazione della
legge). • St. del dir. -
Diritto greco: nel periodo più
primitivo della Grecia antica la difesa di un diritto privato ritenuto leso
prendeva la forma della vendetta della vittima o della sua famiglia nei
confronti del reo (in caso di un debito non onorato, il creditore poteva
rivalersi sul debitore uccidendolo o vendendolo come schiavo); successivamente i
conflitti privati furono portati davanti a un'autorità superiore che
autorizzava la vendetta nei confronti del reo o, in una fase ancora più
evoluta, pronunciava una sentenza e ne ordinava l'esecuzione. Nelle controversie
patrimoniali, le parti potevano chiedere una pronuncia arbitrale alla quale
dichiaravano di sottostare. Solo più tardi la validità della
pronuncia fu sancita per l'autorità stessa del giudice. In epoca storica,
quando si affermò il potere della città di decidere le
controversie e reprimere i delitti, il
p. venne formalizzato e il potere
di giurisdizione fu esercitato dalle varie magistrature appositamente designate.
Il diritto greco distingueva fra azioni pubbliche, intentabili da qualunque
cittadino, che davano luogo a
p. criminali, e azioni private, promosse
dall'interessato e che davano luogo a
p. privati. Queste ultime, a loro
volta, si distinguevano in azioni
in contrasto con qualcuno, promosse per
risolvere una controversia, e azioni
contro qualcuno, dirette alla
riparazione di un torto. ║
Diritto romano: nel primo dei due
periodi in cui si divide la storia del
p. civile romano, che va dalle
origini al III sec. d.C., il
p. è chiamato
ordo iudiciorum
privatorum; in esso lo Stato interviene solo per imporre alle parti un
arbitrato, mentre la decisione spetta allo
iudex, un privato cittadino
nominato dal magistrato in accordo con le parti. Nella forma più antica
di
p., detto delle
legis actiones, il magistrato si limitava ad
ascoltare le pretese delle due parti e a tentare un accordo,
pactum; se
non vi riusciva, intimava il giudizio. Dopo questo stadio, detto
in iure,
la causa proseguiva
in iudicio, davanti al
iudex. Il
p. era
contrassegnato da rigide regole di comportamento, dette
actiones e
più esattamente
legis actiones, come comportamenti conformi alle
leges. Queste
legis actiones erano, secondo l'enumerazione di
Gaio, cinque:
per sacramentum,
per iudicis postulationem,
per
condictionem,
per manus iniectionem,
per pignoris capionem.
Con il progressivo rafforzamento del potere pubblico il
p. perse la sua
impronta privatistica finché nel 367 a.C. l'amministrazione della
giustizia venne sottratta alla magistratura consolare e affidata al pretore,
collega minore dei consoli; quest'ultimo esercitò un'azione sempre
più invadente nell'applicazione del diritto, fino a sostituirsi alle
fonti dello
ius civile, o a decidere egli stesso contro l'ordinamento
(
extra ordinem). Si giunse così alla grande riforma, iniziata con
la legge Ebuzia (146-126 a.C.) e compiuta sotto Augusto con due leggi Giulie,
che introdussero la cosiddetta procedura
per formulas. A differenza delle
legis actiones, la nuova procedura - ancora articolata nei due stadi
distinti,
in iure e
in iudicio - affidava al magistrato il compito
di procedere a un'istruzione (
formula) nella quale esponeva i fatti e le
pretese delle parti. La fase
in iure si concludeva con una dichiarazione
delle parti (
litis contestatio), con la quale esse accettavano i termini
della controversia riportati nella formula e si impegnavano ad accettare la
decisione dello
iudex. In epoca imperiale l'
ordo iudiciorum
privatorum venne soppiantato dalla
cognitio extra ordinem, in cui il
magistrato pubblico conduceva il
p. dal principio alla fine. Decaddero
quindi sia la distinzione in due fasi che la
litis contestatio, e anche
le formule furono abolite. Per quanto riguarda il
p. penale romano, i
delicta o
maleficia, cioè la lesione di diritti individuali
(furto, danneggiamento, ecc.) davano origine a un'
actio in tutto simile
alle
actiones in diritto privato, avente per oggetto il pagamento di una
pena pecuniaria; invece i
crimina, perpetrati contro gli interessi dello
Stato, erano puniti con una pena afflittiva, irrogata ed eseguita dallo Stato,
attraverso un procedimento diverso dal civile. Il
p. penale fu
disciplinato in modo definitivo da Augusto con le
leges iudiciorum publicorum
et privatorum e assunse carattere accusatorio, cioè su istanza delle
parti. L'accusa era preceduta dalla
postulatio, con la quale si chiedeva
al magistrato la facoltà di poter muovere l'accusa; una volta accettata
la
postulatio e citato il reo, aveva luogo il dibattimento davanti a un
tribunale composto da 50 giudici, sorteggiati tra i senatori. Alla fine i
giudici potevano assolvere o condannare l'imputato, oppure dichiarare di non
essere addivenuti a una decisione, o chiedere un supplemento d'istruttoria. Con
il tempo, analogamente a quello che accadde nel
p. civile, sorsero gli
iudicia extra ordinem, nei quali il trattamento della causa era svolto
direttamente da organi dello Stato; questi ultimi iniziavano il
p. di
propria autorità e non per iniziativa di un privato accusatore e lo
conducevano fino al termine. ║
Diritto germanico: caduto l'Impero
Romano d'Occidente, le forme romane del
p. subirono un regresso con il
ritorno alla pratica della vendetta privata, espressione della civiltà
primitiva dei popoli germanici invasori. Il sistema processuale germanico aveva
forme semplici, corrispondenti a una costituzione politica in cui lo Stato non
considerava come suo compito la difesa e la reintegrazione dei diritti
individuali e perciò limitava il proprio intervento alla semplice
disciplina e al controllo dell'attività delle parti. Il
p., senza
distinzione tra civile e penale, veniva avviato per volontà della parte.
Se il convenuto non si presentava, perdeva ogni tutela giuridica. Il
p.
aveva forma pubblica e orale; il giudizio si svolgeva di fronte a un'assemblea
presieduta da un magistrato, al quale spettava il compito di emettere la
sentenza che le parti si impegnavano ad accettare attraverso un accordo formale
(
wadia). I principali mezzi di prova erano il giuramento di purgazione e
il giudizio di Dio (
ordalia), consistente in una prova dalla quale
sarebbe dovuto riuscire vincitore chi diceva il vero, in quanto protetto dalla
divinità. Nel diritto germanico primitivo non esisteva l'appello, ma
già nell'ordinamento longobardo-franco si riscontra la possibilità
di impugnare il giudizio mediante
reclamatio davanti a un tribunale
superiore. Se l'appello veniva accolto, il giudice che aveva pronunciato la
sentenza veniva punito, in caso contrario era punito l'appellante. ║
Il
sistema processuale dal XII al XVIII sec.:
quando, nel XII sec., la
scuola giuridica di Bologna riportò in auge i testi giustinianei contro
le forme processuali barbariche, si affermò un nuovo sistema procedurale
detto romano-canonico, in quanto risultato di una sintesi tra il diritto romano
e quello della Chiesa. Il nuovo sistema, che si diffuse prima di tutto nei
tribunali dei comuni italiani, sostituì all'oralità la forma
scritta e alla pubblicità il procedimento segreto; divise il
p. in
una serie di atti nettamente distinti l'uno dall'altro; vincolò con norme
inderogabili l'attività del giudice, il quale doveva giudicare
secundum allegata et probata partium e non secondo il proprio arbitrio.
Si tornò, infine, alla differenziazione tra
p. civile e
p.
penale. Intorno alla metà del Duecento il
p. civile si
articolò in tre fasi: la prima consistente nella presentazione del
libello, atto scritto con cui l'attore esponeva la domanda; la seconda, aperta
con la
litis contestatio, con cui le parti dichiaravano la volontà
di giungere fino in fondo al giudizio, proseguiva con l'interrogatorio delle
parti, da cui si deducevano i punti controversi per i quali era necessario
produrre le prove; infine, vi era la pronuncia della sentenza che, se non
impugnata, doveva essere eseguita. Tuttavia, all'inizio del XIV sec. questa
procedura venne snellita, con l'adozione del
p. detto
sommario, in
cui il libello diventava una dichiarazione orale, scompariva la
litis
contestatio e si accresceva il potere discrezionale del giudice nel non
accoglimento di istanze presentate solo allo scopo di allungare i tempi
processuali. Il
p. penale, distinto nuovamente, come si è detto,
dal civile, risentì dell'influenza di quest'ultimo e, nel corso del XIII
sec., da accusatorio divenne inquisitorio. La prima fase del
p. penale
aveva lo scopo di accertare l'esistenza di un crimine, raccogliendo le dicerie e
procurando indizi; quindi si procedeva al reperimento delle prove e
all'interrogatorio dell'imputato e dei testimoni. Nel sistema probatorio di
questo
p. è da rilevare la parte assolutamente preminente
acquisita dalla confessione, considerata come la regina delle prove: ne
derivò, pur di ottenerla, l'ammissione dell'uso della tortura. Queste
forme processuali vennero mantenute in vita fino all'inizio del XIX sec.;
tuttavia, già nella seconda metà del XVIII sec. il movimento
riformatore dell'Assolutismo illuminato ne determinò un rinnovamento
profondo, che, attraverso i nuovi codici francesi, improntò il sistema
processuale moderno.