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Problema.

(dal greco próblema, der. di probállo: metto avanti). Ostacolo, impedimento, difficoltà. ║ Situazione difficile e complessa che deve essere risolta, incognita che suscita preoccupazione. ║ Fig. - Detto di persona dal carattere enigmatico, con la quale sia difficile rapportarsi. ║ Quesito o questione di cui si ricerca la soluzione a partire da elementi noti, forniti contestualmente al p. stesso. ║ In riferimento a scienze o discipline che non procedono mai, o comunque non necessariamente, mediante calcoli matematici, il termine p. indica una questione la cui soluzione può essere raggiunta mediante diversi metodi non algoritmici, ma dialogici, sperimentali, logici, ecc. • Mat. - Quesito da risolvere con una costruzione grafica o con un calcolo. In matematica ogni p. viene tradotto in un'equazione, in una disequazione o in un sistema e, viceversa, ogni equazione, disequazione, sistema esprime un p.: per tale motivo la terminologia tipica delle equazioni viene riferita anche ai p. Si hanno, pertanto, p. determinati, indeterminati, impossibili, algebrici, trascendenti, integrali, ecc. In geometria, i p. possono essere risolti traducendoli in equazioni (risoluzione analitica), oppure applicando procedimenti propri della geometria, con metodi deduttivi o costruttivi (risoluzione sintetica); un esempio tipico di questa seconda tipologia sono i p. risolubili con riga e compasso, che richiedono solo il tracciamento e la mutua intersezione di rette e circonferenze. Tali p. erano gli unici considerati dai matematici greci, che ammettevano solo soluzioni ottenute con metodi costruttivi: oggi è noto che i p. così risolubili sono solo quelli corrispondenti a equazioni algebriche di secondo grado o comunque riducibili a equazioni di secondo grado. P. classici non risolubili con riga e compasso sono, ad esempio, il p. della trisezione dell'angolo, il p. della duplicazione del cubo, il p. della rettificazione della circonferenza e della quadratura del cerchio. Nella matematica moderna si accetta, invece, anche una dimostrazione non costruttiva di esistenza, in cui ci si limita a provare che il p. ammette una soluzione, senza indicarne il metodo per calcolarla. ║ P. aperti: p. che non sono ancora stati risolti, dei quali, però, non si è in grado di escludere la possibilità di una futura risoluzione; si distinguono dai p. insolubili, dei quali è dimostrata l'impossibilità di darne una risoluzione con gli strumenti attuali. Tipico p. aperto è il cosiddetto ultimo o grande teorema di Fermat. • Filos. - Ostacolo che impedisce un processo lineare del pensiero, sia in quanto il ragionamento non riesce a individuare la via da tenere, sia in quanto si trova nel dilemma su quale delle vie possibili scegliere. L'idea del p. come bivio filosofico portò, nella filosofia greca, a una sua valenza dialettica e ad un suo uso, ad esempio con Zenone di Elea, nelle dimostrazioni per assurdo: mediante il ragionamento problematico e l'uso critico del pensiero, il filosofo poteva rintracciare la giusta via del ragionamento escludendo le situazioni che generassero una contraddizione interna (si pensi alle celebri aporie eleatiche sul movimento). Se Socrate si valse del pensiero problematico nel metodo maieutico, anche Aristotele considerò il p. come un procedimento per rilevare aporie (cioè contraddizioni), il cui superamento permettesse di attingere la verità di una questione. Ogni argomento veniva ridotto a una serie di alternative, discusse nei pro e nei contro, prima di effettuare una scelta. A partire dalla dialettica aristotelica, la gnoseologia medioevale indicò nella quaestio, cioè nel p. logico, l'ambito in cui doveva essere esercitata la razionalità umana, che trovava così una legittimazione anche in ambito teologico (almeno per i razionalisti come Abelardo, mentre gli antidialettici ritenevano che la fede fosse autonoma e assoluta rispetto alla ragione). Di tale natura furono le summae di Tommaso d'Aquino, che nell'ambito delle singole quaestiones applicò la dimostrazione razionale. In seguito la filosofia superò l'uso logico dialettico del p., facendone invece uno dei procedimento metodologici dell'evidenza empirica. Ad esempio Bacone, secondo il quale era necessario che il ricercatore liberasse la sua la mente dai pregiudizi, propose di superare una serie di alternative problematiche sulla base della sola esperienza. Per Cartesio il p. coincise con il dubbio metodico che apre la via alla conoscenza; nella filosofia moderna tale categoria finì per rappresentare non più solo il momento introduttivo e propedeutico al sapere, ma il contenuto centrale del sapere stesso (V. anche PROBLEMATICISMO). • Topogr. - P. della carta: nome dato al p. di Snellius Pothénot, che si propone frequentemente in ambito topografico. È noto anche come p. dei tre punti e consente di effettuare un rilevamento con il metodo dell'intersezione inversa. L'enunciato può essere così indicato: dati su una carta tre punti definiti A, B, C, si chiede di determinare su di essa un quarto punto D, conoscendo l'ampiezza degli angoli sotto cui giacciono i segmenti AB e BC. Una volta misurati gli angoli con il teodolite, con il sestante o con il radiogoniometro, il punto D viene individuato tramite calcoli trigonometrici e risulta dall'intersezione di due archi di cerchio realizzati sulle lunghezze AB e BC. • Astron. - P. dei tre corpi: p. della soluzione delle equazioni relative al moto di 2 o 3 o di n corpi che siano soggetti alla sola attrazione reciproca di natura gravitazionale. Si tratta cioè di individuarne i rispettivi elementi orbitali. Questo p. consente, allo stato attuale, soluzioni precise solo se riferito a due corpi o se i tre corpi considerati sono disposti lungo una retta o ai vertici di un triangolo equilatero; in tutte le altre situazioni si riesce a giungere a un risultato sufficientemente approssimato attraverso calcoli analitici integrati da equazioni differenziali. • Giochi - Nel gioco degli scacchi, disposizione dei pezzi a partire dalla quale è possibile ottenere, attraverso una e una sola serie determinata e stabilita di mosse, il fine indicato dal p. stesso.