(dal latino
postulatum: ciò che è richiesto). Filos. -
Principio che, pur non essendo dimostrabile, viene assunto come fondamento di
una dimostrazione o di una teoria. Nella logica tradizionale il
p.
differisce dall'
assioma, proposizione evidente di per sé, e che,
quindi, non ha bisogno di essere dimostrata; nelle logiche moderne, invece, i
due termini sono considerati sinonimi, e indicano le proposizioni indimostrate
che sono poste a fondamento di un sistema formalizzato. Già Aristotele
distingueva il
p. dall'ipotesi: il primo come verità pienamente
accettata, la seconda come verità in attesa di conferma, proveniente
dalla ragione o dall'esperienza. In alcuni casi, il termine
p. viene
utilizzato per indicare una verità legata a dei principi accettati come
certi, i quali non reggerebbero senza di essa, e che, pertanto, deve essere
necessariamente assunta: tali sono i tre
p. della ragion pratica di Kant.
║
P. gnoseologici e della ragion pratica:
p. presentati da
Kant in sede gnoseologica e in sede etica.
P. del pensiero empirico sono
i tre seguenti: 1) possibile è tutto ciò che si accorda con le
condizioni formali dell'esperienza; 2) reale è tutto ciò che
è connesso con le condizioni materiali dell'esperienza; 3) necessario
è tutto ciò che è connesso con la realtà, secondo le
universali condizioni dell'esperienza.
P. della ragion pratica sono,
invece, per Kant le tre proposizioni teoretiche derivate dall'idea di Sommo
bene: 1) immortalità dell'anima; 2) esistenza di un mondo di esseri
liberi o regno dei fini; 3) esistenza di Dio come sommo legislatore del regno
dei fini. L'idea della immortalità dell'anima, della libertà,
dell'esistenza di Dio, rappresentano, dal punto di vista speculativo, un'ipotesi
non scientificamente dimostrabile, dal punto di vista pratico una fede razionale
pura: tali
p. devono essere ammessi, perché abbia senso
l'irriducibile obbligazione morale che la nostra coscienza attesta. • Mat.
- Ogni enunciato primitivo di una teoria. In particolare, nella costruzione di
una teoria secondo l'indirizzo sperimentale, il
p. indica una
proposizione evidente di per sé, che non ha perciò bisogno di
dimostrazione: in questo senso il termine
p. è sinonimo di
assioma, dal quale veniva distinto nella logica tradizionale. Nella
costruzione di una teoria secondo l'indirizzo ipotetico deduttivo, nella quale
gli enti matematici presi in considerazione non vengono definiti, ma assunti a
priori come
enti primitivi, il termine
p. indica, invece, ogni
proposizione relativa agli enti primitivi che si ammette come vera. ║
P. della continuità:
p. che stabilisce in forma rigorosa il
concetto intuitivo di continuità sopra una retta, cioè la
possibilità di passare da un punto della retta a ogni altro di essa,
spostandosi sulla retta senza incontrare lacune. Il concetto intuitivo di
continuità è stato formalizzato in diversi modi, non equivalenti
tra loro: esistono pertanto differenti
p. di continuità, tra i
quali i più noti sono dovuti ad Archimede, a Cantor e a Dedekind. ║
P. di appartenenza:
p. della geometria che riguardano le relazioni
di appartenenza dei punti, delle rette, dei piani o, più in generale,
degli spazi subordinati a un iperspazio. ║
P. di Euclide o
p.
delle parallele: è il quinto
p. degli Elementi di Euclide;
afferma che, per ogni punto esterno a una retta passa una e una sola parallela
alla retta stessa. Dopo secoli di inutili tentativi di fornirne una
dimostrazione sulla base degli altri quattro
p., nel XIX sec. se ne
riconobbe il carattere indipendente, con la conseguente scoperta delle geometrie
non euclidee.