(dal latino tardo
possessus, der. di
possidere: possedere). Potere
effettivo esercitato su una cosa, materiale o non, di cui si hanno l'uso e la
detenzione e di cui si possono godere i frutti, senza necessariamente averne la
proprietà o altro diritto reale. Nel linguaggio quotidiano non si attua
sempre una distinzione netta tra il
p. e la proprietà, e i due
termini risultano di fatto sinonimi, a differenza di quanto avviene in ambito
giuridico. ║ Per estens. - Dominio, padronanza, controllo completo su
qualcosa. Anche, l'oggetto di cui si è possessori, quindi beni stabili,
terreni, campagne. ║ Unione carnale. ║ Fig. - Conoscenza piena,
sicura. • Dir. - Potere effettivo sulla cosa; si manifesta in
un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà
o di altro diritto reale minore (art. 1.140 Cod. Civ.). Il
p. si verifica
quando un soggetto, indipendentemente dal fatto di essere o meno titolare del
diritto di proprietà o di altro diritto reale sull'oggetto, esercita
tuttavia sulla cosa i poteri corrispondenti a tali diritti. Nell'ambito del
p. si distinguono lo
ius possessionis, ossia il
diritto di
p., attribuito a chi lo esercita, e lo
ius possidendi, il
diritto
al p., emanazione del diritto reale che spetta a chi ha la titolarità
del diritto stesso. Nel
p. si cercano quindi gli estremi di due elementi,
l'uno psicologico e l'altro materiale, indicati rispettivamente come
animus
possidendi, l'intenzione del soggetto di usare la cosa come se fosse
titolare del diritto, e come
possessio corporis, l'effettiva detenzione
della cosa. Di conseguenza il
p. non risulta di fatto un diritto, ma si
esprime in un potere concludente e oggettivamente valutabile di esercizio di un
diritto, al di là della titolarità del diritto stesso.
L'ordinamento giuridico contempla allora, da un lato, le azioni legali in sede
civile e penale che garantiscano la tutela dei diritti reali altrui
eventualmente minacciati, dall'altro, un riconoscimento giuridico del
p.,
con cui il possessore acquisisce diritti riguardanti la manutenzione della cosa,
la tutela della situazione di fatto contro possibili aggressioni esterne
(
azioni possessorie). Con il trascorrere del tempo il
p.
può addirittura trasformarsi nel corrispondente diritto
(V. USUCAPIONE). Alla radice della tutela del
p. la legge individua un duplice ordine di ragioni: da una parte il
rispetto dell'apparenza del diritto, che garantisca il mantenimento dell'ordine
(principio di conservazione), dall'altra l'esigenza di mettere in correlazione e
adeguare, nell'ambito dei trasferimenti di diritto, il divenire giuridico al
divenire economico e sociale (principio di evoluzione, che spiega la concessione
dell'usucapione). Una volta riconosciuto il potere effettivo sulla cosa, il
p. diventa un fatto giuridico quando l'ordinamento ne fa conseguire dei
fatti giuridici. Il
p. può essere in buona fede, quando chi
possiede ignora di ledere il diritto altrui, oppure in malafede. La buona fede
si presume all'inizio del
p. (art. 1.147 Cod. Civ.). Il possessore in
buona fede ha diritto a raccogliere i frutti naturali civili fino al giorno in
cui il proprietario della cosa non agisce in giudizio per recuperarne il
p. (art. 1.148). Il possessore ha diritto al rimborso delle spese
sostenute per la produzione (art. 1.149) e, se ha eseguito dei miglioramenti, a
un indennizzo nella misura dell'aumento di valore della cosa (art. 1.150); ha
inoltre il diritto di trattenere la cosa fino a quando non abbia ricevuto
l'indennità dovutagli (art. 1.152). Se il possessore era in malafede,
deve rispondere di tutti i frutti percepiti e percipiendi dalla cosa. Per quanto
riguarda il regime dei beni mobili, l'acquirente in buona fede acquista la
proprietà della cosa, nell'ipotesi di alienazione di mobili da parte del
proprietario; questa regola si sintetizza nella formula "in fatto di mobili
il
p. vale titolo" e si configura come un'usucapione istantanea. Chi
ha il
p. in buona fede della proprietà o di altro diritto reale su
un insieme di beni mobili o immobili in base a titolo idoneo, ma invalido,
può acquistare il relativo diritto nel termine di dieci anni. Nel caso
dei beni immobili registrati, se il possessore ha effettuato l'acquisto in base
a titolo idoneo, il termine si riduce a tre anni. Per chi esercita il
p.
in malafede l'usucapione può attuarsi solo dopo che sono trascorsi 20
anni. Differente è il caso della
detenzione, che consiste nel
p. in nome altrui; in tale circostanza non può mai verificarsi
l'acquisto del corrispondente diritto, perché l'esercizio dei poteri
sulla cosa ha un titolo nel riconoscimento del
p. al titolare del diritto
(V. DETENZIONE). Il
p. si può
acquistare originariamente, cioè senza una trasmissione da parte d'altri,
mediante l'apprensione, che consiste nell'impadronirsi della cosa, oppure si
può acquisire mediante la consegna o la successione. • Dir. pen. -
La legge prevede una tutela in materia penale contro colui che turbi, con
violenza alla persona o con minaccia, l'altrui pacifico
p. Si ha
p., in ambito penale, quando il possessore può disporre in modo
autonomo della cosa, ovvero al di fuori della diretta sfera di vigilanza di un
altro soggetto che eserciti sulla cosa un potere giuridico maggiore.
All'opposto, il detentore è colui che esercita un mero potere effettivo
sulla cosa, entro la sfera di vigilanza del possessore. In base a tali
presupposti, commette furto chi sottrae la cosa in un contesto in cui il
rapporto tra la persona e la cosa si esplica sotto la diretta sorveglianza del
possessore. È necessario, inoltre, che il possessore abbia la
volontà di possedere, sia cioè consapevole di tenere la cosa
sottratta presso di sé. • Dir. rom. - Del tutto assente nel diritto
dell'antico Oriente, e solo accennata nel diritto greco, la distinzione tra il
concetto di
proprietà e quello di
p. assume invece notevole
rilievo nell'ambito del diritto romano, in cui va incontro, tra l'altro, a
incisive evoluzioni di significato. La prima differenziazione storica è
quella tra
usus (
usus-fructus), ovvero una signoria di fatto,
limitata o illimitata nel tempo, e
dominium, la signoria giuridica, in
genere legata alla concessione dell'
ager gentilicius da parte del
pater gentis alle persone che gliene facevano richiesta (
precario
rogantes); tale genere di
p., caratterizzato dalla
revocabilità, poteva in alcuni casi diventare irrevocabile,
trasformandosi in proprietà effettiva per usucapione. Svolta importante
in ambito sociale si verificò verso la fine dell'età repubblicana,
quando si svolse la trasformazione della
possessio dell'
ager
publicus in
dominium ex iure Quiritium, signoria piena. Una volta
scomparso il
p. revocabile, la parola
possessio assunse un
significato nuovo e più specifico, tecnicizzandosi. Fu a questo punto che
si delineò la classica figura del
p. come di un rapporto di
dominazione effettiva, in cui si detiene la cosa con l'intento di possederla per
sé e di disporne liberamente e senza limiti di tempo, al pari del
dominus; tale rapporto risulta protetto dagli interdetti e teso a
trasformarsi in signoria giuridica attraverso l'usucapione. In età
postclassica e nella legislazione giustinianea la
possessio è
riferita a colui che è
dominus della cosa o ritiene in buona fede
di esserlo; la
possessio in malafede, o in cui manca il giusto titolo,
è considerata al pari della detenzione. Gli interdetti a tutela del
p. sono gli
interdicta retinendae possessionis e gli
interdicta
recuperandae possessionis, che nel diritto giustinianeo diventano azioni.
Nelle epoche successive, al concetto di
p. elaborato dal mondo romano
viene progressivamente a sostituirsi quello connesso alla realtà sociale
germanica, denominato
Gewere, ovvero l'investitura di diritto che si
estende ad un rapporto effettivo o di diritto sulla cosa. L'Alto Medioevo
include nel concetto di investitura una serie di elementi: l'atto di immissione
nel godimento della cosa, il diritto corrispondente a tale godimento, il
godimento stesso, così da giungere alla concezione di una
pluralità di investiture, tipica della società feudale. Nella
successiva età dei Comuni, particolarmente significativa appare
l'estensione del concetto di
p. ad ogni genere di bene o di diritto
incorporale, di situazione, qualità o dignità. A tale
spiritualizzazione del concetto di
p., già iniziata in epoca
giustinianea, si associa la visione, consolidatasi nei secoli successivi, per
cui il vero
p., accompagnato da una presunzione di proprietà, non
si perde con l'espulsione, se il titolare conserva l'
animus possidendi.
• Dir. internaz. -
Presa di p. internazionale di territorio: l'atto
materiale con cui uno Stato si insedia in un territorio su cui non è
esercitata la sovranità di alcun altro Stato e che non è ritenuto
inappropriabile in ambito internazionale. Perché la presa di
p.
abbia efficacia ai fini dell'acquisto di sovranità, deve essere sostenuta
dai due elementi dell'
animus possidendi, in questo caso effettiva
volontà di acquistare il territorio, e della
possessio corporis,
l'effettiva occupazione e poi amministrazione di un territorio, che vada oltre
l'atto formale (ad esempio l'innalzamento della bandiera) da cui è stata
scandita. Mentre all'epoca delle grandi scoperte la presa di
p. era
considerata valida anche se avveniva in modo esclusivamente simbolico, in
seguito venne considerata tale solo quando era accompagnata da un'effettiva
occupazione; fu a partire dal XVIII sec. che gli scrittori di diritto si
trovarono concordi su questa linea, e a partire dal XIX sec. la prassi
internazionale si adeguò alle indicazioni giuridiche.