Corrente filosofica e di pensiero sorta in Francia nella prima metà
dell'Ottocento e diffusasi in tutta Europa nella seconda metà del secolo.
║ Per estens. - L'atteggiamento proprio di una persona che bada ai fatti,
al reale, al concreto, evitando preoccupazioni e riflessioni di ordine ideale o
emotivo. • Filos. - Il termine
positivo, da cui prende nome la
corrente, viene assunto dai positivisti con due significati fondamentali: 1)
ciò che è reale e sperimentale, in contrapposizione a ciò
che è astratto e metafisico; 2) ciò che è efficace e utile,
in contrapposizione a ciò che è sterile e inutile. Il termine
P. fu coniato da C.H. Saint-Simon nel
Catechismo degli industriali
(1820) per indicare il metodo proprio delle scienze positive; venne in seguito
ripreso da A. Comte per designare la dottrina di pensiero contenuta nel suo
Corso di filosofia positiva (1830). Espressione dell'esigenza di
edificare un sapere positivo, utile al progresso sociale, in quanto basato sulla
scienza e la tecnica, nella seconda metà dell'Ottocento il
P.
uscì dall'ambito puramente filosofico per divenire l'indirizzo
dominante della cultura ed espressione tipica della
forma mentis della
società borghese nell'epoca del suo trionfo. Non a caso il
P. ebbe
la sua patria d'elezione laddove più intenso era stato il processo di
industrializzazione e più netto l'emergere di una solida classe borghese
(Francia, Gran Bretagna), mentre si affermò con più fatica in
Paesi quali la Germania e l'Italia. In campo filosofico il
P. non si
presenta come una scuola caratterizzata da una struttura di pensiero monolitica,
comprendendo pensatori diversi per formazione culturale, interessi specifici e
soluzioni date; l'elemento caratterizzante di tutto il movimento sta nella
celebrazione e nell'esaltazione della scienza che si concretizza in una serie di
tesi di fondo: 1) ogni conoscenza di fatti è basata su dati positivi,
ovvero dati di esperienza. 2) Al di là del campo dei fatti vi è
quello delle scienze formali: logica pura e matematica. 3) La scienza
costituisce, quindi, l'unica forma di sapere possibile e il suo metodo l'unico
valido. 4) Va rifiutato come aleatorio ogni tipo di speculazione di carattere
metafisico. 5) Il metodo scientifico è da estendere a tutti i campi del
sapere. 6) La filosofia deve abbandonare la pretesa tradizionale di avere
oggetti propri, inattingibili alle scienze (essenze, sostanze, ecc.); suo
compito precipuo è quello di enunciare i principi comuni a tutte le
scienze, coordinando e unificando in una visione d'insieme i risultati delle
diverse discipline scientifiche. 7) Il percorso dell'umanità è
caratterizzato da gradi sempre più elevati di conoscenza e di benessere
socio-economico e il progresso scientifico costituisce la base di ogni progresso
sociale. 8) In campo etico, l'esaltazione del dato di fatto e
dell'oggettività scientifica si traduce generalmente nell'assunzione di
posizioni di stampo utilitarista. Che il
P. risulti legato
all'Illuminismo, tramite soprattutto la figura di A. Comte, è
indubitabile: accomunano i due movimenti la fiducia nella ragione e nella
scienza quali strumenti di pubblica felicità, l'esaltazione del sapere
scientifico in opposizione a quello metafisico, la visione laica e
immanentistica della vita. Tuttavia, inserendosi in un mutato contesto
storico-sociale, tali elementi assumono caratteri diversi. Mentre gli
illuministi avevano combattuto contro forze culturali e sociali ancora
dominanti, facendosi portavoce dell'ideologia di una borghesia in ascesa, i
positivisti operano in un contesto caratterizzato da un sempre maggior sviluppo
del sapere tecnologico-scientifico e da una borghesia che ha ormai consolidato
la propria egemonia. Ciò spiega la minore carica polemica del
P.
nei confronti di forme culturali che appaiono ormai chiaramente obsolete. Mentre
l'Illuminismo, sul piano politico, si era presentato come un riformismo
inconsapevolmente portatore di istanze rivoluzionarie (sfociate nella
Rivoluzione francese), il
P. appare come un riformismo dichiaratamente
anti-rivoluzionario che, pur lottando contro le vecchie ideologie, si oppone
altrettanto fortemente alle istanze rivoluzionarie rappresentate da proletariato
e Socialismo. Diverso è anche il compito assegnato alla filosofia da
queste due correnti di pensiero e il loro modo di rapportarsi alla scienza:
mentre l'Illuminismo mirava a una fondazione gnoseologica della scienza, il
P., dando ormai per garantita la validità del sapere scientifico,
mira piuttosto a dare un quadro complessivo delle scienze. Inoltre per gli
illuministi il richiamo al sapere sperimentale aveva soprattutto un valore
polemico e critico nei confronti di antiche certezze di carattere metafisico e
religioso; nei positivisti l'appello alla scienza si traduce spesso in una
riedificazione di certezze assolute, in una dogmatizzazione e assolutizzazione
del sapere scientifico. La storiografia moderna ha ampiamente discusso anche i
rapporti fra
P. e Romanticismo, modificando il tradizionale giudizio che
le vedeva come correnti diametralmente contrapposte e sottolineando piuttosto il
fatto che entrambe nascano da una stessa temperie spirituale, che si può
definire romantico-ottocentesca. L'assolutizzazione della scienza (in parallelo
all'assolutizzazione della poesia e dell'arte di stampo romantico),
l'interpretazione del divenire storico come totalità processuale
necessaria (abbia essa per soggetto l'Umanità o lo Spirito), da cui
discende una posizione giustificazionista e ottimista nei confronti
dell'esistente (si pensi alla coincidenza fra reale e razionale di matrice
hegeliana e all'esaltazione positivista del dato di fatto), il compito assegnato
alla filosofia di guardare (tramite la scienza o la dialettica) al mondo quale
ci si presenta e quale è, piuttosto che al mondo quale dovrebbe essere o
si vorrebbe che fosse, sono tutti elementi che accomunano
P. e
Romanticismo, la cui disamina ha permesso a N. Abbagnano di parlare del
P. come del "Romanticismo della scienza
". Nella seconda
metà del XIX sec. il
P. divenne una sorta di "moda
culturale" che accomunò gran parte delle classi dirigenti europee.
Molte furono le riforme sociali o civili intraprese all'epoca sotto la bandiera
del
P.; si arrivò a ipotizzare l'instaurazione di una morale
individuale e sociale di ispirazione positivistica o di organizzare l'intera
gestione politica della società secondo i principi del
P. Tuttavia
gli sviluppi politico-sociali del
P., proprio per le ambiguità
presenti nei suoi presupposti teorici, si mutarono, col passare del tempo, da
progressisti in conservatori, lasciando infine adito a quelle correnti
spiritualistiche che trionfarono verso la fine del secolo: ciò che
all'inizio fu l'espressione delle più concrete e spregiudicate esigenze
della borghesia, divenne in seguito strumento di potere e di conservazione della
borghesia stessa, che sostituì alla fiducia nelle forze dell'uomo e nella
sua capacità di sottomettere ogni elemento ostile, il rassegnato e
mistificatorio agnosticismo risolventesi nell'accettazione di determinati
presupposti, presentati come inoppugnabili per legge di natura. Decisivo fu il
contributo dato dal
P. allo sviluppo delle scienze umane (dalla
storiografia, alla sociologia fino alla psicologia) imponendo in settori
ritenuti tradizionalmente di carattere spirituale il metodo proprio delle
scienze esatte, l'aderenza al dato di fatto, a ciò che è
sperimentabile e osservabile. Ovunque si affermò la convinzione che
compito dell'intellettuale fosse quello di guardare "scientificamente"
alla realtà, con approccio concreto e diretto; tale impostazione non
mancò di farsi sentire anche in campo artistico, in cui movimenti quali
il Naturalismo e il Verismo tradussero lo spirito positivista nell'esigenza di
aderenza al vero. Corrente complessa ed eterogenea, il
P. è stato
tradizionalmente suddiviso in due grandi filoni aventi come spartiacque la
teoria evoluzionistica di Ch. Darwin: il
P. sociale sviluppatosi nella
prima metà del secolo con C.H. Saint-Simon, A. Comte e J.S. Mill; e il
P. evoluzionistico rappresentato da H. Spencer, dai materialisti tedeschi
e R. Ardigò. La critica più recente preferisce distinguere i
positivisti su base nazionale, sottolineando così l'influenza dei diversi
contesti culturali. Padre del
P., sia dal punto di vista cronologico sia
per avere costruito un sistema organico in cui sono presenti molte delle
più tipiche tesi positiviste, viene considerato unanimemente Comte. Il
P. di Comte si basa sulla
legge dei tre stadi, modellata sul
parallelismo fra lo sviluppo mentale dell'individuo dall'infanzia alla
maturità e quello della società. Nel primo stadio, chiamato
teologico, i fenomeni naturali vengono spiegati attraverso forze
sovrannaturali o divine; nel secondo stadio, quello
metafisico, essi sono
interpretati facendo ricorso a forze impersonali e occulte (Idee, sostanze), ma
pur sempre trascendenti. La conoscenza acquista solide basi solo nel terzo
stadio, detto
positivo, in cui si limita a considerare esclusivamente i
dati di fatto. Abbandonata la ricerca di essenze o di principi metafisici, il
compito della conoscenza umana è quello di scoprire le leggi che regolano
il corso della natura e della società; tali leggi, che si configurano
meramente come descrizioni abbreviate dei fenomeni, rendono possibile l'azione
efficace dell'uomo sul corso degli eventi. Estremamente rilevante fu il
contributo dato da Comte alla nascita e allo sviluppo delle scienze
sociologiche: un settore in cui Comte apportò numerosi concetti e
strumenti, cui la sociologia ottocentesca si attenne a lungo. Nell'ultima fase
del suo pensiero Comte abbandonò il metodo positivo e cominciò a
parlare della scienza in termini acritici, attribuendole un valore decisamente
religioso e totalizzante. Contrario agli sviluppi teorici dell'ultimo Comte fu
il
P. inglese che si sviluppò, innestandosi sulla tradizione
empiristica, soprattutto nella seconda metà dell'Ottocento. Fra le figure
più rappresentative ricordiamo J.S. Mill, cui si deve l'elaborazione di
una dottrina della conoscenza e della ricerca scientifica, così
fortemente empirista da annoverare fra le scienze empiriche anche matematica e
logica. Lo sviluppo del
P. inglese, come di tutto il
P. della
seconda metà del secolo fu profondamente influenzato dalla diffusione
delle teorie evoluzionistiche di Ch. Darwin. In questo contesto si segnala la
figura di H. Spencer, che assunse l'evoluzione come legge fondamentale per la
spiegazione di ogni fenomeno naturale, dalla materia alla psiche umana. Alla
continua mobilità data da una natura in perenne adattamento, fa da sfondo
secondo Spencer una realtà assoluta, che rimane per l'uomo del tutto
inconoscibile. Mentre in Francia il
P. veniva riformulato da H. Tainee e
da J.-E. Renan, che ne applicarono i principi teorici all'ambito delle scienze
umane, in Germania si diffusero posizioni agnostiche simili a quelle
spenceriane. Una delle più originali enunciazioni si trova nell'opera del
fisiologo E. Du-Bois-Reymond; ne
I sette enigmi del mondo (1880) sostenne
che si deve rispondere
ignorabimus (ignoreremo sempre) alle domande
riguardanti l'origine ultima del mondo e della vita. E.H. Haeckel, negli
Enigmi del mondo (1899), contrappose a tale concezione l'affermazione di
netto materialismo naturalistico. In Italia il
P., pur fortemente
influenzato da quello francese e inglese, ebbe modo di innestarsi anche su una
tradizione nazionale facente capo al pensiero di G.D. Romagnosi, G. Ferrari e C.
Cattaneo. Il
P. agì a livello di sfondo teorico favorendo un
approccio più concreto e laico ai problemi della natura e dell'uomo; di
particolare importanza fu la sua influenza in campo storiografico (P. Villari),
in quello pedagogico (A. Gabelli, A. Angiulli, M. Montessori) e antropologico,
settore in cui la tesi di C. Lombroso di una connessione fra tratti fisici e
comportamenti devianti ebbe vasta eco a livello europeo. Dal punto di vista
speculativo il
P. italiano ebbe il suo maggior rappresentante in R.
Ardigò, cui si deve un imponente tentativo di sistematizzazione delle
tesi positivistiche sulla sensazione, sul concetto e sulla conoscenza, che lo
condusse all'affermazione di una chiara posizione materialistica.