Ind. chim. - Materia plastica ottenuta per polimerizzazione del
propilene
a mezzo di catalizzatori stereospecifici del tipo proposto da C. Ziegler per il
polietilene, e messo a punto da G. Natta, che per questo ricevette il premio
Nobel. Nato all'inizio degli anni Sessanta, il
p. si pose presto fra le
materie plastiche di più elevata produzione, anche per il suo basso
costo, e fu collocato per la prima volta sul mercato dalla società
Montedison. La sua grande diffusione sta nelle sue ottime caratteristiche
meccaniche, di resistenza in temperatura, resistenza chimica, trasparenza,
lavorabilità. • Chim. - Il
p. ha la seguente formula di
struttura:

La polimerizzazione può
evidentemente avvenire solo per rottura del doppio legame etilenico, secondo un
meccanismo analogo alla polimerizzazione dell'etilene per dare il
polietilene. Tuttavia la presenza del sostituente ―CH
3 (metile) sulla molecola comporta la
possibilità di ottenere per polimerizzazione dei prodotti diversi, a
seconda della disposizione dei sostituenti a cavallo della macromolecola. Come
nel caso del polietilene, è possibile avere delle catene laterali
più o meno lunghe. La presenza dei sostituenti laterali metilici comporta
la possibilità di ottenere tre prodotti diversi, precisamente: 1)
P.
atattico: qualora si distenda la catena principale su un piano, i
sostituenti metilici si trovano disposti in modo disordinato sui due lati della
catena principale. Secondo una rappresentazione grafica, considerando che le
catene paraffiniche non sono lineari, ma sono delle spezzate, in quanto ogni
atomo di carbonio lega 4 sostituenti con 4 legami, che stericamente sono diretti
verso i vertici di un tetraedro di cui l'atomo di carbonio è il centro,
l'angolo formato fra loro da due qualsiasi legami di un atomo di carbonio
è di 109° 28'. Se si dispone questa catena (a forma di spezzata) in
un piano, i sostituenti del carbonio si troveranno sopra e sotto questo piano.
Rappresentando questa catena come rettilinea (cioè come se l'angolo di
109° 28' fosse 180°) indicando sopra la catena i sostituenti che sono
sopra il piano della catena e sotto quelli che sono sotto il piano della catena,
si può fare del
p. atattico (cioè non ordinato) la seguente
rappresentazione indicativa:

Si può
notare l'irregolarità nella disposizione dei gruppi metilici ―CH
3: essi possono essere indifferentemente
su un lato o l'altro della molecola e anche su due atomi di carbonio contigui,
segno che la polimerizzazione è avvenuta in modo completamente
disordinato. Il polimero che così si ottiene non può essere
cristallino in misura significativa in quanto le molecole sono irregolari, e
quindi non possono impaccarsi strettamente una vicino all'altra. Di conseguenza
esso ha caratteristiche tali da non poter essere impiegato come materiale da
costruzione: si presenta come un solido ceroso e bassofondente. 2)
P.
sindiotattico: con una scelta opportuna del catalizzatore è possibile
produrre un polimero stericamente regolare, ad esempio con i sostituenti
metilici ordinatamente alternati a cavallo della molecola. Con la solita
rappresentazione si avrà una catena del tipo:

ma semplicemente ―CH
2―. Un
polimero di questo tipo, data la regolarità delle molecole, presenta una
cristallinità molto maggiore: questo significa un punto di fusione
più elevato e caratteristiche meccaniche molto migliori in condizioni
ambiente. 3)
P. isotattico: utilizzando particolari catalizzatori, il
polimero finale può essere ottenuto sempre orientato, ma con i gruppi
metilici tutti su un lato della catena (nella nostra rappresentazione). Pertanto
questo
p. si può rappresentare nel seguente modo:

Anche questo polimero presenterà un elevato grado di
cristallinità, vista la forma ordinata della molecola. È questo il
comune
p. del commercio. La polimerizzazione deve quindi essere condotta
in modo che si produca un polimero ordinato spazialmente: si parla allora di
polimerizzazione stereospecifica oppure con
catalizzatori
stereospecifici. Per ottenere il
p. isotattico si devono verificare
le due seguenti condizioni: a) la giunzione del monomero alla catena polimerica
deve avvenire secondo un meccanismo testa-coda, vale a dire che la testa di un
monomero addizionato deve unirsi alla coda dell'ultimo monomero addizionato in
precedenza (o viceversa, dato che la definizione di
testa e
coda
di una molecola è puramente convenzionale). Indicando come al solito con
dei punti la catena polimerica (eccetto la sua terminazione) avremo quindi un
meccanismo del genere:

avendo contrassegnato con un
asterisco i due atomi di carbonio che si devono unire fra loro perché
avvenga l'allungamento della catena. b) La giunzione del monomero alla catena
deve avvenire in modo che il sostituente metilico del monomero resti dalla parte
giusta della catena. Tutto questo viene ottenuto mediante l'impiego di un
opportuno catalizzatore avente una struttura tale per cui il monomero si
inserisce non al termine di una catena ma in un suo punto, in corrispondenza di
un legame fortemente polarizzato. A causa della diversa condizione dei due atomi
etilenici del propilene (uno porta due idrogeni, l'altro un idrogeno e un
metile) e della loro polarizzazione, l'inserimento può avvenire solo con
un meccanismo testa-coda, rispettando la prima condizione. Inoltre la struttura
del catalizzatore è tale per cui il punto di attacco del monomero
è accessibile solo in una certa direzione, con un certo orientamento
della molecola monomerica. Questo assicura che l'orientamento del gruppo metile
sia quello giusto. Questa polimerizzazione è del tipo
anionico
coordinato in quanto: 1) la parte di molecola che si allunga possiede una
carica parziale negativa; 2) il propilene, prima di essere addizionato viene
complessato dal catalizzatore, che è un complesso di coordinazione.
Comunemente si utilizza come catalizzatore una miscela di
alluminio
trialchile, generalmente alluminio trietile Al(CH
2―CH
3)
3 e
tricloruro di
titanio TiCl
3. Sono però utilizzabili anche altri
catalizzatori simili, composti da altri alchil-alluminio con cloruri di altri
metalli di transizione (cromo, vanadio, zirconio, ecc.). L'alchil-alluminio e il
tricloruro di titanio formano un complesso che secondo alcuni autori ha una
struttura del tipo:

avendo indicato con R― il radicale alchilico che, come si è detto,
è di solito l'etile. Considerando il catalizzatore come un complesso da
cui esce solo il gruppo alchilico, legato a un atomo metallico, secondo un
legame metallo-carbonio che è sicuramente polarizzato (cariche parziali
che indicheremo con δ e ―δ), si
avrà uno schema di questo genere:
[Cat]

CH
2―CH
3ignorando da che cosa sia
costituito il catalizzatore fra parentesi quadre. Anche il propilene è
parzialmente polarizzato, per effetto della sua dissimmetria, nel modo
seguente:
H
2C
-δ═CH―C

Esso si orienta, quindi, in modo da presentare la sua carica
parziale negativa al complesso catalitico; viene da questo coordinato e si
inserisce infine fra questo ed il gruppo etilico ―C
2H
5 nel seguente
modo:

In questo modo si è avuta la
prima addizione del monomero. Per la persistente presenza di un legame
polarizzato metallo-carbonio fra catalizzatore e gruppo ―CH
2―, si
può avere l'inserimento di un altro monomero di propilene nello stesso
identico modo in cui è entrato il primo; come effetto di questo si
passerà al seguente composto:

che a sua volta
si trova nelle condizioni originali e quindi permette l'inserimento di un altro
monomero e così via. Si giunge, dopo l'addizione di n + 1 molecole di
propilene, al seguente composto:

Al limite
l'accrescimento potrebbe continuare all'infinito, se non esistessero dei
meccanismi in grado di porre termine alla catena di reazione. I principali
metodi di terminazione di una catena di questo tipo sono i seguenti: 1)
Terminazione spontanea: la molecola polierica si stacca come olefina dal
complesso catalitico, lasciando su di esso un atomo di idrogeno:

Questo processo non significa però l'esaurimento del
catalizzatore. Esso infatti può reagire con una molecola di propilene
formando un complesso nuovo, secondo la reazione
seguente:
[Cat]―H + H
2C ═
CH―CH
3[Cat]―CH
2―CH
2―CH
3Questo
complesso presenta ancora il legame polarizzato metallo-etile (anzi, è un
legame metallo-propile) ed è suscettibile di addizionare monomeri
esattamente come prima visto. Si ha quindi la continuazione della catena
cinetica. 2)
Scambio con alluminio-alchile: in presenza di un accesso di
allumimio-alchile in soluzione si può verificare una reazione di doppio
scambio con passaggio di alchile dal catalizzatore alla macromolecola e di un
alchile da questa al catalizzatore. Si ha pertanto una reazione di questo
tipo:


Se al termine
della polimerizzazione si tratta il polimero con acqua, il legame
alluminio-carbonio propilenico viene distrutto e si ottengono i due
composti:

il primo dei quali viene eliminato
dal polimero. 3)
Terminazione forzata: operando in presenza di un agente
opportuno si può avere la regolazione del peso molecolare medio del
polimero. In effetti da tutte le reazioni precedenti si vede come termini la
catena per cause spontanee, quindi con scarsa possibilità di azione
dall'esterno. Se invece si introduce nella miscela una piccola quantità
di un agente opportuno si può dosare il peso molecolare medio del
polimero finale operando delle terminazioni di catena oltre a quelle già
viste. Il mezzo più comunemente impiegato è l'idrogeno che agisce
addizionandosi sul legame metallo-carbonio secondo una reazione del
tipo:

Dato che il numero di terminazioni
di questo genere è direttamente legato alla quantità di idrogeno
immesso, si può controllare il peso molecolare medio del polimero dosando
la concentrazione di idrogeno. Come è noto dal peso molecolare medio di
un polimero dipendono le caratteristiche meccaniche e di lavorabilità a
caldo della materia plastica. ║
Processi: citiamo solo il processo
Montedison, che è di gran lunga il più diffuso in tutto il mondo.
Materie prime di partenza sono propilene puro almeno al 99% e i due
catalizzatori (alluminio alchile e tricloruro di titanio). Oltre a queste
sostanze si alimenta nel reattore anche un solvente opportuno, generalmente
esano, eptano od una miscela di idrocarburi paraffinici leggeri. Si opera in
continuo, a pressioni modeste (circa 5 atmosfere) e temperature poco superiori a
quelle ambiente (50÷80 °C). Il catalizzatore è presente nel
solvente parte in soluzione e parte in sospensione; il polimero è
presente in sospensione mentre il monomero è presente in soluzione e
anche nella fase gassosa. Una parte del liquido viene prelevata in continuo e
trasferita in un secondo reattore (stabilizzatore) dove viene espansa. Qui si
libera il monomero non reagito che viene in parte scaricato come spurgo (per
tenere bassa la concentrazione di gas inerti) e in parte compresso e riciclato
unendolo alla alimentazione fresca. Si passa quindi alla separazione del
polimero per centrifugazione; la fase liquida è costituita da solvente
(che viene purificato e riciclato) e da sottoprodotti (ad esempio
p.
atattico) che vengono scaricati. La fase solida comprende il polimero e una
parte del catalizzatore: viene lavata con una miscela di solventi (i quali, dopo
purificazione per distillazione, sono riciclati al reattore) e di nuovo
asciugata per centrifugazione. Nel lavaggio si asporta anche il residuo
catalizzatore. Il polimero passa quindi in un essiccatore a tamburo nel quale
viene asciugato completamente e infine viene sottoposto a fusione e
granulazione. ║
Caratteristiche: come per tutti i polimeri, anche
le caratteristiche del
p. sono diverse secondo il grado di
cristallinità, il peso molecolare medio e la distribuzione dei pesi
molecolari. Inoltre esse possono venir modificate anche profondamente con
l'aggiunta di plastificanti, cariche, ecc. I dati qui riportati sono quindi da
intendersi come puramente orientativi e riferiti al polimero non caricato e non
modificato, salvo diverso avviso. 1)
Proprietà termiche: il
p. presenta un'ottima resistenza in temperatura: il punto di fusione
cristallina è di 180 °C circa; in servizio continuato sotto carichi
leggeri può essere impiegato fino a 105 °C mentre può
sopportare temperature fino a 150 °C in assenza di carico. Anche in
condizioni di temperatura superiore all'ambiente il creep è contenuto,
salvo il caso di sollecitazioni abnormi. I tipi caricati con fibre di vetro
possono essere impiegati sotto carichi leggeri fino a 150 ÷ 160° C. 2)
Proprietà meccaniche: sono simili a quelle di un polietilene ad
alta densità, ma nettamente superiori. Per la resina non caricata si ha
un carico di rottura a trazione di 300 ÷ 400 km/cm
2, con
allungamenti del 200 ÷ 700% alla rottura; per i tipi caricati con inerti in
polvere (ad esempio talco) si raggiungono carichi di rottura di 500 kg/cm con
allungamenti ridotti fino al 4 ÷ 8% mentre nei tipi caricati con fibra di
vetro il carico di rottura giunge a 650 kg/cm
2 con allungamenti dal 4
al 9%. La resistenza all'urto non è molto buona; esistono però
delle modificazioni (copolimeri o miscele con elastomeri) per le quali essa
è molto alta. Elevata è la rigidità e la durezza; entrambe
possono aumentare in presenza di riempitivi opportuni i quali, di solito,
causano però una diminuzione della resistenza all'urto. 3)
Proprietà elettriche: il
p. isotattico è un ottimo
isolante: la resistività di volume è di 10
16 ohm/cm
almeno per i tipi non caricati ma può variare in più o in meno di
un ordine di grandezza secondo le cariche. La rigidità dielettrica
è di 200 ÷ 260 KVolt/cm e non varia molto col tipo di carica. La
costante dielettrica varia fra 2,2 e 2,6. Assai basso è il fattore di
perdita, che va da meno di 0,0005 a 0,0018 massimo secondo la frequenza. Ottima
è la resistenza all'arco elettrico. 4)
Proprietà chimiche:
per la sua stessa struttura, il
p. è un materiale altamente inerte
e quindi stabile in confronto alla maggior parte degli agenti chimici. Assai
limitato è l'assorbimento di acqua: 0,01% massimo in condizioni di
equilibrio per immersione a temperatura ambiente in spessori di 3 mm. Ottima
è la resistenza all'acqua sia a freddo sia a caldo (anche
all'ebollizione). Non è attaccato dagli acidi organici e minerali anche
forti; fra questi fanno eccezione solo quelli fortemente ossidanti. Gli alcali
non lo attaccano minimamente anche se forti e concentrati. Buona è anche
la resistenza ai solventi: non viene attaccato dagli alcooli e dalle sostanze
detergenti. A temperatura ambiente non viene attaccato nemmeno dai chetoni,
dagli idrocarburi aromatici (eccetto gli xileni) e dagli idrocarburi clorurati,
come pure dai grassi e dagli oli. Queste sostanze (soprattutto i chetoni ad alto
peso molecolare e qualche altro solvente) attaccano però il
p.
isotattico a temperature più alte, superiori ai 60°. Per quanto
concerne la resistenza agli agenti atmosferici, il polimero puro denota una
scarsa resistenza sia alla luce ultravioletta (e quindi alla luce solare) sia
agli agenti ossidanti, incluso ossigeno e ozono. Alla luce solare il materiale
diventa fragile e si cricca facilmente. Si addizionano quindi degli
stabilizzanti (ad esempio il nerofumo) sia neri che opachi (variamente colorati)
che trasparenti (in spessori sottili). Anche gli antiossidanti sono generalmente
aggiunti per le applicazioni in ambienti aperti o elettriche. 5)
Altre
proprietà: per quanto riguarda la infiammabilità, il
p.
isotattico è classificato fra i materiali a bassa velocità di
combustione. Ne esistono però anche delle modificazioni autoestinguenti
contenenti derivati inorganici dell'antimonio e/o prodotti clorurati; certe
formulazioni sono classificate addirittura incombustibili dalle norme di
sicurezza degli Stati Uniti. La resina base è di per sé atossica
per la sua inerzia chimica; se le cariche sono dello stesso genere la materia
plastica finita è ancora atossica ed è ammessa a contatto con
sostanze alimentari dalle norme di sicurezza. L'indice di rifrazione è
1,49; la resina senza cariche si presenta trasparente in spessori limitati,
traslucida a spessore maggiore. I film di
p. isotattico hanno una
trasparenza del 55 ÷ 90% nel campo visibile. ║
Lavorabilità: dal punto di vista della lavorabilità il
p. isotattico si presenta come un materiale estremamente versatile, di
impiego assai facile. Può essere lavorato per stampaggio a iniezione,
termoformatura, termocompressione, formatura sotto vuoto, blow moulding,
laminazione, ecc. oltre che all'utensile. Può essere impresso a stampa,
metallizzato sotto vuoto o per via
electroless, laminato in forma di film
sottile e saldato o incollato. Può essere prodotto in una gamma quasi
infinita di colori (incorporando in esso un colorante), ma può anche
essere decorato per serigrafia, verniciatura e, sia pure con qualche
difficoltà, sottoposto a tintura. Per lo stampaggio a compressione si
opera a 170 ÷ 230 °C con pressioni di 35-70 kg/cm
2; per i
tipi caricati si usano le stesse pressioni ma la temperatura viene di solito
tenuta qualche decina di gradi sopra i valori detti. Nello stampaggio a
iniezione si opera sui 200 ÷ 260 °C per i tipi non caricati e sui 220
÷ 300 °C per quelli caricati; in entrambi i casi si usano pressioni
che vanno da 700 a 1.500 atmosfere. Il ritiro di solidificazione è sul 2
÷ 2,4%. Il peso specifico si aggira su 0,902 ÷ 0,906 per i tipi non
caricati; per quelli caricati fortemente può salire fino a 1,3. ║
Applicazioni: il
p. isotattico viene impiegato per almeno il 50%
come materiale per stampaggio a iniezione. Si usa per fabbricare parti di
qualsiasi genere: contenitori, vaschette, siringhe ipodermiche, utensili per uso
domestico (catini, secchi, recipienti di qualsiasi genere, ecc.), bottiglie,
vasi, giocattoli, ecc. Oltre alle sue caratteristiche meccaniche e di resistenza
in temperatura, è evidente che per la maggior parte dei casi è
importante la sua resistenza all'acqua bollente, che ne permette ad esempio una
sterilizzazione per ebollizione (in caso di applicazioni in attrezzature
igieniche e sanitarie) oltre al fatto di essere disponibile in formulazioni
atossiche per contatto con alimenti e medicinali. La facilità con cui
può essere stampato a iniezione anche in parti di grandi dimensioni ha
però interessato da tempo l'industria automobilistica, che lo impiega
diffusamente per pannelli di porte, sagome complesse, separazioni entro il vano
motore, sistemi di climatizzazione e di condizionamento, strutture di sedili,
ecc. La tipica automobile americana degli anni Settanta conteneva da 7 a 10 kg
di
p. isotattico, massimamente del tipo antiurto, cioè ad alta
resistenza all'impatto. Il tipo a media resistenza all'urto è stato
invece introdotto come materiale per fabbricare la carcassa delle batterie
(accumulatori al solfato di piombo). Resiste infatti perfettamente all'acido
solforico, è leggero, economico e, data la stabilità dimensionale,
permette l'uso di pareti più sottili e quindi una maggior potenza
specifica. In sostituzione dei metalli leggeri il
p. isotattico è
utilizzato per particolari di piccole e medie dimensioni sottoposti a
sollecitazioni moderate. Un caso tipico è la fabbricazione di giranti per
ventilatori sia domestici sia industriali. In luogo della costruzione metallica
con palette saldate o rivettate al corpo centrale è ormai di uso comune
la costruzione in
p. stampato a iniezione in un sol pezzo (eventualmente
con un inserto metallico centrale). Nella maggior parte dei casi, oltre a un
minor costo iniziale, si evita anche l'operazione di bilanciatura indispensabile
per la costruzione saldata o rivettata. Oltre a questi casi, il
p.
isotattico viene impiegato per la fabbricazione di numerosi altri particolari
quali ad esempio corpi per pompe, parti di elettrodomestici e macchine per
ufficio, parti per l'industria elettrica ed elettronica, tubi per usi vari;
applicazioni curiose sono la fabbricazione di tacchi per scarpe e pettini. Di
p. sono sovente fabbricati i dispensatori di detersivo (vaschetta in cui
si pone il detersivo) delle lavatrici domestiche e le giranti delle
lavastoviglie. Nella fabbricazione di valige il
p. isotattico è
impiegato sia per produrre il corpo intero (in una sola stampata) di quelle
rigide, sia per fabbricare il corpo di molte di quelle a fianchi flessibili in
pelle o similpelle. Notevole è poi la diffusione del
p. isotattico
nel campo dei tessuti e del cordame industriale e domestico. Da questo polimero
infatti si possono ottenere con facilità sia monofilamenti (utilizzati,
ad esempio, nella fabbricazione di corde) sia fibre in fiocco adatte per la
tessitura. La ragione principale dell'impiego del
p. in questo campo
è la sua resistenza meccanica (almeno pari a quella del nylon), la sua
resistenza all'usura, alle macchie, agli agenti chimici. Il basso peso specifico
(poco più di 0,9) porta alla produzione di manufatti che galleggiano
sull'acqua. Il principale impiego di queste fibre si ha nei casi in cui la
resistenza meccanica e all'usura è molto importante: ad esempio nella
costruzione di tappeti e moquette. I manufatti di
p. isotattico si
collocano sul mercato nella fascia di prezzo medio-alto ma sono ugualmente assai
diffusi soprattutto nei locali pubblici (alberghi, cinema, ecc.) laddove la
resistenza all'usura è determinante nella scelta. Il
p. in fiocco,
ritorto, viene anche impiegato nella fabbricazione di sacchi sostitutivi di
quelli tradizionali di iuta o canapa. Il
p. isotattico è anche
noto sia in Italia sia all'estero con i nomi depositati della società
Montedison:
Moplen per la resina da stampaggio,
Moplefan per i
film sottili,
Meraklon per le fibre in fiocco e
Merakrin per i
monofilamenti. Nel linguaggio corrente
Moplen è ormai divenuto
sinonimo di
p. isotattico; lo stesso marchio è utilizzato negli
Stati Uniti dalla società Novamont Co. che lo produce su licenza
Montedison. ║
Film di p.: oltre il 10% del
p. isotattico
prodotto viene fabbricato in forma di film o lastre sottili. Il metodo tipico di
fabbricazione di questi film è la estrusione attraverso una matrice
costituita da una sottile fessura composta ad esempio da due rulli calibrati.
Esistono sul mercato due tipi principali di film:
orientati e
non
orientati. I film non orientati sono ottenuti per semplice estrusione: sono
i più economici e vengono diffusamente impiegati in sostituzione di film
di altro genere, ad esempio di polietilene, di cellofan, ecc. Presentano una
buona resistenza meccanica, un'ottima trasparenza, una buona stabilità
nel tempo, la possibilità di essere chiusi a caldo e una buona
rigidità. Sono impiegati per imballaggio, soprattutto di prodotti
alimentari. I
film orientati possono essere di due tipi:
bilanciati e
non bilanciati. L'orientamento cui ci si riferisce
è quello delle macromolecole e viene ottenuto mediante stiro del film
stesso. Nel tipo non bilanciato lo stiro avviene solo nel senso della estrusione
e quindi l'orientamento è parziale: il film è fortemente
anisotropo nelle due direzioni. Rispetto al tipo non orientato presenta
però superiori caratteristiche per resistenza meccanica,
impermeabilità ai gas, resistenza alle basse temperature. Per contro
è più difficile la chiusura per termocompressione onde sovente
questo film viene laminato insieme con altri film, ad esempio di cellofan. Il
tipo orientato e bilanciato è invece ottenuto stirando il film estruso in
entrambe le direzioni (quella di laminazione e l'altra nel suo piano normale a
questa); rappresenta quanto di meglio si può ottenere da un
p. con
le tecnologie attualmente note. Sono migliori, rispetto agli altri tipi, le
caratteristiche meccaniche, ottiche e di resistenza alle basse temperature. Gli
spessori ottenibili vanno da 10 micron (0,01 mm) in su. Da soli questi film sono
usati per rivestire pacchetti di sigarette e di sigari o prodotti alimentari. I
film di
p. isotattico orientati e bilanciati sono disponibili in diverse
versioni. Il tipo cosiddetto
heat-shrink presenta la proprietà di
ritirarsi fortemente allorché viene riscaldato. Si impiega in imballaggio
secondo una tecnica estremamente semplice: la parte da imballare viene posta nel
film ripiegato, che viene chiuso sui lati aperti per termocompressione. Il tutto
viene sottoposto a un moderato riscaldamento con aria calda che fa ritirare il
film, imballando strettamente il contenuto; alcuni fori anche piccolissimi nel
film bastano per permettere la fuoruscita dell'aria. Questo tipo di imballo
è usato correntemente per giocattoli, libri, riviste e numerosi altri
articoli. Altri tipi di film sono invece stabili al calore e vengono usati per
diversi tipi di imballaggio; la scarsa facilità che essi hanno di essere
saldati per termocompressione viene superata laminandoli con altri film (ad
esempio di cellofan) oppure rivestendoli con saran (cloruro di polivinilidene);
oltretutto questo rivestimento migliora anche la impermeabilità ai gas.
Recentemente è stata anche introdotta la fabbricazione di film di
p. isotattico in forma tubolare, secondo una tecnologia simile a quella
già in uso per la fabbricazione di film di polietilene. ║
Derivati del p.: diverse modificazioni del
p. isotattico vengono
introdotte ogni anno. Oltre alla comparsa di nuovi additivi e stabilizzanti,
sono stati anche messi a punto dei copolimeri del propilene con piccoli tenori
di altri monomeri, ad esempio etilene o acrilonitrile. Un'importante
modificazione del
p. isotattico è stata effettuata per migliorare
il polimero caricato con fibre di vetro: si è variata la struttura del
polimero base in modo che l'adesione alle fibre di vetro sia dovuta anche a veri
e propri legami chimici: questo migliora moltissimo il composto
p.-fibre
di vetro in quanto il punto più debole era appunto l'adesione della
resina alle fibre. Progressi vengono anche fatti nel campo delle fibre, per
permettere una più facile tintura. Nel campo della metallizzazione
electroless non si sono fatti finora grandi progressi: più che la
necessità di modificare la resina appare chiara la necessità di
migliorare i processi di deposizione.