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Polipropilene.

Ind. chim. - Materia plastica ottenuta per polimerizzazione del propilene a mezzo di catalizzatori stereospecifici del tipo proposto da C. Ziegler per il polietilene, e messo a punto da G. Natta, che per questo ricevette il premio Nobel. Nato all'inizio degli anni Sessanta, il p. si pose presto fra le materie plastiche di più elevata produzione, anche per il suo basso costo, e fu collocato per la prima volta sul mercato dalla società Montedison. La sua grande diffusione sta nelle sue ottime caratteristiche meccaniche, di resistenza in temperatura, resistenza chimica, trasparenza, lavorabilità. • Chim. - Il p. ha la seguente formula di struttura:

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La polimerizzazione può evidentemente avvenire solo per rottura del doppio legame etilenico, secondo un meccanismo analogo alla polimerizzazione dell'etilene per dare il polietilene. Tuttavia la presenza del sostituente ―CH3 (metile) sulla molecola comporta la possibilità di ottenere per polimerizzazione dei prodotti diversi, a seconda della disposizione dei sostituenti a cavallo della macromolecola. Come nel caso del polietilene, è possibile avere delle catene laterali più o meno lunghe. La presenza dei sostituenti laterali metilici comporta la possibilità di ottenere tre prodotti diversi, precisamente: 1) P. atattico: qualora si distenda la catena principale su un piano, i sostituenti metilici si trovano disposti in modo disordinato sui due lati della catena principale. Secondo una rappresentazione grafica, considerando che le catene paraffiniche non sono lineari, ma sono delle spezzate, in quanto ogni atomo di carbonio lega 4 sostituenti con 4 legami, che stericamente sono diretti verso i vertici di un tetraedro di cui l'atomo di carbonio è il centro, l'angolo formato fra loro da due qualsiasi legami di un atomo di carbonio è di 109° 28'. Se si dispone questa catena (a forma di spezzata) in un piano, i sostituenti del carbonio si troveranno sopra e sotto questo piano. Rappresentando questa catena come rettilinea (cioè come se l'angolo di 109° 28' fosse 180°) indicando sopra la catena i sostituenti che sono sopra il piano della catena e sotto quelli che sono sotto il piano della catena, si può fare del p. atattico (cioè non ordinato) la seguente rappresentazione indicativa:

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Si può notare l'irregolarità nella disposizione dei gruppi metilici ―CH3: essi possono essere indifferentemente su un lato o l'altro della molecola e anche su due atomi di carbonio contigui, segno che la polimerizzazione è avvenuta in modo completamente disordinato. Il polimero che così si ottiene non può essere cristallino in misura significativa in quanto le molecole sono irregolari, e quindi non possono impaccarsi strettamente una vicino all'altra. Di conseguenza esso ha caratteristiche tali da non poter essere impiegato come materiale da costruzione: si presenta come un solido ceroso e bassofondente. 2) P. sindiotattico: con una scelta opportuna del catalizzatore è possibile produrre un polimero stericamente regolare, ad esempio con i sostituenti metilici ordinatamente alternati a cavallo della molecola. Con la solita rappresentazione si avrà una catena del tipo:

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ma semplicemente ―CH2―. Un polimero di questo tipo, data la regolarità delle molecole, presenta una cristallinità molto maggiore: questo significa un punto di fusione più elevato e caratteristiche meccaniche molto migliori in condizioni ambiente. 3) P. isotattico: utilizzando particolari catalizzatori, il polimero finale può essere ottenuto sempre orientato, ma con i gruppi metilici tutti su un lato della catena (nella nostra rappresentazione). Pertanto questo p. si può rappresentare nel seguente modo:

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Anche questo polimero presenterà un elevato grado di cristallinità, vista la forma ordinata della molecola. È questo il comune p. del commercio. La polimerizzazione deve quindi essere condotta in modo che si produca un polimero ordinato spazialmente: si parla allora di polimerizzazione stereospecifica oppure con catalizzatori stereospecifici. Per ottenere il p. isotattico si devono verificare le due seguenti condizioni: a) la giunzione del monomero alla catena polimerica deve avvenire secondo un meccanismo testa-coda, vale a dire che la testa di un monomero addizionato deve unirsi alla coda dell'ultimo monomero addizionato in precedenza (o viceversa, dato che la definizione di testa e coda di una molecola è puramente convenzionale). Indicando come al solito con dei punti la catena polimerica (eccetto la sua terminazione) avremo quindi un meccanismo del genere:

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avendo contrassegnato con un asterisco i due atomi di carbonio che si devono unire fra loro perché avvenga l'allungamento della catena. b) La giunzione del monomero alla catena deve avvenire in modo che il sostituente metilico del monomero resti dalla parte giusta della catena. Tutto questo viene ottenuto mediante l'impiego di un opportuno catalizzatore avente una struttura tale per cui il monomero si inserisce non al termine di una catena ma in un suo punto, in corrispondenza di un legame fortemente polarizzato. A causa della diversa condizione dei due atomi etilenici del propilene (uno porta due idrogeni, l'altro un idrogeno e un metile) e della loro polarizzazione, l'inserimento può avvenire solo con un meccanismo testa-coda, rispettando la prima condizione. Inoltre la struttura del catalizzatore è tale per cui il punto di attacco del monomero è accessibile solo in una certa direzione, con un certo orientamento della molecola monomerica. Questo assicura che l'orientamento del gruppo metile sia quello giusto. Questa polimerizzazione è del tipo anionico coordinato in quanto: 1) la parte di molecola che si allunga possiede una carica parziale negativa; 2) il propilene, prima di essere addizionato viene complessato dal catalizzatore, che è un complesso di coordinazione. Comunemente si utilizza come catalizzatore una miscela di alluminio trialchile, generalmente alluminio trietile Al(CH2―CH3)3 e tricloruro di titanio TiCl3. Sono però utilizzabili anche altri catalizzatori simili, composti da altri alchil-alluminio con cloruri di altri metalli di transizione (cromo, vanadio, zirconio, ecc.). L'alchil-alluminio e il tricloruro di titanio formano un complesso che secondo alcuni autori ha una struttura del tipo:

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avendo indicato con R― il radicale alchilico che, come si è detto, è di solito l'etile. Considerando il catalizzatore come un complesso da cui esce solo il gruppo alchilico, legato a un atomo metallico, secondo un legame metallo-carbonio che è sicuramente polarizzato (cariche parziali che indicheremo con δ e ―δ), si avrà uno schema di questo genere:

[Cat] POLIP06.png CH2―CH3

ignorando da che cosa sia costituito il catalizzatore fra parentesi quadre. Anche il propilene è parzialmente polarizzato, per effetto della sua dissimmetria, nel modo seguente:

H2C═CH―CPOLIP07.png

Esso si orienta, quindi, in modo da presentare la sua carica parziale negativa al complesso catalitico; viene da questo coordinato e si inserisce infine fra questo ed il gruppo etilico ―C2H5 nel seguente modo:

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In questo modo si è avuta la prima addizione del monomero. Per la persistente presenza di un legame polarizzato metallo-carbonio fra catalizzatore e gruppo ―CH2―, si può avere l'inserimento di un altro monomero di propilene nello stesso identico modo in cui è entrato il primo; come effetto di questo si passerà al seguente composto:

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che a sua volta si trova nelle condizioni originali e quindi permette l'inserimento di un altro monomero e così via. Si giunge, dopo l'addizione di n + 1 molecole di propilene, al seguente composto:

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Al limite l'accrescimento potrebbe continuare all'infinito, se non esistessero dei meccanismi in grado di porre termine alla catena di reazione. I principali metodi di terminazione di una catena di questo tipo sono i seguenti: 1) Terminazione spontanea: la molecola polierica si stacca come olefina dal complesso catalitico, lasciando su di esso un atomo di idrogeno:

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Questo processo non significa però l'esaurimento del catalizzatore. Esso infatti può reagire con una molecola di propilene formando un complesso nuovo, secondo la reazione seguente:

[Cat]―H + H2C ═ CH―CH3[Cat]―CH2―CH2―CH3

Questo complesso presenta ancora il legame polarizzato metallo-etile (anzi, è un legame metallo-propile) ed è suscettibile di addizionare monomeri esattamente come prima visto. Si ha quindi la continuazione della catena cinetica. 2) Scambio con alluminio-alchile: in presenza di un accesso di allumimio-alchile in soluzione si può verificare una reazione di doppio scambio con passaggio di alchile dal catalizzatore alla macromolecola e di un alchile da questa al catalizzatore. Si ha pertanto una reazione di questo tipo:

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Se al termine della polimerizzazione si tratta il polimero con acqua, il legame alluminio-carbonio propilenico viene distrutto e si ottengono i due composti:

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il primo dei quali viene eliminato dal polimero. 3) Terminazione forzata: operando in presenza di un agente opportuno si può avere la regolazione del peso molecolare medio del polimero. In effetti da tutte le reazioni precedenti si vede come termini la catena per cause spontanee, quindi con scarsa possibilità di azione dall'esterno. Se invece si introduce nella miscela una piccola quantità di un agente opportuno si può dosare il peso molecolare medio del polimero finale operando delle terminazioni di catena oltre a quelle già viste. Il mezzo più comunemente impiegato è l'idrogeno che agisce addizionandosi sul legame metallo-carbonio secondo una reazione del tipo:

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Dato che il numero di terminazioni di questo genere è direttamente legato alla quantità di idrogeno immesso, si può controllare il peso molecolare medio del polimero dosando la concentrazione di idrogeno. Come è noto dal peso molecolare medio di un polimero dipendono le caratteristiche meccaniche e di lavorabilità a caldo della materia plastica. ║ Processi: citiamo solo il processo Montedison, che è di gran lunga il più diffuso in tutto il mondo. Materie prime di partenza sono propilene puro almeno al 99% e i due catalizzatori (alluminio alchile e tricloruro di titanio). Oltre a queste sostanze si alimenta nel reattore anche un solvente opportuno, generalmente esano, eptano od una miscela di idrocarburi paraffinici leggeri. Si opera in continuo, a pressioni modeste (circa 5 atmosfere) e temperature poco superiori a quelle ambiente (50÷80 °C). Il catalizzatore è presente nel solvente parte in soluzione e parte in sospensione; il polimero è presente in sospensione mentre il monomero è presente in soluzione e anche nella fase gassosa. Una parte del liquido viene prelevata in continuo e trasferita in un secondo reattore (stabilizzatore) dove viene espansa. Qui si libera il monomero non reagito che viene in parte scaricato come spurgo (per tenere bassa la concentrazione di gas inerti) e in parte compresso e riciclato unendolo alla alimentazione fresca. Si passa quindi alla separazione del polimero per centrifugazione; la fase liquida è costituita da solvente (che viene purificato e riciclato) e da sottoprodotti (ad esempio p. atattico) che vengono scaricati. La fase solida comprende il polimero e una parte del catalizzatore: viene lavata con una miscela di solventi (i quali, dopo purificazione per distillazione, sono riciclati al reattore) e di nuovo asciugata per centrifugazione. Nel lavaggio si asporta anche il residuo catalizzatore. Il polimero passa quindi in un essiccatore a tamburo nel quale viene asciugato completamente e infine viene sottoposto a fusione e granulazione. ║ Caratteristiche: come per tutti i polimeri, anche le caratteristiche del p. sono diverse secondo il grado di cristallinità, il peso molecolare medio e la distribuzione dei pesi molecolari. Inoltre esse possono venir modificate anche profondamente con l'aggiunta di plastificanti, cariche, ecc. I dati qui riportati sono quindi da intendersi come puramente orientativi e riferiti al polimero non caricato e non modificato, salvo diverso avviso. 1) Proprietà termiche: il p. presenta un'ottima resistenza in temperatura: il punto di fusione cristallina è di 180 °C circa; in servizio continuato sotto carichi leggeri può essere impiegato fino a 105 °C mentre può sopportare temperature fino a 150 °C in assenza di carico. Anche in condizioni di temperatura superiore all'ambiente il creep è contenuto, salvo il caso di sollecitazioni abnormi. I tipi caricati con fibre di vetro possono essere impiegati sotto carichi leggeri fino a 150 ÷ 160° C. 2) Proprietà meccaniche: sono simili a quelle di un polietilene ad alta densità, ma nettamente superiori. Per la resina non caricata si ha un carico di rottura a trazione di 300 ÷ 400 km/cm2, con allungamenti del 200 ÷ 700% alla rottura; per i tipi caricati con inerti in polvere (ad esempio talco) si raggiungono carichi di rottura di 500 kg/cm con allungamenti ridotti fino al 4 ÷ 8% mentre nei tipi caricati con fibra di vetro il carico di rottura giunge a 650 kg/cm2 con allungamenti dal 4 al 9%. La resistenza all'urto non è molto buona; esistono però delle modificazioni (copolimeri o miscele con elastomeri) per le quali essa è molto alta. Elevata è la rigidità e la durezza; entrambe possono aumentare in presenza di riempitivi opportuni i quali, di solito, causano però una diminuzione della resistenza all'urto. 3) Proprietà elettriche: il p. isotattico è un ottimo isolante: la resistività di volume è di 1016 ohm/cm almeno per i tipi non caricati ma può variare in più o in meno di un ordine di grandezza secondo le cariche. La rigidità dielettrica è di 200 ÷ 260 KVolt/cm e non varia molto col tipo di carica. La costante dielettrica varia fra 2,2 e 2,6. Assai basso è il fattore di perdita, che va da meno di 0,0005 a 0,0018 massimo secondo la frequenza. Ottima è la resistenza all'arco elettrico. 4) Proprietà chimiche: per la sua stessa struttura, il p. è un materiale altamente inerte e quindi stabile in confronto alla maggior parte degli agenti chimici. Assai limitato è l'assorbimento di acqua: 0,01% massimo in condizioni di equilibrio per immersione a temperatura ambiente in spessori di 3 mm. Ottima è la resistenza all'acqua sia a freddo sia a caldo (anche all'ebollizione). Non è attaccato dagli acidi organici e minerali anche forti; fra questi fanno eccezione solo quelli fortemente ossidanti. Gli alcali non lo attaccano minimamente anche se forti e concentrati. Buona è anche la resistenza ai solventi: non viene attaccato dagli alcooli e dalle sostanze detergenti. A temperatura ambiente non viene attaccato nemmeno dai chetoni, dagli idrocarburi aromatici (eccetto gli xileni) e dagli idrocarburi clorurati, come pure dai grassi e dagli oli. Queste sostanze (soprattutto i chetoni ad alto peso molecolare e qualche altro solvente) attaccano però il p. isotattico a temperature più alte, superiori ai 60°. Per quanto concerne la resistenza agli agenti atmosferici, il polimero puro denota una scarsa resistenza sia alla luce ultravioletta (e quindi alla luce solare) sia agli agenti ossidanti, incluso ossigeno e ozono. Alla luce solare il materiale diventa fragile e si cricca facilmente. Si addizionano quindi degli stabilizzanti (ad esempio il nerofumo) sia neri che opachi (variamente colorati) che trasparenti (in spessori sottili). Anche gli antiossidanti sono generalmente aggiunti per le applicazioni in ambienti aperti o elettriche. 5) Altre proprietà: per quanto riguarda la infiammabilità, il p. isotattico è classificato fra i materiali a bassa velocità di combustione. Ne esistono però anche delle modificazioni autoestinguenti contenenti derivati inorganici dell'antimonio e/o prodotti clorurati; certe formulazioni sono classificate addirittura incombustibili dalle norme di sicurezza degli Stati Uniti. La resina base è di per sé atossica per la sua inerzia chimica; se le cariche sono dello stesso genere la materia plastica finita è ancora atossica ed è ammessa a contatto con sostanze alimentari dalle norme di sicurezza. L'indice di rifrazione è 1,49; la resina senza cariche si presenta trasparente in spessori limitati, traslucida a spessore maggiore. I film di p. isotattico hanno una trasparenza del 55 ÷ 90% nel campo visibile. ║ Lavorabilità: dal punto di vista della lavorabilità il p. isotattico si presenta come un materiale estremamente versatile, di impiego assai facile. Può essere lavorato per stampaggio a iniezione, termoformatura, termocompressione, formatura sotto vuoto, blow moulding, laminazione, ecc. oltre che all'utensile. Può essere impresso a stampa, metallizzato sotto vuoto o per via electroless, laminato in forma di film sottile e saldato o incollato. Può essere prodotto in una gamma quasi infinita di colori (incorporando in esso un colorante), ma può anche essere decorato per serigrafia, verniciatura e, sia pure con qualche difficoltà, sottoposto a tintura. Per lo stampaggio a compressione si opera a 170 ÷ 230 °C con pressioni di 35-70 kg/cm2; per i tipi caricati si usano le stesse pressioni ma la temperatura viene di solito tenuta qualche decina di gradi sopra i valori detti. Nello stampaggio a iniezione si opera sui 200 ÷ 260 °C per i tipi non caricati e sui 220 ÷ 300 °C per quelli caricati; in entrambi i casi si usano pressioni che vanno da 700 a 1.500 atmosfere. Il ritiro di solidificazione è sul 2 ÷ 2,4%. Il peso specifico si aggira su 0,902 ÷ 0,906 per i tipi non caricati; per quelli caricati fortemente può salire fino a 1,3. ║ Applicazioni: il p. isotattico viene impiegato per almeno il 50% come materiale per stampaggio a iniezione. Si usa per fabbricare parti di qualsiasi genere: contenitori, vaschette, siringhe ipodermiche, utensili per uso domestico (catini, secchi, recipienti di qualsiasi genere, ecc.), bottiglie, vasi, giocattoli, ecc. Oltre alle sue caratteristiche meccaniche e di resistenza in temperatura, è evidente che per la maggior parte dei casi è importante la sua resistenza all'acqua bollente, che ne permette ad esempio una sterilizzazione per ebollizione (in caso di applicazioni in attrezzature igieniche e sanitarie) oltre al fatto di essere disponibile in formulazioni atossiche per contatto con alimenti e medicinali. La facilità con cui può essere stampato a iniezione anche in parti di grandi dimensioni ha però interessato da tempo l'industria automobilistica, che lo impiega diffusamente per pannelli di porte, sagome complesse, separazioni entro il vano motore, sistemi di climatizzazione e di condizionamento, strutture di sedili, ecc. La tipica automobile americana degli anni Settanta conteneva da 7 a 10 kg di p. isotattico, massimamente del tipo antiurto, cioè ad alta resistenza all'impatto. Il tipo a media resistenza all'urto è stato invece introdotto come materiale per fabbricare la carcassa delle batterie (accumulatori al solfato di piombo). Resiste infatti perfettamente all'acido solforico, è leggero, economico e, data la stabilità dimensionale, permette l'uso di pareti più sottili e quindi una maggior potenza specifica. In sostituzione dei metalli leggeri il p. isotattico è utilizzato per particolari di piccole e medie dimensioni sottoposti a sollecitazioni moderate. Un caso tipico è la fabbricazione di giranti per ventilatori sia domestici sia industriali. In luogo della costruzione metallica con palette saldate o rivettate al corpo centrale è ormai di uso comune la costruzione in p. stampato a iniezione in un sol pezzo (eventualmente con un inserto metallico centrale). Nella maggior parte dei casi, oltre a un minor costo iniziale, si evita anche l'operazione di bilanciatura indispensabile per la costruzione saldata o rivettata. Oltre a questi casi, il p. isotattico viene impiegato per la fabbricazione di numerosi altri particolari quali ad esempio corpi per pompe, parti di elettrodomestici e macchine per ufficio, parti per l'industria elettrica ed elettronica, tubi per usi vari; applicazioni curiose sono la fabbricazione di tacchi per scarpe e pettini. Di p. sono sovente fabbricati i dispensatori di detersivo (vaschetta in cui si pone il detersivo) delle lavatrici domestiche e le giranti delle lavastoviglie. Nella fabbricazione di valige il p. isotattico è impiegato sia per produrre il corpo intero (in una sola stampata) di quelle rigide, sia per fabbricare il corpo di molte di quelle a fianchi flessibili in pelle o similpelle. Notevole è poi la diffusione del p. isotattico nel campo dei tessuti e del cordame industriale e domestico. Da questo polimero infatti si possono ottenere con facilità sia monofilamenti (utilizzati, ad esempio, nella fabbricazione di corde) sia fibre in fiocco adatte per la tessitura. La ragione principale dell'impiego del p. in questo campo è la sua resistenza meccanica (almeno pari a quella del nylon), la sua resistenza all'usura, alle macchie, agli agenti chimici. Il basso peso specifico (poco più di 0,9) porta alla produzione di manufatti che galleggiano sull'acqua. Il principale impiego di queste fibre si ha nei casi in cui la resistenza meccanica e all'usura è molto importante: ad esempio nella costruzione di tappeti e moquette. I manufatti di p. isotattico si collocano sul mercato nella fascia di prezzo medio-alto ma sono ugualmente assai diffusi soprattutto nei locali pubblici (alberghi, cinema, ecc.) laddove la resistenza all'usura è determinante nella scelta. Il p. in fiocco, ritorto, viene anche impiegato nella fabbricazione di sacchi sostitutivi di quelli tradizionali di iuta o canapa. Il p. isotattico è anche noto sia in Italia sia all'estero con i nomi depositati della società Montedison: Moplen per la resina da stampaggio, Moplefan per i film sottili, Meraklon per le fibre in fiocco e Merakrin per i monofilamenti. Nel linguaggio corrente Moplen è ormai divenuto sinonimo di p. isotattico; lo stesso marchio è utilizzato negli Stati Uniti dalla società Novamont Co. che lo produce su licenza Montedison. ║ Film di p.: oltre il 10% del p. isotattico prodotto viene fabbricato in forma di film o lastre sottili. Il metodo tipico di fabbricazione di questi film è la estrusione attraverso una matrice costituita da una sottile fessura composta ad esempio da due rulli calibrati. Esistono sul mercato due tipi principali di film: orientati e non orientati. I film non orientati sono ottenuti per semplice estrusione: sono i più economici e vengono diffusamente impiegati in sostituzione di film di altro genere, ad esempio di polietilene, di cellofan, ecc. Presentano una buona resistenza meccanica, un'ottima trasparenza, una buona stabilità nel tempo, la possibilità di essere chiusi a caldo e una buona rigidità. Sono impiegati per imballaggio, soprattutto di prodotti alimentari. I film orientati possono essere di due tipi: bilanciati e non bilanciati. L'orientamento cui ci si riferisce è quello delle macromolecole e viene ottenuto mediante stiro del film stesso. Nel tipo non bilanciato lo stiro avviene solo nel senso della estrusione e quindi l'orientamento è parziale: il film è fortemente anisotropo nelle due direzioni. Rispetto al tipo non orientato presenta però superiori caratteristiche per resistenza meccanica, impermeabilità ai gas, resistenza alle basse temperature. Per contro è più difficile la chiusura per termocompressione onde sovente questo film viene laminato insieme con altri film, ad esempio di cellofan. Il tipo orientato e bilanciato è invece ottenuto stirando il film estruso in entrambe le direzioni (quella di laminazione e l'altra nel suo piano normale a questa); rappresenta quanto di meglio si può ottenere da un p. con le tecnologie attualmente note. Sono migliori, rispetto agli altri tipi, le caratteristiche meccaniche, ottiche e di resistenza alle basse temperature. Gli spessori ottenibili vanno da 10 micron (0,01 mm) in su. Da soli questi film sono usati per rivestire pacchetti di sigarette e di sigari o prodotti alimentari. I film di p. isotattico orientati e bilanciati sono disponibili in diverse versioni. Il tipo cosiddetto heat-shrink presenta la proprietà di ritirarsi fortemente allorché viene riscaldato. Si impiega in imballaggio secondo una tecnica estremamente semplice: la parte da imballare viene posta nel film ripiegato, che viene chiuso sui lati aperti per termocompressione. Il tutto viene sottoposto a un moderato riscaldamento con aria calda che fa ritirare il film, imballando strettamente il contenuto; alcuni fori anche piccolissimi nel film bastano per permettere la fuoruscita dell'aria. Questo tipo di imballo è usato correntemente per giocattoli, libri, riviste e numerosi altri articoli. Altri tipi di film sono invece stabili al calore e vengono usati per diversi tipi di imballaggio; la scarsa facilità che essi hanno di essere saldati per termocompressione viene superata laminandoli con altri film (ad esempio di cellofan) oppure rivestendoli con saran (cloruro di polivinilidene); oltretutto questo rivestimento migliora anche la impermeabilità ai gas. Recentemente è stata anche introdotta la fabbricazione di film di p. isotattico in forma tubolare, secondo una tecnologia simile a quella già in uso per la fabbricazione di film di polietilene. ║ Derivati del p.: diverse modificazioni del p. isotattico vengono introdotte ogni anno. Oltre alla comparsa di nuovi additivi e stabilizzanti, sono stati anche messi a punto dei copolimeri del propilene con piccoli tenori di altri monomeri, ad esempio etilene o acrilonitrile. Un'importante modificazione del p. isotattico è stata effettuata per migliorare il polimero caricato con fibre di vetro: si è variata la struttura del polimero base in modo che l'adesione alle fibre di vetro sia dovuta anche a veri e propri legami chimici: questo migliora moltissimo il composto p.-fibre di vetro in quanto il punto più debole era appunto l'adesione della resina alle fibre. Progressi vengono anche fatti nel campo delle fibre, per permettere una più facile tintura. Nel campo della metallizzazione electroless non si sono fatti finora grandi progressi: più che la necessità di modificare la resina appare chiara la necessità di migliorare i processi di deposizione.