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Polietilene.

Chim. - Prodotto termoplastico detto anche politene, ottenuto per polimerizzazione dell'etilene. L'etilene, la più semplice olefina possibile, ha una formula di struttura di questo tipo:

POLIET00.png

con un doppio legame fra carbonio e carbonio. In condizioni particolari questo doppio legame può essere aperto (per azione di un catalizzatore), dando un composto (instabile) di questo tipo:

―CH2―CH2

Dall'unione di più monomeri di questo tipo si ottiene appunto il polimero, che ha quindi una struttura:

...[―CH2―CH2―]n...

intendendo che il gruppo si ripete n volte uguale a se stesso in una macromolecola del polimero. Si tratta di un polimero ad alto peso molecolare, di basso costo e buone proprietà meccaniche ed elettriche, introdotto su scala industriale dalla società inglese ICI (Imperial Chemical Industries) nel 1939. Inizialmente la polimerizzazione dell'etilene veniva condotta a pressioni molto elevate; il prodotto così ottenuto viene oggi denominato p. ad alta pressione (o a bassa densità) per distinguerlo dal p. a bassa pressione (o ad alta densità) introdotto negli anni Cinquanta e polimerizzato a bassa pressione con i catalizzatori scoperti dal chimico tedesco C. Ziegler (che fu insignito del premio Nobel insieme all'italiano G. Natta). Successivamente sono stati introdotti anche altri tipi di p. dalle caratteristiche meccaniche, elettriche, di resistenza chimica, di impiego, assai diverse e appositamente studiate per soddisfare particolari esigenze di utilizzo. Le molecole del p., però, non hanno sempre una struttura lineare. Esiste infatti la possibilità che si creino delle ramificazioni laterali delle catene polimeriche, con dei gruppi etilici o butilici. In questo caso la catena assumerà una forma del tipo:

POLIET01.png
oppure del tipo:

POLIET02.png
Queste brevi catene laterali sono presenti in numero variabile e disposte statisticamente lungo la catena polimerica. Nel p. a bassa densità ne compaiono 10 ÷ 20 per ogni 1.000 atomi di carbonio della catena principale, mentre nel p. ad alta densità sono praticamente assenti. Poiché se le molecole sono lineari, esse tendono a disporsi più o meno parallele le une alle altre in una struttura di allineamento così regolare da assumere l'aspetto di un reticolo cristallino (in questo caso si dice che le molecole danno origine a cristalliti). La differenza principale fra i due tipi fondamentali di p. è quindi che in quello a bassa densità la presenza di catene laterali ostacola l'allineamento di più molecole molto più di quanto succeda in quello ad alta densità. Proprio da questo consegue la maggior densità del p. ad alta densità (0,946 ÷ 0,965 g/cm3) rispetto al p. a bassa densità (0,920 ÷ 0,935 g/cm3). Non solo, ma ciò significa anche che il p. ad alta densità, grazie al grado di cristallinità più elevato, è caratterizzato da maggior durezza, maggior resistenza meccanica, maggior resistenza ai solventi, minor trasparenza, maggior resistenza in temperatura e minor resistenza agli urti, rispetto al p. a bassa densità. Le differenze fra i due tipi sono tanto spiccate che essi possono essere quasi considerati due materiali diversi; mentre infatti il p. a bassa densità è il comune p. di uso domestico (bottiglie flessibili, fogli, recipienti per uso domestico, fogli sottili da imballo), non resistente all'acqua bollente, il p. ad alta densità si avvicina come caratteristiche al polipropilene (il Moplen della Montecatini-Edison) e ha quindi anche un utilizzo come isolante di impianti elettrici e chimici. ║ Processi di fabbricazione del p.: quattro sono i principali processi per la produzione di p., dai quali dipende la struttura del polimero che si ottiene. Tuttavia, anche da uno stesso processo si possono ottenere prodotti differenti, a seconda di come viene condotta la polimerizzazione. I parametri che influenzano di più le caratteristiche del prodotto finito sono il peso molecolare medio, la distribuzione dei pesi molecolari, il grado di cristallinità. Le molecole infatti hanno sempre lunghezza disuguale e la distribuzione delle loro lunghezze è un tipico esempio di curva gaussiana in quanto, entro un certo limite, la terminazione o meno di una molecola è legata solo a fattori probabilistici. Il peso molecolare medio è la media dei pesi molecolari delle singole molecole; viene determinato con diversi metodi standardizzati. La distribuzione dei pesi molecolari è rappresentata da una curva che indica quale frazione del polimero finito (in peso o in moli) ha peso molecolare compreso fra due limiti qualsiasi: può essere determinata sperimentalmente con processi molto laboriosi, ma in certi casi è possibile anche farne un calcolo teorico sia pure approssimato. Il grado di cristallinità, direttamente legato alla densità, è anche molto importante. I polimeri più cristallini presentano un maggior carico di snervamento e rottura, miglior resistenza a caldo (temperatura di impiego continuo fino a 105 °C, contro il limite dei 75 °C dei tipi a bassa densità), maggior resistenza ai solventi, maggior impermeabilità ai gas, minor resistenza alla lacerazione, all'urto e alle piegature ripetute. Si comprende quindi come la gamma dei prodotti, all'interno dei due tipi principali (alta e bassa densità), possa essere virtualmente infinita e come uno stesso processo possa produrre materiali fra loro anche molto diversi. 1) Processo ICI: è il processo più antico, seppure variamente modificato e migliorato; produce p. a bassa densità. La reazione è condotta in robuste autoclavi, nelle quali si immette il p. gassoso previamente compresso a 1.000 ÷ 3.000 atmosfere; si opera a temperature di 150 ÷ 250 °C, utilizzando un gas di elevata purezza (almeno 99,8%). La reazione è originata da perossidi o da tracce di ossigeno (presenti o aggiunte appositamente) che creano dei radicali liberi. Questi a loro volta si accrescono a spese dei monomeri etilenici e danno le molecole polimeriche secondo il meccanismo tipico delle polimerizzazioni radicaliche. Se indichiamo con R un radicale, la reazione inizia in questo modo:

R˙+H2C═CH2→ R―CH2―CH˙2

e prosegue poi nel modo seguente:

R―CH2―CH˙2+ H2C― CH2 R―CH2―CH2―CH2―CH˙2
R―(CH2)3―CH˙2+ H2C═CH2 R―(CH2)5―CH˙2

con addizioni successive di monomeri etilenici (il punto in alto indica un gruppo radicale). La crescita si può interrompere con diversi meccanismi fra cui i due più comuni sono l'incontro di due radicali o il trasferimento di catena. Nel primo caso i due radicali che si incontrano si combinano fra loro secondo una reazione del tipo:

R―(CH2)n―CH˙2+ ˙CH2―(CH2)m―R―(CH2)n―CH2―CH2―(CH2)m―R

oppure secondo una reazione (detta di sproporzionamento) del tipo:

R―(CH2)n―CH2+ ˙CH2―(CH2)m―R―(CH2)n―CH3 + H2C═CH2―(CH2)m-1―R

che porta alla formazione di una olefina ad alto peso molecolare. Nel caso invece che la terminazione di catena avvenga per trasferimento di catena, il radicale in accrescimento reagisce con un'altra molecola (di monomero, di polimero, oppure di solvente, se ce n'è uno) trasformandosi in molecola stabile, mentre l'altra molecola diventa un radicale che inizia ad accrescersi. In tal caso la polimerizzazione è a catena continua, ma l'accrescimento prosegue su una molecola diversa e non necessariamente sulla sua parte terminale. Se quest'altra molecola è già una molecola polimerica, il trasferimento di catena provoca in generale la nascita di una catena laterale. Nel processo ICI il grado di polimerizzazione dipende dalle condizioni operative: esso aumenta all'aumentare della pressione, mentre diminuisce all'aumentare della temperatura e della concentrazione di ossigeno o di perossidi. Il peso molecolare dei polimeri così prodotti si aggira normalmente sul valore di 50.000; la densità è di 0,91 ÷ 0,92 g/cm3 circa. 2) Processo Ziegler: sotto questo nome si raggruppano tutti i processi che utilizzano catalizzatori del tipo proposto da C. Ziegler. La polimerizzazione con questi si può attuare anche a pressione atmosferica e temperature poco superiori a quella ambiente (50 ÷ 60 °C); per comodità e convenienza economica legata alla produttività degli impianti, si opera in generale sotto pressioni modeste (qualche atmosfera). Il catalizzatore impiegato è composto, almeno nel processo base, da alluminio trietile

POLIET04.png

e tricloruro di titanio (TiCl3). La reazione può avvenire anche solo per effetto dell'alluminio trietile (che è un liquido altamente instabile), ma i polimeri ottenuti in questo modo hanno peso molecolare non superiore a 5.000, cioè troppo basso perché siano dotati di buone caratteristiche. In presenza di tricloruro di titanio, invece, si possono ottenere polimeri aventi peso molecolare medio che va da 10.000 a 2.000.000, secondo le condizioni operative scelte. L'alluminio trietile e il tricloruro di titanio interagiscono fra loro a formare un catalizzatore complesso che indicheremo semplicemente come [Cat] al quale sono legati i tre gruppi etilici ―CH2―CH3. Ognuno di questi costituisce il punto di inizio della catena. Infatti il legame dell'etile con il catalizzatore è un legame carbonio-metallo e quindi fortemente polarizzato, ovvero parzialmente ionico. L'allungamento delle catene è legato proprio a questa polarizzazione del legame, per effetto della quale il catalizzatore possiede una parziale carica positiva. In conseguenza della carica e delle fluttuazioni di cariche sul legame dell'etilene (per risonanza), si verifica il caso in cui al catalizzatore si affaccia un atomo di un monomero etilenico con un carbonio caricato parzialmente negativamente; allo stesso modo il carbonio legato al metallo si troverà carico con una carica parziale negativa e ad esso si affaccerà l'altro atomo di carbonio del monomero etilenico, avente carica parziale positiva. Questo fa sì che il monomero etilenico venga legato alla molecola del catalizzatore, entrando non in coda a questa, ma fra il metallo e il gruppo etilico. Schematicamente il meccanismo è quindi il seguente:

POLIET05.png

Come si vede, il monomero etilenico si è inserito fra il complesso catalitico e il gruppo etilenico ―CH2―CH3. Il processo può continuare in quanto ci si trova nelle condizioni precedenti (esistenza di un legame fra il metallo del catalizzatore e un carbonio di un gruppo ―CH2―). A ogni stadio si addizionerà una molecola di etilene sempre nella stessa posizione e ciò porterà a un continuo allungamento della molecola. La situazione sarà quindi la seguente:

POLIET06.png

dopo che sono state addizionate n molecole di etilene. Evidentemente la stessa cosa succede per gli altri due gruppi etilici legati al catalizzatore, indicati per semplicità con i soli legami. Si tratta, secondo quanto detto, di una polimerizzazione anionica, in quanto la parte terminale della molecola organica che si allunga ha carica parziale negativa; nell'ipotesi limite che questo legame fosse completamente ionico, saremmo nella situazione:

[Cat]+ -CH2―CH2―CH2―...―CH3

cioè in presenza di un vero e proprio ione carbonio. L'accrescimento non prosegue però all'infinito: a un certo punto si arresta secondo un meccanismo che nella maggior parte dei casi è rappresentato dal trasferimento di uno ione idruro, cioè di un atomo di idrogeno, dalla catena in accrescimento al catalizzatore. La catena si stacca, presentando all'estremità di distacco una insaturazione, mentre il legame sul catalizzatore viene saturato da uno ione idrogeno. Si avrà quindi, considerando tutti e tre i legami del catalizzatore, la seguente situazione:

POLIET07.png

Evidentemente il distacco delle tre macromolecole può avvenire anche in tempi diversi, ma con lo stesso meccanismo. Il processo produttivo è alquanto semplice: si carica etilene e catalizzatore in un reattore agitato, insieme con un opportuno solvente (ad esempio benzina). Al termine della polimerizzazione si lava il polimero con acqua per distruggere e asportare il catalizzatore esausto. Si passa quindi a un'infiltrazione sotto vuoto che elimina la maggior parte dell'acqua e si completa l'operazione in un essiccatore; l'ultima fase è quella della granulazione del composto. Col processo Ziegler si produce p. ad alta densità ed elevata cristallinità (almeno 1,80%), con pesi molecolari variabili secondo le condizioni operative e quindi secondo gli impieghi ai quali viene destinato. Il processo viene anche detto a bassa pressione date le modeste pressioni cui si fa ricorso. L'elevata densità e cristallinità del polimero così ottenuto sono spiegate dal meccanismo di reazione, che non consente apprezzabili quantità di ramificazioni della catena. 3) Processo Philips: processo a bassa pressione usato principalmente per produrre p. ad alta densità, benché possa portare anche a polimeri aventi densità variabile su tutto il campo dei p. (da 0,91 a 0,96 g/cm3). Si opera a circa 10 atm, a 100 ÷ 180 °C, in presenza di un opportuno solvente (xilolo o cicloesano). Il catalizzatore è costituito da ossido di cromo esavalente (CrO3) supportato su una miscela di silice (SiO2) e allumina (Al2O3). Indicativamente la composizione è 90% silice, 7 ÷ 8% allumina e 2 ÷ 3% ossido di cromo. In funzione del solvente e della concentrazione di etilene in esso (che si aggira sul 5% in peso) si possono avere tenori minori, anche meno dello 0,5%, di ossido di cromo. Il catalizzatore viene utilizzato in forma di poltiglia dispersa nel solvente. Questo solvente ha una funzione molto importante: oltre a mantenere in soluzione i reagenti e il polimero, favorisce l'allungamento delle catene, neutralizzando le azioni che potrebbero interromperle; inoltre serve come mezzo di asportazione del calore (la reazione è esotermica), controlla la velocità di reazione e regola la viscosità della soluzione. Anche questo processo, almeno concettualmente, è abbastanza semplice. Si parte da etilene gassoso, puro almeno al 99%; si carica nel reattore l'etilene fresco insieme con quello di riciclo (non reagito prima), con il solvente e con il catalizzatore. All'uscita del reattore si effettua un'espansione nella quale si recupera parte del solvente e l'etilene non reagito; si passa quindi alla separazione e neutralizzazione del catalizzatore, cui segue la separazione del cicloesano per evaporazione. Il polimero così ottenuto viene poi essiccato e frantumato in granuli. Le rese di questo processo sono ottime: l'etilene di partenza viene convertito quasi al 100% e il polimero viene poi recuperato con un'efficienza del 98% almeno. 4) Processo Standard Oil: questo processo, a media pressione (40 ÷ 70 atm), produce del p. ad alta densità (fino a 0,97 g/cm3). Il processo è a letto fisso; si utilizzano catalizzatori costituiti da ossidi metallici (di nichel, cobalto, molibdeno, ecc.) supportati su carbone attivo o su allumina. In concomitanza con questi si impiegano dei promotori della reazione, in generale degli idruri di metalli quali litio, alluminio, boro, metalli alcalini. La temperatura viene mantenuta sui 200 °C per ragioni cinetiche, al fine di avere un'elevata velocità di reazione. L'alimentazione è costituita da etilene puro almeno al 99%, depurato accuratamente da tracce anche minime di sostanze che possano avvelenare il catalizzatore, riducendone l'efficacia. Si opera in discontinuo, caricando in un reattore, dove si trova già il catalizzatore, l'etilene compresso; il prodotto viene scaricato in una colonna di espansione dove si libera l'etilene non reagito che viene riciclato. Si passa quindi a uno stadio in cui si eliminano le parti di catalizzatore trattenute dal polimero, quindi si va ad uno stadio in cui si recupera il solvente che viene pure riciclato al reattore. La conversione, tenuto conto del riciclo, è praticamente completa. Con lo stesso processo si possono anche fabbricare dei copolimeri C2―C3, cioè copolimeri etilene-p., che sono degli ottimi elastomeri. Naturalmente in questo caso si alimenta al reattore una miscela di etilene e p. nel rapporto voluto. ║ Additivi e riempitivi dell'etilene: le caratteristiche del p. possono essere modificate anche profondamente per azione di riempitivi e additivi. Questi prodotti possono essere di due tipi: inerti e attivi. Gli inerti non hanno una funzione precisa nella produzione del materiale, se non quella di ridurne il costo senza variare di molto le caratteristiche del polimero. Fra questi ricordiamo sabbia, silice, farina fossile, segatura e polvere di legno, nerofumo e così via, oltre a una vastissima gamma di coloranti. Gli additivi attivi, invece, includono alcune sostanze fondamentali per la stabilità del polimero e altre che vengono aggiunte per conferirgli particolari caratteristiche meccaniche, elettriche, ecc. Ad esempio, la sensibilità del p. ai raggi ultravioletti e agli agenti ossidanti (compresi ozono e ossigeno), sia durante il processo di lavorazione a caldo sia durante la vita del manufatto, rende indispensabile l'addizione di opportuni stabilizzanti che possono essere derivati dei fenoli, delle ammine o dei fosfiti. Per l'esposizione alla luce solare è necessario un buon protettore contro le radiazioni ultraviolette. Ottimo a questo fine è il carbon black (nerofumo), in tenori dal 2 ÷ 3% in su. Naturalmente questo prodotto è causa di un colore nero o scuro per il manufatto finito e per questa ragione viene usato soprattutto per tubi, guaine, isolamenti di fili e così via, mentre negli altri casi si impiegano prodotti più costosi ma di colore meno intenso. Per ridurre il coefficiente di attrito si possono invece impiegare delle ammidi di acidi grassi che risultano particolarmente indicate per il p. da laminare in fogli sottili. Questi ultimi possono anche essere ulteriormente trattati per ridurre la tendenza del film ad appiccicarsi a se stesso. Il p. può inoltre essere reso conduttivo fino al grado voluto, mediante l'addizione di quantità notevoli di nerofumo. Con il prodotto così ottenuto si fabbricano, ad esempio, degli schermi per cavi di potenza o cavi coassiali. La resistenza alle radiazioni gamma e neutroniche (che hanno un forte effetto depolimerizzante sul p. come su molte altre materie plastiche) può essere enormemente aumentata con l'addizione di ossidi o di polveri di metalli pesanti (ad esempio, piombo). La resistenza meccanica può invece essere notevolmente aumentata addizionando fibre di vetro, sparse, in feltro o addirittura in tessuto. Questa tecnica però non è molto usata, in quanto le fibre di vetro hanno un costo elevato e il loro impiego non ha molto significato in accoppiamento con una resina di basso costo e di caratteristiche meccaniche non eccellenti quali il p. Anche i gas possono essere utilizzati quali additivi del p. L'azoto viene incorporato sia per ragioni elettriche (diminuzione della costante dielettrica, ad esempio per il rivestimento di cavi per trasmissioni televisive) sia come riempitivo per ridurre i costi. Esso permette di ottenere delle pareti di p. spesse e leggere, ottimamente coibenti; questa tecnica è usata soprattutto con il p. ad alta densità mentre per gli schermi di cavi viene usato di solito il p. a bassa densità, eventualmente sempre con azoto. ║ Proprietà del p.: come si è detto, le caratteristiche del p. dipendono dal tipo di prodotto finale ottenuto. Ci limitiamo quindi a elencare alcuni valori orientativi per i tipi a bassa densità e ad alta densità.

Caratteristiche del polietilene
Bassa densità
Alta densità
Peso specifico
Carico di rottura a trazione (kg/cm2)
Allungamento a rottura (%)
Resistenza all'urto
Resistenza al calore in continuo (°C)
Resistività di volume (ohm/cm) minima
Rigidità dielettrica, continua (Kvolt/cm)
Costante dielettrica a 60÷106 Hz
Fattore di perdita, da 60 a 106 Hz (max)
Indice di rifrazione
Trasmissione nel visibile (%)
Assorbimento di acqua (%) in 24 ore (max)
Velocità di combustione
0,910÷0,930
50÷160
90÷800
nessuna rottura
75÷100
1016
160÷300
2,25÷2,35
0,0005
1,51
0÷75
0,015
molto bassa
0,94÷0,97
200÷400
20÷1.000
elevata
105÷120
1016
200÷300
2,30÷2,35
0,0005
1,54
0÷40
0,010
molto bassa
Resistenza chimica a:
Acidi minerali diluiti
Acidi minerali conc.
Alcali
Alcooli
Chetoni
Idrocarburi aromatici
Idrocarburi clorurati
Sostanze detergenti
Grassi e oli
ottima
buona*
ottima
buona
buona
scarsa
scarsa
discreta
buona
ottima
discreta
ottima
ottima
ottima
discreta**
discreta**
buona
ottima
* non resiste agli acidi ossidanti
** si ha rammollimento ma non soluzione a temperature inferiori a 80°C

Fra le caratteristiche dei p. sono di particolare interesse quelle elettriche e in particolare il fattore di perdita, il cui valore particolarmente basso spiega la grande diffusione che questo materiale ha sempre avuto nella fabbricazione di cavi elettrici. Per quanto riguarda invece le caratteristiche di lavorabilità, osserviamo che il p. (sia ad alta densità sia a bassa densità) è un materiale estremamente versatile: può essere lavorato per stampaggio a iniezione, stampaggio a pressione a caldo, soffiatura (blow molding), centrifugazione del fuso, termoformatura sotto vuoto, laminazione in film anche molto sottili. Inoltre può essere lavorato con facilità all'utensile, saldato, incollato e metallizzato sotto vuoto. In tutte le operazioni di stampaggio, ma particolarmente nell'iniezione, si deve tenere presente che il comportamento dei tipi ad alta e a bassa densità è notevolmente diverso. I tipi ad alta densità, più cristallini, richiedono una quantità maggiore di energia per giungere a fusione: si devono quindi adottare dei tempi di riscaldamento maggiori o delle temperature più alte. Allo stato fuso la densità del p. ad alta densità e a bassa densità è la stessa; questo significa che il tipo ad alta densità presenta un maggior ritiro di solidificazione (0,02 ÷ 0,05 mm/mm contro gli 0,015 ÷ 0,035 mm/mm del tipo a bassa densità) di cui va tenuto conto nella progettazione del pezzo finito. Nello stampaggio a compressione si opera generalmente a temperature di 135 ÷ 175 °C per il tipo a bassa densità e 150 ÷ 230 °C per il tipo ad alta densità; le pressioni sono rispettivamente sulle 10 ÷ 50 e 35 ÷ 50 atmosfere. Nello stampaggio a iniezione si opera invece a 150 ÷ 250 °C e 700 ÷ 2.000 atm per il tipo a bassa densità, mentre per il tipo ad alta densità si lavora a 170 ÷ 310 °C e 700 ÷ 1.500 atm. ║ Copolimeri dell'etilene: oltre al perfezionamento dei processi di produzione del p., con conseguente miglioramento della qualità, si sono avuti nel tempo numerosi tentativi fruttuosi di produrre dei copolimeri dell'etilene con altri monomeri insaturi. Ci limitiamo qui a citare solo i principali. 1) Copolimeri etilene-vinilacetato: sono ottenuti per copolimerizzazione di etilene e di acetato di vinile e sono anche detti semplicemente EVA. Presentano buone caratteristiche meccaniche ed elettriche; sono dotati di ottima resistenza chimica e sono facilmente saldabili a caldo. Inoltre sono atossici e possono sopportare bene flessioni ripetute in quanto sono dotati di elevata flessibilità intrinseca, anche senza addizione di plastificanti. Trovano applicazione in vari campi, in particolare nel rivestimento per estrusione di cavi elettrici e nell'imballaggio di alimentari, per la loro superiore trasparenza. 2) Copolimeri etilene-etil-acrilato: sono detti anche in modo breve EEA e sono ottenuti per copolimerizzazione di etilene con acrilato di etile. Presentano una superiore stampabilità per iniezione e sono molto adatti al rivestimento di cavi elettrici nei casi in cui una forte adesione al nucleo metallico è di primaria importanza. 3) P. reticolato: si tratta di una modificazione del p. nella quale le catene polimeriche non sono più slegate una dall'altra ma unite da legami chimici ottenuti in vario modo. La reticolazione innalza il punto di fusione (e quindi la resistenza in temperatura) del p. come pure la resistenza ai solventi. Se la reticolazione è molto spinta il polimero acquista una struttura tridimensionale propria delle resine termoindurenti e diventa quindi esso stesso termoindurente. La reticolazione può essere ottenuta per irradiazione o per via chimica. Nel primo caso si sottopone il polimero a una radiazione costituita da un fascio di elettroni alquanto accelerati; questi creano nelle molecole dei punti attivi, cioè dei radicali, che combinandosi fra loro saldano insieme le diverse molecole. Inoltre, dato il minimo atomico di carbonio e idrogeno, la resina irradiata non mantiene alcuna radioattività. La reticolazione per via chimica, invece, viene ottenuta addizionando al polimero, a freddo, dei perossidi organici quali, ad esempio, il dicumil-perossido. Allorché si fa lo stampaggio, e quindi si scalda la resina portandola a fusione, queste sostanze generano dei radicali che reticolano il polimero. Se il dosaggio è ben calcolato, la reticolazione avviene nello stampo: il pezzo finito non può quindi più essere rifuso. ║ Applicazioni del p.: per quanto detto appare chiaro che il p. è un materiale estremamente versatile, che può essere adattato alle più diverse necessità. I grandi quantitativi che se ne producono testimoniano la sua diffusione e le sue numerose applicazioni. Il p. ad alta densità ha come applicazione tipica la fabbricazione di bottiglie flessibili (ad esempio per alcool etilico o acqua distillata), per mezzo della tecnica del blow molding. Osservando una bottiglia di questo tipo si può spesso notare che è composta di due parti pressoché uguali, saldate fra loro su un piano verticale. Le prime bottiglie flessibili furono fabbricate con p. a bassa densità; oggi in questo campo la maggior parte della produzione viene fatta con p. ad alta densità, che presenta migliori caratteristiche meccaniche. Con la stessa tecnologia si fabbricano anche contenitori di altro genere, quali vaschette per liquido anticongelante, contenitori per alimenti e così via. Per contenitori di più grosse dimensioni si utilizzano invece lastre di p. che vengono lavorate e saldate con le comuni lavorazioni meccaniche. Oltre a una gamma quasi infinita di contenitori, il p. ad alta densità viene impiegato anche nella fabbricazione di tubi per acqua fredda e prodotti chimici in genere. Minore è invece la sua diffusione nel campo dei rivestimenti di cavi elettrici, per i quali si impiega tradizionalmente il p. a bassa densità. Anche per la fabbricazione di film è utilizzato soprattutto p. a bassa densità, mentre si utilizza p. ad alta densità nei casi in cui è richiesta una buona resistenza del prodotto all'acqua bollente. Un'applicazione molto interessante del p. ad alta densità è la fabbricazione di monofilamenti: il polimero fuso viene estruso attraverso una filiera in forma di filo continuo. Questo viene sottoposto poi a stiro in modo da aumentarne la resistenza (per effetto di un aumento di cristallizzazione che avviene sotto stiro). Tali monofilamenti vengono impiegati per la fabbricazione di corde, reti da pesca e così via. Il p. a bassa densità, invece, ha come principale campo di impiego la fabbricazione di rivestimenti di cavi segnale (ad esempio per cavi radar, cavi telefonici, cavi per filodiffusione o per trasmissioni televisive). In questo uso si sfruttano le superiori proprietà del p. per quanto concerne perdite di segnale, resistenza all'urto, alla lacerazione e all'umidità. Il rivestimento dei cavi viene fatto per estrusione: l'anima metallica viene fatta passare attraverso una filiera sulla quale viene anche portato il polimero fuso sotto pressione. All'uscita si ottiene il cavo rivestito che, dopo raffreddamento, può essere direttamente bobinato. Per cavi destinati all'alta tensione viene in generale impiegato il p. a bassa densità non caricato; per quelli a medie o basse tensioni viene invece impiegato il p. a bassa densità caricato con quantità variabili di nerofumo (dal 3 al 30%). Un altro campo tipico di applicazione del p. a bassa densità è la fabbricazione di film sottili. Questi combinano un'ottima resistenza alla lacerazione con qualità di inerzia chimica, flessibilità, buona trasparenza e, soprattutto, basso costo; vengono impiegati principalmente in agricoltura (coperture per serre o ripari provvisori dalla pioggia), in edilizia (teloni per coperture) e per l'imballaggio di prodotti alimentari. La fabbricazione del film può essere ottenuta in due modi diversi: per laminazione a freddo (che produce un film di superiore trasparenza) oppure per estrusione di un tubo che viene poi tagliato lungo una generatrice. Un impiego simile alla fabbricazione di film è la produzione di rivestimenti per estrusione su altri materiali, solitamente carta, cartone o alluminio. Questi prodotti si impiegano soprattutto per alimenti: il p. come rivestimento assicura l'inerzia chimica (e quindi la non alterazione degli alimenti), la resistenza ai liquidi e la possibilità di effettuare la chiusura per semplice termocompressione con lama calda. Tipica applicazione di questo genere è la produzione dei cartoni per latte o altre bevande. Il rivestimento in questi casi è di solito estremamente sottile: da 0,001 a 0,1 mm. Talvolta in queste applicazioni si impiega anche p. ad alta densità (per una superiore resistenza all'umidità) oppure copolimeri come lo EVA (per una più facile chiusura a caldo) o lo EEA (per una migliore adesione sul substrato). Oltre a queste applicazioni principali, il p. a bassa densità trova un'infinità di altre applicazioni soddisfacenti (tubi, contenitori, articoli da cucina, giocattoli, rivestimenti anticorrosivi (su metallo) o impermeabilizzanti, tessuti per filtri e così via.