Chim. - Prodotto termoplastico detto anche
politene, ottenuto per
polimerizzazione dell'etilene. L'etilene, la più semplice olefina
possibile, ha una formula di struttura di questo tipo:

con un doppio legame fra carbonio e carbonio. In condizioni
particolari questo doppio legame può essere aperto (per azione di un
catalizzatore), dando un composto (instabile) di questo
tipo:
―CH
2―CH
2―
Dall'unione
di più monomeri di questo tipo si ottiene appunto il polimero, che ha
quindi una
struttura:
...[―CH
2―CH
2―]
n...
intendendo
che il gruppo si ripete
n volte uguale a se stesso in una macromolecola
del polimero. Si tratta di un polimero ad alto peso molecolare, di basso costo e
buone proprietà meccaniche ed elettriche, introdotto su scala industriale
dalla società inglese ICI (Imperial Chemical Industries) nel 1939.
Inizialmente la polimerizzazione dell'etilene veniva condotta a pressioni molto
elevate; il prodotto così ottenuto viene oggi denominato
p. ad alta
pressione (o
a bassa densità) per distinguerlo dal
p. a
bassa pressione (o
ad alta densità) introdotto negli anni
Cinquanta e polimerizzato a bassa pressione con i catalizzatori scoperti dal
chimico tedesco C. Ziegler (che fu insignito del premio Nobel insieme
all'italiano G. Natta). Successivamente sono stati introdotti anche altri tipi
di
p. dalle caratteristiche meccaniche, elettriche, di resistenza
chimica, di impiego, assai diverse e appositamente studiate per soddisfare
particolari esigenze di utilizzo. Le molecole del
p., però, non
hanno sempre una struttura lineare. Esiste infatti la possibilità che si
creino delle ramificazioni laterali delle catene polimeriche, con dei gruppi
etilici o butilici. In questo caso la catena assumerà una forma del
tipo:

oppure del tipo:

Queste brevi catene laterali sono presenti in numero variabile e
disposte statisticamente lungo la catena polimerica. Nel
p. a bassa
densità ne compaiono 10 ÷ 20 per ogni 1.000 atomi di carbonio della
catena principale, mentre nel
p. ad alta densità sono praticamente
assenti. Poiché se le molecole sono lineari, esse tendono a disporsi
più o meno parallele le une alle altre in una struttura di allineamento
così regolare da assumere l'aspetto di un reticolo cristallino (in questo
caso si dice che le molecole danno origine a
cristalliti). La differenza
principale fra i due tipi fondamentali di
p. è quindi che in
quello a bassa densità la presenza di catene laterali ostacola
l'allineamento di più molecole molto più di quanto succeda in
quello ad alta densità. Proprio da questo consegue la maggior
densità del
p. ad alta densità (0,946 ÷ 0,965
g/cm
3) rispetto al
p. a bassa densità (0,920 ÷
0,935 g/cm
3). Non solo, ma ciò significa anche che il
p. ad alta densità, grazie al grado di cristallinità
più elevato, è caratterizzato da maggior durezza, maggior
resistenza meccanica, maggior resistenza ai solventi, minor trasparenza, maggior
resistenza in temperatura e minor resistenza agli urti, rispetto al
p. a
bassa densità. Le differenze fra i due tipi sono tanto spiccate che essi
possono essere quasi considerati due materiali diversi; mentre infatti il
p. a bassa densità è il comune
p. di uso domestico
(bottiglie flessibili, fogli, recipienti per uso domestico, fogli sottili da
imballo), non resistente all'acqua bollente, il
p. ad alta densità
si avvicina come caratteristiche al polipropilene (il
Moplen della
Montecatini-Edison) e ha quindi anche un utilizzo come isolante di impianti
elettrici e chimici. ║
Processi di fabbricazione del p.: quattro
sono i principali processi per la produzione di
p., dai quali dipende la
struttura del polimero che si ottiene. Tuttavia, anche da uno stesso processo si
possono ottenere prodotti differenti, a seconda di come viene condotta la
polimerizzazione. I parametri che influenzano di più le caratteristiche
del prodotto finito sono il peso molecolare medio, la distribuzione dei pesi
molecolari, il grado di cristallinità. Le molecole infatti hanno sempre
lunghezza disuguale e la distribuzione delle loro lunghezze è un tipico
esempio di curva gaussiana in quanto, entro un certo limite, la terminazione o
meno di una molecola è legata solo a fattori probabilistici. Il peso
molecolare medio è la media dei pesi molecolari delle singole molecole;
viene determinato con diversi metodi standardizzati. La distribuzione dei pesi
molecolari è rappresentata da una curva che indica quale frazione del
polimero finito (in peso o in moli) ha peso molecolare compreso fra due limiti
qualsiasi: può essere determinata sperimentalmente con processi molto
laboriosi, ma in certi casi è possibile anche farne un calcolo teorico
sia pure approssimato. Il grado di cristallinità, direttamente legato
alla densità, è anche molto importante. I polimeri più
cristallini presentano un maggior carico di snervamento e rottura, miglior
resistenza a caldo (temperatura di impiego continuo fino a 105 °C, contro
il limite dei 75 °C dei tipi a bassa densità), maggior resistenza ai
solventi, maggior impermeabilità ai gas, minor resistenza alla
lacerazione, all'urto e alle piegature ripetute. Si comprende quindi come la
gamma dei prodotti, all'interno dei due tipi principali (alta e bassa
densità), possa essere virtualmente infinita e come uno stesso processo
possa produrre materiali fra loro anche molto diversi. 1)
Processo ICI:
è il processo più antico, seppure variamente modificato e
migliorato; produce
p. a bassa densità. La reazione è
condotta in robuste autoclavi, nelle quali si immette il
p. gassoso
previamente compresso a 1.000 ÷ 3.000 atmosfere; si opera a temperature di
150 ÷ 250 °C, utilizzando un gas di elevata purezza (almeno 99,8%). La
reazione è originata da perossidi o da tracce di ossigeno (presenti o
aggiunte appositamente) che creano dei radicali liberi. Questi a loro volta si
accrescono a spese dei monomeri etilenici e danno le molecole polimeriche
secondo il meccanismo tipico delle polimerizzazioni radicaliche. Se indichiamo
con R un radicale, la reazione inizia in questo modo:
R˙+H
2C═CH
2→
R―CH
2―CH˙
2e prosegue poi nel modo
seguente:
R―CH
2―CH˙
2+
H
2C― CH
2
R―CH
2―CH
2―CH
2―CH˙
2R―(CH
2)
3―CH˙
2+
H
2C═CH
2
R―(CH
2)
5―CH˙
2con
addizioni successive di monomeri etilenici (il punto in alto indica un gruppo
radicale). La crescita si può interrompere con diversi meccanismi fra cui
i due più comuni sono l'incontro di due radicali o il trasferimento di
catena. Nel primo caso i due radicali che si incontrano si combinano fra loro
secondo una reazione del tipo:
R―(CH
2)
n―CH˙
2+
˙CH
2―(CH
2)
m―R―(CH
2)
n―CH
2―CH
2―(CH
2)
m―R
oppure
secondo una reazione (detta
di sproporzionamento) del
tipo:
R―(CH
2)
n―CH
2+
˙CH
2―(CH
2)
m―R―(CH
2)
n―CH
3
+
H
2C═CH
2―(CH
2)
m-1―R
che
porta alla formazione di una olefina ad alto peso molecolare. Nel caso invece
che la terminazione di catena avvenga per trasferimento di catena, il radicale
in accrescimento reagisce con un'altra molecola (di monomero, di polimero,
oppure di solvente, se ce n'è uno) trasformandosi in molecola stabile,
mentre l'altra molecola diventa un radicale che inizia ad accrescersi. In tal
caso la polimerizzazione è a catena continua, ma l'accrescimento prosegue
su una molecola diversa e non necessariamente sulla sua parte terminale. Se
quest'altra molecola è già una molecola polimerica, il
trasferimento di catena provoca in generale la nascita di una catena laterale.
Nel processo ICI il grado di polimerizzazione dipende dalle condizioni
operative: esso aumenta all'aumentare della pressione, mentre diminuisce
all'aumentare della temperatura e della concentrazione di ossigeno o di
perossidi. Il peso molecolare dei polimeri così prodotti si aggira
normalmente sul valore di 50.000; la densità è di 0,91 ÷ 0,92
g/cm
3 circa. 2)
Processo Ziegler: sotto questo nome si
raggruppano tutti i processi che utilizzano catalizzatori del tipo proposto da
C. Ziegler. La polimerizzazione con questi si può attuare anche a
pressione atmosferica e temperature poco superiori a quella ambiente (50 ÷
60 °C); per comodità e convenienza economica legata alla
produttività degli impianti, si opera in generale sotto pressioni modeste
(qualche atmosfera). Il catalizzatore impiegato è composto, almeno nel
processo base, da alluminio trietile

e tricloruro di
titanio (TiCl
3). La reazione può avvenire anche solo per
effetto dell'alluminio trietile (che è un liquido altamente instabile),
ma i polimeri ottenuti in questo modo hanno peso molecolare non superiore a
5.000, cioè troppo basso perché siano dotati di buone
caratteristiche. In presenza di tricloruro di titanio, invece, si possono
ottenere polimeri aventi peso molecolare medio che va da 10.000 a 2.000.000,
secondo le condizioni operative scelte. L'alluminio trietile e il tricloruro di
titanio interagiscono fra loro a formare un catalizzatore complesso che
indicheremo semplicemente come [Cat] al quale sono legati i tre gruppi etilici
―CH
2―CH
3. Ognuno di questi costituisce il punto
di inizio della catena. Infatti il legame dell'etile con il catalizzatore
è un legame carbonio-metallo e quindi fortemente polarizzato, ovvero
parzialmente ionico. L'allungamento delle catene è legato proprio a
questa polarizzazione del legame, per effetto della quale il catalizzatore
possiede una parziale carica positiva. In conseguenza della carica e delle
fluttuazioni di cariche sul legame dell'etilene (per risonanza), si verifica il
caso in cui al catalizzatore si affaccia un atomo di un monomero etilenico con
un carbonio caricato parzialmente negativamente; allo stesso modo il carbonio
legato al metallo si troverà carico con una carica parziale negativa e ad
esso si affaccerà l'altro atomo di carbonio del monomero etilenico,
avente carica parziale positiva. Questo fa sì che il monomero etilenico
venga legato alla molecola del catalizzatore, entrando non in coda a questa, ma
fra il metallo e il gruppo etilico. Schematicamente il meccanismo è
quindi il seguente:

Come si vede, il monomero etilenico
si è inserito fra il complesso catalitico e il gruppo etilenico ―CH
2―CH
3. Il processo può continuare in
quanto ci si trova nelle condizioni precedenti (esistenza di un legame fra il
metallo del catalizzatore e un carbonio di un gruppo ―CH
2―). A
ogni stadio si addizionerà una molecola di etilene sempre nella stessa
posizione e ciò porterà a un continuo allungamento della molecola.
La situazione sarà quindi la seguente:

dopo che sono state addizionate
n molecole di etilene.
Evidentemente la stessa cosa succede per gli altri due gruppi etilici legati al
catalizzatore, indicati per semplicità con i soli legami. Si tratta,
secondo quanto detto, di una polimerizzazione
anionica,
in quanto
la parte terminale della molecola organica che si allunga ha carica parziale
negativa; nell'ipotesi limite che questo legame fosse completamente ionico,
saremmo nella situazione:
[Cat]
+ -CH
2―CH
2―CH
2―...―CH
3cioè in presenza di
un vero e proprio ione carbonio. L'accrescimento non prosegue però
all'infinito: a un certo punto si arresta secondo un meccanismo che nella
maggior parte dei casi è rappresentato dal trasferimento di uno ione
idruro, cioè di un atomo di idrogeno, dalla catena in accrescimento al
catalizzatore. La catena si stacca, presentando all'estremità di distacco
una insaturazione, mentre il legame sul catalizzatore viene saturato da uno ione
idrogeno. Si avrà quindi, considerando tutti e tre i legami del
catalizzatore, la seguente situazione:

Evidentemente il distacco delle tre macromolecole può avvenire anche
in tempi diversi, ma con lo stesso meccanismo. Il processo produttivo è
alquanto semplice: si carica etilene e catalizzatore in un reattore agitato,
insieme con un opportuno solvente (ad esempio benzina). Al termine della
polimerizzazione si lava il polimero con acqua per distruggere e asportare il
catalizzatore esausto. Si passa quindi a un'infiltrazione sotto vuoto che
elimina la maggior parte dell'acqua e si completa l'operazione in un
essiccatore; l'ultima fase è quella della granulazione del composto. Col
processo Ziegler si produce
p. ad alta densità ed elevata
cristallinità (almeno 1,80%), con pesi molecolari variabili secondo le
condizioni operative e quindi secondo gli impieghi ai quali viene destinato. Il
processo viene anche detto a bassa pressione date le modeste pressioni cui si fa
ricorso. L'elevata densità e cristallinità del polimero
così ottenuto sono spiegate dal meccanismo di reazione, che non consente
apprezzabili quantità di ramificazioni della catena. 3)
Processo
Philips: processo a bassa pressione usato principalmente per produrre
p. ad alta densità, benché possa portare anche a polimeri
aventi densità variabile su tutto il campo dei
p. (da 0,91 a 0,96
g/cm
3). Si opera a circa 10 atm, a 100 ÷ 180 °C, in
presenza di un opportuno solvente (xilolo o cicloesano). Il catalizzatore
è costituito da ossido di cromo esavalente (CrO
3) supportato
su una miscela di silice (SiO
2) e allumina
(Al
2O
3). Indicativamente la composizione è 90%
silice, 7 ÷ 8% allumina e 2 ÷ 3% ossido di cromo. In funzione del
solvente e della concentrazione di etilene in esso (che si aggira sul 5% in
peso) si possono avere tenori minori, anche meno dello 0,5%, di ossido di cromo.
Il catalizzatore viene utilizzato in forma di poltiglia dispersa nel solvente.
Questo solvente ha una funzione molto importante: oltre a mantenere in soluzione
i reagenti e il polimero, favorisce l'allungamento delle catene, neutralizzando
le azioni che potrebbero interromperle; inoltre serve come mezzo di asportazione
del calore (la reazione è esotermica), controlla la velocità di
reazione e regola la viscosità della soluzione. Anche questo processo,
almeno concettualmente, è abbastanza semplice. Si parte da etilene
gassoso, puro almeno al 99%; si carica nel reattore l'etilene fresco insieme con
quello di riciclo (non reagito prima), con il solvente e con il catalizzatore.
All'uscita del reattore si effettua un'espansione nella quale si recupera parte
del solvente e l'etilene non reagito; si passa quindi alla separazione e
neutralizzazione del catalizzatore, cui segue la separazione del cicloesano per
evaporazione. Il polimero così ottenuto viene poi essiccato e frantumato
in granuli. Le rese di questo processo sono ottime: l'etilene di partenza viene
convertito quasi al 100% e il polimero viene poi recuperato con un'efficienza
del 98% almeno. 4)
Processo Standard Oil: questo processo, a media
pressione (40 ÷ 70 atm), produce del
p. ad alta densità (fino
a 0,97 g/cm
3). Il processo è a letto fisso; si utilizzano
catalizzatori costituiti da ossidi metallici (di nichel, cobalto, molibdeno,
ecc.) supportati su carbone attivo o su allumina. In concomitanza con questi si
impiegano dei promotori della reazione, in generale degli idruri di metalli
quali litio, alluminio, boro, metalli alcalini. La temperatura viene mantenuta
sui 200 °C per ragioni cinetiche, al fine di avere un'elevata
velocità di reazione. L'alimentazione è costituita da etilene puro
almeno al 99%, depurato accuratamente da tracce anche minime di sostanze che
possano avvelenare il catalizzatore, riducendone l'efficacia. Si opera in
discontinuo, caricando in un reattore, dove si trova già il
catalizzatore, l'etilene compresso; il prodotto viene scaricato in una colonna
di espansione dove si libera l'etilene non reagito che viene riciclato. Si passa
quindi a uno stadio in cui si eliminano le parti di catalizzatore trattenute dal
polimero, quindi si va ad uno stadio in cui si recupera il solvente che viene
pure riciclato al reattore. La conversione, tenuto conto del riciclo, è
praticamente completa. Con lo stesso processo si possono anche fabbricare dei
copolimeri C
2―C
3,
cioè copolimeri etilene-
p., che sono degli ottimi elastomeri.
Naturalmente in questo caso si alimenta al reattore una miscela di etilene e
p. nel rapporto voluto. ║
Additivi e riempitivi
dell'etilene: le caratteristiche del
p. possono essere modificate
anche profondamente per azione di riempitivi e additivi. Questi prodotti possono
essere di due tipi: inerti e attivi. Gli
inerti non hanno una funzione
precisa nella produzione del materiale, se non quella di ridurne il costo senza
variare di molto le caratteristiche del polimero. Fra questi ricordiamo sabbia,
silice, farina fossile, segatura e polvere di legno, nerofumo e così via,
oltre a una vastissima gamma di coloranti. Gli additivi
attivi, invece,
includono alcune sostanze fondamentali per la stabilità del polimero e
altre che vengono aggiunte per conferirgli particolari caratteristiche
meccaniche, elettriche, ecc. Ad esempio, la sensibilità del
p. ai
raggi ultravioletti e agli agenti ossidanti (compresi ozono e ossigeno), sia
durante il processo di lavorazione a caldo sia durante la vita del manufatto,
rende indispensabile l'addizione di opportuni stabilizzanti che possono essere
derivati dei fenoli, delle ammine o dei fosfiti. Per l'esposizione alla luce
solare è necessario un buon protettore contro le radiazioni
ultraviolette. Ottimo a questo fine è il
carbon black (nerofumo),
in tenori dal 2 ÷ 3% in su. Naturalmente questo prodotto è causa di
un colore nero o scuro per il manufatto finito e per questa ragione viene usato
soprattutto per tubi, guaine, isolamenti di fili e così via, mentre negli
altri casi si impiegano prodotti più costosi ma di colore meno intenso.
Per ridurre il coefficiente di attrito si possono invece impiegare delle ammidi
di acidi grassi che risultano particolarmente indicate per il
p. da
laminare in fogli sottili. Questi ultimi possono anche essere ulteriormente
trattati per ridurre la tendenza del film ad appiccicarsi a se stesso. Il
p. può inoltre essere reso conduttivo fino al grado voluto,
mediante l'addizione di quantità notevoli di nerofumo. Con il prodotto
così ottenuto si fabbricano, ad esempio, degli schermi per cavi di
potenza o cavi coassiali. La resistenza alle radiazioni gamma e neutroniche (che
hanno un forte effetto depolimerizzante sul
p. come su molte altre
materie plastiche) può essere enormemente aumentata con l'addizione di
ossidi o di polveri di metalli pesanti (ad esempio, piombo). La resistenza
meccanica può invece essere notevolmente aumentata addizionando fibre di
vetro, sparse, in feltro o addirittura in tessuto. Questa tecnica però
non è molto usata, in quanto le fibre di vetro hanno un costo elevato e
il loro impiego non ha molto significato in accoppiamento con una resina di
basso costo e di caratteristiche meccaniche non eccellenti quali il
p.
Anche i gas possono essere utilizzati quali additivi del
p. L'azoto viene
incorporato sia per ragioni elettriche (diminuzione della costante dielettrica,
ad esempio per il rivestimento di cavi per trasmissioni televisive) sia come
riempitivo per ridurre i costi. Esso permette di ottenere delle pareti di
p. spesse e leggere, ottimamente coibenti; questa tecnica è usata
soprattutto con il
p. ad alta densità mentre per gli schermi di
cavi viene usato di solito il
p. a bassa densità, eventualmente
sempre con azoto. ║
Proprietà del p.: come si è
detto, le caratteristiche del
p. dipendono dal tipo di prodotto finale
ottenuto. Ci limitiamo quindi a elencare alcuni valori orientativi per i tipi a
bassa densità e ad alta densità.
Caratteristiche del polietilene
|
Bassa densità
|
Alta densità
|
Peso specifico Carico di rottura a trazione
(kg/cm2) Allungamento a rottura (%) Resistenza
all'urto Resistenza al calore in continuo
(°C) Resistività di volume (ohm/cm) minima Rigidità
dielettrica, continua (Kvolt/cm) Costante dielettrica a
60÷106 Hz Fattore di perdita, da 60 a 106 Hz
(max) Indice di rifrazione Trasmissione nel visibile
(%) Assorbimento di acqua (%) in 24 ore (max) Velocità di
combustione
|
0,910÷0,930 50÷160 90÷800 nessuna
rottura 75÷100 1016 160÷300 2,25÷2,35 0,0005 1,51 0÷75 0,015 molto
bassa
|
0,94÷0,97 200÷400 20÷1.000 elevata 105÷120 1016 200÷300 2,30÷2,35 0,0005 1,54 0÷40 0,010 molto
bassa
|
Resistenza chimica a:
|
Acidi minerali diluiti Acidi minerali
conc. Alcali Alcooli Chetoni Idrocarburi
aromatici Idrocarburi clorurati Sostanze detergenti Grassi e
oli
|
ottima buona* ottima buona buona scarsa scarsa discreta buona
|
ottima discreta ottima ottima ottima discreta** discreta** buona ottima
|
* non resiste agli acidi ossidanti ** si ha rammollimento ma non
soluzione a temperature inferiori a 80°C
|
Fra le caratteristiche dei
p. sono di particolare interesse
quelle elettriche e in particolare il fattore di perdita, il cui valore
particolarmente basso spiega la grande diffusione che questo materiale ha sempre
avuto nella fabbricazione di cavi elettrici. Per quanto riguarda invece le
caratteristiche di lavorabilità, osserviamo che il
p. (sia ad alta
densità sia a bassa densità) è un materiale estremamente
versatile: può essere lavorato per stampaggio a iniezione, stampaggio a
pressione a caldo, soffiatura (
blow molding), centrifugazione del fuso,
termoformatura sotto vuoto, laminazione in film anche molto sottili. Inoltre
può essere lavorato con facilità all'utensile, saldato, incollato
e metallizzato sotto vuoto. In tutte le operazioni di stampaggio, ma
particolarmente nell'iniezione, si deve tenere presente che il comportamento dei
tipi ad alta e a bassa densità è notevolmente diverso. I tipi ad
alta densità, più cristallini, richiedono una quantità
maggiore di energia per giungere a fusione: si devono quindi adottare dei tempi
di riscaldamento maggiori o delle temperature più alte. Allo stato fuso
la densità del
p. ad alta densità e a bassa densità
è la stessa; questo significa che il tipo ad alta densità presenta
un maggior ritiro di solidificazione (0,02 ÷ 0,05 mm/mm contro gli 0,015
÷ 0,035 mm/mm del tipo a bassa densità) di cui va tenuto conto nella
progettazione del pezzo finito. Nello stampaggio a compressione si opera
generalmente a temperature di 135 ÷ 175 °C per il tipo a bassa
densità e 150 ÷ 230 °C per il tipo ad alta densità; le
pressioni sono rispettivamente sulle 10 ÷ 50 e 35 ÷ 50 atmosfere.
Nello stampaggio a iniezione si opera invece a 150 ÷ 250 °C e 700
÷ 2.000 atm per il tipo a bassa densità, mentre per il tipo ad alta
densità si lavora a 170 ÷ 310 °C e 700 ÷ 1.500 atm.
║
Copolimeri dell'etilene: oltre al perfezionamento dei processi di
produzione del
p., con conseguente miglioramento della qualità, si
sono avuti nel tempo numerosi tentativi fruttuosi di produrre dei copolimeri
dell'etilene con altri monomeri insaturi. Ci limitiamo qui a citare solo i
principali. 1)
Copolimeri etilene-vinilacetato: sono ottenuti per
copolimerizzazione di etilene e di acetato di vinile e sono anche detti
semplicemente
EVA. Presentano buone caratteristiche meccaniche ed
elettriche; sono dotati di ottima resistenza chimica e sono facilmente saldabili
a caldo. Inoltre sono atossici e possono sopportare bene flessioni ripetute in
quanto sono dotati di elevata flessibilità intrinseca, anche senza
addizione di plastificanti. Trovano applicazione in vari campi, in particolare
nel rivestimento per estrusione di cavi elettrici e nell'imballaggio di
alimentari, per la loro superiore trasparenza. 2)
Copolimeri
etilene-etil-acrilato: sono detti anche in modo breve
EEA e sono
ottenuti per copolimerizzazione di etilene con acrilato di etile. Presentano una
superiore stampabilità per iniezione e sono molto adatti al rivestimento
di cavi elettrici nei casi in cui una forte adesione al nucleo metallico
è di primaria importanza. 3)
P. reticolato: si tratta di una
modificazione del
p. nella quale le catene polimeriche non sono
più slegate una dall'altra ma unite da legami chimici ottenuti in vario
modo. La reticolazione innalza il punto di fusione (e quindi la resistenza in
temperatura) del
p. come pure la resistenza ai solventi. Se la
reticolazione è molto spinta il polimero acquista una struttura
tridimensionale propria delle resine termoindurenti e diventa quindi esso stesso
termoindurente. La reticolazione può essere ottenuta per irradiazione o
per via chimica. Nel primo caso si sottopone il polimero a una radiazione
costituita da un fascio di elettroni alquanto accelerati; questi creano nelle
molecole dei punti attivi, cioè dei radicali, che combinandosi fra loro
saldano insieme le diverse molecole. Inoltre, dato il minimo atomico di carbonio
e idrogeno, la resina irradiata non mantiene alcuna radioattività. La
reticolazione per via chimica, invece, viene ottenuta addizionando al polimero,
a freddo, dei perossidi organici quali, ad esempio, il dicumil-perossido.
Allorché si fa lo stampaggio, e quindi si scalda la resina portandola a
fusione, queste sostanze generano dei radicali che reticolano il polimero. Se il
dosaggio è ben calcolato, la reticolazione avviene nello stampo: il pezzo
finito non può quindi più essere rifuso. ║
Applicazioni
del p.: per quanto detto appare chiaro che il
p. è un
materiale estremamente versatile, che può essere adattato alle più
diverse necessità. I grandi quantitativi che se ne producono testimoniano
la sua diffusione e le sue numerose applicazioni. Il
p. ad alta
densità ha come applicazione tipica la fabbricazione di bottiglie
flessibili (ad esempio per alcool etilico o acqua distillata), per mezzo della
tecnica del
blow molding. Osservando una bottiglia di questo tipo si
può spesso notare che è composta di due parti pressoché
uguali, saldate fra loro su un piano verticale. Le prime bottiglie flessibili
furono fabbricate con
p. a bassa densità; oggi in questo campo la
maggior parte della produzione viene fatta con
p. ad alta densità,
che presenta migliori caratteristiche meccaniche. Con la stessa tecnologia si
fabbricano anche contenitori di altro genere, quali vaschette per liquido
anticongelante, contenitori per alimenti e così via. Per contenitori di
più grosse dimensioni si utilizzano invece lastre di
p. che
vengono lavorate e saldate con le comuni lavorazioni meccaniche. Oltre a una
gamma quasi infinita di contenitori, il
p. ad alta densità viene
impiegato anche nella fabbricazione di tubi per acqua fredda e prodotti chimici
in genere. Minore è invece la sua diffusione nel campo dei rivestimenti
di cavi elettrici, per i quali si impiega tradizionalmente il
p. a bassa
densità. Anche per la fabbricazione di film è utilizzato
soprattutto
p. a bassa densità, mentre si utilizza
p. ad
alta densità nei casi in cui è richiesta una buona resistenza del
prodotto all'acqua bollente. Un'applicazione molto interessante del
p. ad
alta densità è la fabbricazione di monofilamenti: il polimero fuso
viene estruso attraverso una filiera in forma di filo continuo. Questo viene
sottoposto poi a stiro in modo da aumentarne la resistenza (per effetto di un
aumento di cristallizzazione che avviene sotto stiro). Tali monofilamenti
vengono impiegati per la fabbricazione di corde, reti da pesca e così
via. Il
p. a bassa densità, invece, ha come principale campo di
impiego la fabbricazione di rivestimenti di cavi segnale (ad esempio per cavi
radar, cavi telefonici, cavi per filodiffusione o per trasmissioni televisive).
In questo uso si sfruttano le superiori proprietà del
p. per
quanto concerne perdite di segnale, resistenza all'urto, alla lacerazione e
all'umidità. Il rivestimento dei cavi viene fatto per estrusione: l'anima
metallica viene fatta passare attraverso una filiera sulla quale viene anche
portato il polimero fuso sotto pressione. All'uscita si ottiene il cavo
rivestito che, dopo raffreddamento, può essere direttamente bobinato. Per
cavi destinati all'alta tensione viene in generale impiegato il
p. a
bassa densità non caricato; per quelli a medie o basse tensioni viene
invece impiegato il
p. a bassa densità caricato con
quantità variabili di nerofumo (dal 3 al 30%). Un altro campo tipico di
applicazione del
p. a bassa densità è la fabbricazione di
film sottili. Questi combinano un'ottima resistenza alla lacerazione con
qualità di inerzia chimica, flessibilità, buona trasparenza e,
soprattutto, basso costo; vengono impiegati principalmente in agricoltura
(coperture per serre o ripari provvisori dalla pioggia), in edilizia (teloni per
coperture) e per l'imballaggio di prodotti alimentari. La fabbricazione del film
può essere ottenuta in due modi diversi: per laminazione a freddo (che
produce un film di superiore trasparenza) oppure per estrusione di un tubo che
viene poi tagliato lungo una generatrice. Un impiego simile alla fabbricazione
di film è la produzione di rivestimenti per estrusione su altri
materiali, solitamente carta, cartone o alluminio. Questi prodotti si impiegano
soprattutto per alimenti: il
p. come rivestimento assicura l'inerzia
chimica (e quindi la non alterazione degli alimenti), la resistenza ai liquidi e
la possibilità di effettuare la chiusura per semplice termocompressione
con lama calda. Tipica applicazione di questo genere è la produzione dei
cartoni per latte o altre bevande. Il rivestimento in questi casi è di
solito estremamente sottile: da 0,001 a 0,1 mm. Talvolta in queste applicazioni
si impiega anche
p. ad alta densità (per una superiore resistenza
all'umidità) oppure copolimeri come lo EVA (per una più facile
chiusura a caldo) o lo EEA (per una migliore adesione sul substrato). Oltre a
queste applicazioni principali, il
p. a bassa densità trova
un'infinità di altre applicazioni soddisfacenti (tubi, contenitori,
articoli da cucina, giocattoli, rivestimenti anticorrosivi (su metallo) o
impermeabilizzanti, tessuti per filtri e così via.