Termine introdotto dall'analisi economica marxista e volto a indicare la
differenza tra il valore del prodotto del lavoro e la remunerazione sufficiente
per il sostentamento del lavoratore, ossia per indicare quella parte del
profitto il cui conseguimento rappresenta lo scopo del capitalista e che deriva
interamente dal lavoro vivente, ovvero dalla forza-lavoro. Il valore della
forza-lavoro viene determinato nello stesso modo di tutti gli altri valori di
scambio. Esso, cioè, viene determinato dalla quantità di lavoro
necessaria alla sua produzione. La produzione della forza-lavoro altro non
è che la produzione di quella quantità di mezzi di sussistenza che
permettono al lavoratore di conservare, alimentandola continuamente, la propria
forza-lavoro. Pertanto, il valore della forza-lavoro è dato dalla
quantità di lavoro che si richiede per questi mezzi di sussistenza. Tale
valore della forza-lavoro è il salario. Una volta che i lavoratori
abbiano ricevuto il salario, vengono messi in grado di erogare una certa
quantità di lavoro che rappresenta la misura del valore della
forza-lavoro. Ma la quantità di lavoro che il lavoratore compie, una
volta che il capitalista abbia acquistato la sua forza-lavoro, non è
uguale alla quantità di lavoro necessaria per fornirgli i mezzi di
sussistenza; generalmente essa è superiore. Quindi, il valore prodotto
dal lavoratore è superiore al valore da lui consumato. Esiste una
differenza positiva tra il valore del prodotto dei lavoratori e il valore della
forza-lavoro degli stessi, differenza che Marx chiamò
p. E, in
conseguenza del fatto che nel contratto stipulato tra capitalista e lavoratore,
il primo, essendo proprietario dei mezzi di produzione ed essendo divenuto
proprietario della forza-lavoro diviene proprietario anche del prodotto,
può appropriarsi di tale
p. che gli resta come profitto. Marx
chiamò "saggio di sfruttamento" il rapporto tra il
p. e
il lavoro necessario: tale saggio, in regime capitalista, può esprimersi
anche come rapporto tra
p. e salari, e prende anche il nome di saggio di
p. Una volta che l'ammontare, in termini fisici, dei mezzi di sussistenza
sia stato fissato, tre sono i fattori che determinano il saggio del
p.:
1) esso varia in ragione diretta della lunghezza della giornata lavorativa.
Infatti, una volta dato il valore dei mezzi di sussistenza e, quindi, la
quantità di lavoro necessaria per ricostituirlo, il
p. sarà
tanto maggiore quanto maggiore è il restante lavoro erogato o
p.;
2) esso varia in ragione diretta della produttività del lavoro che
produce i mezzi di sussistenza. Se tale produttività aumenta, diminuisce
la quantità di lavoro necessaria a produrre tali mezzi e perciò
diminuiscono, in valore, i salari, mentre, ferma restando la giornata
lavorativa, aumenta il
p.; 3) esso varia in ragione diretta
dell'intensità del lavoro. Infatti, se, per mezzo di miglioramenti nella
tecnica e nell'organizzazione produttiva, si riesce a concentrare una maggiore
quantità di lavoro nell'unità di tempo, cresce il valore del
prodotto, mentre rimane costante il valore pagato in salari. Sono questi i
fattori rilevanti in una situazione economica normale (periodo lungo), quando
cioè tutte le merci si scambiano al loro valore. Ma per i periodi di
tempo brevi, e limitatamente a singole imprese, interviene un altro fattore: la
produttività del lavoro in generale, ossia non soltanto del lavoro
impiegato sulla produzione dei mezzi di sussistenza. Infatti, se in una
determinata impresa la produttività aumenta, ossia se con la stessa
quantità di lavoro si producono più beni, prima che i mezzi che
hanno determinato tale aumento di produttività si generalizzino e la
concorrenza intervenga, i prezzi dei prodotti rimarranno invariati e quindi
l'incasso totale aumenterà, mentre l'ammontare complessivo dei salari
pagati dall'impresa resterà fisso. In questo caso, l'aumento del saggio
del
p. si deve a cause appartenenti alla sfera dei prezzi e non alla
sfera dei valori, e perciò ha carattere transitorio. Marx chiama
p.
assoluto quello prodotto mediante prolungamento della giornata lavorativa e
p. relativo quello che deriva dall'accorciamento del tempo di lavoro
necessario. A proposito del
p. assoluto, Marx osserva che il capitalista,
in quanto tale, è soltanto capitale personificato e la sua anima è
l'anima del capitale. Nel
p. assoluto, il capitalista cerca di rendere
più lunga possibile la giornata lavorativa, e con ciò sostiene il
suo diritto di compratore. A proposito dell'accorciamento dei tempi di lavoro
(
p. relativo) dovuto all'introduzione di nuovi macchinari che comportano
una rivoluzione del processo lavorativo, Marx osserva che "il
p.
relativo sta in rapporto diretto alla forza produttiva del lavoro. Cresce col
crescere della forza produttiva e cala col calare di essa... Per riprodurre il
valore della forza-lavoro, prima erano necessarie dieci ore di lavoro, ora solo
sei. Quattro ore di lavoro sono state liberate e possono venire annesse ai
domini del
p. È quindi istinto immanente e tendenza costante del
capitale aumentare la forza produttiva del lavoro per ridurre più a buon
mercato la merce, e con la riduzione a più buon mercato della merce,
ridurre a più buon mercato l'operaio stesso". Altra cosa dal saggio
di
p. è il saggio di profitto, e l'aver posto questa differenza
è, accanto all'introduzione del concetto di forza-lavoro, uno dei passi
più notevoli compiuti da Marx, rispetto alla teoria economica
classica.