(dal latino
pictura, der. di
pingere: dipingere). L'arte di
dipingere, di rappresentare cose reali o immaginarie su una superficie,
solitamente piana, per mezzo di forme e di colori. ║ Opera dipinta.
║ Materia colorante, vernice. • Encicl. - Le prime manifestazioni
pittoriche nell'area europea risalgono al periodo Maddaleniano (Paleolitico
superiore). La loro area di diffusione è limitata alla Francia
meridionale e alla Spagna settentrionale, dove sono stati rinvenuti dipinti in
alcune grotte (Altamira, Lascaux); in Italia alcune
p. sono state
scoperte in Puglia (grotta Paglicci e Romanelli). Si tratta di raffigurazioni
monocrome o policrome della fauna locale, molto raramente di esseri umani,
caratterizzate da uno spontaneo naturalismo e da precisione del tratto. Il loro
significato è probabilmente magico-religioso, di propiziazione per la
caccia. Scarsa è la documentazione del Neolitico, durante il quale si
assiste ad un regresso del naturalismo e a un certo irrigidimento in schemi. In
epoca storica questo schematismo si rivela caratteristico della civiltà
pittorica mesopotamica ed egizia, con l'adozione della tecnica prospettica a
registri sovrapposti, e la resa della figura umana con dorso e spalle di fronte,
ma testa e gambe di profilo. Il carattere segnatamente sacrale di tale
p.
sta alla base della costante stilizzazione, che nell'antico Egitto va crescendo
con il succedersi delle dinastie: al naturalismo dell'Antico Regno seguono forme
più stilizzate, fino all'accademismo della XIX dinastia. Parallelamente
si sviluppa il naturalismo della civiltà cretese e micenea,
caratterizzato da un vivace ritmo di linee ondulate e da un forte colorismo. A
partire dal I millennio a.C. si sviluppa la civiltà artistica greca di
cui, tuttavia, restano poche testimonianze pittoriche, prevalentemente di tipo
vascolare. La serie ricchissima dei vasi dipinti testimonia un graduale
passaggio da una primitiva astrazione geometrica (tipica dei vasi di stile
corinzio) al classicismo austero e lineare dei vasi attici (a figure nere su
sfondo rosso, oppure a figure rosse su sfondo nero). Un esempio di quello che
dovette essere la
p. parietale greca è offerto da alcune tombe
etrusche di Tarquinia (tombe "del triclinio" o "dei
cavalli"). La conquista dell'equilibrio fra resa naturalistica e
trasfigurazione ideale raggiunta nel V sec. a.C. è testimoniata
prevalentemente dalla scultura. Assai più nota ci è la
p.
ellenistica d'epoca romana e la
p. romana in senso stretto, di cui
importanti esempi sono conservati a Pompei. Si tratta di un tipo di
p.
con qualità illusionistiche e carattere spesso scenografico in cui
traspare la ricerca della grazia e dell'eleganza formale. La
p. romana e
quella paleocristiana rivelano una continuità tecnica e stilistica: gli
affreschi delle catacombe richiamano molto da vicino certi affreschi pompeiani.
In epoca bizantina e medioevale l'intento mistico, trascendente e
rappresentativo, determina la rinuncia a ogni illusionismo: le figure,
prevalentemente a carattere religioso, risultano appiattite su uno sfondo tutto
d'oro. Notevole in quest'epoca la produzione di icone e di tavole dipinte, fatte
non di rado oggetto di venerazione. Fiorisce, in epoca romanica e più
ancora gotica, la tecnica dell'affresco, che nei secc. XII-XV produce grandi
cicli narrativi di argomento religioso. La stessa concezione architettonica
della chiesa gotica porta a un'adozione sistematica della vetrata, e quindi al
notevole sviluppo di una tecnica particolare, quella della
p. su vetro,
peraltro già conosciuta in epoca romana. È solo nell'ultima fase
del Medioevo che accanto alla
p. sacra comincia a fare la sua apparizione
anche una
p. di carattere profano: dal Trecento in poi, anche castelli e
palazzi pubblici, e non più solo chiese e conventi, hanno i loro cicli a
fresco. Per quanto riguarda lo sviluppo della tecnica pittorica, figura
predominante dell'epoca è Giotto, con il quale la
p. assume valori
lineari e coloristici, perseguendo un fine anti-illusionistico e raggiungendo
un'effettiva plasticità. Un'autentica rivoluzione pittorica si realizza,
nei primi decenni del Quattrocento, con Masaccio, attraverso una visione
razionalizzata dello spazio, che precede la misurazione prospettica di Piero
della Francesca e dei classici del Rinascimento. Nei trattati di Leon Battista
Alberti troviamo codificata questa fase dello sviluppo pittorico. Nel XVII sec.
compare la
p. tonale, in cui la forma viene costruita direttamente con il
colore, e non predeterminata: la costruzione prospettica, il chiaroscuro e il
disegno sono sostituiti dalla diversa intensità luminosa, dai rapporti di
tono. L'invenzione si attribuisce a Giorgione, ed iniziatori sarebbero stati
Tiziano e Giovanni Bellini, esponenti della scuola veneziana. L'incontro fra la
p. tonale e il naturalismo del Nord Europa determinano la nascita nel
Seicento del paesaggio fiammingo. Nel Settecento si afferma il Neoclassicismo,
che ha il suo principale esponente in David. In seguito, dall'Impressionismo in
poi la visione pittorica ha subito mutamenti continui, in un'alternanza di
scuole e movimenti che hanno rappresentato il dissolvimento della visione
prospettica-umanistica. Futurismo, Dadaismo, Surrealismo, Astrattismo, Cubismo
hanno rappresentato alcuni aspetti della polemica fra poetica figurativa e non
figurativa. Più corrosive paiono invece, per il concetto tradizionale di
arte, la
p. cosiddetta "informale" o anche
"tachista", o ancora "autre", nonché la Pop-art e la
Op-art, per la sperimentazione che caratterizza l'arte contemporanea e che
spinge gli artisti a rifiutare tecniche e materiali standardizzati per
inventarne di personali, magari schiacciando il colore direttamente dal tubetto
sulla tela, o spruzzandovelo sopra, o facendovelo gocciolare (l'Action painting
di J. Pollock), oppure ricorrendo, nel "collage" e nella
p.
"polimaterica", a materiali diversi dal colore, come frammenti di
metallo o di legno o di plastica, pezzi di carta, squarci o bruciature della
tela stessa. ║ Per quanto riguarda gli aspetti tecnici della
p. una
classificazione può essere fatta in base al supporto impiegato, o alla
qualità dei materiali usati come solventi. Si può parlare di
supporti fissi (
p. murale), o mobili (
p. su tavola, su tela, su
carta, vetro, rame, ecc.). Di qualunque genere sia, il supporto riceve
un'adeguata preparazione (intonaco per la superficie muraria, imprimitura per
tavole e tele). I materiali usati come solventi dei pigmenti colorati sono di
tre tipi: acquosi, collanti, oleosi. La
p. murale utilizza la tecnica
della tempera e dell'encausto. Le tinte a tempera erano già in uso
nell'antico Oriente e presso alcune scuole pittoriche greche e vennero
largamente usate in epoca medioevale per i dipinti su tavola. La tavola veniva
preparata a gesso o a colla e talora rivestita di cuoio, di tela o di pergamena.
Quanto all'agglutinante, in Italia all'uso del tuorlo e dell'albume mischiati si
preferiva quello del tuorlo solo, con l'aggiunta a volte di lattice di fico.
Come diluenti s'impiegavano a volte anche il vino o la birra; e per evitare un
essiccamento troppo rapido si era soliti aggiungere miele o cera. Furono i Greci
nel IV sec. a.C. a usare per la prima volta la tecnica dell'encausto, di cui
abbiamo testimonianza nei frammenti superstiti di età romana. Consisteva
nell'applicare a caldo su supporto asciutto i colori impastati con cera o con
resina fusa: la stesura dei colori, così ci informa Plinio, poteva
avvenire sia con un pennello sia con una speciale spatola. Nel Medioevo la
p. murale lasciò l'encausto per l'affresco, unito a volte alla
tempera, una tecnica consistente nel lasciar seccare l'intonaco, pomiciarlo e
bagnarlo di nuovo al momento di dipingere. La tecnica dell'affresco presentava
alcune difficoltà originate dalla necessità di stendere i colori
sull'intonaco mentre era ancora bagnato, quindi piuttosto in fretta. L'artista
non aveva dunque il tempo per eventuali ritocchi, possibili invece con altre
tecniche. Oltre a ciò, il definitivo registro cromatico era controllabile
solo a essiccazione avvenuta. Per quanto riguarda la
p. a olio, le prime
notizie risalgono al XII sec. Questa tecnica fu adottata sistematicamente dai
fratelli Van Eyck, che si accorsero come le variazioni sottili di luce fossero
rese meglio dai solventi oleosi, anziché dai collanti. Più tardo
fu invece l'uso della tela di lino o di canapa come supporto, peraltro
già noto in Oriente, ma adottato in Occidente per la prima volta in
ambiente veneziano. Se la tela, però, rimpiazzò gradualmente
l'affresco per la decorazione delle pareti nelle chiese, soppiantò la
tavola nelle opere da cavalletto solo in pieno Seicento. In Italia la
p.
a olio fu introdotta da Antonello da Messina. L'uso dell'olio divenne
addirittura sovrabbondante nel Seicento, periodo in cui si usò largamente
anche il bitume. Nel XVIII sec. l'introduzione della trementina come diluente si
affermò in sostituzione dell'olio. Parimenti la
p. a pastello,
usata sistematicamente per la prima volta dal tedesco Hans Holbein, ebbe grande
diffusione in questo secolo, insieme all'acquerello e al guazzo, in cui i colori
si schiariscono con l'aggiunta di bianco. Queste tecniche permettevano di
riprodurre meglio levità e ricchezza di sfumature. L'Impressionismo
ottocentesco rinnovò totalmente la tecnica pittorica indirizzandola a
ricerche intense di luminosità mediante l'applicazione dei colori nei
toni puri dello spettro. Nuove ricerche, e quindi nuove tecniche, furono
suggerite o imposte dalle scuole pittoriche che si sono succedute a ritmo
incalzante nel corso del Novecento. L'avvento della produzione industriale dei
materiali della
p., specialmente dei colori, ha prodotto una
moltiplicazione delle possibilità tecniche della
p. Per esempio,
al posto dell'olio di lino può essere impiegato l'olio di ricino
disidratato, o, per le sue proprietà siccative, il cobalto. Anche
l'essenza di trementina, il solvente tradizionalmente più usato, viene
oggi di preferenza sostituita con solventi estratti dal petrolio. Il progresso
maggiore dell'industria dei colori e delle vernici è stato tuttavia
conseguito nel campo delle resine sintetiche, che hanno in gran parte sostituito
quelle naturali, rendendo possibile la preparazione di
p. a essiccamento
rapido. • Est. - Il vocabolo latino
pictura è stato
etimologicamente correlato, fin dal Medioevo, al termine
fictura (da
fingere), per sottolinearne l'aspetto di finzione artificiosa, mentre la
teorizzazione aristotelica dell'arte intesa come "mimesi", imitazione
della natura, ha conservato efficacia fin quasi ai giorni nostri. Nella
concezione latina la
p. fu intesa come rappresentazione di immagini
secondo i criteri del vero o del verosimile: per Vitruvio la
p. era
"l'immagine di ciò che è o può essere". In epoca
medioevale ebbe seguito da un lato il principio secondo cui non è lecito
rappresentare immagini sacre (iconoclastia), dall'altro una concezione che
vedeva nella
p. e nella rappresentazione artistica un possibile strumento
di sostegno e diffusione della vera fede. San Basilio di Cesarea notava come le
gesta dei martiri rappresentate su tavole dipinte confermasse la fede in coloro
che le guardassero. Cennino Cennini, alla fine del XIV sec. rivendicò
alla
p. una posizione preminente tra le attività umane, seconda
solo alla scienza. Nel corso del Rinascimento fecero la loro comparsa diverse
opere teoriche sul problema estetico nella
p., anche se permanevano i
limiti di una concezione puramente mimetica. Leon Battista Alberti
individuò l'oggetto della
p. nella rappresentazione del
"visibile": essa consisteva cioè nella proiezione sul piano
delle immagini delle cose secondo i principi della prospettiva. Alberti distinse
tre momenti: il disegno, la composizione prospettica, l'impiego di luci e
colori. Sempre in base a considerazioni di ordine mimetico, fu asserita da
Leonardo, nel suo
Trattato, la superiorità della
p. sulla
scultura. Una posizione particolare, alla fine del XVIII sec., fu quella di F.
Milizia, secondo cui l'eccellenza della
p. non stava nella perfetta
imitazione della natura, bensì nella capacità di dilettare la
vista con la bellezza delle forme e dei colori, esprimendo passioni in grado di
toccare l'animo. Una riflessione veramente "moderna" sull'arte in
genere cominciò però più tardi, non prima del XVII sec., e
giunse a piena maturazione solo con la
Critica del giudizio di Kant
(1790). Accogliendo la distinzione fra "bello di natura" e "bello
d'arte", il filosofo pose le premesse di un'arte libera non figurativa. Tra
i pensatori romantici, Herder, Humboldt e Hegel riconobbero alla
p. una
superiorità sulla scultura; l'originalità di tale affermazione,
per altri versi non nuova, era tutta nelle motivazioni. Per esempio Herder
parlò di "verità" a proposito della scultura e di
"sogno" a proposito della
p., mentre Humboldt definì la
prima sinonimo di "esteriorità", la seconda di
"interiorità". Rispetto ai romantici, che sottolineavano ancora
l'aspetto contenutistico dell'opera del pittore, con Herbart nacque l'indirizzo
"formalistico", che ritenne l'indipendenza della forma rispetto al
sentimento come essenziale alla bellezza. A questa concezione si riferirono le
varie teorie della "pura visibilità" di fine Ottocento e inizio
Novecento. Alla seconda metà del XIX sec. appartiene anche la
teorizzazione del principio di "empatia", secondo cui esiste un
rapporto fra forme elementari, come le linee orizzontali o verticali, e
determinati stati d'animo; attraverso l'impiego di simboli visuali la
p.
sarebbe in grado di riprodurre le nostre passioni. Da questo momento prese
slancio una concezione astratta della
p. che ebbe il suo manifesto in
Astrazione di Worringer (1908) e nella teorizzazione di Kandinsky (1909)
che hanno codificato i principi dell'arte contemporanea in quanto autonoma e
totalmente svincolata da ogni condizionamento esterno. ║
P.
popolare: manifestazione espressiva di una comunità di individui
legati da una specificità culturale. Si distingue sia dall'arte
folklorica, caratterizzata da una specifica tradizione stilistica e tecnica, con
un proprio ambito di produzione e consumo, sia dall'arte primitiva, a cui in
passato veniva accomunata per la sua elementarità: la
p. popolare
è frutto di una cultura collettiva dalla quale possono emergere singole
personalità per i loro apporti originali. È il caso, per esempio,
di artisti come Lo Monaco, Cronio, Ducato, famosi per le
p. dei carretti
siciliani, o come Faraone, Rinaldi, per i cartelloni dell'opera dei pupi, nel
museo Pitré di Palermo. Produzioni di
p. popolare sono ad esempio
quelle legate alle tradizioni rurali, familiari, regionali, che esprimono la
loro dipendenza dal ritmo della vita agricola, dal ciclo delle stagioni.
Un'altra tipologia è quella della
p. artigianale o di mestiere: la
decorazione di manufatti, come oggetti d'uso, case, barche, ecc. Infine si
ricollega all'ambito popolare la produzione di ex-voto, di icone dipinte su
vetro. La
p. di tradizione contadina non è naturalistica, ma
presenta una sua interpretazione della realtà mediante simboli di origine
remota, gallica, slava, celtica, ed impiega tecniche pittoriche estremamente
semplici. Per quanto riguarda i temi generali delle immagini popolari, P.L.
Duchartre ne distingue alcuni: attualità, propaganda, temi religiosi,
educativi, storici, divinatori, decorativi. La
p. popolare contadina,
espressione di immagini di repertorio tradizionale è di fatto scomparsa
in seguito alle modifiche delle strutture sociali e all'industrializzazione dei
mezzi di comunicazione (fotografie, giornali). Ultimamente, tuttavia, si assiste
a un nuovo interesse e ad un parziale recupero di questa tradizione. •
Etnol. -
P. corporale: l'uso di riprodurre sul corpo o sulla faccia
decorazioni è diffuso in molti gruppi umani, specialmente in quelli di
interesse etnologico, e particolarmente comune nelle aree tropicali, dove a
causa del caldo il vestiario è estremamente ridotto. Esso può
essere dettato da motivi di utilità (ad esempio per proteggere la pelle
dalle punture di insetti, ecc.), da ragioni estetiche, belliche o cerimoniali.
Le sostanze impiegate a tale scopo sono di natura diversa, a seconda della loro
reperibilità nei diversi luoghi di insediamento; di solito si tratta di
sostanze naturali, come terre colorate e impastate con grasso animale, oppure
succhi vegetali. Le tipologie decorative e i colori, ai quali viene sempre
attribuito significato simbolico, variano in rapporto ai gruppi etnici, alla
loro tradizione e sensibilità artistica, all'occasione. La
p.
corporale connessa a motivi di protezione generalmente non presenta caratteri
estetici; è il caso, per esempio, delle tribù dei Canella, indios
del Brasile, presso i quali i bambini - che per un mese dal momento della
nascita sono protetti dagli insetti dal padre, che giace accanto al neonato per
tutto il tempo - vengono interamente dipinti dalla madre, nel corso di una
cerimonia comunitaria, con l'
uruch, una sostanza rossa ricavata da certe
bacche e mescolata con un particolare veleno che tiene lontani i pericolosi
insetti di quelle regioni. In alcuni casi la
p. corporale sostituisce il
vestiario, rappresentando, come altrove i tatuaggi, il tratto culturale
distintivo di un popolo. Talora, soprattutto la
p. facciale, permette
l'identificazione individuale, segnalando la condizione sociale della persona.
Le
p. facciali degli Indiani del Nord-Ovest hanno carattere
magico-simbolico, rappresentando il totem del gruppo; presso diverse
tribù di Indiani della California, per esempio, esse sostituiscono le
maschere usate da altri Pellirosse. Gli Hupa, i Degueño, gli Yokut, i
Pomo ed altri popoli californiani facevano uso della
p. solo in occasione
di determinati riti e solo i danzatori avevano la facoltà di dipingere il
proprio viso e di portare sul capo ornamenti di penne. Presso altre
tribù, come quella dei Pawni, i capi usano portare dipinta sul viso e sul
petto l'immagine del proprio totem (un bufalo, un'aquila, o un altro animale
assunto come antenato, oppure il motivo solare). Nelle civiltà
messico-andine la
p. corporale era in onore degli alti personaggi. Nel
Messico, gli Huiciol praticavano dei tagli obliqui sulle guance, poi dipingevano
a colori vivacissimi le cicatrici. Le donne dei Cuna che abitano le isole San
Blas, nell'America centrale, tracciano sul loro viso una riga di color violetto
o blu che scende dall'alto della fronte, percorre il dorso del naso in tutta la
sua lunghezza e termina dove hanno inizio le narici: si tratta di una
decorazione di tipo apotropaico. Le tribù dei Colorados, stanziate nella
giungla fra Quito, Otavalo e la valle del Chota, usano spalmare tutto il corpo
con una tintura di color rosso che ricavano dalle bacche dell'"onoto";
tale
p. viene eseguita non solo per motivi estetici ma anche
perché il succo dell'"onoto" ha il potere di tenere lontani gli
insetti della giungla ecuadoriana. La stessa sostanza viene adoperata anche per
tingere i capelli, che, induriti, permettono così le tipiche
"pettinature a visiera". Con altre sostanze coloranti vengono
tracciate sopra il rosso della tintura di onoto righe molto larghe sia sul viso
sia sul corpo. Un alto livello artistico raggiunge la
p. corporale fra
gli indigeni dell'Amazzonia e del Chaco: elegantissimi motivi geometrici,
dipinti a mano dalle donne, o impressi mediante stampi in legno, vengono
tracciati su tronco, braccia e gambe. In alcuni gruppi di Indios del Brasile, le
donne riproducono sul corpo dei loro piccoli, usando succhi vegetali, le
decorazioni caratteristiche della ceramica di Marajó, secondo una
tradizione risalente ai loro antenati. Nella Terra del Fuoco, la
p.
corporale oltre che da ornamento, è una manifestazione dei propri
sentimenti: rosso per la gioia, nero per la tristezza e il lutto, bianco per la
battaglia. Anche in Australia e in Oceania era ed è tuttora molto diffuso
l'uso delle
p. corporali; gli aborigeni australiani tracciano sul loro
corpo disegni in rosso, giallo, bianco e nero, impiegando terre colorate,
carbone e gesso, con significato religioso, collegato ai riti iniziatici e di
fertilità. Analoghe usanze sono attestate tra i Papua, nelle Salomone,
nelle Nuove Ebridi e nella Nuova Caledonia. In Africa particolarmente diffuso
è l'impiego del colore bianco fra i Masai, i Samburo, i Turkana, con
significato sia rituale sia bellico.
Paul Cézanne: “Alberi che formano un arco” (New York, coll.Pearlman)
Andrea Del Castagno: “Cristo e San Giuliano” (Firenze, SS. Annunziata)
Beato Angelico: “Il Paradiso”, part. del “Giudizio Universale” (Firenze, Museo di S. Marco)
Giacomo Balla: “ Lampada – Studio di luce” (New York, The Museum of Modern Art)