Elemento chimico di numero atomico 82, peso atomico 207,19 e simbolo
Pb.
Nella tavola periodica degli elementi si colloca nel IV gruppo, sottogruppo A, e
ha come omologhi inferiori stagno, germanio, silicio e carbonio. Si tratta di un
metallo noto da molto tempo: menzionato nella Bibbia, era già conosciuto
dagli antichi Greci e Romani, che lo estraevano soprattutto in Spagna e in
Britannia e lo utilizzavano per la costruzione di condutture d'acqua. Ancora
oggi il
p. è uno dei metalli più diffusi e più
largamente impiegati; esso è tuttavia un elemento relativamente raro
nella crosta terrestre (della quale costituisce solo lo 0,0018% circa), molto
meno diffuso di altri elementi abitualmente considerati più rari, quali
ad esempio vanadio, cromo, rubidio, stronzio, zirconio, cerio, tungsteno,
titanio. Anche nell'universo non è molto diffuso: si stima che esistano
circa 0,47 atomi di
p. ogni milione di atomi di silicio. • Encicl.
- Il
p. presenta quattro isotopi naturali stabili (tra parentesi le
abbondanze relative):
204Pb (1,5%),
206Pb (23,6%),
207Pb (22,6%) e
208Pb (52,3%). In natura si trovano poi
diversi isotopi radioattivi, presenti sempre nei minerali di uranio in quanto
originati dalla decomposizione spontanea dell'uranio o del torio. ║
Stato naturale: il
p. non esiste allo stato naturale, ma sempre in
forma di sali, generalmente solfuri o sali ossidati. Il principale minerale
è la galena o
solfuro di
p. PbS (contenuto teorico 86,6% di
Pb), che si trova spesso mescolata con blenda (solfuro di zinco), pirite
(solfuro di ferro) e calcopirite (solfuro doppio di ferro e rame). In genere nei
giacimenti sono presenti anche piccole percentuali di argento, arsenico,
antimonio e bismuto. Altri minerali che hanno qualche interesse metallurgico
sono la cerussite o carbonato di
p. PbCO
3 e l'anglesite o
solfato di
p. PbSO
4. Altri minerali invece sono interessanti
solo dal punto di vista mineralogico: fra questi la piromorfite o fosfato e
cloruro di
p. PbCl
2 ·
3Pb
3(PO
4)
2, la crocoite o cromato di
p.
PbCrO
4, la wulfenite o molibdato di
p. PbMoO
4, la
fosgenite o cloruro e carbonato di
p. PbCl
2 ·
PbCO
3 e la mimesite o cloruro ed arseniato di
p.
PbCl
2 · 3Pb
3(AsO
4)
2. I
minerali di
p. usati per l'estrazione hanno un tenore di
p.
intorno al 5% medio. ║
Proprietà fisiche: in condizioni
ambiente il
p. si presenta come un metallo molle e duttile, molto pesante
(peso specifico 11,36), con struttura cristallina cubica a facce centrate; una
superficie tagliata di fresco presenta color grigio con riflessi azzurri, ma si
ricopre in poco tempo di uno strato di ossido grigio opaco. Il
p. fonde a
327,4 °C e bolle a 1.725 °C; a temperature molto basse (sotto i 4
°K) è superconduttore, mentre a temperatura ambiente la sua
conducibilità non è molto elevata (8,3% del campione
internazionale di rame ricotto). Altre sue proprietà fisiche sono
raccolte nella seguente tabella:
Calore specifico (cal/g)
|
0,031
|
Calore latente di fusione (cal/g)
|
6,26
|
Calore latente di vaporizzazione (cal/g)
|
223
|
Equivalente elettrochimico, valenza +2 (mg/Coul)
|
1,0736
|
Tensione normale di idrogeno (Volt)
|
-0,122
|
Conducibilità termica a 0°C (cal/cm · sec ·
°C)
|
0,083
|
Energia di prima ionizzazione (kcal/mole)
|
171
|
Raggio covalente (Å)
|
1,47
|
Raggio atomico (Å)
|
1,75
|
Raggio ionico (Å): valenza +2
|
1,30
|
valenza +4
|
0,84
|
Volume atomico
|
18,3
|
Le proprietà meccaniche del
p. puro (almeno al 99,8%)
sono alquanto scadenti. A titolo orientativo si possono considerare i seguenti
valori (ottenuti su getti in sabbia):
Carico di rottura a trazione (kg/mm2)
|
1,2 ÷ 1,3
|
Allungamento a rottura (%)
|
30
|
Strizione (%)
|
100
|
Durezza Brinell
|
3,5 ÷ 4,5
|
Modulo elasticità (kg/mm2)
|
1.400
|
Modulo di Poisson
|
0,40 ÷ 0,45
|
║
Proprietà chimiche: il
p. va
classificato fra i semimetalli, poiché in soluzione può esistere
sia come catione sia come anione ossidato; nella maggior parte dei casi
manifesta però un carattere metallico. Le valenze più stabili sono
la +2 e la +4, ma può presentare anche altre valenze. Il
p.
all'aria si ossida facilmente; il velo di ossido che si forma lo protegge
però da un'ulteriore ossidazione. Se scaldato, l'ossidazione
continua con formazione di PbO e Pb
3O
4. Allo stato di
polvere fine, quale si può ottenere per cementazione con altri metalli
meno nobili, il
p. è piroforico e si può incendiare
spontaneamente all'aria. Sempre allo stato suddiviso il
p. è molto
reattivo; allo stato massiccio è invece molto più inerte, dati i
fenomeni di
passivazione che si instaurano. Nell'acido solforico sia
diluito sia concentrato il
p. viene aggredito molto poco, in quanto si
sviluppa subito un film molto sottile ma compatto di solfato di
p. che
isola il metallo dal mezzo corrosivo; di conseguenza i recipienti che devono
contenere acido solforico sia diluito sia concentrato sono spesso costruiti o
rivestiti in
p. Resistente a quasi tutti gli acidi minerali forti
(fluoridrico, solforico, solforoso, fosforico, ecc.), il
p. è
invece attaccato facilmente dalle soluzioni di acido nitrico e di cloruro di
magnesio; è sconsigliato anche l'impiego di
p. a contatto con
soluzioni di acido cloridrico, acido acetico, acido citrico, acido tartarico e
formaldeide, sostanze che lo aggrediscono particolarmente in presenza di aria o
di ossigeno, formando dei complessi acquosi. A caldo il
p. si combina
direttamente con gli alogeni e i metalli del VI gruppo (ossigeno, zolfo, selenio
e tellurio). Il
p. è resistente all'acqua: quella pura
(distillata) lo attacca solo in presenza di aria con formazione di un idrato
abbastanza solubile; quella piovana, in genere abbastanza pura e ossigenata, lo
aggredisce solo parzialmente, sciogliendolo lentamente; l'acqua potabile invece,
se abbastanza ricca di sali, non lo attacca in modo sensibile. In generale si
può affermare che l'azione dall'acqua è tanto minore quanto
più questa contiene sali. ║
Tossicità : tutti i sali
di
p. sono fortemente tossici, e allo stesso modo risulta tossica
l'inalazione di vapori o polveri di questo metallo. L'introduzione di
p.
nell'organismo può non causare danni immediati ma, se prolungata,
può dare origine ad una malattia cronica, detta
saturnismo, dovuta
all'accumulo di
p. Occorre quindi trattare il
p. con precauzione e
non portarlo a contatto di alimenti o di acqua potabile o destinata alla
produzione di bevande. ║
Composti: il
p. forma due serie di
composti, corrispondenti alle sue due valenze stabili, la +2 e la +4; tali
composti si dicono rispettivamente piombosi e piombici. I
composti
piombosi sono i più importanti dal punto di vista industriale.
L'ossido piomboso o
monossido di p. PbO si ottiene per sintesi
diretta dagli elementi in forma di polvere rossa, amorfa, avente peso specifico
9,2 ÷ 9,5; in natura esiste come
massicotite, gialla, cristallizzata
nel sistema rombico, peso specifico 8,0. Dall'ossido rosso ottenuto per sintesi
e detto
litargirio si può passare alla forma gialla, detta
massicot, per riscaldamento in opportune condizioni; questa forma si
può anche avere direttamente per decomposizione termica del nitrato o
dell'idrato di
p. L'ossido piomboso è molto stabile: fonde a 884
°C e bolle a 1.470 °C senza decomposizione. Poco solubile in acqua, lo
è nelle soluzioni di cloruro di calcio, cloruro di ammonio e acetato di
p., oltre che nelle soluzioni calde di alcali caustici, con formazione di
piombiti come il K
2PbO
2 e il
Na
2PbO
2. L'
idrato piomboso Pb(OH)
2 si
può ottenere per trattamento con una base di una soluzione di sali
piombosi. Esso è instabile e perde facilmente acqua per dare un ossido
idrato avente formula 3PbO · H
2O; la sua soluzione ha reazione
basica ed assorbe lentamente anidride carbonica dall'aria, con formazione di
carbonato basico. Con gli alogeni si ha formazione sia di sali piombosi (poco
solubili) sia piombici. Il
cloruro piomboso PbCl
2 si prepara
per precipitazione a freddo da soluzioni, mentre a caldo è più
solubile. Esiste anche in natura come
cotunnite rombica, avente peso
specifico 5,80; fonde a 501 °C e bolle a 954 °C. Le sue soluzioni in
eccesso di acido cloridrico contengono l'anione cloropiomboso
(PbCl
4)
2-, da cui si formano sali detti
cloropiombiti. Un composto PbCl
2 ·
xPbO, ove
x
non è noto, è utilizzato per pigmenti con il nome di
giallo
di Kassel. Un comportamento analogo al cloruro è presentato dal
fluoruro piomboso PbF
2 e dallo
ioduro piomboso
PbI
2. Il
solfato piomboso PbSO
4 precipita dalle
soluzioni di
p. per aggiunta di acido solforico. Può esistere sia
in forma monometrica sia rombica; come minerale esiste nella seconda forma
(
anglesite), ha peso specifico 6,2 e fonde a 1.170 °C. È
virtualmente insolubile in acqua e leggermente solubile in presenza di un forte
eccesso di acido solforico. Esistono anche un solfato acido e un
solfato
piomboso basico PbSO
4 · PbO, che in natura è il
minerale
lanarkite e viene utilizzato come pigmento con il nome di
bianco di p. sublimato. Il
cromato piomboso
PbCrO
4, giallo, monometrico, avente peso specifico 6,12, è
utilizzato come pigmento; esiste in natura come
crocoite. Anche il
cromato piomboso basico PbCrO
4 · PbO, che si presenta in
aghi giallo-arancio, è utilizzato come pigmento. Il
carbonato
piomboso PbCO
3 esiste in natura come
cerussite bianca,
cristallizzata nel sistema rombico, con peso specifico 6,6; per riscaldamento si
decompone a 315 °C. Si può precipitare in forma di polvere facendo
gorgogliare CO
2 in una soluzione di ioni piombosi, poiché
risulta molto poco solubile in acqua fredda; si scioglie invece facilmente in
molti acidi ed alcali. Il
carbonato piomboso idrato
2PbCO
3 · Pb(OH)
2, esistente anche in natura come
idrocerussite bianca, cristallizzata nel sistema esagonale con peso
specifico 6,14, è largamente impiegato per la preparazione di vernici con
il nome di
biacca di p., soprattutto in virtù del suo
elevato potere coprente; tuttavia si tende sempre più a sostituirlo con
altri pigmenti, quali ossido o solfuro di zinco, solfato di bario e,
soprattutto, ossido di titanio. Esso risulta insolubile in acqua, mentre
è solubile in molti acidi; per riscaldamento si decompone a circa 400
°C. Il
solfuro di p. PbS esiste in natura come
galena
grigio-nera, cristallizzata nel sistema cubico (a facce centrate), avente peso
specifico 7,5; è virtualmente insolubile in acqua, mentre presenta una
buona solubilità in alcuni acidi e basi. Si può precipitare dalle
soluzioni di sali piombosi per gorgogliamento di acido solfidrico H
2S
e fonde a 1.120 °C; è possibile prepararlo per sintesi diretta degli
elementi. Scaldato in presenza di aria dà origine a PbO, secondo la
reazione:

che è quella
sfruttata nella metallurgia del
p. per trasformare il solfuro in ossido.
I
composti piombici, cioè con
p. a valenza 4, sono meno
stabili e meno importanti di quelli piombosi. Ricordiamo solo i principali.
L'
ossido piombico o
biossido di p. PbO
2 si può
preparare dal minio, oppure da un sale piomboso per ossidazione con cloro o un
ipoclorito, ma esiste anche in natura come
plattnerite. Si tratta di una
polvere bruno scura, cristallizzata nel sistema tetragonale, con peso specifico
9,375; per riscaldamento si decompone a 290 °C, dando ossidi inferiori e
ossigeno. Anche se a volte ha comportamento di ossido, è da considerare
l'anidride di un
acido piombico H
4PbO
4. Idrolizza
facilmente e negli idrati alcalini caldi è solubile con formazione di
piombati. Si possono avere anche sali basici, detti
idrossipiombati; in questi il
p. appare simile allo stagno, suo
omologo inferiore. Il
cloruro piombico PbCl
4 è un
composto non molto stabile, che tende a decomporsi in PbCl
2 +
Cl
2; da esso si possono ottenere dei sali complessi come i
cloropiombati, simili ai clorostannati. Il
solfato piombico
Pb(SO
4)
2 può essere ottenuto come polvere gialla
per via elettrolitica: energico ossidante, esso non trova larga applicazione
pratica. Subisce facilmente idrolisi secondo la
reazione:
Pb(SO
4)
2 + 2 H
2O →
PbO
2 + 2 H
2SO
4Altri composti di
p. mostrano valenze apparenti diverse da queste. Ricordiamo solo i
composti ossidati. Il sesquiossido di
p. Pb
2O
3
è un composto di colore giallo-rosso, amorfo, insolubile in acqua, che
per riscaldamento si decompone a circa 360°C. L'
ossido salino
di
p. Pb
3O
4, più noto con il nome
commerciale di
minio (V.), andrebbe scritto
più esattamente come PbO
2 · 2PbO. Diversi
composti
organici del
p. rivestono poi grande interesse industriale. Fra
questi il
p.
-tetraetile
Pb(CH
2CH
3)
4 è un composto avente peso
molecolare 323,45; in condizioni ambiente si presenta come un liquido incolore
avente peso specifico 1,659 a 18 °C. Solidifica a -136 °C e bolle a
152 °C sotto la pressione di 291 mm di mercurio. È insolubile in
acqua, leggermente solubile in alcool etilico e miscibile in tutti i rapporti
con etere etilico e molti altri solventi organici, quali gli idrocarburi
leggeri. Viene usato diffusamente come antidetonante nelle benzine per motori a
scoppio. Il
p.- tetrametile Pb(CH
3)
4 ha peso
molecolare 267,35 e si presenta come un liquido incolore avente peso specifico
1,995 a 20 °C; solidifica a -27,5 °C e bolle a 110 °C a pressione
di un'atmosfera. ║
Usi: il
p. è uno dei metalli non
ferrosi di più vasto impiego. La sua principale applicazione riguarda la
produzione di accumulatori al
p. e di guaine per cavi elettrici destinati
ad ambienti umidi o corrosivi; tuttavia in questo settore il
p. viene
sempre più sostituito da nuove materie plastiche, che rispetto ad esso
hanno il vantaggio di essere molto più economiche. Grandi quantità
di
p. sono anche utilizzate per la produzione di leghe, di vario
utilizzo, e per la produzione dei suoi sali (in particolare per minio,
p.-tetraetile e biacca di
p.). ║
Metallurgia
estrattiva: il principale minerale da cui viene estratto il
p.
è la galena, cioè il suo solfuro PbS, sempre miscelato a solfuri
di altri metalli (soprattutto ferro, rame, argento, zinco, antimonio, bismuto e
arsenico). Trattandosi di un minerale solforato, il suo arricchimento è
abbastanza facile. La prima operazione consiste in una macinazione grossolana,
seguita in genere da una classificazione per via idrogravimetrica, che permette
di selezionare i minerali (più pesanti) dalla ganga. Dopo una macinazione
fine, si passa alla flottazione selettiva, realizzata in più stadi, in
modo da recuperare almeno in parte i principali solfuri di altri metalli
presenti (soprattutto rame, argento, zinco e antimonio), che vengono recuperati
e trattati a pane. Tale frazionamento è realizzato con tecniche
normalmente usate per i minerali solforati. Si recupera un concentrato di galena
con tenori di
p. del 60 ÷ 65% che viene mandato all'arrostimento.
Questa operazione è di solito compiuta a mezzo di forni a nastro ad
elevata produttività, del tipo Dwight-Lloyd. Il primo arrostimento
è compiuto caricando minerale fresco insieme a una parte del minerale
già arrostito, provocando la reazione di combustione:

con formazione di fumi
ricchi di anidride solforosa, che può essere recuperata per la produzione
di acido solforico. Il prodotto così ottenuto viene frantumato, miscelato
con una quantità opportuna di coke e rimandato su un forno di
arrostimento del tutto analogo al precedente; in questa seconda operazione si
completa l'arrostimento, eliminando quasi tutto lo zolfo, e nello stesso tempo
si sintetizza il minerale con il coke in modo che, frantumato grossolanamente,
sia nella pezzatura adatta per essere caricato nel forno di riduzione.
L'operazione successiva è la riduzione dell'ossido di
p. ad opera
del coke, secondo una reazione del tipo:
PbO + C → Pb +
CO
Essa viene compiuta in un forno a vento, generalmente del tipo
water-jacket, cioè con camicia di acqua di raffreddamento, analogo
a quelli impiegati nella metallurgia del rame. In questo forno il minerale viene
caricato mediante una tramoggia a tenuta; dal basso si insuffla aria a pressione
moderata e dall'alto si estrae un gas ricco di ossido di carbonio che può
essere usato come combustibile. Il fondo del forno è costituito dal
crogiolo nel quale si raccoglie il
p. fuso, estraibile attraverso un
apposito orifizio, mentre le scorie vengono scaricate mediante un altro foro
apposito. Se è presente una sensibile quantità di arsenico o di
antimonio si forma anche uno
speiss, cioè una fase intermedia fra
la scoria ed il metallo, composta da solfoarseniuri e solfoantimoniuri di ferro,
rame e
p.; esso viene estratto con il metallo o la scoria e lavorato a
parte. In funzione della composizione del minerale, si possono aggiungere alla
carica anche altri scorificanti, quali calce o silice. Se il tenore di zinco nei
minerali è troppo alto, esso si ritrova in quantitativi sensibili nelle
scorie, dalle quali viene recuperato volatilizzandolo come metallo e
recuperandolo per condensazione come ossido. Zinco in quantità sensibili
si trova anche nel
p. raccolto dal crogiolo e va poi separato durante la
raffinazione
. Un altro processo di estrazione è quello
dell'
Imperial Smelting, diverso dal punto di vista concettuale dagli
impianti tradizionali. Poiché lo zinco è spesso presente in forti
quantità nei minerali di
p., anziché operare la separazione
dei solfuri dei due metalli si opera solo una correzione, in modo che essi siano
presenti secondo un rapporto opportuno. Si effettua quindi la solita
sinterizzazione durante l'arrostimento, si mescola con coke e si carica in un
forno a vento. Questo è costruito in modo che
p. e zinco (entrambi
basso fondenti ed abbastanza volatili) non si raccolgano nel crogiolo, ma
passino nei gas sotto forma di vapori o di minute goccioline. In un condensatore
vengono abbattute le gocce e condensati i vapori dei due metalli: essi sono
miscibili fra loro in tutti i rapporti ad alta temperatura, ma non sono fra loro
miscibili allo stato solido e liquido a bassa temperatura. Il sistema Zn-Pb
presenta due eutettici, uno a 417,8 °C (99,1% di Zn) e uno a 318,2 °C
(99,5% di Pb). Operando quindi il raffreddamento, si ottiene direttamente una
separazione dello zinco e del
p. per gravità, data la differenza
fra i pesi specifici (11,36 per Pb contro 7,14 per Zn). Dopo la separazione i
due metalli possono essere colati e mandati ai rispettivi impianti di
raffinazione. Questo tipo di impianto permette il trattamento economico di
minerali misti zinco-
p., che sono presenti in molte miniere, risparmiando
il costo di separazione dei minerali per flottazione. ║
Raffinazione: il
p. ottenuto con i processi sopra citati è
sempre accompagnato da notevoli quantità di impurezze e non è
utilizzabile direttamente per la maggior parte delle applicazioni. È
quindi necessaria una successiva operazione di raffinazione che lo porta a un
titolo del 99,9 o 99,99%. Tale operazione può essere effettuata con
diversi processi, termici, elettrolitici o misti. In generale, nel processo
termico la prima operazione consiste in un'ossidazione selettiva delle
impurezze: poiché rame, ferro, arsenico, antimonio, ecc. sono più
facilmente ossidabili del
p., si opera un'ossidazione controllata in
caldaie di ferro, mantenendo il
p. fuso e in agitazione. Gli ossidi che
si formano, insieme con composti di
p., vengono scorificati e
allontanati; da essi si recupera il
p. insieme con altri elementi. Per
questa operazione si può anche utilizzare il
processo Harris, che
mantiene il
p. fuso in agitazione, immettendo piccole quantità di
cloruro sodico, nitrato di sodio e soda caustica, elementi che formano delle
schiume di sali, separate e lavorate a parte per il recupero degli elementi
interessanti. Tali operazioni tuttavia non servono ad eliminare l'argento e
l'oro, che vengono separati mediante il
processo Parkes. Questo tipo di
procedimento è adatto in particolare per l'argento, il cui recupero, con
i tenori abitualmente presenti nel
p. (0,2 ÷ 0,5%), costituisce un
importante ricavo della metallurgia del
p. Il processo Parkes sfrutta la
diversa solubilità dell'argento nello zinco e nel
p. Al
p.
fuso viene aggiunto dello zinco; dato che questo scioglie molto meglio
l'argento, quest'ultimo si raccoglie quasi tutto in esso. Dopo aver
provocato la solidificazione si ottiene una crosta di zinco contenente una
scarsa quantità di
p. e un'elevata quantità di
argento. Nel processo
Imperial Smelting, i preziosi si ritrovano nello
zinco, dal quale si recuperano per distillazione o durante la raffinazione
elettrolitica di questo. Il processo di raffinazione termica è completo
solo dopo un'ultima operazione, la
dezincificazione o
dezincatura,
che ha lo scopo di eliminare lo zinco. La dezincificazione può essere
eseguita in vari modi. Secondo il
processo Betterton lo zinco
viene eliminato per clorazione selettiva facendo gorgogliare cloro nel
p.
fuso, in modo da formare cloruro di zinco che galleggia e viene schiumato. Nel
processo Harris si aggiungono al
p. fuso idrossido e
cloruro di sodio, in modo da formare zincato di sodio che viene eliminato come
nel processo precedente. La raffinazione elettrolitica permette di effettuare
tutte le operazioni necessarie per la purificazione in un solo stadio. Il
p. impuro viene colato in anodi posti in celle elettrolitiche; i catodi
sono costituiti da sottili lamiere di
p. elettrolitico puro.
L'elettrolita può essere fluosilicato di
p., con eccesso di acido
fluosilicico libero, oppure solfammato di
p., con eccesso di acido
solfammico, ma è anche possibile operare con un elettrolita misto
fluosilicico-solfammico. In ogni caso occorre partire da
p. con una
minima quantità di rame, perché questo non viene eliminato durante
l'elettrolisi. Il processo con acido fluosilicico richiede inoltre che il
contenuto di stagno negli anodi sia inferiore allo 0,1% circa; il processo
all'acido solfammico (messo a punto in Italia) non ha vincoli per quanto
riguarda il tenore di stagno, in quanto il solfammato di stagno di questo
metallo idrolizza facilmente. La maggior parte delle impurezze presenti si
addensa sotto gli anodi in forma di
fanghi anodici, dai quali, una
volta estratti, si recuperano diversi metalli, fra cui i preziosi. Il
p.
ha una tensione normale di scarica di -0,122 Volt; l'elettrolisi è
possibile in quanto l'idrogeno sul
p. ha un elevato potenziale di
scarica. Si opera con tensioni di 0,4 ÷ 0,7 Volt e densità di
corrente sull'ordine dei 100 Ampère/m
2. Il consumo di energia
si aggira sugli 0,16 ÷ 0,20 kWh/kg di
p. raffinato. ║
Leghe: la maggior parte del
p. non è utilizzato allo stato
puro ma in lega con altri metalli per migliorarne le caratteristiche meccaniche.
Tali leghe possono essere distinte in diverse classi. A)
Leghe per uso
elettrico: dette anche
p. indurito, sono leghe adatte per il
rivestimento di cavi elettrici che devono essere immersi nel terreno o
attraversare ambienti particolarmente aggressivi. Appartengono a questa classe
il
p. arsenicale (0,15% di arsenico, 0,10% di stagno, 0,10% di
bismuto, resto
p.) e il
p. di calcio (0,028% di calcio,
0,02 ÷ 0,1% di rame, resto
p.). Le loro proprietà meccaniche
sono vicine a quelle del
p., eccetto la durezza, che risulta leggermente
maggiore (fino a 10 della scala Brinell). B)
Leghe per saldatura: sono
utilizzate per la brasatura dolce di molti metalli. Fra queste sono la
lega
97,5 Pb-1,5 Ag-1 Sn (all'1,5% di argento, 1,0% di stagno, resto
p.) e
tutte le leghe binarie
p.-stagno, che possono avere diverse composizioni.
La lega al 99% di
p. e all'1% di antimonio è usata per la
schermatura di cavi. Le leghe dal 4 al 6% di antimonio (resto
p.) sono
usate per applicazioni varie, per la loro resistenza alla corrosione, che
risulta migliore rispetto al
p. puro. La resistenza meccanica di queste
leghe si aggira sui 5 kg/mm
2 e la durezza sui 13 Brinell. Le leghe
92 Pb-8 Sb e
91 Pb-9 Sb (rispettivamente con l'8% e 9% di
antimonio, resto
p.) sono utilizzate per la fabbricazione degli
accumulatori al
p. e sono prodotte in grande quantità. Il loro
carico di rottura si aggira sui 5 ÷ 5,5 kg/mm², la durezza sui 15
÷ 16 Brinell; la conducibilità elettrica è però
piuttosto bassa (7,4 ÷ 7,6% del campione internazionale di rame ricotto).
D)
Leghe antifrizione: sono leghe ternarie allo stagno-
p.
antimonio (quaternarie se è presente anche una minima quantità di
arsenico). Le principali sono le seguenti (il loro nome indica la composizione
approssimata): la
85 Pb-10 Sb-5 Sn, la
75 Pb-15 Sb-10 Sn,
designate anche spesso con i rispettivi nomi americani SAE 13 e SAE 14; la
80
Pb-15 Sb-5 Sn, la
83 Pb-15 Sb-1 Sn-1 As o SAE 15, e la
83,5
Pb-12,75 Sb-3 As-0,75 Sn o
lega antifrizione G. Queste leghe hanno un
carico di rottura a trazione di 7 ÷ 9 kg/mm², un modulo elastico che
si aggira intorno ai 3.000 kg/mm² e una durezza di 19 ÷ 22 Brinell. Il
carico di rottura a fatica dopo 20.000.000 di cicli è di 2,5 ÷ 3,1
kg/mm², crescente dalla prima all'ultima nell'ordine in cui sono state
elencate. E)
Leghe per caratteri da stampa: si tratta in genere di leghe
ternarie
p.-stagno-antimonio contenenti dal 2,5 al 12% di stagno, dal 2,5
al 20% di antimonio e resto
p. La più diffusa fra queste è
la
lega eutettica all'84% di Pb, 12% di Sb e 4% di Sn. Le loro
caratteristiche principali sono il basso punto di fusione, la regolarità
del ritiro di solidificazione, la fluidità durante la colata e la
durezza. A volte viene aggiunta anche una quantità di rame o di arsenico
per aumentare la durezza, che va dai 12 ai 33 Brinell. F)
Altre leghe:
una lega
p.-arsenico, con eventualmente piccole percentuali di tellurio,
è utilizzata per pallini da caccia e proiettili di fucili, data la sua
elevata densità. Leghe
p.-bismuto, eventualmente con aggiunta di
stagno, cadmio e indio (o più di uno di questi metalli) sono utilizzate
per il loro bassissimo punto di fusione. Citiamo fra queste la
lega
55,5 Bi-44,5 Pb (al 55,5% di bismuto e 44,5% di
p.) e la
lega
44,7 Bi-22,6 Pb-19,1 In-8,3 Sn-5,3 Cd. Si deve inoltre tenere
presente che il
p. è un elemento di lega per moltissimi altri
metalli, generalmente in bassa percentuale.