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Pianeta.

Nell'antichità, qualunque oggetto celeste allora conosciuto, che non occupasse una posizione fissa sulla sfera celeste (Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno). ║ Nel linguaggio astronomico moderno, corpo opaco che riceve luce dal Sole e che orbita intorno ad esso, descrivendo una curva chiusa a forma di ellisse. ║ Nel linguaggio poetico, stella, astro in genere. ║ Fig. - Insieme di persone o di attività, con significato affine a mondo: il p. del cinema, il p. donna. • Astron. - Il nostro sistema solare è costituito da nove p. (Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone, in ordine di distanza dal Sole) e da una quantità di piccoli p., o pianetini, che costituiscono la cosiddetta fascia degli asteroidi, situata tra Marte e Giove. L'esistenza dei primi sei p. è conosciuta fin dall'antichità, in quanto essi sono sempre stati visibili a occhio nudo; Urano, Nettuno e Plutone, invece, furono scoperti rispettivamente nel 1781 (da W. Herschel), nel 1846 (da J.G. Galle) e nel 1930 (da C.W. Tombaugh). Il primo a fornire una descrizione sufficientemente precisa del nostro sistema planetario fu Copernico (secc. XV-XVI), ma fu Keplero (secc. XVI-XVII) a formulare le leggi secondo le quali i p. gravitano intorno al Sole. I p., facilmente distinguibili dalle stelle perché, a differenza di quelle, non presentano scintillazione e non appaiono puntiformi, si dividono in interni o terrestri ed esterni o giganti, a seconda che occupino un'orbita interna o esterna alla fascia degli asteroidi. I due gruppi presentano caratteristiche fisiche, chimiche e dinamiche ben definite, con l'eccezione di Plutone che, pur appartenendo per posizione ai p. esterni, non ne possiede le caratteristiche. I p. interni sono caratterizzati da piccoli volumi, piccole masse e alte densità (comprese tra 3,9 e 5,5 g/cm3); essi sono costituiti soprattutto da silicati e metalli e possiedono atmosfere di tipo secondario, ovvero formate da gas quali anidride carbonica, azoto, ossigeno, che si sono sviluppati in un'epoca successiva alla formazione dei p. stessi, in seguito a processi biologici o geologici. Inoltre sono dotati di una crosta solida, hanno velocità di rotazione piuttosto elevate e non possiedono anelli. Al contrario, i p. esterni hanno masse elevate, grandi volumi, ma basse densità (tra 0,7 e 1,6 g/cm3); sono costituiti principalmente da ghiaccio, idrogeno ed elio e sono dotati di atmosfere di tipo primitivo (i cui gas costituenti erano già parte della nebulosa primordiale). Essi ruotano intorno a se stessi con periodo piuttosto breve (inferiore a un giorno), non possiedono una crosta solida e sono dotati di anelli. Da questo gruppo si differenzia Plutone che, pur avendo una densità paragonabile a quella dei p. esterni, ha però una massa molto più piccola e una crosta solida. Tutti i p. possiedono uno o più satelliti, a eccezione di Mercurio e Venere i quali, inoltre, sono i soli a presentare il fenomeno delle fasi. I p. descrivono orbite ellittiche con eccentricità piuttosto bassa e la loro distanza media dal Sole (D) è esprimibile per mezzo della legge di Titius e Bode (D = 0,4 + 0,3·2n) o con la formula di Armellini (D = 1,53n), dove n assume un valore specifico per ciascun p.Origine dei p.: secondo l'ipotesi cosmogonica di P.-S. Laplace, i p. si sarebbero formati da un'originaria nebulosa presolare che circa 4,6 miliardi di anni fa iniziò a contrarsi gravitazionalmente dando origine a un condensamento centrale (che sarebbe poi diventato il Sole) circondato da una nebulosa. Questa nebulosa solare, costituita principalmente da idrogeno ed elio, raggiunse temperature molto elevate (2.000 K) durante il processo di contrazione gravitazionale e, a causa delle basse pressioni a cui era sottoposta, si mantenne inizialmente allo stato gassoso. Tuttavia, una volta rallentatosi il processo di contrazione e iniziato un lento raffreddamento, dalla nube iniziarono a formarsi i primi granuli di materiale solido (tungsteno, alluminio, titanio, ferro-nichel, silicati, minerali carbonacei). Raggiunte temperature inferiori ai 500 K poté condensarsi anche il vapore acqueo, che dapprima si combinò con grani di silicati dando origine a minerali idrati e poi, a temperature ancora inferiori, formò cristalli di ghiaccio. Poiché la nebulosa, orbitando intorno al Sole, aveva nel frattempo assunto la forma di un disco appiattito centrato intorno al piano equatoriale del Sole, in corrispondenza delle attuali orbite planetarie, a seconda delle diverse distanze dal Sole si realizzarono diverse condizioni di raffreddamento, che causarono una differenziazione nel processo di condensazione: nelle zone più vicine al Sole, e quindi a una temperatura più elevata, si erano appena formati grani di metalli e silicati quando, contemporaneamente, nelle zone della nebulosa più distanti dal centro di rotazione (e quindi più fredde) erano già comparsi cristalli di ghiaccio. Secondo le teorie astrofisiche, questa differenziazione nel processo di condensazione della nebulosa è il presupposto fondamentale delle attuali diverse composizioni dei p. in quanto, quando il Sole attraversò la fase di T-Tauri, il potente vento solare che si generò spazzò via la maggior parte dei residui gassosi della nebulosa primordiale. In tal modo si interruppe il processo di condensazione e venne quindi fissata la composizione chimica delle diverse fasce della nebulosa che avrebbero costituito i singoli p. attraverso un processo di aggregazione dei microgranuli solidi. In una seconda fase, infatti, i grani in movimento lungo orbite circolari quasi prive di eccentricità dovevano avere velocità molto simili ed essere soggetti a urti reciproci. Sotto l'azione di forze attrattive di natura elettrostatica dovettero quindi avere origine, da tali urti, le prime aggregazioni di polvere dette planetesimi. Con l'aumentare della massa dei planetesimi, questi iniziarono ad attrarsi con forza maggiore, originando urti sempre più violenti a causa dei quali i planetesimi più piccoli finivano per disintegrarsi, mentre quelli più grandi ne catturavano i frammenti. Tale processo, detto accrescimento collisionale, si completò in un tempo relativamente breve (intorno ai 100.000 anni), ma non fu probabilmente l'unico meccanismo che concorse alla formazione dei p. È stato infatti ipotizzato che anche il fenomeno del collasso gravitazionale (rapida contrazione delle particelle causata dall'attrazione gravitazionale), come ha portato alla formazione del Sole, abbia anche potuto contribuire alla formazione dei p. esterni, dei quali altrimenti non sarebbe spiegabile l'elevato contenuto di idrogeno ed elio. Al termine del processo di formazione dei p. una parte dei planetesimi era ancora vagante nello spazio: essi diedero origine alla pioggia meteoritica che colpì i p. maggiori e i loro satelliti per alcune centinaia di milioni di anni fino circa a 3,9 miliardi di anni fa, scavando, sui p. dotati di crosta, crateri enormi. Alcuni di quei planetesimi non vennero però catturati nel corso della pioggia meteoritica, ma furono respinti e scagliati a enormi distanze, andando a costituire le comete. Altri planetesimi, invece, vennero intrappolati nella fascia orbitale tra Marte e Giove e, a causa del forte campo gravitazionale di Giove che impedì l'evoluzione del processo di accrescimento collisionale, diedero origine ai cosiddetti pianetini. ║ Struttura interna dei p.: tutti i p. presentano una suddivisione interna in strati caratterizzati da una diversa composizione chimica (perlopiù hanno una componente metallica al centro e più leggera verso la superficie). Le teorie più accreditate collocano questa fase di differenziazione interna in un periodo successivo alla formazione dei p., che sarebbero quindi nati come corpi solidi quasi omogenei e solo successivamente avrebbero acquisito l'attuale struttura. Tale processo sarebbe stato innescato da un forte riscaldamento delle rocce planetarie sulle cui cause gli scienziati avanzano principalmente quattro ipotesi: gli urti tra planetesimi, il decadimento degli elementi radioattivi 40K, 235U, 238U, 232Th, il decadimento di isotopi radioattivi quali 26Al e 129I, probabilmente contenuti dalla nebulosa solare, e infine il riscaldamento elettromagnetico causato dal vento solare. Questo forte riscaldamento provocò la fusione degli strati superficiali dei p. che in seguito, raffreddandosi, si solidificarono creando una sorta di barriera isolante nei confronti degli strati più interni dove invece il calore continuò ad accumularsi. I magmi più densi si raccolsero quindi verso il centro dei p., mentre quelli più leggeri si portarono in superficie, originando così strati di diversa composizione chimica. ║ P. extrasolari: vengono definiti con tale denominazione corpi celesti di massa non superiore a quella di Giove, orbitanti intorno a stelle diverse dal Sole; corpi di massa maggiore prendono invece il nome di nane brune. L'ipotesi dell'esistenza di tali corpi appare piuttosto verosimile anche se nessuno è ancora stato identificato con certezza. La loro ricerca si basa sia sull'individuazione di radiazioni emesse dal p. (metodo diretto), sia sulla ricerca di eventuali perturbazioni nel moto di una stella che possano essere prodotte dal campo gravitazionale di un p. che orbiti intorno ad essa (metodo indiretto). ║ Anelli dei p.: quattro dei nove p. del sistema solare (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) sono dotati di anelli, costituiti da una moltitudine di piccoli corpi orbitanti sul piano equatoriale dei p. Fino alla fine del XIX sec. si pensava che gli anelli fossero un unico corpo solido, ma grazie alle osservazioni compiute da J. Keeler, il quale misurò la velocità di rotazione degli anelli di Saturno a varie distanze dal p., ci si rese conto che il periodo di rotazione era più lungo quanto più ci si allontanava dal p. e che quindi gli anelli dovevano essere formati da numerosi corpi in movimento su orbite concentriche. Il primo sistema di anelli scoperto fu quello di Saturno, che venne individuato da C. Huygens nel 1659; gli altri sistemi furono invece scoperti nel XX sec.: quello di Urano nel 1977, quello di Giove nel 1979 e quello di Nettuno nel 1989. Tra i quattro sistemi di anelli sussistono numerose differenze strutturali. Il sistema più grande e complesso è quello di Saturno, che ha una massa complessiva di circa 1018 kg e comprende nove zone: gli anelli più interni D, C, B, la divisione di Cassini, l'anello A, uno spazio vuoto, e gli anelli più esterni F, G, E. L'intero sistema si estende per un'altezza complessiva di più di 80.000 km, ma il suo spessore non supera i 200 m. Degli anelli di Saturno, l'anello B è quello più denso di particelle e quello che comprende i corpi di maggiori dimensioni (con diametri che raggiungono anche qualche centinaio di metri); gli anelli A e C, invece, contengono corpi del diametro di qualche centimetro, mentre i corpi più piccoli (da un micron a qualche millimetro) orbitano negli anelli più esterni F, G, E. Grazie alle osservazioni compiute dalle sonde Pioneer (1979) e Voyager (1979, 1989) si è scoperto che questi anelli sono a loro volta costituiti da un'alternanza di zone a maggiore concentrazione di particelle e di zone a minore densità, che crea migliaia di sottili anellini detti ringlet, invisibili dalla Terra. Tale struttura è stata spiegata sulla base dell'influsso che la presenza di satelliti anche piccoli (satelliti pastore) può avere sulla distribuzione delle particelle. Infatti il campo gravitazionale di un satellite posto nelle immediate vicinanze di un anello può agire sulle orbite corrispondenti a stati di risonanza con il suo moto, riempiendo le orbite di particelle o vuotandole. Un'altra particolarità degli anelli di Saturno è il fenomeno dei raggi, improvvisi e temporanei addensamenti di nubi di polvere. Il sistema di anelli di Urano è il secondo per massa complessiva e anch'esso comprende nove anelli, denominati 6, 5, 4, α, β, η, γ, δ, ε. Al contrario di quelli di Saturno, questi anelli sono piuttosto sottili (ε, il più esterno e il più esteso, misura dai 20 ai 90 km), sono inframmezzati da ampi spazi di vuoto e non comprendono corpi di dimensione inferiore al centimetro; anch'essi, però, presentano una struttura fine con alternanza di ringlet. Il sistema di anelli di Nettuno, di massa incerta ma inferiore a quella di Urano, comprende quattro anelli, di cui quello più esterno presenta particolari addensamenti di polvere detti archi. Il sistema di anelli di Giove, infine, ha una massa estremamente ridotta e una struttura molto semplice a un unico anello, alto circa 6.000 km, e situato alla distanza di circa 52.000 km dal p. Le particelle che costituiscono questo anello sono molto piccole (qualche micron) e rarefatte; tutte insieme formerebbero un corpo del diametro di circa 30 m. Sull'origine degli anelli sono state avanzate due teorie ugualmente accreditate, basate sugli effetti di marea che ogni p. esercita sui corpi circostanti posti entro un raggio detto raggio di Roche (dal nome dello scienziato E.-A. Roche che per primo ne calcolò il valore). Entro tale raggio ogni p. esercita delle forze così intense su un corpo orbitante intorno ad esso, da vincere le forze gravitazionali che tengono insieme il satellite e disgregarlo in frammenti. Una teoria sull'origine degli anelli attribuisce, quindi, all'azione delle forze di marea il blocco di un processo di aggregazione che avrebbe dovuto portare alla nascita di un unico satellite. L'altra teoria, invece, colloca l'origine del materiale che costituisce gli anelli nella disgregazione di corpi più grandi causata da collisioni o dalle stesse forze mareali che ne avrebbero poi impedito la riaggregazione in un unico satellite. ║ P. medicei: con tale denominazione furono chiamati, in onore della casa dei Medici, i quattro principali satelliti di Giove, scoperti da Galileo nel 1610. • Astrol. - Nelle credenze astrologiche di origine babilonese, la posizione dei p. rispetto ai segni zodiacali e alle cosiddette case determinerebbe il destino di ogni singolo avvenimento. Il sistema astrologico prende inoltre in considerazione le congiunzioni, le opposizioni e le quadrature tra i singoli p. Tali concezioni ebbero grande sviluppo in epoca ellenistica e, più tardi, durante il Medioevo e il Rinascimento. ║ Fig. - Sorte, destino. ║ P. reggente: p. che dà il nome a ciascun giorno della settimana. Esiste inoltre un p. reggente anche per ciascuna ora del giorno e della notte. Ordinando i p. secondo le distanze decrescenti dei rispettivi cieli (Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio, Luna), la prima ora diurna ha come p. reggente quello titolare di quel giorno della settimana, mentre le ore successive sono rette dai p. nell'ordine descritto e l'intera serie dei p. va ripetuta fino a coprire tutte le 24 ore.