(dal latino
placeo: piaccio, aggrado, vado a genio). Senso di
soddisfazione derivante dall'appagamento dei desideri fisici e spirituali e dal
godimento di un bene materiale, intellettuale o spirituale. Il termine ricorre
frequentemente nelle frasi di cortesia:
abbiamo il p. di averla con noi.
║ Ciò che appaga sensi e spirito, cosa che piace, perlopiù
al plurale:
i p. della buona tavola. ║ Desiderio, volontà,
libera scelta, arbitrio. ║ Per estens. - Svago, divertimento. ║ In
passato, l'insieme delle qualità morali e fisiche di una persona, atte a
ispirare amore. • Filos. - La parola conserva, nella tradizione
filosofica, un significato differente da
felicità, stato di
soddisfazione durevole, opposto alla transitorietà del
p. La
discussione sulla natura del
p. fu un tema ricorrente in tutta la
filosofia greca, a partire dall'antitesi fra Cirenaici e Cinici: i primi
identificavano il
p. con il bene, fine ultimo di ogni azione; i secondi
individuavano nel
p. la causa della schiavitù dell'animo umano.
Platone rilevò che il bene, per la sua piacevolezza, coincide con il
piacevole. Nel
Fedone è espressa la teoria della necessaria
liberazione dell'animo dalla corporeità del
p., mentre nel
Filebo viene proposto come ideale supremo quello di una vita determinata
dalla ragione, dove il
p. risulti dominato, non escluso. Aristotele
sostenne che il
p. accompagna sempre l'attività umana tesa a
mettere in atto le proprie potenzialità. Epicuro affermò che il
p. è cataschematico, ovvero immobile, caratterizzato dall'assenza
di bisogni e quindi di passioni (teoria negativa del
p.). In epoca
medioevale, la tendenza all'ascetismo e alla rinuncia dei beni terreni portarono
a una svalutazione del
p., tenuto poi in grande considerazione dagli
umanisti e nel Rinascimento. Telesio qualificò il
p. come un mezzo
di conservazione dell'organismo e Spinoza come "la passione per cui la mente
sale ad una perfezione maggiore". Hobbes tornò ad una concezione
biologica, analoga a quella rinascimentale, vedendo nel
p. il segno di un
movimento positivo per il corpo, trasmesso dagli organi di senso al cuore. Per
Nietzsche il
p. è la "sensazione di un accrescimento di potenza".
Schopenhauer si riavvicinò alle teorie negative del
p., semplice
cessazione del dolore, conosciuto e sentito quindi esclusivamente attraverso il
ricordo della sofferenza o della privazione passata. • Psicol. - Il
principio del p. condiziona il funzionamento della prima istanza
psichica, l'Es, e mira al raggiungimento del
p. e all'eliminazione del
dolore. Quando il soddisfacimento delle pulsioni istintuali non è
realizzabile subentra il ricorso all'immagine allucinatoria dell'oggetto di
desiderio (processo primario).