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Petrarchismo.

Processo di imitazione della poesia di Petrarca che caratterizzò lungamente lo svolgimento della lirica europea, e in particolare di quella italiana, e che nel corso del Quattrocento e del Cinquecento costituì una vera e propria scuola letteraria. ║ In senso generale, la tendenza a trattare il tema amoroso nelle forme, tipicamente petrarchesche, del sonetto e della canzone, e in modi ispirati a chiarezza, equilibrio, armonia, purezza, riconducibili allo stesso modello petrarchesco. • Lett. - Nei primi decenni seguiti alla morte di Petrarca l'influenza della sua poesia, pur determinante, fu limitata quasi esclusivamente a riprese lessicali e di qualche immagine particolare e si accompagnò all'influenza esercitata dall'opera dantesca e in generale stilnovistica. Si trattava cioè di un riferimento alla poesia trecentesca in senso lato, in tutte le sue molteplici voci e senza particolari preferenze. In seguito, nei decenni centrali del Quattrocento, cominciò a delinearsi una più esclusiva imitazione del modello petrarchesco, riproposto tanto nel lessico quanto nelle strutture metriche e nei temi. Un primo esempio di p. può essere individuato nel canzoniere di Giusto de' Conti, Bella mano (1440), raccolta di 150 testi che sfruttavano in modo sistematico e organico la lezione petrarchesca e ne fornivano una raffinata variazione. Paradossalmente il p. non riuscì a imporsi come unico modello proprio in Toscana, dove esperienze poetiche diverse (Poliziano e Lorenzo il Magnifico) ne contrastarono l'egemonia. Fuori dalla Toscana il Canzoniere petrarchesco costituì un riferimento costante per poeti quali A. Tebaldeo, P. Sasso, A. Braccesi, esponenti della cosiddetta letteratura cortigiana, intesa come produzione poetica presto diventata di maniera, incapace di far rivivere il modello petrarchesco in modo originale e personale e ridotto a riutilizzo di un repertorio codificato e invariato. Incapaci di rinnovare lessico e immagini, i petrarchisti gradualmente svilupparono gli aspetti più concettosi ed epigrammatici delle loro poesie, arricchendole di immagini e metafore sempre più complicate e anticipando per alcuni aspetti il Secentismo. Fra i più fortunati petrarchisti quattrocenteschi, che in genere godettero di larga fortuna, si ricordano S. Aquilano, F. Galeota, G.F. Caracciolo, il Cariteo. Fra i pochi poeti che, eccezionalmente, seppero attingere a risultati più alti e più sinceri, pur nell'ambito di un p. fedele, furono I. Sannazaro e M.M. Boiardo (Amorum libri). Il Cinquecento costituì per il p. un secolo di fondamentale importanza, poiché vide, in contrapposizione all'eclettismo che aveva caratterizzato il secolo precedente, l'imporsi di un vero e proprio codice di imitazione, basato su una ripresa più fedele del Canzoniere petrarchesco. Nel 1501 P. Bembo pubblicò l'opera in un'edizione corretta e riccamente annotata e nel 1525, nelle Prose della volgar lingua, identificò nel linguaggio petrarchesco il linguaggio perfetto e assoluto della poesia. Teorizzatore dell'"autore unico", ai poeti italiani Bembo additò Petrarca come unico ed esclusivo modello (mentre per la prosa tale ruolo era affidato a Boccaccio). Il Canzoniere venne così interpretato come modello perfetto e in sé concluso di poesia, come sistema dal quale ricavare le regole generali della poesia. Oltre a Bembo stesso, il Cinquecento annoverò un numero molto ampio di petrarchisti (B. Cappello, A. Brocardo, C. Tolomei, G. Guidiccioni, G.B. Strozzi, L. Tansillo, B. Rota, le poetesse V. Colonna, G. Stampa e V. Gambara), la cui opera offre nell'insieme una serie infinita e inesauribile di variazioni. Contemporaneamente, tuttavia, alcuni autori (Michelangelo, G. di Tarsia, G. della Casa) fecero un uso più personale dell'antico modello, operandone una sorta di disgregazione dall'interno: apparentemente fedeli ai canoni bembisti, tali poeti forzarono in realtà il linguaggio petrarchesco per esigenze nuove e diverse, trasformandolo così nelle sue stesse premesse e nel suo significato più profondo. Nel Seicento, secolo aperto alle novità e contrario per molti aspetti all'autorità degli antichi, il p. ebbe fortuna molto minore; nonostante ciò è innegabile l'influenza della poesia petrarchesca sull'opera di G.B. Marino e di tutti i marinisti. Nel XVIII sec. il p. poté contare su una schiera di cultori abbastanza nutrita, che interpretarono la lirica petrarchesca secondo i modi leggeri e aggraziati tipici del tempo. Quella settecentesca, sorta in seno all'Arcadia bolognese, fu però l'ultimo esempio di scuola petrarchesca: per la storia letteraria successiva non è più possibile parlare di scuole, e tanto meno di imitazione o di maniera. La lettura di Petrarca rimane tuttavia un'esperienza imprescindibile per ogni poeta, sia nell'Ottocento (si pensi alla poesia di Foscolo e di Leopardi) sia nel Novecento, secolo nel quale l'incontro con Petrarca ha dato risultati altissimi nella lirica di Cardarelli o di Ungaretti. ║ Il p. europeo fu mediato dalle numerose traduzioni del Canzoniere petrarchesco e favorito dalla vasta diffusione delle opere dei petrarchisti italiani. Esso accolse come modello non tanto la codificazione operata da Bembo nel primo Cinquecento, quanto la produzione cortigiana del secondo Quattrocento, in particolare quella di Serafino Aquilano e del Tebaldeo, che in Francia e in Inghilterra godettero di una fortuna ampia e duratura. Fra i petrarchisti francesi si ricordano M. Scève, Ph. Desportes, C. Marot, M. de Saint-Gelais; fra quelli inglesi H.H. Surrey e Th. Wyatt. Il movimento francese della Pléiade (P. de Ronsard, J. du Bellay, J.-A. de Baïf) predilesse tuttavia forme più aderenti al modello bembesco, alle quali unì i modelli dell'antichità classica. Per quanto riguarda il p. spagnolo, esso ebbe inizio nel primo Quattrocento con I.L. de Santillana, che svolse un'imitazione puntuale e fedele della lirica petrarchesca. Nel corso del XVI sec., dopo la conquista di Napoli da parte di Ferdinando il Cattolico, ebbe larga diffusione l'opera sannazariana, la cui mediazione è sensibile nell'opera di J. Boscán Almogáver e di Garcilaso de la Vega.