(dal latino
persuasio, der. di
persuadere: persuadere). Atto e
metodo del persuadere, del convincere una persona di una determinata cosa o
dell'indurla ad agire in un determinato modo. ║ Effetto del persuadere;
essere persuasi. ║ Convinzione, opinione:
ho la p. che;
p.
errata. ║
P. di sé: presunzione. ║ Ant. -
Ragionamento convincente. • Encicl. - Il concetto di
p. si
contrappone a quello di costrizione. Il termine ha acquistato una notevole
importanza soprattutto in riferimento alle moderne tecniche pubblicitarie
adottate per incrementare i consumi e quindi la produzione di beni di consumo.
Le tecniche di
p., in grado di interpretare le esigenze o di orientare i
gusti del pubblico, si basano sulla cosiddetta "ricerca motivazionale",
cioè sui motivi soprattutto inconsci che inducono all'acquisto di un
determinato prodotto o a valersi di un certo servizio. Grazie a particolari
metodi di manipolazione della psiche, i cosiddetti persuasori occulti tentano di
influenzare l'inconscio degli individui, presi collettivamente, in modo da
indurli, senza che essi se ne rendano conto, ad agire in un determinato modo. Il
gusto viene indirizzato verso determinate scelte, anche se l'individuo mantiene
la convinzione che tali scelte dipendano da motivazioni personali: l'individuo,
infatti, è portato a razionalizzare i propri atti, a farli apparire come
determinati da motivi coerenti con i propri propositi, aspirazioni e ideali. Le
tecniche di
p. occulta sono largamente impiegate dalla pubblicità
commerciale, tuttavia vengono utilizzate anche in altri settori, ad esempio in
campo politico. • Filos. - Nella filosofia greca il termine
p.
(
peizó) si contrapponeva, in quanto credenza prevalentemente
soggettiva, ovvero privata e incomunicabile, all'insegnamento razionale. I
sofisti furono i primi a tematizzare dal punto di vista concettuale il potere
persuasivo della parola, secondo Gorgia dotata di grande forza e in grado di
determinare le azioni degli uomini. In polemica con la dialettica arazionale dei
sofisti, Platone sostenne che il pensiero nasce dall'insegnamento, l'opinione
dalla
p. Il concetto fu ripreso da Kant, il quale nella
Critica della
Ragion pura definì la
p. una semplice apparenza, poiché
il fondamento del giudizio, che è unicamente nel soggetto, viene
considerato oggettivo. La
p. ha solo validità privata e non si
può comunicare: ciò la differenzia dalla convinzione, che invece
è comunicabile e può ritrovarsi valida per la ragione di ogni
uomo. Secondo altri filosofi (Pascal) la
p. si distingue dalla
convinzione in quanto influenzata dal sentimento oltre che dalla ragione, e
quindi attinente ai comportamenti affettivi e abituali dell'uomo. Allo stesso
modo D'Alembert sostenne che, mentre la convinzione attiene più allo
spirito, la
p. riguarda il cuore; l'oratore oltre a convincere, provando
le sue affermazioni, deve anche persuadere, cioè toccare e commuovere. A
differenza della convinzione, dunque, la
p. non sempre suppone delle
prove. Altri pensatori (Heidegger, Jaspers) considerarono la
p. la forma
suprema di certezza, in quanto connessa con la verità oggettiva.