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Persecuzione.

(dal latino persequor: inseguire, perseguitare). Complesso di atti ostili compiuti allo scopo di danneggiare un singolo o un gruppo di persone. ║ Insieme di azioni di forza, dirette o indirette, finalizzate alla repressione di un movimento politico o religioso, all'annullamento sociale o addirittura all'eliminazione fisica degli individui di una minoranza etnica, socio-politica o religiosa. ║ Fig. - Ciò che rappresenta, o viene percepito, come una molestia continua e insistente, sia esso un fatto, un comportamento, una persona o una cosa. • Psicol. - Delirio di p.: tendenza da parte di un soggetto a interpretare eventi o comportamenti come intenzionalmente ostili, anche quando in realtà non lo sono. Si tratta di un disturbo dell'interpretazione che può essere contingente e legato a un particolare stato affettivo, o espressione di una condizione patologica spesso assunta nel contesto di deliri paranoici o paranoidi. Il soggetto nutre la profonda convinzione di essere controllato, di subire minacce o influenze negative attraverso raggi, elettricità, veleni, ecc., miranti alla sua eliminazione fisica. Nel caso in cui il quadro di p. non sia conclamato ma allo stato latente e rilevabile solo attraverso esami psicologici approfonditi, si parla di tendenze persecutorie. Esse possono anche essere indotte, in persone normalmente equilibrate, da prolungate esperienze di reale pericolo. • St. delle rel. - In ambito religioso, si definisce come tale il complesso sistematico di provvedimenti e azioni che il potere costituito rivolge contro gli aderenti a una determinata confessione (proibendone ovviamente anche le pratiche cultuali), o contro coloro che rifiutino di assumere, almeno nelle pratiche esteriori, la religione di Stato come propria. Secondo un'accezione più vasta, il termine indica anche atti violenti, più o meno occasionali e sporadici, perpetrati da una folla, un gruppo, o anche da singoli, contro i fedeli di una particolare religione. Storicamente, tale definizione è stata applicata quasi per antonomasia ai rapporti intercorsi tra l'Impero romano e la religione cristiana durante i primi secoli della sua esistenza, anche se col medesimo termine si possono indicare correttamente anche le lotte intraprese dalla Chiesa cattolica contro alcune sette eretiche (come la crociata contro gli albigesi), o contro gli Ebrei, ecc. ║ Il Cristianesimo fu avvertito, sia dalle autorità pubbliche sia dalla cultura pagana in genere, come incompatibile con l'esistenza dell'Impero e perciò fu attivamente combattuto. È stato a lungo sostenuto che causa principale di tale inconciliabilità fu l'irriducibile rifiuto da parte dei cristiani di praticare il culto imperiale che, invece, rappresentava per i Romani il perno della stretta congiunzione fra organizzazione statuale e religione ufficiale, espressione pubblica di dedizione allo Stato. A questa spiegazione si oppongono però obiezioni rilevanti. 1) Le istituzioni romane avevano sempre manifestato la più ampia tolleranza nei confronti dei culti più disparati professati nei territori loro soggetti. 2) Fin dai tempi di Caligola, il tentativo di introdurre il culto dell'imperatore come dio vivente fallì completamente, essendo di fatto estraneo alla mentalità romana. A riprova di ciò si pensi alla satira menippea opera di Seneca, l'Apocolocyntosis (V.) :apoteosi della zucca, che il filosofo compose in scherno alla "divinizzazione" postuma dell'imperatore Claudio. 3) Gli Ebrei, la cui posizione era per certi versi assai similare a quella cristiana per il rigido monoteismo e la netta opposizione ad assorbire la cultura dei dominatori, pure non subirono mai p. tanto violente e durature come accadde invece ai cristiani. Dunque il vero motivo dello scontro fra istituzioni e intellettuali romani da un lato e la nuova religione dall'altro fu probabilmente diverso e interno alla filosofia di questa fede. Essa infatti, a differenza di quella ebraica che per sua stessa natura era circoscritta al popolo eletto e perciò a base etnica, si apriva ad un proselitismo senza alcuna barriera e distinzione, né sociale, né etnica, né di sesso. Tale affermazione di uguaglianza di diritti e doveri fra gli uomini rischiava di scardinare la rigida gerarchia socio-politica su cui si reggeva l'Impero, tanto più importante quanto più esso si espandeva territorialmente e veniva a comprendere un numero sempre maggiore e differente di popolazioni. Inoltre, la centralità che il messaggio cristiano attribuiva a una nuova vita che seguiva alla morte, finalizzava quella terrena a meritare il "paradiso" e dunque collideva sia culturalmente sia politicamente con la mentalità del cittadino romano, per il quale la vita oltre la morte non sarebbe stata che ombra (si pensi all'oltretomba virgiliano del VI libro dell'Eneide) e la vita terrena acquisiva valore solo in quanto dedicata a rendere grande e forte lo Stato imperiale, che gli sarebbe sopravvissuto. Tutto ciò fu sufficiente a bollare il Cristianesimo come superstitio illicita. Gli storici devono invece ancora definire quale sia stata la "base giuridica" data alle p. e in quale categoria si inserisse la forma processuale adottata contro i cristiani. Il problema si pone soprattutto per quanto riguarda le p. dei primi due secoli, dal momento che quelle dei secc. III-IV furono precedute da speciali editti contro i cristiani. Secondo T. Mommsen, inizialmente non si trattava di processi veri e propri, ma di azioni di polizia giustificate dalla difesa dell'ordine pubblico; secondo altri (Le Blant, Schürer) veniva applicato contro i cristiani il comune processo per violazione di una legge, che poteva essere quella contro il sacrilegium, o contro la lesione della religio romana, o la Lex Julia maiestatis (relativa al culto imperiale), o ancora quella che regolamentava le associazioni. Alcuni studiosi, infine, ritengono possibile che da parte di Nerone, o forse di Domiziano, fosse stato emanato un editto esplicitamente rivolto contro i cristiani. Di certo sappiamo che, al principio del II sec. d.C., questi non erano perseguibili d'ufficio, anche se i magistrati, in caso di denuncia, avevano l'obbligo di procedere in qualche modo contro gli aderenti a quella religione. Tra la prima p. di Nerone (64) e l'ultima di Diocleziano (304), furono molti gli imperatori persecutori: Domiziano, Traiano (che inviò a Plinio un celebre rescritto, in cui ammorbidiva la p. ordinando che i cristiani non fossero attivamente ricercati, ma solo puniti se denunciati), Adriano (che in un rescritto del 125 a Minucio Fundano stabilì una procedura), Antonino Pio, Marco Aurelio, Settimio Severo (nel 202 proibì ufficialmente il proselitismo: per molti studiosi questa data segnerebbe l'inizio delle p. propriamente dette), Massimino il Trace. La p. di Decio (249-50) fu la prima a configurare l'adesione al Cristianesimo come delitto contro lo Stato; essa conseguiva all'emissione di un editto, in base al quale tutti i cittadini dovevano esibire all'autorità un libellus, comprovante il fatto di avere eseguito un sacrificio agli dei e al genio dell'imperatore. Nella Chiesa gli effetti di questa p. furono gravissimi, non solo per i martiri che ne seguirono, ma anche per il gran numero di lapsi che causò, cioè di fedeli che in modo più o meno grave cedettero alle imposizioni imperiali. La seconda p. collegata ad un editto fu quella decretata da Valeriano nel 257, cui però, fra il 261 e il 303, seguì un periodo di tacita tolleranza. Diocleziano e Galerio, al contrario, cercarono di eliminare radicalmente il Cristianesimo, cominciando da epurazioni sistematiche all'interno di esercito e amministrazione, per arrivare alle p. prima contro il clero e poi contro i fedeli (303-304). Ovviamente gli editti (che furono quattro nei due anni) ebbero differente applicazione nelle varie province e da parte dei diversi magistrati: le p. furono particolarmente dure a Roma, in Spagna e nelle province africane, molto minori in Oriente e nelle Gallie. Successivamente furono emanati in Oriente ulteriori provvedimenti, anche se ebbero scarsa applicazione, mentre diversa valenza politico-culturale ebbe la p. di Giuliano l'Apostata (V. GIULIANO, FLAVIO CLAUDIO).