Ling. - Termine riferito a enunciati che, non essendo descrittivi di un'azione
né constatazioni di un fatto, non possono essere soggetti a un giudizio
di verità o falsità. Essi, in determinati contesti,
coincidono con l'azione stessa che esprimono. Sono
p. espressioni
quali:
Prometto di venire; o
Scommetto che verrai, in cui non si
asserisce qualcosa, ma si
fa qualcosa; l'azione espressa, per il fatto di
essere espressa, è nel medesimo tempo compiuta e avverata. Per questa
ragione verbi (del tipo: prometto, ordino, battezzo, maledico, benedico, ecc.)
ed enunciati
p., per essere tali devono trovarsi alla prima persona del
presente indicativo. Il termine e la distinzione degli enunciati
p. da
quelli
constativi (descrittivi), furono introdotte dal filosofo e
linguista John Langshaw Austin (V.). Egli,
tuttavia, incontrò numerose difficoltà nel procedere a una
sistematizzazione del concetto generale sopra espresso, dal momento che si
profilavano via via numerose eccezioni per ogni norma che riusciva a stabilire
(ad esempio:
vietato fumare è enunciato
p., ma in deroga
alla necessità della prima persona verbale; alcuni verbi possono avere
uso sia
p. sia descrittivo:
spesso prometto ma non mantengo). Per
tale ragione Austin decise di definire il concetto di
p. come uno degli
aspetti possibili di un medesimo enunciato. Il termine
p. ha avuto una
certa diffusione in linguistica, in particolare nella scuola cosiddetta
generativista di J.R. Ross e di G. Lakoff, e nell'ambito della teoria della
comunicazione di J. Habermas, ma cadde, tra i più, in disuso a partire
dagli anni Settanta. • Dir. - Enunciato non prescrittivo né
normativo, ma costitutivo, nel momento in cui è emesso, della situazione
cui si riferisce. Ad esempio, l'espressione di una promessa giuridicamente
vincolante rende applicabili le norme relative alle promesse e alle obbligazioni
inerenti; l'enunciato
La seduta è aperta realizza di fatto tale
situazione giuridica.