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Percezione.

(dal latino perceptio, der. di percipere: percepire). L'atto del percepire, ossia del prendere coscienza di una realtà che il percettore valuta come esterna a sé. ║ Sensazione. ║ Nell'uso amministrativo, p. è l'atto con cui si viene in possesso di una somma; riscossione, esazione: p. dello stipendio, di un'imposta. • Ott. - Velocità di p.: prontezza con la quale - a seconda dell'intensità della fonte luminosa - l'occhio riesce a percepire la presenza degli oggetti. • Filos. - In generale, con il termine p. si indica ogni esperienza conoscitiva: per Cartesio percepire significa conoscere, ma in maniera passiva rispetto all'attività conoscitiva in cui interviene la volontà. Spinoza definisce come p. "la conoscenza come possibilità". Leibniz vede la p. come un tipo di conoscenza inconscia delle monadi, per cui ogni singola p. racchiude in forma non sistematica tutta la verità spirituale, l'universo, il passato, il presente, il futuro. Nella filosofia moderna la p. indica l'esperienza conoscitiva di un oggetto, sia fisico sia mentale. In questo senso la p. viene distinta dalla sensazione (il primo ad operare tale distinzione fu T. Keid), in quanto atto conoscitivo complesso che organizza i dati forniti dalle singole sensazioni e li assegna a un oggetto. Per questo alcuni considerano la p. come un'elaborazione della sensazione per opera del pensiero. W. James, viceversa, usa il termine p. indifferentemente per sensazione, intuizione e, in generale, per conoscenza immediata. Per J. Dewey, la p. è l'avvertimento che l'attività mentale cosciente ci dà per comunicare - in presenza di qualcosa di non regolare - la possibilità del verificarsi di un evento non ancora conosciuto. E. Cassirer, parlando del mito come modo pre-scientifico dell'uomo di spiegare il mondo, ha fortemente sottolineato la differenza che intercorre tra p. mitica e p. teoretica e ha messo in rilievo che tutti gli sforzi del pensiero scientifico sono diretti a cancellare ogni traccia della visione mitica del mondo, per cui, "alla luce della scienza, la p. mitica scompare". Egli, tuttavia, riconosce che i dati della nostra esperienza primitiva, pur perdendo ogni valore oggettivo o cosmologico, mantengono il loro valore antropologico che non si può né trascurare né negare. • Psicol. - Pur tenendo presente che il termine assume sfumature di significato diverse a seconda dei diversi orientamenti di ricerca, tuttavia si può affermare che, in generale, per p., in psicologia, si intende la funzione per cui nel rapporto con il mondo esterno "si sperimentano stimoli, si compiono discriminazioni tra di essi e si inizia a comporli in un insieme dotato di significato" (K. Koffka). Il fenomeno della p. iniziò ad essere studiato scientificamente nel Settecento da psicologi, fisiologi e filosofi. Nell'Ottocento e, in parte, anche nel Novecento si possono distinguere, nel campo degli studi sulla p., due indirizzi nettamente distinti e opposti: l'indirizzo empiristico e quello nativistico. Il primo, rappresentato, pur con certe differenze tra studioso e studioso, da H. Lotze, W. Wundt, H. von Helmholtz, considera la p. dello spazio il risultato di un processo di apprendimento fondato su elementi non spaziali, quanto piuttosto associati al movimento. L'indirizzo nativistico, invece, di cui sono esponenti E. Hering e C. Stumpf, attribuisce alla retina la capacità di percepire direttamente la spazialità. Alla fine del XIX sec. l'impostazione strutturalistica di E.B. Titchener si pone come sintesi delle due posizioni, sostenendo che la p. è l'insieme di diversi elementi ricavati dalle sensazioni e raggruppati variamente e successivamente integrati da immagini, in modo da formare un contesto capace di conferire ai vari elementi un "significato". Nella corrente dei funzionalisti (J.K. Angell, H. Carr, ecc.) assumono già un certo rilievo, nel processo percettivo, le variabili inerenti alla personalità individuale e la p. viene vista come una funzione inserita nel processo di adattamento dell'organismo alla realtà esterna. La scuola della Gestalt inaugura un nuovo corso di studi sulla p., giungendo a definire quest'ultima non come il risultato di una semplice somma o giustapposizione di particolari, ma come una totalità strutturata secondo "forme" globali. L'impostazione di base dei gestaltisti considera la p. da un punto di vista puramente psicologico, dando rilevanza all'atteggiamento e alle motivazioni dell'individuo e all'influenza delle esperienze precedenti. Successivamente, questo filone di ricerca giunse a postulare un'esatta corrispondenza, a livello neurofisiologico, tra processo corticale e processo psicologico della p. Uno dei risultati degli studi condotti dalla scuola gestaltista fu la formulazione di una serie di leggi che regolano le p., come quella della pregnanza, ossia della tendenza del processo percettivo a completare configurazioni percettive incomplete; un'altra significativa caratteristica della p., secondo i gestaltisti, è il fenomeno di trasposizione, cioè la tendenza a reagire non allo stimolo isolato, ma a un insieme di stimoli in rapporto tra loro. Gli studi sulla p., qui solo brevemente ricordati, sono proseguiti in molteplici e spesso divergenti direzioni. D.O. Hebb è fautore di una teoria neurofisiologica, secondo cui la p. sarebbe il risultato dell'attività sequenziale (phase sequence) di circuiti di neuroni funzionalmente collegati (cell assemblies). Negli anni Cinquanta è sorta la corrente funzionalistica (transazionalismo), che si è particolarmente interessata all'interazione tra soggetto e ambiente nei processi percettivi, indagando sulla costanza percettiva e su alcune particolari "illusioni" (per esempio, trapezio rotante di A. Ames), che sono state definite "il prezzo da pagare per il meccanismo di costanza". In altri termini, anche sotto stimoli diversi, l'attività percettiva manterrebbe delle costanti che consentirebbero all'individuo di conferire un'identità agli oggetti, nonostante i mutamenti dell'ambiente. Altri filoni di ricerca hanno indagato le correlazioni tra p. in generale e p. del proprio corpo, mostrando come, nei processi percettivi, il corpo sia costantemente utilizzato come schema di riferimento. L'individuo opera inconsciamente una sostituzione delle rappresentazioni visive attuali con una nozione generica e stereotipata della persona umana, secondo una grandezza prefissata. Si tratta cioè di una sostituzione che l'essere umano impara a fare nella prima infanzia e che poi diventa così intimamente costitutiva del nostro mondo percettivo, da sfuggire del tutto alla nostra coscienza. Ovviamente, quanto detto a proposito delle figure umane vale per tutte le cose familiari, e non solo per la grandezza ma per la forma in genere, il colore e per tutti gli aspetti con i quali le cose ci si presentano nell'esperienza quotidiana. Solo quando si tratta di oggetti nuovi o anche quando si osservano persone a grandi distanze o quando dei veicoli si avvicinano a grande velocità, la sostituzione non ha luogo e le variazioni di grandezza, di forma, ecc., ci colpiscono per la loro singolarità. In base a ciò si suppone che il bambino nei primi due o tre anni, quando la struttura del suo mondo percettivo non è ancora formata e consolidata, provi anche nelle situazioni più comuni quelle impressioni che l'adulto prova solo in circostanze eccezionali. E. Brunswik (fautore di un funzionalismo probabilistico) ha messo in evidenza il ruolo delle ipotesi, riprendendo la tesi dell'influenza inconscia e istantanea. Particolare sviluppo ha poi assunto la ricerca di "determinanti centrali" della p., cioè valori, bisogni e atteggiamenti capaci di influenzare il processo percettivo. Rientra in questa impostazione il concetto di social perception, secondo cui la condizione socio-economica è un fattore correlato al modo di percepire la "grandezza". Secondo il noto esperimento di J.J. Bruner e C.C. Goodman, infatti, richiesti di precisare la grandezza di alcune monete, i bambini poveri tendevano a una costante sopravvalutazione. Significativi anche gli studi sul rapporto tra p. e personalità; per esempio, l'autostima è risultata un elemento in grado di influire in modo analogo sui risultati ottenuti sia in test spaziali sia in test di personalità. La moderna ricerca psicologica ritiene la p. la prima base della vita psichica, in quanto investe tutta la personalità di chi sente, vede, ecc. L'attività percettiva si svolge in funzione della personalità individuale, sotto l'influsso di fattori intellettuali e affettivi: gli individui percepiscono i dati di una situazione reale in una sintesi globale, ma in modo diverso gli uni dagli altri. La psicoanalisi ha distinto p. esterna - basata sull'attività degli organi sensoriali - e interna, che si basa sull'assunzione consapevole dei processi mentali "interni". Freud considera, infatti, la coscienza come un organo di senso, capace di essere indirizzato sia all'interno, verso l'attività mentale, sia all'esterno, verso l'ambiente. Secondo Freud, "tutte le p. che giungono dall'esterno (p. sensoriali) sono coscienti fin dal primo momento". La teoria psicoanalitica della difesa, secondo cui l'Io tende a impedire che impulsi e ricordi particolarmente dolorosi divengano consci, scatenando però conflitti che possono condurre alla nevrosi, contiene l'ipotesi della p. inconscia, che si distingue sia dalla p. esterna sia dalla p. interna: la mente percepisce un contenuto minaccioso prima che esso divenga percepibile dalla coscienza e aziona le sue difese. Le p. possono anche essere alterate da patologie o condizioni psichiche morbose. Le anomalie delle p. possono essere quantitative, cioè interessare l'intensità delle sensazioni (suoni e colori sono percepiti più forti oppure, al contrario, gli odori si avvertono meno, i colori sembrano più scuri), o qualitative, comportando alterazioni delle qualità delle sensazioni (i visi sembrano avere un colore diverso). Può inoltre verificarsi che un unico stimolo provochi sensazioni in altri campi percettivi (senso di dolore per stimoli acustici). Queste anomalie si riscontrano nella schizofrenia e in molte intossicazioni, specie da farmaci o da sostanze psicoattive. Un carattere abnorme delle p. consiste nella "estraneità del mondo percettivo", per cui tutto sembra diverso, nuovo, sconosciuto, irreale. Talora, per esempio nelle sindromi schizofreniche, il disturbo consiste nell'impossibilità di comprendere il mondo psichico degli altri. La dissociazione delle p. si verifica quando due p. legate fra loro nella realtà (per esempio, il suono e la forma di uno strumento) non vengono considerate tali dal soggetto (nella schizofrenia e in alcuni stati tossici).