Nel linguaggio giornalistico e giudiziario, l'imputato che si dichiara disposto
a collaborare con la giustizia, fornendo agli organi inquirenti elementi utili
allo smantellamento della struttura criminosa o eversiva di cui ha fatto parte,
nonché all'individuazione e incriminazione dei responsabili di reati
commessi dagli aderenti a tali organizzazioni. • Dir. - Il termine
p. entrò nel linguaggio corrente a partire dalla fine degli anni
Settanta, in rapporto al fenomeno del terrorismo delle Brigate Rosse e di altre
organizzazioni eversive. Il D.L. 15-12-1979, n. 625 (modificato e convertito in
legge con la L. 6-2-1980, n. 15), per la prima volta nella storia
dell'ordinamento giuridico italiano, attribuì rilevanza giuridica alla
collaborazione attiva prestata dall'imputato che, dissociandosi
dall'organizzazione, aiutasse l'autorità di polizia nella raccolta di
prove per la cattura degli altri suoi complici. La legge del 1980 sostituiva
all'ergastolo la reclusione dai 12 ai 20 anni e prevedeva per i
p. una
riduzione delle altre pene da un terzo alla metà. Le misure legislative a
favore dei
p. produssero risultati di notevole rilievo, anche in
relazione alla crisi ideologica e politica che aveva colpito al loro interno le
organizzazioni eversive dopo il sostanziale fallimento della vicenda Moro, e le
dichiarazioni rese dai
p. si rivelarono determinanti per la sconfitta del
terrorismo, data anche la difficoltà di sgominare altrimenti una
struttura eversiva protetta dalla clandestinità. La successiva L.
29-5-1982, n. 304 (la cosiddetta
legge dei p.) regolò in modo
più dettagliato la materia, introducendo una ulteriore distinzione tra
p. e dissociati (quest'ultimo termine stava a designare chi si limitava a
dissociarsi dalle organizzazioni terroristiche di cui faceva parte, rendendo
magari piena confessione dei propri reati, ma senza accettare di accusare i
propri complici). La L. 304 estese la non punibilità, già
prevista in alcuni casi per i
p., anche ai dissociati che non avessero commesso reati, ovvero che avessero commesso solo reati di lieve entità, attinenti alle esigenze organizzative dell'associazione terroristica, e aumentò gli sconti di pena per i
p., fino alla sostituzione dell'ergastolo con una pena detentiva di sei anni e otto mesi per il
p. che avesse fornito agli inquirenti elementi di eccezionale rilevanza per le indagini. La legge sui
p. suscitò un acceso dibattito sullo statuto morale di una disposizione che,
oltre ad assicurare l'impunità a persone che avevano militato in
associazioni armate condividendone le finalità criminose, legittimava e
di fatto premiava la delazione, e questo spiega il fatto che questi
provvedimenti furono considerati eccezionali, e ne fu stabilita una efficacia
limitata nel tempo: la L. 304 era applicabile solo per i reati commessi entro il
31 gennaio 1982 e solo nel caso in cui la scelta di dissociazione o di
collaborazione con la giustizia fosse stata dichiarata entro il 2 febbraio 1983.
L'efficacia mostrata dalla legislazione sui
p. nell'ambito della lotta al
terrorismo indusse ad estendere, anche ai reati connessi con la
criminalità organizzata di stampo mafioso, il riconoscimento di
circostanze attenuanti particolari per chi collabori con la giustizia.
Già la L. 30-12-1980, n. 894 prevedeva una disciplina premiale in materia
di sequestro di persona a scopo di estorsione. A partire dal 1984, con la
vicenda di Tommaso Buscetta, si cominciarono a registrare casi di
p.
anche nell'ambito della lotta alla mafia. Questo fatto impose allo Stato di
dotarsi di strumenti legislativi atti a fornire garanzie per l'incolumità
personale loro e dei loro familiari. Nel caso dei
p. di mafia, infatti,
l'esigenza di assicurare protezione ai collaboratori di giustizia contro le
ritorsioni dei loro ex complici è particolarmente avvertita, come
dimostra il lungo elenco di vendette dirette o trasversali, che hanno segnato la
cronaca degli anni Ottanta. La disciplina che riguarda il pentimento nell'ambito
della lotta alla criminalità organizzata si è pertanto venuta
articolando in tre successivi interventi legislativi: la L. 15-3-1991, n. 82 ha
stabilito le misure di protezione e di assistenza da adottare nei confronti
delle persone esposte a grave e attuale pericolo, per effetto della loro
collaborazione con la giustizia. Tali misure possono essere estese anche ai
familiari, agli amici, ai congiunti del
p. e a qualunque persona che veda
la propria incolumità minacciata per via dei rapporti intrattenuti con il
p. stesso. L'ammissione al programma di protezione e di assistenza, sulla
base di una valutazione dell'affidabilità del soggetto e dell'importanza
del suo contributo alle indagini, viene decisa da una commissione qualificata,
che ne stabilisce anche la durata e i contenuti. Sul modello della legislazione
in vigore negli Stati Uniti fin dal 1970 (
witness security program) viene
stipulato una sorta di contratto tra il
p. e l'autorità statale,
in base al quale lo Stato si impegna ad adottare misure di protezione efficaci,
che possono prevedere, tra l'altro, il trasferimento del
p. o dei suoi
congiunti in luoghi sicuri, l'autorizzazione al cambio di generalità con
nuove iscrizioni all'anagrafe e nei registri dello stato civile, effettuate con
procedure coperte da assoluta riservatezza, nonché naturalmente la
facoltà concessa al
p. di scontare pene detentive in luoghi
diversi dal carcere e più sicuri. Il collaboratore, da parte sua,
è tenuto a fornire tutti i dati relativi alla propria posizione personale
e processuale, e si impegna formalmente ad osservare le norme di sicurezza
prescritte, a non rilasciare a terzi dichiarazioni sui fatti per cui presta la
collaborazione, ad assolvere gli obblighi di collaborazione con
l'autorità giudiziaria e a presentarsi a rendere dichiarazioni davanti al
giudice. La L. 12-7-1991, n. 203 introduce una disciplina premiale per i
p. appartenenti alla criminalità organizzata; favorisce la
collaborazione con la giustizia degli ex mafiosi, in quanto da un lato prevede
un inasprimento delle pene per i reati commessi nell'ambito di una associazione
di stampo mafioso e non riconosce per questi delitti le normali circostanze
attenuanti; dall'altro prevede forti riduzioni di pena in favore dell'imputato
che accetti di collaborare con gli organi inquirenti. In concreto, l'ergastolo
viene sostituito con la reclusione dai 12 ai 20 anni e le altre pene detentive
sono diminuite da un terzo alla metà. La L. 7-8-1992, n. 356, infine, ha
ulteriormente accresciuto i privilegi accordati ai
p. di mafia,
modificando, a loro favore, il regime carcerario e accordando con più
larghezza ai
p. misure alternative alla detenzione. Permessi premio e
permessi di lavoro all'esterno del carcere, che possono essere concessi ai
p. anche in deroga alla disciplina ordinaria. Anche le disposizioni di
legge relative ai
p. di mafia sono oggetto di un vivace dibattito, che
verte sulla attendibilità delle dichiarazioni rese dai
p. e sul
credito da accordare loro quando costituiscano gli unici elementi di prova a
carico di un imputato. Bisogna infatti tenere sempre presente il rischio che il
p. possa accusare falsamente i suoi ex complici per motivi di vendetta
personale o per inquinare e confondere le indagini. L'art. 192 del Codice di
Procedura Penale, peraltro, stabilendo che le dichiarazioni di un coimputato di
un reato debbano essere valutate unitamente ad altri elementi probanti che ne
confermino la attendibilità, impone una rigorosa verifica delle
dichiarazioni accusatorie dei
p., fondandone l'efficacia probatoria non
solo sull'esistenza di riscontri logici interni, ma anche sull'acquisizione di
elementi di riscontro oggettivo che confermino la veridicità delle accuse
formulate.