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Pensiero.

Attività della mente, ritenuta caratteristica dell'uomo, mediante la quale si formulano concetti, elaborando i dati che provengono dalla realtà esterna, e si acquista coscienza di sé e del mondo. Per il suo carattere comprensivo di tutte le attività umane, e per la sua indeterminabilità, il termine è poco usato nel linguaggio scientifico, e impiegato quasi unicamente nel linguaggio comune con significati piuttosto mutevoli. Nel suo senso più generale il termine è comprensivo di tutti i fattori psichici; nei suoi significati particolari si contrappone, in genere, a ciò che è puro fenomeno psichico, indicando quei valori che sono propri dello spirito. ║ Riflessione sui dati della conoscenza, in opposizione a sensazione, percezione, intuizione. ║ Modello interpretativo della realtà elaborato da un filosofo, una scuola, un letterato, ecc. ║ Attività speculativa, teorica, in contrapposizione ad azione, spesso con accezione negativa. ║ Opinione. ║ Preoccupazione, stato d'ansia. ║ Cura, attenzione. ║ Breve scritto, saggio che verte su un determinato argomento, massima. • Filos. - Scarsamente impiegato in senso tecnico, preferendogli i termini di ragione o intelletto, genericamente indica l'attività speculativa che caratterizza un certo filosofo o epoca, o scuola, e che si presenta con una certa organicità e sviluppo storico. Come attività della coscienza, individua quei principi universali e quei valori fondamentali a cui può essere uniformata l'azione pratica. Secondo una definizione di Socrate, pensare significa porre in relazione un concetto con altri concetti. Nella filosofia classica, in cui lo sforzo massimo del p. doveva essere quello di pensare adeguatamente la realtà esterna, pensare e conoscere finiscono con il coincidere, essendo il p. nient'altro che una forma di conoscenza riflessa o mediata. Dalla ricerca delle leggi di questa conoscenza riflessa, ha origine, con Aristotele, la logica, che mostra come proceda il p. quando pensa, quale sia la struttura del ragionamento. Ma il riconoscimento di leggi puramente formali del p. comporta, necessariamente, l'ammissione di una struttura del p. indipendente dalla concreta attività del conoscere, e che, nello stesso tempo, dovrebbe fornire le prove della validità del nostro conoscere concreto. Il problema del rapporto che intercorre tra la realtà esterna, indipendente dal p., e la struttura di questo, ossia il problema della validità del p. come giudice di se stesso, può essere risolto, per Aristotele, presupponendo che esso sia, insieme, la forma e il contenuto: il p. si identifica con la stessa autocoscienza e non contiene solo la forma razionale, ma anche l'intuizione del contenuto. In Aristotele questa attività viene riferita al p. divino; essendo Dio la cosa più eccellente, è attività contemplativa di se medesimo, è p. di p. Nella filosofia cartesiana l'autocoscienza, non più soltanto propria dell'essere divino, si identifica con il p. La realtà del p., sia pure come attività dubitante, si pone al di sopra di ogni possibile dubbio; è res cogitans, sostanza spirituale pensante, in contrapposizione al mondo esterno o materiale. La difficoltà di questa concezione sta nel riconoscere un contenuto al p., che deve avere solo in se stesso la ragione della propria attività e la cui validità deve poter essere pensata per se stessa, indipendentemente dal contenuto. Nella filosofia di Kant il pensare acquista un nuovo significato. Mentre tradizionalmente la filosofia cercava di chiarire la natura del rapporto fra soggetto pensante e mondo esterno partendo dall'uno o dall'altro, Kant ha rivolto la sua attenzione esclusivamente all'attività strutturante del p., che egli definisce io penso, coscienza unitaria, punto di riferimento costante al succedersi delle intuizioni e percezioni ("pensare è il riferire le rappresentazioni all'unità della coscienza; tale pensare è la stessa esperienza, cioè il collegare la molteplicità mediante regole"). Il p. è, dunque, la facoltà di ognuno di unire esperienza e intellezione ("il collegamento delle rappresentazioni in una coscienza è il giudizio, quindi pensare è giudicare"). Proseguendo su questo tracciato kantiano, J. Lachelier intende il p. come un grado più elevato di sintesi, identificandolo con l'intelletto. Rispetto alla sua accezione strettamente filosofica, il p., secondo Lachelier, dovrebbe poter significare tutto ciò che ha in sé carattere di razionalità e di intelligibilità, anche senza coscienza in atto, dal momento che esso si identifica con la finalità immanente nell'uomo, capace di guidarlo nel suo sviluppo; una concezione che considera il p. non più in termini essenzialmente intellettuali. ║ P. debole: tendenza della filosofia contemporanea che afferma l'impossibilità di enunciare verità assolute, ponendo in discussione i sistemi filosofici tradizionali, e proponendo un'interpretazione consapevolmente parziale e provvisoria della realtà, soggetta a continua revisione critica. ║ P. forte: ammette certezze assolute, dunque la possibilità di indagare la realtà. • Psicol. - Qualsiasi forma di attività mentale che implichi idea e, più specificamente, che si occupi dell'organizzazione, spiegazione e soluzione di problemi. Il contributo maggiore dato dalla psicoanalisi alla psicologia del p. è la distinzione fatta da S. Freud tra processi primari e processi secondari: i primi sono quelle forme di p., ossia di funzionamento mentale, caratteristiche dell'inconscio (Es); i secondi sono le forme caratteristiche della coscienza (Io). Freud afferma che i processi del p. sono di per sé inconsci e ottengono l'accesso alla coscienza per la loro connessione a residui mnestici e a percezioni della vista e dell'udito, mediate dalla funzione della parola. C.G. Jung identifica e distingue quattro funzioni: sensazione, intuizione, sentimento e p., attribuendo ciascuna di esse a dei "tipi" umani. Secondo tale concezione, colui che si affida prevalentemente al p. ha sempre a che fare con idee, e non solo ragiona a rigor di logica, ma possiede anche una certa immaginazione; gli piace trovare formule con cui sistematizzare i fatti, o esprimere le proprie meditazioni. Apparterrebbero a questo tipo coloro che indirizzano il p. verso mete sempre nuove come, per esempio, i filosofi o gli scienziati. ║ Trasmissione del p.: fenomeno di natura metapsichica che consente la comunicazione attraverso un meccanismo che prescinde dalle normali vie sensoriali. Freud dà una definizione di tale fenomeno, osservando che esso è molto affine alla telepatia e, anzi, identificabile con essa: "Si ritiene che i processi psichici, le immaginazioni, gli stati di eccitazione, gli impulsi di volontà presenti in una persona, possano trasmettersi a un'altra persona attraverso lo spazio senza usare dei consueti mezzi di comunicazione, quali la parola e i segni". ║ P. autistico: p. che esaudisce i desideri. In esso, fantasie e desideri si fondono con la realtà, dando vita a una realtà arbitraria che ha riscontro solo nell'interno della persona, la quale tende ad isolarsi, vivendo in un mondo incentrato su se stessa. Se ne occupa anche la teoria freudiana dei sogni, considerandolo un processo psichico per cui certi desideri vengono espressi in sogno come esauditi: "un p. espresso all'ottativo viene sostituito da una rappresentazione al tempo presente". Secondo tale teoria la qualità allucinatoria dei sogni mette il sognatore in grado di rappresentare come esauditi desideri che, altrimenti, avrebbero portato a un suo risveglio. Gli esempi più frequenti di sogni che esaudiscono apertamente un desiderio sono i sogni dei bambini, oppure quelli provocati da tensione sessuale, o da qualche disagio fisico. ║ P. creativo: capacità di arrivare, nell'affrontare un problema, a soluzioni nuove, diverse, alternative. Si basa su una riformulazione mentale del mondo che ci circonda, attraverso scoperte casuali, ragionamenti dettagliati, intuizioni. È particolarmente studiato mediante test di personalità. ║ P. ossessivo: idea, o gruppo di idee, che si impone persistentemente alla coscienza dell'individuo, contro la sua volontà, nonostante egli stesso ne riconosca l'assurdità. Si tratta del sintomo principale della nevrosi ossessiva. Talora può manifestarsi in quegli individui la cui personalità presenta tratti (di natura non patologica) simili a ossessioni, che consistono, in genere, in un'eccessiva scrupolosità: pulizia, pedanteria, grettezza, ecc. Tale forma di p. è accettata dagli individui, che la possiedono come una forma valida di attività mentale. • Antropol. - P. primitivo: teoria che attribuisce ai p., propri di membri di società primitive, caratteri di prelogismo, incapacità d'astrazione, ecc. Teorizzato principalmente da L. Lévy-Bruhl, non implicherebbe un'incapacità di p. coerente e logico, bensì solo un'estraneità ai principi della nostra visione scientifica del reale. La conoscenza elaborata in questi termini si baserebbe non sull'istituzione di rapporti di causa-effetto, ma di analogia, associazione mistica, senza possibilità di verifica empirica. Le critiche a questa teoria si fondano sul presupposto dell'unità psichica del genere umano, e sull'esistenza contemporanea presso tutte le società sia di un modello "scientifico" sia "mistico".