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Penitenza.

(dal latino paenitentia e paenitere: pentirsi). Pratica e atteggiamento di carattere religioso, mediante il quale una singola persona, o una comunità, tende a riparare a uno stato di peccato o di mancanza in cui si trovi a causa di proprie azioni o comportamenti. ║ Sacramento che la Chiesa cattolica ritiene efficace in ordine alla remissione dei peccati commessi dal credente e alla sua riconciliazione con Dio. ║ In particolare, l'insieme degli atti che il sacerdote propone al penitente e il cui compimento da un lato ha il valore di parziale riparazione al male compiuto, dall'altro simboleggia il sincero proposito di astenersi in futuro dal ripetere i medesimi errori. Lo stesso termine indica anche le privazioni e le austerità cui la Chiesa invita la totalità dei fedeli in determinate ricorrenze dell'anno liturgico (digiuno quaresimale, astinenza dalle carni, ecc.) come segno di contrizione per i peccati e insieme di coinvolgimento e particolare attenzione all'evento religioso che ricorre. ║ Pentimento, sentimento di contrizione per un male compiuto. ║ Per estens. - Rispetto a un ambito non religioso, il termine indica in genere: castigo, punizione, pena. ║ Fra bambini o nei giochi di società in genere, la p. consiste in una prova di abilità oppure in un compito sgradevole o ridicolo cui è sottoposto il giocatore che sia risultato perdente, come punizione per non aver conseguito il risultato richiesto dal gioco. • St. delle rel. - Se si escludono le grandi religioni monoteiste, nella maggior parte dei sistemi sia primitivi sia delle civiltà antiche e classiche l'accezione di peccato, e dunque di p., esulava da un ambito morale o etico e indicava piuttosto il verificarsi di un'infrazione dell'equilibrio su cui poggiavano il cosmo e la vita sociale. Il danno che ne derivava poteva essere considerato o come meccanica conseguenza o, nel caso in cui fosse già ben evoluta l'individuazione di figure divine, come sanzione diretta delle divinità. Il peccato aveva sconvolto (in misura maggiore o minore) l'ordine sacrale delle cose, perciò ad esso doveva corrispondere una p. che potesse ristabilire tale ordine. Fine della p., dunque, non era un riscatto di ordine etico, ma il ripristino delle condizioni precedenti. Per questa ragione la tipologia degli atti penitenziali assunse forma materiale e, in special modo, lustrale (bagni, abluzioni, purificazioni), a significare l'allontanamento del peccato e con esso delle sue implicazioni negative. Talvolta questa simbologia di eliminazione ebbe carattere cruento: ad esempio, i riti delle culture meso-americane precolombiane, prevedevano la perforazione di alcune parti del corpo (la lingua, i polpacci, ecc.) per consentire al peccato di allontanarsi. Un'altra modalità di p. si basava sul trasferimento "magico" del peccato da colui che l'aveva commesso ad altri (persona, animale o cosa) che ne avrebbe subito in tal modo le conseguenze. La Grecia arcaica celebrava la purificazione della città mediante i pharmakói, uomini cui si facevano percorrere simbolicamente le vie e che poi venivano espulsi o addirittura uccisi. Perfino l'Ebraismo conosceva una pratica simile, con il rito del capro espiatorio (cui si addossavano i peccati del popolo intero) celebrato nei giorni di yom kippūr (V. KIPPŪR). • Rel. - I Vangeli tramandano nella predicazione di Gesù e, prima ancora nell'annuncio di Giovanni Battista, un invito costante alla p., ma il termine sembra qui inclinare più all'accezione di "conversione" (in greco metánoia) che di espiazione. Dato che durante i primi secoli il Battesimo veniva di norma ricevuto in età adulta, la Chiesa primitiva lo intese in quanto fondamentale ma anche unico sacramento di conversione, così come era stato ricevuto da Gesù e amministrato da Giovanni, cioè inizio di una nuova vita redenta dai peccati commessi in precedenza, superamento di essi mediante la fede. Restava però aperto il problema dei peccati posteriori al Battesimo stesso che, in una iniziale posizione rigorista, la Chiesa riteneva irremissibili. La lacunosità e non univocità dei testi protocristiani in nostro possesso non ci consentono di ricostruire dettagliatamente l'evoluzione dottrinale e disciplinare del sacramento penitenziale nei primi secoli di vita della Chiesa. Tuttavia, da una loro analisi, è possibile ritenere che, mentre per la purificazione da mancanze lievi si ricorreva alle pratiche quotidiane della preghiera, dell'elemosina e del digiuno, per i peccati gravi era invece prevista una forma di rito penitenziale a carattere eccezionale, cui il fedele poteva ricorrere una sola volta nella vita entrando così a far parte della categoria dei paenitentes (V. PENITENTE). Questi dovevano confessare il peccato e assolvere ai doveri di espiazione (commisurati per intensità e durata all'entità del peccato confessato); solo dopo aver manifestato con il loro comportamento una sincera conversione venivano riammessi nella Chiesa, durante una cerimonia comunitaria guidata dal vescovo in cui il peccatore poteva riaccostarsi all'Eucarestia, supremo esercizio dei diritti di fede del credente. Gli studiosi definiscono questa procedura p. antica, pubblica o canonica (in quanto regolata da precisi canoni conciliari o papali). Tale forma rimase in vigore fino al VII sec. circa quando, anche a causa del suo carattere pubblico e rigido, cominciò a declinare. Alle origini, la p. non era considerata efficace rispetto ai tre peccati "capitali", cioè l'adulterio, l'omicidio e l'idolatria o apostasia, considerati irremissibili anche se non si escludeva che Dio stesso potesse perdonarli. Per quanto riguarda l'adulterio, fu concesso il perdono a partire da un decreto del III sec., forse di papa Callisto o forse di Agrippino di Cartagine primate della Chiesa africana. Il problema degli apostati si fece di particolare importanza in seguito alle persecuzioni di Decio, durante le quali un gran numero di cristiani erano stati costretti in vario modo a rendere culto agli idoli pagani. I lapsi (v.) raggiunsero un'elevata percentuale nelle comunità e sembrò opportuno estendere la possibilità del perdono anche in relazione a questo peccato e, in ultimo, anche per l'omicidio. L'estensione accordata all'efficacia della p. non mancò di una viva resistenza da parte di gruppi e scrittori "rigoristi", tuttavia invalse con progressiva stabilità. Tra il VII e il XII sec. il sacramento della p. si trasformò secondo modalità private, a partire dalle isole britanniche, Gallia e Spagna. Secondo tale modalità, e in relazione anche al diffondersi dei monasteri, cominciò a radicarsi l'istituto della "direzione spirituale", per cui il peccatore si recava da un sacerdote cui confessava il proprio peccato; da questi riceveva l'imposizione di una p. proporzionata alla gravità del peccato (da qui la redazione dei Libri penitenziali, V. PENITENZIALI, LIBRI) e, solo dopo averla eseguita, otteneva l'assoluzione. Inoltre tale forma privata di p. poteva essere ripetuta. Durante il XII sec. erano praticati addirittura tre tipi di riti penitenziali: quello solenne, coincidente con l'antica p. canonica ma limitato solo a casi di eccezionale rilievo; quello pubblico, in cui però erano manifesti solo gli atti di espiazione e non la colpa; quella segreta, sopra descritta. Il IV Concilio Laterano (1215) emanò infine il famoso canone Omnis utriusque sexus fidelis, da cui dipende anche la forma sacramentale attualmente in vigore. Esso stabiliva che la p. non solo poteva essere ripetuta, ma doveva esserlo (quanto più spesso, tanto meglio), e raccomandava ai fedeli di avvicinarsi ad essa almeno una volta all'anno. Il contenuto della p. era segreto (solus) e comprendeva come momento irrinunciabile la cosiddetta "confessione auricolare" (V. CONFESSIONE), non solo dei peccati gravi ma anche di quelli veniali, in seguito alla quale il sacerdote indicava gli atti di riparazione e dava l'assoluzione subito: il penitente però si impegnava a compiere quanto richiesto dal confessore, pena la nullità dell'assoluzione stessa. D'altro canto i gesti penitenziali assunsero via via un carattere sempre più simbolico e privato, mentre il sacramento acquisì una natura prevalentemente devozionale e legata alla direzione spirituale del credente da parte del sacerdote. Diverse eresie medioevali proclamarono nullo il valore della p., opponendosi in particolare al cosiddetto "potere delle chiavi" attribuito al sacerdote a partire dal testo petrino (Matteo 16, 13-19). Lutero però, nella confessione di Augusta, non ripudiò del tutto questa pratica e mantenne una sorta di "confessione segreta" che però nel tempo, e in particolare dal XVII sec., fu gradatamente sostituita da una formula penitenziale, generale e pubblica, che si recitava prima della Cena. Le altre confessioni riformate hanno invece praticato con più radicalità l'atteggiamento antisacramentale, mentre la Chiesa anglicana, pur non ritenendo obbligatoria la frequentazione della p., la consentiva. La Chiesa ortodossa, infine, attribuì alla p. valore sacramentale anche se ne sottolineò, assai meno rispetto alla cattolica, l'obbligatorietà. • Teol. - Per la teologia cattolica, il termine p. indica tanto la virtù per la quale l'uomo si propone di evitare il male ed emendare quello compiuto, quanto il sacramento stesso istituito da Gesù per rimettere i peccati post-battesimali (come risulterebbe da Matteo 16, 19; Marco 2, 5-10; Giovanni 20, 22). La Chiesa ha definito la materia dogmatica di tale sacramento nel Concilio di Trento, affermando come la facoltà di amministrarlo sia conferita al sacerdote mediante l'ordine. Gli elementi indispensabili perché il sacramento sussista e sia valido sono: contrizione per le proprie colpe e proposito di non più ripeterle; confessione, cioè esplicita manifestazione di esse al sacerdote; soddisfazione, cioè adempimento di quanto imposto dal confessore in riparazione delle colpe medesime. L'assoluzione produce realmente la remissione dei peccati, purché siano sinceri tanto il pentimento quanto la confessione (per ciò che concerne la coscienza e la volontà; eventuali omissioni se involontarie, infatti, non invalidano l'assoluzione ricevuta). Il sacerdote, da parte sua, è chiamato all'obbligo della segretezza, in quanto egli è solo intermediario e non dispensatore del perdono, che ha sempre origine in Dio stesso. Il Concilio Vaticano II ha proposto, accanto ma non in sostituzione della p. in forma individuale, il rito comunitario con assoluzione generale. • Eccl. - Monache di Santa Maria Maddalena della P.: ordine istituito da Leone X nel 1520 a Roma; ha regola agostiniana di strettissima clausura. ║ Suore della P. cappuccine: appartengono al Terzo Ordine regolare di San Francesco e furono istituite in Francia nel 1614 secondo una rigida regola di vita contemplativa. ║ Suore di San Giacomo della P.: terziarie francescane, furono istituite in ordine nel 1504 in Spagna, dal francescano cardinal Ximenes.