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Pena.

(dal latino poena, der. del greco poiné: ammenda, castigo). Punizione, castigo comminati dalla legge e imposti dall'autorità giudiziaria tramite processo a coloro che violano un comando della legge stessa. ║ Con riferimento alla giustizia divina, castigo inflitto ai peccatori. ║ Dolore, patimento, sofferenza morale: p. d'amore. ║ Afflizione derivante dalla vista della sofferenza altrui: mi faceva p. ║ Preoccupazione che nasce da timore: stare in p. per qualcuno. • Dir. - L'essenziale funzione della p. è la protezione della società contro azioni compiute a danno della sua esistenza e sviluppo. Nel diritto vigente, la p. colpisce soltanto l'autore del reato; la sua applicazione è rigorosamente disciplinata dalla legge, è sempre applicata a chi ha violato la legge ed è proporzionata al reato. • Encicl. - Da principio la p. coincide con la vendetta perpetrata al reo da parte dell'offeso. Nelle società a struttura semplice, la p. si traduce in un compenso materiale alla vittima o alla sua famiglia, in una mutilazione fisica del reo (legge del taglione) o, nei casi più gravi, nella p. di morte (impiccagione, decapitazione, annegamento, lapidazione, ecc.). Prima della nascita dello Stato sono la società segreta, il capo o l'anziano che fanno da tribunale giudicante, oppure è l'individuo o il gruppo stesso a farsi giustizia per proprio conto. Gli atti punitivi in questi casi sono accompagnati da complesse regole rituali, atte a ristabilire l'ordine violato. Con l'istituzione di un'autorità centrale è lo Stato che punisce i reati, considerati non più come offese al singolo, ma come attentati alla sicurezza sociale. Da qui il dualismo tra p. privata e pubblica, che si sviluppa a partire dal mondo greco-romano e germanico: nella civiltà greca ha un'evoluzione più lenta rispetto al mondo romano. In età regia, a Roma si hanno attestazioni dell'esistenza dei quaestores parricidii e dei duoviri perduellionis, con il compito di intervenire in caso di reati gravi di pubblica p. Dalla legge del taglione per le giustizie private si passa al pagamento di somme di denaro, che diventano legalizzate, anche se non a natura risarcitoria fino in epoca classica; in età post-classica, la somma che il reo deve alla vittima assume il valore di risarcimento, che segna il passaggio dalla giustizia civile a quella penale e la fine della p. privata; con l'accrescimento dell'autorità dello Stato la p. pubblica aumenta la sua sfera d'intervento. In epoca imperiale si accresce il potere giurisdizionale del principe e dei suoi funzionari. Nel Basso Impero si moltiplicano i reati e la gravità delle p. In epoca medioevale, nei territori occupati dai popoli germanici, torna in auge la p. privata; la vendetta (faida) viene sostituita da una p. pecuniaria (quidrigildo); la p. pubblica viene impartita per reati che offendono la pace sociale. Sotto i Carolingi lo Stato interviene nel campo del diritto penale privato, fino allo sgretolarsi dell'Impero che porta all'affermarsi del particolarismo, nel campo della difesa privata, preventiva e repressiva. Invece, nei territori non soggetti ai popoli germanici, la p. pubblica mantiene una maggiore estensione. Il potere punitivo dello Stato, che porta alla sparizione della p. privata, diventa un elemento determinante a partire dal 1000, anche se la vendetta privata non sparisce completamente. Nell'età moderna, fino al XVII sec., alla ferocia delle p. e dei supplizi si introduce la p. detentiva scontata in terribili carceri; solo con il XVIII sec. la scienza penalistica comincia a sostenere principi di umanità nei confronti dei delinquenti, attraverso la riflessione sulla funzione della p. e sull'origine del diritto di punire; per quanto riguarda la giustificazione della punizione, il pensiero assume una portata più ampia che coinvolge la questione dell'origine dello Stato stesso. ║ Teorie sulla funzione della p.: nel XVIII sec., superata la teoria dell'origine divina dello Stato, che viene ritenuto un'emanazione di Dio, la giustificazione sull'origine dello Stato è influenzata dalle dottrine contrattualistiche, secondo le quali lo Stato, che nasce da un patto tacito o espresso da tutti i consociati, ha la funzione di reprimere la violazione della legge entro certi limiti e con forme determinate (principio di legalità); da ciò deriva che le p. sono proporzionate all'entità della violazione. Il peso delle teorie contrattualistiche è tale da influenzare anche le teorie materialistiche che giustificano il potere assoluto dello Stato: l'uomo, a causa della situazione di guerra di tutti contro tutti, dovuta al suo naturale egoismo, ha bisogno di un patto tacito attraverso il quale rinuncia al suo diritto naturale per rimetterlo nelle mani di un sovrano; ma i poteri di quest'ultimo non possono spingersi fino ad annullare i vantaggi prefissati dagli individui con tale patto. La problematica relativa alla giustificazione del potere punitivo viene abbandonata dalla scienza penalistica successiva, e passa ad altre discipline, mentre perdura sulla dottrina penalistica l'influenza delle teorie contrattualistiche, com'è evidente anche oggi da un indirizzo di pensiero che sostiene la teoria del diritto soggettivo di punire spettante allo Stato: il cittadino cede parte delle sue libertà allo Stato per essere protetto e lo Stato acquisisce il potere di punire. La problematica relativa alla fonte legittimatrice del potere punitivo è evidenziata dal ricorso alla nozione di ordinamento giuridico che si presenta con le caratteristiche di completezza, di concretezza e dell'imperatività delle norme, con la conseguente applicazione della sanzione. La funzione della p. è stata affrontata da nuove teorie, oltre quelle classiche della retribuzione, dell'intimidazione e dell'emenda. Secondo la teoria della retribuzione la p. è da interpretarsi come risultato corrispondente del male e obbedisce o ad una esigenza della coscienza morale, come afferma U. Grozio, o ad un imperativo assoluto della ragione, come afferma Kant, o, infine, al principio della negazione della negazione che sostiene il diritto e l'autorità dello Stato violato, come afferma Hegel. La teoria della intimidazione punta sulla previsione della sofferenza in seguito al compimento di delitti; tale minaccia distoglierebbe l'individuo da azioni criminose, secondo le tesi di P.J.A. von Feuerbach e G.D. Romagnosi. Infine, la teoria dell'emenda dà alla p. una funzione di redenzione del delinquente, come sostengono, in età moderna, H. Ahrens e U. Spirito e, nel diritto romano, il giureconsulto Paolo. Altre teorie negano, invece, la responsabilità dell'individuo per il delitto da lui commesso, facendola risalire all'azione di cause sociali, come sostengono le teorie marxiste e psicofisiche di C. Lombroso e R. Garofalo, e sottolineano la funzione della p. come strumento di difesa dell'individuo e della società: il delinquente è considerato come un malato e dunque non deve essere punito, ma posto nelle condizioni di non nuocere e di essere riadattato alla vita sociale. Questa teoria porta come conseguenza la nascita della misura di sicurezza, che serve a combattere la pericolosità del delinquente. I sostenitori della teoria del disadattamento (concetto accolto in parte anche nella legislazione vigente minorile) ritengono necessario un ripensamento dell'utilità della nozione di p. e cercano di spiegare il fenomeno di manifestazioni irregolari dell'individuo nei suoi rapporti con la società. Secondo tale teoria l'adozione di misure afflittive risulterebbe addirittura dannosa, poiché il compito della società consiste nel rimuovere le cause del disadattamento e agevolare l'inserimento dell'individuo nella società. La teoria della devianza, infine, sostenuta da A.K. Cohen e H.L. Ross, parte dalla constatazione che, in tutti gli indirizzi scientifici, ogni comportamento in contrasto con gli schemi tradizionali è stato sempre valutato come anormale e quindi da correggere; con il termine devianza si intende escludere un'accezione negativa e dimostrare che l'atteggiamento dell'individuo, apparentemente in contrasto e in opposizione alle norme sociali, in realtà dipende da un suo diverso complesso di valori, senza ravvisare in esso alcuna situazione di anormalità da correggere; in questa concezione, che si riallaccia al problema del conformismo sociale, la p. può apparire non solo inutile, ma addirittura dannosa, perché contribuirebbe al mantenimento del conformismo, che si può rivelare come un ostacolo della società. A prescindere da tutte le teorie storiche sulla p., secondo una definizione formale e giuridica, la p. viene definita come conseguenza giuridica del reato e la realizzazione della necessaria sanzione penale. ║ Ordinamento italiano vigente: nel diritto odierno la p. stabilita per la tutela di interessi pubblici assume gli aspetti della sanzione amministrativa e della p. criminale, che si pone sul piano generale dell'ordinamento amministrativo. Se l'influsso delle teorie illuministiche e liberali tendeva a estendere la p. all'ambito del diritto penale, sottraendola da quello amministrativo, oggi al contrario l'orientamento giuridico preme perché le p. di minore entità siano applicate in sede amministrativa. La Costituzione italiana stabilisce che le p. possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato; l'esigenza di rieducazione non deve essere sopravvalutata al punto da fare ritenere incostituzionali le p. che non prevedano esplicitamente il riadattamento. La p. di morte non è ammessa nemmeno dalle leggi militari di guerra (L. 13-10-1994, n. 589). Le p. si distinguono in principali e accessorie. Le prime sono comminate dal giudice con la sentenza di condanna, e si distinguono in detentive (ergastolo e reclusione per i delitti, arresto per le contravvenzioni) e pecuniarie (multa per i delitti, ammenda per le contravvenzioni); le p. accessorie seguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa. Le p. accessorie per i delitti sono l'interdizione dai pubblici uffici, l'interdizione da una professione o da un'arte, l'interdizione legale, la perdita della capacità di testare e la nullità del testamento fatto prima della condanna, la perdita o la sospensione dell'esercizio della patria potestà o dell'autorità maritale; p. accessoria per le contravvenzioni è la sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte. La pubblicazione della sentenza penale di condanna è p. accessoria comune ai delitti e alle contravvenzioni. Nei limiti fissati dalla legge, il giudice applica la p. discrezionalmente, indicando i motivi che giustificano l'uso di tale potere discrezionale, e tenendo conto dell'entità del reato e della capacità a delinquere del reo. Di regola, le leggi penali non stabiliscono per ogni reato una p. fissa, ma lasciano un certo margine fra un limite minimo e un limite massimo, a seconda dell'applicazione di circostanze attenuanti o aggravanti. La scelta di procedimenti semplificati determina la possibilità per il condannato di usufruire di ulteriori diminuzioni di p.; le p. detentive brevi possono essere sostituite dal giudice con provvedimenti della libertà controllata e della semidetenzione o con la p. pecuniaria. • Dir. can. - Le p. canoniche consistono nella privazione di beni di cui godono i membri della Chiesa. Si distinguono in p. medicinali o censure, dirette all'emenda del colpevole (scomunica, sospensione e interdetto), e in p. espiatorie, che hanno lo scopo del ristabilire l'ordine giuridico violato e possono colpire tutti i fedeli o specificatamente i chierici (privazione di un ufficio, proibizioni, dimissioni, ecc.).