(dal latino
pâuper: povero). Fenomeno di natura economico-sociale
per cui, in conseguenza di crisi economiche, guerre, carestie, mancanza di
risorse naturali, scarso spirito di intraprendenza si verifica una diffusione
della miseria negli strati meno abbienti della popolazione. Il termine comparve
per la prima volta ed entrò rapidamente in uso in Inghilterra agli inizi
del XIX sec., in corrispondenza delle prime fasi della Rivoluzione industriale e
con riferimento alle situazioni di crescente povertà e indigenza
strutturalmente connesse al momento storico. La pratica linguistica assunse poi
questa parola per indicare, in senso più ampio e al di là di una
precisa delimitazione cronologica, il problema della povertà. ║
Ideale di povertà proprio di alcuni ordini religiosi cristiani. •
Sociol. - Il problema del
p. si è imposto soprattutto a partire
dall'età moderna, in particolare con il diffondersi dell'economia di
scambio e dei fenomeni ad essa connessi: numerosi coltivatori, infatti, hanno
dovuto lasciare la terra, trovandosi improvvisamente senza un lavoro, nella
condizione di dover scegliere tra le due uniche possibilità di emigrare
nelle città o di inserirsi nel bracciantato agricolo. A queste
circostanze è legato il periodo storico che comprende i secc. XVI-XVII,
caratterizzato da numerose e violente rivolte di contadini e dal diffondersi del
fenomeno del vagabondaggio dei mendicanti. Nei Paesi protestanti si cercò
di risolvere la situazione attraverso l'intervento statale, con un'azione che
trova il suo più significativo esempio nelle
Poor-laws
dell'Inghilterra, leggi per i poveri in cui al precedente concetto di
beneficenza si sostituiva quello di rieducazione al lavoro, con un atteggiamento
che si proponeva di essere repressivo ed assistenziale insieme. Diversa fu la
reazione nei Paesi cattolici, dove in seguito al Concilio di Trento, invece, si
misero da parte eventuali soluzioni proposte dai poteri laici e si optò
per l'intervento e l'assistenza della Chiesa. Fu solo intorno alla fine del
XVIII sec., tuttavia, che il fenomeno del
p. emerse in tutta la sua
gravità, come conseguenza, questa volta, dello sviluppo della grande
industria, del notevole incremento della popolazione, dell'improvvisa
introduzione di donne e bambini sul mercato del lavoro, del concentrarsi nelle
città di copiose masse di salariati, esposti ai pericoli della
disoccupazione e della fame. Il Governo inglese varò una serie di misure
volte ad adeguare i salari all'aumento del costo della vita. La Francia
rivoluzionaria, da parte sua, si espresse nelle più organiche proposte
del
Comité de mendicité; tuttavia, i risultati ottenuti
furono solo provvisori. Nel XIX sec. furono svolte numerose inchieste sulla
miseria e, in particolare, si verificò una profonda revisione dei
principi dell'economia classica. Il bisogno di una profonda opera di previdenza
e di assistenza emerse chiaramente da questi studi, imponendo cambiamenti
radicali. Solo a partire dal XIX sec., tuttavia, dietro la pressione esercitata
dal sindacalismo operaio e da alcune associazioni politiche attive su questa
linea, i Governi iniziarono effettivamente a muoversi per realizzare un vasto
complesso di leggi sociali, finalizzato al raggiungimento della sicurezza
sociale e radicato nell'introduzione delle assicurazioni obbligatorie. A livello
teorico, il problema del
p. fu affrontato innanzitutto da T.R. Malthus,
il quale lo collocò nel quadro storico creatosi con la nascita e lo
sviluppo del capitalismo e lo attribuì allo squilibrio sorto tra
l'eccedente popolazione e le concrete fonti di nutrimento, decisamente
insufficienti. K. Marx e F. Engels spiegarono il
p. come conseguenza
naturale della "teoria del crollo", per cui i capitalisti sarebbero stati
costretti dalla caduta tendenziale dei saggi di profitto a comprimere in modo
costante i salari a livello di sussistenza, in modo da garantirsi margini
costanti di
plusvalore, cioè di lavoro non retribuito. La teoria
marxista e quelle che, insieme ad essa, costituiscono il "socialismo
scientifico", sono state in seguito messe in discussione da E. Bernstein e dal
suo "revisionismo socialdemocratico" e poi da J.-A. Schumpeter; questi
pensatori, i quali muovono dall'opposta teoria (definitasi su base
essenzialmente empirica), secondo la quale il benessere e l'arricchimento, non
il
p., sarebbero state le conseguenze più incisive del diffondersi
del capitalismo.