(dal latino
partus, der. di
parere: partorire). Processo
fisiologico con cui si conclude lo stato di gravidanza. Nascita. ║ Per
metonimia, la creatura partorita; nel linguaggio poetico, figlio. ║ Per
estens. - Prodotto dell'ingegno, creazione della mente (usato anche in tono
ironico):
p. letterario;
p. della fantasia, cosa inventata.
║ Fig. -
Il p. della montagna: detto di grandi opere che danno
risultati assai inferiori alle aspettative. • Med. - Il termine indica,
sul piano clinico, l'espulsione o l'estrazione del feto dall'organismo materno,
cui fa seguito il cosiddetto
secondamento, ovvero l'espulsione degli
annessi fetali (placenta, membrane ovulari, troncone placentare del funicolo
ombelicale). Il
p. può essere
naturale, se viene espletato
per effetto delle sole contrazioni uterine, o
artificiale, se necessita
dell'intervento medico, che può essere manuale o strumentale. Il
p. si definisce inoltre
eutocico o
distocico a seconda che
si svolga senza o con difficoltà o pericoli per la vita della madre o del
feto. Tra le distocie più frequenti si ricordano quelle legate ad
anomalie del canale, del feto o delle forze. Le distocie del canale possono
interessare la porzione ossea oppure quella molle: le prime consistono in vizi
nella conformazione del bacino che impediscono la progressione del feto; le
seconde, che interessano utero, vagina o vulva, sono dovute ad anomalie da
tumori, da esiti cicatriziali oppure da tumescenze pelviche (cisti ovariche,
rene pelvico, ecc.). In entrambi i casi si interviene generalmente con taglio
cesareo a termine, oppure eseguito dopo un
p. di prova, cioè
facendo avanzare il travaglio fino a che non si presentino rischi per la madre o
per il bambino. Le distocie fetali riguardano lo sviluppo anormale del volume
del feto oppure la sua presentazione anomala: con la faccia, frontale o
podalica. Anche in questo caso si interviene sempre più frequentemente
con il taglio cesareo. Nelle distocie dinamiche, che riguardano anomalie nelle
contrazioni uterine, dei muscoli addominali e pelvici o una insufficiente
dilatazione cervicale, la terapia è medico-farmacologica. Infine, il
p. può essere
semplice quando si ha l'espulsione di un solo
feto, o
multiplo quando i feti sono due o più. ║
Il
processo del parto: se si considera il processo del
p. vero e
proprio, esso consiste nella discesa del feto, sotto la spinta delle contrazioni
uterine e di quelle volontarie dei muscoli addominali e del diaframma, dalla
cavità uterina in cui è ospitato lungo il canale del
p.,
costituito dal cingolo osseo del piccolo bacino e dalla porzione inferiore
dell'utero, dalla vagina e dalla vulva (parti molli), nonché dalla sua
espulsione. L'insieme dei fenomeni generali e soprattutto locali che precedono e
accompagnano il
p. viene detto
travaglio. Il passaggio del feto
lungo il canale del
p. può avvenire grazie alla modificazione
degli organi genitali materni che, sotto l'azione delle contrazioni, si dilatano
(periodo dilatante del travaglio di
p.). Le contrazioni (avvertite come
dolori localizzati nella regione lombare e chiamate anche doglie) sono
involontarie e hanno un andamento ritmico, raggiungono cioè
un'intensità massima per poi diminuire e lasciar spazio a un intervallo
di rilasciamento muscolare. Inizialmente si susseguono ogni 15-20 minuti, per
poi raggiungere, nella fase finale, la frequenza di una contrazione al minuto.
Quando il collo dell'utero ha raggiunto la massima dilatazione (10 cm circa),
per consentire il passaggio della testa del bambino, ha fine il periodo
dilatante (che può durare 4-5 ore nelle nullipare e un paio d'ore nelle
multipare) al termine del quale si ha generalmente la rottura spontanea della
cosiddetta borsa delle acque. Il collo dell'utero, accorciato e dilatato, forma
ormai insieme alla vagina un unico canale d'uscita. Nella seconda fase del
travaglio, il cosiddetto periodo espulsivo, alle contrazioni uterine si aggiunge
il bisogno di spingere avvertito dalla madre: ad ogni contrazione corrispondono,
in questa seconda fase, tre-cinque spinte volontarie esercitate dal torchio
addominale. Se le contrazioni sono valide e regolari e le spinte efficaci,
questa fase può durare in media un'ora per chi è al primo figlio,
20-30 minuti per chi ha già partorito. Durante il periodo espulsivo il
bambino si impegna attivamente per cercare di uscire: tenendo le braccia e le
gambe strette contro il busto, flette la testa puntando la nuca verso l'uscita.
Il percorso è per lui faticoso perché la vagina, anche se non
è molto lunga, è stretta ai lati dalle ossa del bacino. In questa
fase il medico e l'ostetrica si limitano a sorvegliare che tutto proceda
regolarmente, controllando il battito cardiaco fetale tra una contrazione e
l'altra. Verso la fine le contrazioni si fanno più intense e ad ogni
contrazione il perineo (spazio compreso tra l'ano e la vagina) si distende e
comincia ad apparire la testa: l'ostetrica compie alcuni movimenti manuali per
aiutare la testa a passare nel canale del
p. Il medico può
decidere di praticare una piccola incisione (episiotomia) per allargare
l'apertura vulvare consentendo alla testa del bimbo di uscire più
facilmente evitando lacerazioni. La testa del bambino esce con la nuca verso
l'alto, poi l'ostetrica aiuta il corpo a scivolare fuori ruotando il bimbo in
modo che le spalle siano in asse con l'apertura della vulva: prima esce la
spalla sotto il pube, poi l'altra e molto rapidamente tutto il resto. Terminata
l'espulsione, viene reciso il funicolo ombelicale che unisce il feto alla madre.
Dopo 5-10 minuti (ma talvolta è necessario un periodo leggermente
più lungo) l'utero si contrae nuovamente e ha inizio l'espulsione della
placenta e delle membrane che formavano la borsa delle acque (secondamento).
Ultimata l'espulsione della placenta, l'utero rimane contratto per evitare
emorragie. Per quanto riguarda il tempo di gravidanza, il
p. può
verificarsi prima della fine del periodo di gestazione (
p. abortivo,
p. prematuro e
p. precoce), al termine (
p. a termine, che
avviene tra il 266° e il 294° giorno di gravidanza), oppure oltre il
termine stesso (
p. tardivo, oltre il 295° giorno). Il
p.
viene considerato abortivo quando avviene entro il 180° giorno di
amenorrea, prematuro tra il 180° e il 250° giorno, precoce se si
verifica pochi giorni prima del termine, ovvero tra il 251° e il 265°
giorno di gravidanza. Mentre il
p. precoce non si differenzia da un
normale
p. a termine, poiché il feto ha ormai tutte le
caratteristiche della maturità, il
p. prematuro è
considerato un'evenienza patologica. La precoce insorgenza del travaglio,
infatti, è generalmente causata da malattie della madre (malformazioni e
tumori uterini, fibromi, malattie infettive, gestosi, ecc.) oppure da anomalie
degli annessi fetali o del feto stesso. Mentre per la madre la prognosi di un
p. prematuro non è diversa da quella di un
p. a termine,
per il feto (a parte i casi in cui nasce morto) la prognosi rimane riservata sia
per l'immaturità del feto stesso sia per le difficoltà che
presenta la cura dei prematuri. Il
p. prematuro può anche essere
appositamente provocato qualora sussistano malattie pericolose per la vita della
madre o del feto (gestosi tossiche, distacco prematuro della placenta, placenta
previa, sofferenza fetale cronica, ecc.) ║
P. accelerato: metodo
ostetrico finalizzato a ottenere un espletamento rapido del
p., a
travaglio iniziato. È indicato nei casi in cui vi sia pericolo di vita
per la madre o per il feto. Può essere eseguito con metodi fisiologici,
meccanici o chirurgici. ║
P. indolore:
p. che, per
intervento medico, si svolge senza sofferenze per la partoriente. Numerosi
furono nel corso del tempo i tentativi operati dagli ostetrici per ottenere una
soddisfacente analgesia, non compromettendo il normale espletamento del
travaglio. L'analgesia ostetrica deve sopprimere il dolore e, nello stesso
tempo, non deve ridurre la potenza delle contrazioni uterine né la
capacità della madre di partecipare alle spinte espulsive; inoltre non
deve arrecare danni alla madre o al feto. Nella fase dilatante si può
fare ricorso ad antispastici e analgesici per via parenterale; assai efficaci
risultano l'anestesia peridurale e il blocco anestetico paracervicale. Si
è inoltre affermato un indirizzo che mira a realizzare l'attenuazione del
dolore durante il
p. senza l'impiego di mezzi medicamentosi, ma mediante
il superamento della paura che accompagna generalmente le gestanti
(
psicoprofilassi del dolore). Con tale metodo, attraverso periodici
colloqui e lezioni, la futura madre viene liberata da ogni apprensione e quindi
dalla tensione neuromuscolare che accentua la sensibilità dolorifica.
Inoltre, durante gli ultimi mesi di gravidanza, è bene che la futura
madre esegua un certo numero di esercizi respiratori e di rilassamento
muscolare, con i quali è possibile comunque ottenere una parziale
diminuzione dei dolori del travaglio. ║
P. indotto:
p. che
si verifica quando il travaglio viene provocato artificialmente attraverso la
somministrazione di farmaci che danno avvio alle contrazioni oppure attraverso
la rottura della borsa delle acque. L'induzione del
p. può essere
necessaria quando un'insufficienza placentare provoca un ritardo
nell'accrescimento del feto; quando la madre soffre di gestosi, diabete o
malattie che possono ripercuotersi sulle funzioni della placenta; quando la
gestazione si prolunga oltre il termine. ║
P. pilotato: metodo
ostetrico adottato quando il travaglio inizia spontaneamente ma le contrazioni
non sono regolari oppure sono troppo deboli per consentire al bambino di
scendere nel canale del
p. È possibile allora pilotare il
p., cioè correggerne l'andamento attraverso la somministrazione di
farmaci che rafforzano e facilitano le contrazioni uterine. In genere viene
somministrata ossitocina in perfusione endovenosa a velocità
proporzionale all'effetto man mano ottenuto. • Veter. - Si ritengono
tipicamente unipare la cavalla e l'asina; gemellari la vacca e la pecora, spesso
la capra, frequentemente trigemina; pluripare la cagna, la gatta, la scrofa. La
durata della gravidanza è diversa nelle femmine delle diverse specie:
è di circa 11 mesi nella cavalla e di qualche giorno più lunga
nell'asina; di 9 mesi e mezzo nella vacca; di 5 mesi nella pecora; di 4 mesi
nella scrofa; di 2 mesi nella cagna e nella gatta. Relativamente alla durata, il
p. può essere a termine o prematuro. Infine il
p. è
fisiologico, eutocico, quando avviene naturalmente; distocico, ovvero anormale e
faticoso, quando sono necessarie manovre ostetriche o interventi strumentali.
• Mit. -
P. verginale (
partenogenesi): motivo che ricorre in
numerosi miti e leggende di diversi Paesi, che narrano di uomini eccezionali
nati eccezionalmente da vergini. In Grecia, ad esempio, il mito di Danae narrava
che la fanciulla, ingiustamente imprigionata in una fortezza inaccessibile,
aveva dato alla luce Perseo. In Cina una leggenda molto diffusa voleva che il
fondatore dell'Impero, Fuxi, fosse nato da una vergine fecondata da un fiore che
lei stessa aveva mangiato.