(dal greco
parabolé: paragone, attraverso il latino
parabola, e il latino volgare
paraula). Complesso di suoni
articolati (cioè di uno o più fonemi), organizzati mediante un
accento tonico, e la corrispondente trascrizione con segni grafici, che
rappresenta nella coscienza del parlante una denotazione concettuale unitaria.
In quanto elemento autonomo, sia foneticamente sia graficamente, e perciò
isolabile all'interno di un discorso, il termine assume valore affine a
vocabolo. ║ Per metonimia, frase, breve discorso. Anche il
contenuto, il significato di un discorso. ║ Al plurale, gli elementi che
costituiscono un discorso. ║ Spreg. - Espressione meramente verbale e
perciò aleatoria e inconcludente. In questa accezione si contrappone al
termine "fatti", cioè all'azione concreta e risolutiva. ║ Fig. -
P. di colore oscuro: frasi incomprensibili. ║ Fig. -
Giro di
p.: circonlocuzione; perifrasi usata allo scopo di confondere le idee e
nascondere il vero significato di ciò che si afferma. ║ Fig. -
Giochi di p.: motti di spirito, bisticci verbali, ecc. ║ Fig. -
In una p.: formula riassuntiva, premessa alla conclusione di un discorso
o di un ragionamento che ne racchiude il significato sostanziale. ║
Liturgia della p.: V. LITURGIA E MESSA.
• Ling. - L'esistenza di differenti scuole e teorie e la
molteplicità dei significati possibili rendono difficoltosa una
definizione univoca ed esauriente del termine da un punto di vista linguistico.
L'accezione per ora più largamente condivisa (in quanto lata e generica)
è quella di "forma libera minima", cioè della più piccola
unità di fonemi isolabile all'interno di una frase, in quanto dotata di
significato e funzione autonoma. In questo senso la
p. concerne in primo
luogo il valore semantico, cioè è tale quando occupa nella
coscienza espressiva del parlante un significato proprio cui, però, se ne
può affiancare anche un altro, derivato dal contesto, che integra e
supera quello dei morfemi che eventualmente la costituiscono (si pensi al
francese
pomme de terre,
p. composta da tre morfemi, che
letteralmente significa mela di terra, ma semanticamente patata). Esistono
tuttavia dei criteri di identificazione delle
p., in base ai quali
è possibile isolare l'unità minima autonoma. Essi considerano le
proprietà fonologiche (accento tonico, armonia vocalica); le
proprietà sintattiche (separabilità o inseparabilità); le
proprietà paradigmatiche, cioè l'appartenenza a una classe
formale. Per quanto riguarda invece la classificazione delle
p., è
possibile assumere vari punti di vista: secondo il contenuto (lessema) o la
modalità d'uso, distinguendo cioè neologismi, arcaismi,
tecnicismi, ecc.; secondo la qualità tonica, distinguendo, ad esempio in
italiano,
p. tronche, piane, sdrucciole, bisdrucciole, ecc. Il metodo
più significativo resta comunque quello grammaticale, che categorizza le
p. in quanto "parti del discorso", aventi cioè funzione e
costituzione formale diverse. Le principali funzioni grammaticali furono
individuate già da Aristotele: nome (
ónoma), predicato
(
rhéma), articolo (
ártron). In tempi successivi si
arrivò agli attuali nove elementi, che comprendono, oltre ai già
citati: pronome, aggettivo, avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione.
Per quanto riguarda l'identificazione tipologica in base alla costituzione
formale, ovviamente variabile in relazione alla lingua considerata, esistono
tuttavia alcune categorie generali, quali:
p. variabili o invariabili
(cioè capaci o meno di flessione), semplici, derivate o composte. •
Lett. -
P. in libertà: locuzione concepita da F.T. Marinetti, con
la quale, nel
Manifesto tecnico della letteratura futurista del 1912,
egli intendeva definire la sua personale poetica (in seguito adottata da tutto
il movimento dell'avanguardia futurista). Secondo tale concezione di
espressività artistica e culturale, le
p. dovevano essere
"liberate" dalla struttura della sintassi e delle regole grammaticali, dai
legami della punteggiatura, dalle inutili specifiche dell'avverbio e dagli
orpelli dell'aggettivo, per comunicare solo attraverso l'essenzialità del
verbo all'infinito e del nudo sostantivo. Solo tali
p., a suo parere,
consentivano di ottenere uno
stile analogico in cui, attraverso un
susseguirsi di immagini e una concatenazione di idee, il poeta poteva esprimere
senza mediazioni e intermediari la propria vocazione lirica (detta anche
immaginazione senza fili). • St. delle rel. - Presso le culture
primitive, ma anche per molte religioni storiche antiche, la
p. ebbe una
grande importanza magico-religiosa. La
p., infatti, in quanto distingue
una realtà dalle altre, ne rappresenta anche la sostanza e, pertanto,
è in grado di evocare la realtà medesima che indica, essendone
l'equivalente reale. A questa concezione si legano i numerosi esempi mitologici
di creazione dell'universo per mezzo della
p. (V.
COSMOGONIA E CREAZIONE). Alla facoltà di evocare e quindi di
creare il reale, corrisponde anche una facoltà distruttiva o comunque
pericolosa: da qui deriva il tabù, diffuso in molte civiltà, in
relazione ad alcune
p. L'individuo deve, cioè, astenersi perfino
dal nominare determinate realtà, dal momento che la
p. che le
distingue conferisce ad esse l'esistenza e attiva la loro valenza negativa. Tale
astensione dalla pronuncia è però anche rivolta, per motivi
diametralmente opposti, alle
p. che identificano le cose sacre (si pensi
al veto ebraico, di origine antichissima ma tuttora valido, che impedisce la
pronuncia del nome di Dio, sentita di per sé come bestemmia). Esempi
della potenza attribuita alla
p. possono essere riconosciuti in alcuni
elementi della mitologia e teologia sumero-babilonese, per la quale conoscere il
nome di qualcuno o di una realtà conferisce potere su di essa: si
riteneva, ad esempio, che fosse noto uno solo dei numerosi nomi delle
divinità, dal momento che conoscerli tutti avrebbe attribuito a un
individuo potere assoluto sulle divinità stesse. Ancora, nell'India
vedica, il potere sacerdotale risiedeva nella perfetta conoscenza della
vac, la
p. degli inni e dei sacrifici, mediante la quale il
brahmano poteva esercitare la propria volontà anche sugli dei. La valenza
magica della
p., tuttavia, era rivolta nelle civiltà primitive e
antiche soprattutto al controllo degli eventi naturali, elaborando formule in
cui la
p. era "realtà operante"; tali formule rituali avevano
valore ed efficacia non tanto per il loro contenuto, quanto proprio per
l'aspetto formale, motivo per cui esse venivano scrupolosamente tramandate nella
forma originaria. • Psicol. -
P.-frase: momento proprio
dell'evoluzione linguistica del bambino, che si verifica generalmente tra l'anno
e l'anno e mezzo di vita, in cui il bambino condensa in un'unica
p. il
significato di una frase intera (ad esempio:
cane! per
quello che vedo
è un cane). ║
Insalata di p.: sintomo di dissociazione
verbale (e spesso ortografica) manifestato da individui schizofrenici. Si tratta
di un disturbo del linguaggio che si evidenzia nella perdita di concatenamento e
nesso logico tra le
p. • Dir. internaz. -
Liberazione sulla p.
dei prigionieri di guerra: istituto sancito dalle Convenzioni dell'Aia (1889
e 1907) e teoricamente ancora vigente, anche se non esplicitamente ribadito
dalla Convenzione di Ginevra del 1949 sul trattamento dei prigionieri di guerra.
Esso consiste nella possibilità di porre termine alla prigionia in base
all'impegno, da parte del prigioniero stesso, di non riprendere le armi contro
il Paese che lo detiene. In caso di nuova cattura in armi di un soldato liberato
dietro tale accordo, egli non si vedrà riconosciuto più lo
status di prigioniero di guerra, ma potrà essere giudicato da un
tribunale dello Stato che lo detiene. • Inf. -
P. di macchina:
gruppo ordinato di caratteri, appartenenti al linguaggio di macchina, che
costituiscono un'informazione compiuta. Si tratta del numero massimo di
caratteri che la macchina è in grado di trattare in una singola
operazione. ║
P. d'ordine (
password): codice di
riconoscimento che permette all'utente di accedere all'elaboratore o a suoi
determinati documenti secretati. ║
P. chiave: ciascuno di quei dati
che, nella conduzione di una ricerca all'interno di un archivio informatizzato,
permette di raccogliere rapidamente un certo numero di informazioni utili o di
ordinare una lista di elementi. Per esempio, in un
file contenente
indirizzi sparsi, il cognome degli individui può essere utilizzato come
p. chiave per ordinare alfabeticamente gli indirizzi. • Mil. -
P. d'ordine: locuzione, mutuata dal francese
mot d'ordre, che
indica un segnale verbale, segreto e convenzionale, di riconoscimento adottato
dalle forze armate. Esso permette, durante i servizi di guardia o di presidio,
l'identificazione, da parte dei responsabili dei servizi medesimi, di coloro che
si avvicinano al luogo loro affidato. Consiste in una
p. concordata di
volta in volta e comunicata solo a coloro che abbiano diritto, per loro funzione
o posizione, di accedere ai luoghi protetti. Il comandante della guardia ha
l'obbligo di richiederla a chi si presenti e deve a sua volta rispondere con una
controparola d'ordine già prefissata.
P. e controparola
d'ordine sono di norma cambiate ogni 24 ore. ║ Per estens. - Intesa
segreta tra più persone in relazione a un obiettivo stabilito.