Massima carica e dignità ecclesiastica, costituita dal titolo episcopale
per la città di Roma, originaria cattedra di Pietro, e dalla suprema
autorità nell'ambito della Chiesa universale (V.
PAPA). ║ Massima istituzione della Chiesa cattolica. ║
Periodo di tempo durante il quale un singolo pontefice esercita la propria
autorità. • Eccl. -
Origini del p. e sua evoluzione
nell'età tardo-imperiale: fondata sull'autorità conferita da
Gesù Cristo a Pietro nel collegio degli apostoli e da lui trasmessa ai
suoi successori, l'affermazione del primato del vescovo di Roma nel governo
della Chiesa universale fu successiva ai primi secoli del Cristianesimo. In
origine, infatti, pur essendo testimoniata una particolare autorevolezza del
vescovo romano in campo dottrinale e disciplinare anche all'esterno della sua
diocesi, essa si collocava comunque all'interno delle dinamiche sinodali e
conciliari, che furono nei primi secoli la sede naturale e collegiale delle
decisioni rilevanti in materia di fede e di costumi. Il Concilio di Nicea del
325 riconobbe al vescovo di Roma il ruolo di primate d'Italia; quelli di
Costantinopoli (381) e di Calcedonia (451) gli attribuirono la preminenza fra i
patriarchi d'Oriente e Occidente. Fu Leone I Magno (440-61), già
confermato nella sua autorità su tutta la Chiesa d'Occidente da un editto
di Valentiniano III, a elaborare per primo una dottrina del primato universale
della Chiesa romana (coniando l'espressione
plenitudo potestatis) e ad
affermare che ogni autorità dogmatica nella Chiesa procede dal papa,
successore di Pietro, e che non esiste sulla terra un potere superiore al suo.
Tali concetti poggiavano sull'indiscussa autorità che il
p. aveva
in Occidente e anche sul consenso che nel frattempo le posizioni dottrinali
sostenute dal papa in materia cristologica ebbero nel Concilio di Calcedonia. In
questo periodo, tuttavia, fu determinante l'influenza del diritto romano e della
figura imperiale nella definizione dell'
auctoritas e della
potestas del pontefice; definizione che emerse più dal confronto
con le prerogative dell'imperatore che non da una reale urgenza delle
comunità. Al primato di Roma, tuttavia, si opponeva il patriarcato di
Costantinopoli, che rivendicava una pari dignità in forza del suo essere
preposto alla nuova capitale imperiale e della superiore vivacità
intellettuale e dottrinale che si sviluppava allora in Oriente, rispetto
all'Occidente assai meno cristianizzato e quasi imbarbarito. Segno di questa
competizione fu anche il breve scisma acaciano (durato 30 anni) tra Roma e
Costantinopoli. ║
Il p. durante le dominazioni barbariche e in
età bizantina: lo stanziamento dei barbari ariani in Italia, prima
con Odoacre poi con Teodorico, giovò, contrariamente alle aspettative,
all'indipendenza del
p. dal potere imperiale bizantino che, invece, una
volta reinsediatosi in Italia, non mancò di intromettersi nelle vicende
ecclesiali. Si pensi alla deposizione di papa Silverio da parte di Belisario, o
alla questione dei Tre Capitoli, o all'obbligo dell'approvazione imperiale per
la nomina del pontefice (consuetudine che si protrasse sino all'elezione di
Gregorio III nel 731). Contemporaneamente, però, al vescovo di Roma
furono affidati grandi poteri in ambito amministrativo e cospicui patrimoni
fondiari. Figura di particolare rilievo in questo periodo fu Gregorio I
(590-604) che seppe amministrare fruttuosamente le nuove ricchezze ecclesiali,
avviare rapporti con i Longobardi e con altri Regni barbari di Occidente,
promuovendone la conversione, e dare inizio all'opera di evangelizzazione
dell'Inghilterra. Il
p., a poco a poco, fu percepito dalle popolazioni
italiane come loro rappresentante di fronte all'Impero, fatto che
originò, al di là del puro ambito religioso, una immediata
lealtà politica nei confronti del vescovo di Roma. Anche per questo
motivo, quando l'imperatore Leone III Isaurico lanciò i suoi decreti
iconoclasti avversati dalla Chiesa romana, si accentuarono con la guida di
Gregorio II (715-31) le tendenze autonomiste delle regioni italiche. Tuttavia il
p. doveva tutelare la propria indipendenza anche dalle mire
espansionistiche dei Longobardi di Astolfo che, dopo aver occupato Ravenna e
l'Esarcato, minacciava il Lazio: per questa ragione il papa invocò
l'intervento dei Franchi di Pipino che, in cambio della Corona per sé e
per la propria discendenza, donò al
p. l'Esarcato e la Pentapoli,
garantendo in tal modo autonomia politica e territoriale alla Chiesa rispetto
all'Impero bizantino. La costituzione del potere temporale dei papi
favorì l'affermarsi della supremazia del pontefice romano (cui si
attribuì il titolo di
summus pontifex) sulla Chiesa d'Oriente, ma
spostò la questione del primato del papa da un piano pastorale e di
autorità dottrinale a un piano più schiettamente politico e
giuridico, accentuando la natura verticistica della struttura ecclesiale.
L'incoronazione di Carlo Magno nell'Ottocento segnò il culmine della
collaborazione tra il
p. e l'Impero carolingio, grazie alla quale furono
enormi i progressi dell'evangelizzazione dei popoli barbari e si realizzò
l'affiliazione della Chiesa franca a quella romana. La morte di Carlo Magno e la
dissoluzione dell'Impero carolingio portarono di converso a un incremento
eccessivo dell'autorità papale, cui mancava un reale contrappeso
politico. Alla metà del IX sec., infatti, risale la compilazione di
diritto canonico dello pseudo-Isidoro (contenente anche il falso della donazione
di Costantino) tesa a creare un supporto giuridico al potere temporale del papa.
In questa situazione Niccolò I (858-67) elaborò una serie di
enunciati che sembrano preludere a una concezione teocratica del
p.
stesso. ║
Il p. durante l'età feudale: durante i secc. IX e
X, la latitanza di un genuino potere politico assicurò da un lato
l'indipendenza del
p. nell'ambito spirituale, dottrinale e
dell'organizzazione interna, ma dall'altro indebolì la sua dimensione
temporale, dal momento che la scelta del pontefice stesso risultò legata
al volere e all'influenza di poche famiglie gentilizie romane: fra tutte
ricordiamo quella dei Teofilatto, che governò Roma a lungo. Giovanni XII
fu l'ultimo papa espresso da tale famiglia (955-64). La restaurazione di un
Impero romano-germanico, operata dalla casa di Sassonia con i tre Ottoni
(V. OTTONE I, II, III), riportò il
p. sotto la tutela imperiale, ripristinando anche il diritto di veto
sull'elezione del pontefice da parte dell'imperatore; il declino di quella
stessa dinastia lasciò infine alla famiglia aristocratica romana dei
Tuscolo il controllo del seggio papale, dal 1012 al 1046. Ciò non
impedì al
p. di esercitare un'azione talvolta efficace, sia
ecclesiastica sia civile e politica, ma alla lunga questa situazione
generò tanti e tali scandali (si pensi a Benedetto IX) che Enrico III,
nuovo imperatore della casata di Franconia, intervenne a deporlo e, in
qualità di patrizio romano, partecipò all'elezione dei pontefici
successivi, che non a caso furono tedeschi e legati all'Impero. Infatti solo a
partire dal 1059, per decreto di Niccolò II, il diritto di elezione del
pontefice fu riservato dapprima al clero e in breve ai soli cardinali:
ciò escluse i cittadini laici, che fino ad allora avevano esercitato tale
diritto, ma in primo luogo affermò, almeno teoricamente, la
volontà della Chiesa di procedere autonomamente nell'assegnazione della
massima dignità senza l'ingerenza del potere imperiale o politico in
genere. Mentre dunque si segnava un passo importante per scindere il
p.
dai contingenti interessi dell'Impero, l'universalità della giurisdizione
papale fu menomata, nel 1054, dallo scisma d'Oriente (V.
SCISMA). Esso fu sancito dalle reciproche scomuniche tra papa Leone IX e
il patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario, ma è da attribuirsi
solo in parte alla disputa dottrinale sulla questione del
Filioque e
molto più invece a quella relativa al primato papale. Lo scisma, molto
grave sul piano ecclesiale e religioso, consentì però al
p.
di accentrare in sé tutti i poteri dottrinali e gestionali delle
comunità d'Occidente, mentre la Chiesa romana, per i suoi fedeli, venne a
coincidere
sic et simpliciter con la Chiesa stessa. La valenza politica
del
p. come istituzione assunse massimo rilievo a partire dall'XI sec.,
in connessione con la cosiddetta "lotta delle investiture", espressione della
controversia tra papi e imperatori circa i limiti e gli ambiti di esercizio
propri dell'autorità secolare e di quella ecclesiale nella medesima
società cristiana. Determinante in questo ambito fu la linea tracciata da
Gregorio VII (1073-85) che, oltre ad affermare il primato del papa nella Chiesa
universale, elaborò una dottrina secondo la quale il
p. era anche
fonte primaria ed esclusiva di ogni legittimo diritto e autorità terrena,
che il pontefice stesso dispensava poi alle varie componenti della
società cristiana. Questa concezione teocratica, sostenuta anche dai
successori di Gregorio (V. Lotta delle investiture
in INVESTITURA), portò a uno scontro
diretto tra
p. e Impero, concentrato sulla questione del diritto alle
investiture episcopali che entrambe le parti rivendicavano, ed ebbe la sua
conclusione nel 1122 con il Concordato di Worms. Pur esprimendo di fatto un
compromesso tra i due poteri, esso portò maggiori vantaggi al
p.,
dal momento che ridusse drasticamente l'influenza imperiale sulle nomine
canoniche di rango e dunque scongiurò il pericolo della costituzione di
forti Chiese nazionali, con naturali tendenze autonomiste e autocefale nei
confronti di Roma. L'ascesa politico-ecclesiastica del
p. fu
ulteriormente incrementata dalle crociate per la liberazione della Terra Santa
che, essendo formalmente un atto religioso e cioè un pellegrinaggio
armato per assolvere ad un voto, vedevano il papa alla testa del mondo cristiano
in armi. Da questa posizione il pontefice dilatò l'ambito della crociata
dalla lotta contro i musulmani a quella contro i nemici del
p., interni o
esterni che fossero alla Chiesa. ║
Il p. durante l'età
comunale: l'alternarsi dei contrasti tra
p. e Impero (nelle lotte
contro Federico Barbarossa e i suoi successori), variamente alleati con i
neocostituiti Comuni italiani e le realtà politiche europee, sortirono
un'immagine del
p. che esaltava la sua funzione universale rispetto a
quella di vescovo di Roma (città da cui peraltro il papa si trovò
esiliato più di una volta). In particolare a Innocenzo III (1198-1216) si
deve una grande opera di sistemazione teologica, che accentuò la
concezione teocratica del
p. sulla linea della precedente riforma
gregoriana. Fu ribadito il potere d'intervento nelle questioni imperiali, quello
di elezione e deposizione dell'imperatore, il diritto pontificio nel
conferimento delle cariche vescovili e nella lotta, anche armata contro gli
eretici, ecc. Di grande importanza, infine, fu l'elaborazione e la diffusione
del titolo di
Vicarius Christi, sulla base del quale il papa si poneva al
di sopra del genere umano per investitura sacrale, legittimando in tal modo la
propria supremazia tanto nella sfera spirituale quanto politica. Su tale linea
Bonifacio VIII nel 1302, con la bolla
Unam Sanctam, enunciò due
principi fondamentali: 1) il papa è l'autorità ecclesiastica
suprema e la sottomissione ai suoi decreti è dottrina necessaria alla
salvezza dell'anima; 2) entrambi i poteri competono alla Chiesa, che affida
quello temporale ai re, purché "al comando e col permesso dei sacerdoti",
essendo il potere spirituale superiore. Pertanto, l'autorità terrena
risulta stabilita e giudicata dall'autorità spirituale che, del proprio
operato, deve invece rendere conto solo a Dio. I difensori del potere regio si
richiamarono invece alla legge romana, oltre che all'antica dottrina dei due
poteri indipendenti enunciata da Gelasio. Tra i massimi difensori dei diritti
del re figura Giovanni da Parigi (
De potestate regia et papali, 1303).
Egli negò validità alla rivendicazione papale di una
plenitudo
potestatis, sia in ambito spirituale che temporale: il primato del papa,
infatti, doveva riguardare a suo parere solo la dimensione amministrativa e
gestionale, poiché tutti i vescovi godrebbero di un'uguale
autorità spirituale. ║
Il p. avignonese e lo scisma
d'Occidente: l'ostilità alla dottrina della sovranità papale
aumentò con il fallimento delle ambiziose rivendicazioni di Bonifacio
VIII contro la Francia e durante gli oltre 70 anni di pontificato avignonese.
Una nuova polemica si accese nel 1323, quando Giovanni XXII cercò di
intervenire da Avignone in un'elezione imperiale molto discussa, e
continuò durante tutto il pontificato di Clemente VI, sino alla morte di
Ludovico il Bavaro nel 1347. Dalla grande fioritura di scritti polemici emersero
due figure destinate a occupare una posizione di primo piano nella storia del
pensiero politico: Marsilio da Padova e Guglielmo di Occam, che opposero le
argomentazioni più valide contro la legittimità della
plenitudo
potestatis rivendicata dal
p. Come molti altri pensatori dei secc.
XIV e XV, contrari all'assolutismo papale, Marsilio affidò ogni speranza
di riforma a un concilio generale, anticipando di fatto le dottrine
conciliariste (V. CONCILIARISMO). La conclusione
del periodo avignonese, voluta da Gregorio XI nel 1377, innescò quello
che è ricordato come lo scisma d'Occidente (V.
SCISMA). Il succedersi e la compresenza di addirittura tre papi
costrinsero la Chiesa a rivalutare lo strumento conciliare come strumento
risolutivo in quanto sede originaria dell'autorità dogmatica e
disciplinare, superiore anche a quella del
p. Tuttavia proprio Martino V,
che era stato eletto per autorità del Concilio di Costanza (1414-18) e in
seguito alla deposizione dei papi regnanti, negò la validità del
conciliarismo e ribadì la superiorità del
p. sul momento
collegiale. Infatti, il Concilio di Basilea (1431-39) non poté che
ribadire nella Chiesa di Roma il potere sovrano del papa, rimasto indiscusso per
l'intera cristianità occidentale, sino alla Riforma protestante. ║
Il p. durante il Rinascimento: risoltosi il grande scisma con il
riconvergere della cristianità occidentale intorno al
p. romano,
quest'ultimo si dedicò a ricostruire, intorno alla riguadagnata
autorità ecclesiale, anche quella temporale attraverso la ricostruzione
di un'entità statale. Durante i secoli del Rinascimento i papi condussero
una politica omologa a quella degli altri Stati italiani, in un delicato gioco
di alleanze, mentre in tutta Europa andavano costituendosi grandi Stati
nazionali rispetto ai quali le ingerenze del
p. si ridussero a semplici
prese d'atto di fatti compiuti (in particolare V.
ALESSANDRO VI, GIULIO II, LEONE X e PONTIFICIO, STATO). Le antiche
ambizioni si erano ridimensionate a tentativi di imporre la sovranità
temporale del
p. sull'Italia centrale; ciò nonostante tale
obiettivo assorbì a lungo le energie dei papi. Machiavelli indicò
il
p. come responsabile del frazionamento politico italiano, essendo lo
Stato pontificio troppo debole per unificare sotto la propria sovranità
l'Italia e troppo forte per consentire a un altro principe di farlo. Il sacco di
Roma del 1527 e la predicazione di Lutero furono gli eventi che imposero un
drastico cambiamento nella politica del
p. ║
Il p. tra Riforma e
Controriforma: la nuova situazione politico-ecclesiale, creatasi con la
Riforma e la nascita delle Chiese protestanti, portò il
p. a una
sostanziale rinuncia all'azione politica diretta. Se nel 1516 il concilio
ecumenico lateranense aveva proclamato la superiorità del papa sul
concilio, la frattura successiva con il mondo protestante limitò
geograficamente quella medesima autorità, negandone l'istituzione divina,
la legittimità canonica e il primato sia spirituale sia politico. Dopo
avere tentato la via della reazione politica e militare, appoggiandosi
all'Impero e alla Spagna (che peraltro non raggiunsero lo scopo e riconobbero
con la pace di Augusta del 1555 la nuova divisione religiosa), il
p. si
concentrò in un'opera interna di controriforma, che culminò nel
Concilio del Trento. Con la sua mole di decisioni dogmatiche e dottrinali e di
costituzioni disciplinari, l'assise tridentina, lungi dal decentrare, se non
l'autorità papale almeno le sue funzioni e giurisdizioni, si svolse sotto
il totale e assoluto controllo dei pontefici e riservò al
p.
l'approvazione, l'interpretazione e l'applicazione delle sue delibere. Il
rinnovato prestigio religioso e morale acquisito dal
p. durante la
Controriforma poté esprimersi in particolare nella pastorale delle
missioni extraeuropee, che diedero slancio alla dimensione universale della
Chiesa romana, territorialmente mortificata dalle divisioni confessionali.
║
Il p. durante i secc. XVII e XVIII: il rafforzarsi delle
Monarchie nazionali, l'assolutismo regio e la progressiva laicizzazione della
società e della cultura, accelerò il declino della dimensione
temporale dell'autorità del papa (almeno all'esterno dello Stato
pontificio), ma tale situazione spinse ad attribuire al
p. la funzione di
unico garante e fautore di unità e uniformità all'interno della
Chiesa, in ciò particolarmente sostenuto dall'Ordine della Compagnia di
Gesù. Durante il XVIII sec. proprio intorno ai Gesuiti (a più
riprese espulsi da diversi Stati europei) e ad altri ordini ecclesiali si svolse
la lotta tra il
p. e i poteri nazionali, segnando un consistente declino
del prestigio papale. Invalse, sotto molti regimi, il giurisdizionalismo
(V.), anche se i colpi più gravi al
p. vennero dalla Rivoluzione francese: lo Stato francese incamerò
direttamente i beni ecclesiali ed emanò la Costituzione civile del clero,
avviando una lunga controversia tra la Repubblica e la Chiesa cattolica, che
culminò nell'occupazione dello Stato pontificio e la deportazione del
papa (1798-99). ║
Il p. durante il XIX sec. e fino ai nostri
giorni: mentre in Francia si normalizzava un regime di separazione fra Stato
e Chiesa, la politica di Napoleone diede impulso alla rinascita del potere
papale, tramite il Concordato del 1802 che restituiva a Pio VII prerogative
temporali. La Restaurazione del 1815 condusse alla stipula di differenti
concordati tra singoli Stati e Chiesa cattolica che, da un lato, riconoscevano
al
p. la supremazia in materia ecclesiastica entro i loro confini,
dall'altro misconoscevano di fatto ogni sua pretesa di autorità
temporale. Escludendo la parentesi del Neoguelfismo
(V.) ispirato da Pio IX, anche in Italia il
p. subì un graduale allontanamento dalla sfera temporale,
completato dall'occupazione, nel 1860, dei territori pontifici da parte della
Monarchia sabauda e da quella della stessa Roma nel 1870. Anche nel resto
d'Europa le legislazioni anticlericali accentuarono le tensioni fra
p. e
Stati nazionali. L'estromissione dall'ambito schiettamente politico e temporale
(pur se forzata) consentì al papa di dare maggior spessore alla propria
autorità ecclesiale, cui giovava l'anacronismo e insieme
l'impossibilità del sorgere di Chiese nazionali. Direttive teologiche,
dottrinali e relative al culto, emanate da Roma, resero le Chiese tra loro
sempre più uniformi e il potere papale fu riaffermato nell'ambito del
Concilio Vaticano I (1870) con la proclamazione del dogma
dell'infallibilità (V.), che rese il
pontefice centro dell'elaborazione teologica e della stessa vita ecclesiale. Da
quel momento in poi, anche attraverso gli eventi drammatici delle due guerre
mondiali, il
p. cercò sempre di mantenere una posizione
politicamente neutrale e di esercitare un proprio magistero spirituale,
più o meno apertamente e coraggiosamente, a favore della pace e della
giustizia. Il Concilio Vaticano II (1963-65), infine, giunse nei suoi lavori e
nei documenti redatti a una lettura del primato papale all'interno di un
contesto collegiale e di autonomia pastorale dei singoli vescovi. In questo
senso fu realizzata la riforma della curia romana e l'istituzione del sinodo dei
vescovi, che affianca il papa. Tuttavia il carattere puramente consultivo di
questi organismi non modificò che in parte il centralismo e, in ultima
istanza, il personalismo del
p. nella gestione dell'autorità
dottrinale e spirituale. Il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, eletto nel
1978, si è distinto particolarmente in questo senso, valendosi della
comunione spirituale e dell'apporto consultivo del corpo episcopale, ma
sottolineando la responsabilità ultima del papa in ogni scelta di
carattere dottrinale e teologico. D'altra parte, lo stile pastorale inaugurato
da Giovanni XXIII e proseguito, secondo la propria personalità, dai
pontefici successivi, ha caratterizzato il
p. come istituzione di
spessore spirituale davvero universale, tesa nello slancio ecumenico, rivolta ai
fedeli ma anche a tutti gli uomini.