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Pantomima.

(dal latino pantomimus: pantomimo). Azione teatrale realizzata da attori che si esprimono usando il corpo, senza la mediazione della parola; è talora accompagnata dalla musica o da una voce fuori campo. Dalla Grecia, dove il genere ebbe inizio, la p. fu accolta con favore dai Romani, assumendo nell'epoca augustea forme precise e definite. L'azione spettacolare si svolgeva secondo le indicazioni di un libretto, nel quale la trama era fissata per sommi capi. La parte principale era sostenuta da un ballerino munito di maschera, che si esibiva sul pulpitum (palcoscenico) coadiuvato dal coro e da un'orchestra formata da cetra, flauto, siringa, lira, cembalo, tromba e uno strumento particolare detto scabillum o scabellum. Data l'importanza preminente della danza (saltatio) quale mezzo d'espressione, la p. era detta fabula saltica. I mimi godettero di enorme popolarità presso il popolo e furono perciò oggetto di protezione da parte di cavalieri e senatori. La loro influenza fu tale da indurre a misure restrittive nei loro confronti: Augusto esiliò Pilade di Cicilia, tragico; Tiberio, secondo la testimonianza di Tacito, adottò provvedimenti per limitare i rapporti dei notabili con i mimi più in voga. In epoca cristiana la p. venne utilizzata nelle sacre rappresentazioni come preludio, intermezzo o epilogo di carattere drammatico o burlesco, ma conquistò via via sempre più autonomia. Nel XV sec. presso le corti italiane e francesi si allestirono trionfi, intermezzi, mascherate, cioè spettacoli pantomimici d'argomento mitologico o cavalleresco. Anche alla corte di Francia, sotto il nome di momeries, entremets, moresques, ecc. e, nel XVI sec., di mascarades, la p. ebbe grande fortuna e produsse spettacoli sfarzosi cui gli stessi re prendevano talvolta parte. Luigi XIV, fervido cultore di teatro, derivò anzi l'appellativo di Re Sole dall'aver interpretato a 14 anni il ruolo del Sole nel Ballet royal de la nuit (1653) di J.-B. Lulli. Nelle opere di quest'ultimo, la p. occupa una parte indipendente dal resto dell'opera, generalmente il prologo, ma all'azione mimica egli sovrappone ancora parti di canto (comèdie-ballet). In quell'epoca le sorti della p. e del balletto non erano nettamente distinguibili, tanto che la nascita del balletto stesso si fa coincidere con la fastosa rappresentazione del Ballet comique de la Reyne, spettacolo composito ideato e allestito a Parigi nel 1581 dall'italiano Baltazarini da Belgioioso. La p. fu infatti uno degli elementi del ballet de cour del XVII sec., genere teatrale di corte, sovente di carattere allegorico, che ebbe il suo apogeo in Francia sotto il Regno di Luigi XIV. Nel XVIII sec. lo sviluppo dell'arte coreutica - culminato nell'Ottocento - e la riflessione teorica di coreografi come J.-G. Noverre limitarono l'atto pantomimico a una funzione accessoria nell'ambito del balletto. Al di fuori degli ambienti colti la p. si affermò in Europa come forma teatrale a se stante, in quanto utilizzata come linguaggio universale dagli attori italiani della commedia dell'arte. In Inghilterra la p. si sviluppò con l'Arlecchino di J. Rich (1682 circa - 1761) e sopravvisse ancora sotto forma di spettacolo comico-favolistico denominato pantomime e rappresentato soprattutto nel periodo natalizio. In Francia lo spettacolo pantomimico puro raggiunse il vertice nella prima metà dell'Ottocento con J.-B.-G. Deburau, grande interprete di Pierrot e maggior esponente del mimodramma classico. Solo verso la metà del XX sec., grazie soprattutto ai mimi francesi M. Marceau, J.-L. Barrault, E. Decroux, la p. ha ritrovato il favore del pubblico come genere teatrale autonomo.