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Pakistan.

Stato (796.096 kmq; 150.470.000 ab.) dell'Asia meridionale. Confina a Nord-Est con la Cina, a Est con l'India, a Sud-Ovest con l'Iran, a Nord-Ovest con l'Afghanistan, e si affaccia a Sud sul Mare Arabico. Capitale: Islamabad. Città principali: Karachi, Lahore, Peshawar, Quetta, Faisalabad, Gujranwala, Hyderabad, Multan, Rawalpindi. Ordinamento: Repubblica islamica presidenziale. Moneta: rupia pakistana. Lingua ufficiale: urdu; usato l'inglese; sono parlate altre lingue neoindiane e iraniche (punjabi, sindhi, pashtu). Religione: musulmana, con minoranze induiste, buddhiste e cristiane. Popolazione: notevole è la pluralità etnica, derivata dalle continue migrazioni succedutesi nei secoli; c'è una predominanza dei gruppi punjabi, sindhi, pakhtun e baluchi, accanto a minoranze di origine tibetana.

GEOGRAFIA

Morfologia: il territorio del P. è caratterizzato da una vasta area pianeggiante centro-meridionale, di origine neozoica, formata dai detriti alluvionali del corso del fiume Indo e dei suoi affluenti. La sua valle, una depressione di origine tettonica, congiunge il blocco continentale del Deccan con le catene montuose dell'Asia centro-meridionale, marcando il confine geologico tra la penisola indiana, la zolla indiana e indica, e il resto dell'Asia, la zolla asiatica. A Est la valle dell'Indo è orlata dai rilievi del Thar e dalla omonima regione desertica, già in territorio indiano; a Ovest è chiusa dall'altopiano iranico, con i monti Sulaiman (3.374 m) e la catena del Belucistan (Kirthar e Makran), superabili solo grazie a pochi passi agibili e di fondamentale importanza strategica: il passo Khojak, a Nord di Quetta, e il passo Khyber, al confine con l'Afghanistan. A Nord e a Nord-Ovest, intorno all'alta valle dell'Indo, si innalzano le grandiose catene del sistema himalayano (la vetta più elevata è il Nanga Parbat, 8.126 m), e quelle del Karakorum (K2, 8.611 m) e dell'Hindukush (Tirich Mir, 7.708 m). ║ Idrografia: la rete idrografica è costituita essenzialmente dal fiume Indo, che scorre da Nord a Sud, attraversando l'intero Paese e raccogliendo le acque di numerosi affluenti discendenti dai ghiacciai dei massicci settentrionali. I principali affluenti di sinistra sono i cinque fiumi della regione del Punjab, dai quali deriva il suo nome (dal sanscrito pañca: cinque): Sutlej, Beas, Ravi, Chenab, Jhelum; i principali affluenti di destra sono il Gilgit e il Kabul. In genere la loro portata d'acqua dipende dalle piogge monsoniche e dallo scioglimento dei ghiacci montani: le piene estive sono molto violente e cariche di detriti alluvionali; in inverno la portata minima è compresa tra i 500 e i 1.000 m3 di acqua. Fiumi minori sono quelli del Belucistan: Zhob, Beji, Nari. ║ Clima: il clima è essenzialmente arido-continentale, con forte escursione termica stagionale e giornaliera; scarse sono le precipitazioni estive, con frequenti siccità nelle regioni occidentali e orientali. A Sud, lungo la fascia costiera oceanica, il clima è più mite; a Nord è alpino. ║ Vegetazione: la vegetazione dominante è quella stepposa, a parte le zone irrigate dai sistemi di canalizzazione del bacino dell'Indo; a Nord si ha una vegetazione montana. La popolazione è insediata prevalentemente nel Punjab e nel Sind.
Cartina del Pakistan


ECONOMIA

Le complesse vicende storiche del P. ne hanno ostacolato lo sviluppo economico e, nonostante gli sforzi degli ultimi decenni, rimane un Paese sottosviluppato e povero, che non riesce a coprire l'intero fabbisogno alimentare, anche a causa di un constante incremento demografico. ║ Agricoltura: fonte primaria di sostentamento è l'agricoltura, peraltro rimasta arretrata per la mancanza di un piano di sfruttamento organico delle effettive risorse territoriali: il latifondismo prevale lasciando spesso territori incolti (circa il 65% del territorio) e i sistemi di meccanizzazione produttiva non sono totalmente diffusi. Solo la realizzazione della complessa rete di canalizzazione delle acque fluviali dell'Indo e dello Jhelum ha consentito di aumentare il rendimento delle aree agricole del Punjab e del Sind. La produzione agricola si basa essenzialmente su due raccolti annui: quello delle culture estive (kharif), a irrigazione artificiale, e quello delle culture rabi, la cui irrigazione è legata alle piogge monsoniche. Prevale la produzione dei cereali (frumento e riso soprattutto); nelle zone montane e più secche le colture principali sono mais, miglio e sorgo. Discreta è la produzione di patate, ortaggi e frutta (agrumi, datteri e banane). La principale coltura kharif è il cotone, del quale il P. è il terzo produttore continentale, dopo la Repubblica Popolare Cinese e l'India. Diffuse sono anche le coltivazioni di lino, canapa, sesamo, arachidi, tabacco e canna da zucchero. In aumento la produzione di legname. ║ Allevamento: l'allevamento è una risorsa economica importante per il Paese: è per lo più ovino e caprino, di tipo pastorale, caratterizzato dalla transumanza tra le steppe pianeggianti e le zone montane. Non mancano bovini, equini e cammelli. In incremento il settore della pesca. ║ Industrie: le industrie principali sono quella alimentare (zuccherifici, conservifici) e quella tessile (cotonifici e lanifici). In via di sviluppo sono le industrie siderurgiche, meccaniche, chimiche e petrolchimiche. Non mancano tabacchifici e cartiere. Notevole è l'artigianato, soprattutto per la produzione di tappeti e per la lavorazione di pelli e cuoio. Nonostante l'incremento dell'attività commerciale degli ultimi anni, la bilancia commerciale è ancora in passivo: le esportazioni coprono solo la metà delle importazioni. I principali partner commerciali sono gli Stati Uniti, il Giappone, la Germania, la Gran Bretagna, la Repubblica Popolare Cinese e l'Arabia Saudita. ║ Risorse minerarie: il sottosuolo è ricco di risorse minerarie, non pienamente sfruttate. Si estraggono carbone, lignite, petrolio, gas naturale, salgemma, fosfati, uranio, manganese. Fonti energetiche primarie sono le centrali idriche (importante è quella legata alla grandiosa diga di Tarbela sul fiume Indo) e nucleari (a Karachi).

STORIA

Il P. (dal persiano: Terra dei puri) fu costituito come Stato indipendente nell'ambito del Commonwealth il 15 agosto 1947: sorse dalla secessione dall'India delle province e dei distretti a maggioranza musulmana, per volontà della Lega musulmana guidata da Mohammed 'Alî Ginnâh. Il P. apparve immediatamente come una costruzione innaturale, composta da due porzioni territoriali separate da oltre 1.500 km di territorio indiano e privi di un effettivo carattere nazionale unitario, ad eccezione della confessione religiosa musulmana: il P. occidentale, comprendente il Belucistan, il Punjab e il Sind; il P. orientale, formato dalla regione orientale del Bengala. Ne seguì un impressionante esodo di milioni di profughi musulmani provenienti dall'India, e viceversa colonne di profughi indù provenienti dal nuovo Stato musulmano si riversarono in India; non mancarono sanguinosi scontri che provocarono migliaia di morti. Il Governo provvisorio di Mohammed 'Alî Ginnâh dovette affrontare, quindi, gravi problemi di ordine pubblico, sociali ed economici, nonché l'ostilità indiana, accentuata dalla questione del principato del Kashmir, con popolazione a maggioranza musulmana, ma con un mahârâjâ hindu. Il conflitto (1947-48) si risolse temporaneamente con la mediazione dell'ONU: fu stabilita una linea di demarcazione provvisoria fra il Kashmir settentrionale, passato di fatto sotto il controllo del P., e la regione di Jammu, che rimaneva in territorio indiano. Alla morte del capo carismatico Mohammed 'Alî Ginnâh nel 1948, la situazione politico-sociale del P. divenne ancora più precaria per il sorgere di forti contrasti all'interno della Lega musulmana: il suo successore, Liyâqat 'Alî Khân, fu assassinato nel 1951. Seguì il declino dell'egemonia politica della Lega musulmana e progressivamente ascesero al potere le caste militari. Nel 1956 fu varata la Costituzione che proclamava il P. uno Stato federale, con Governo parlamentare e repubblicano; fu eletto presidente il generale Iskandar Mîrzâ, rigido sostenitore di una politica centralista. Nel 1958 i continui contrasti politici sfociarono in un colpo di Stato militare, capitanato dal comandante delle forze armate Mohammed Ayyub Khân, promosso dallo stesso presidente che soppresse la Costituzione e sciolse le assemblee parlamentari. Fu istituita una "democrazia fondamentale", a regime presidenziale, con una struttura politica piramidale, basata su elezioni indirette dei consigli dell'unione e culminante nella figura del nuovo presidente Mohammed Ayyub Khân, il tutto sancito e legalizzato da una nuova Costituzione promulgata nel 1962. Le elezioni presidenziali del 1965 confermarono Mohammed Ayyub Khân al potere. Il suo regime, durato oltre dieci anni, può essere considerato una sorta di dispotismo militare illuminato: avviò, infatti, una fase di rinnovamento economico-sociale del Paese, con l'intento di combattere la corruzione, attuare una riforma agraria che limitasse il latifondismo, realizzare un vasto programma di industrializzazione, modernizzare gli istituti sociali tradizionali sostituendo la legge islamica con la legge civile. In politica estera inaugurò un nuovo indirizzo: affrancò il Paese dalle tradizionali alleanze occidentali, stipulate negli anni precedenti (adesione alla SEATO, nel 1954, e al Patto di Baghdad, nel 1955) in contrapposizione all'orientamento neutralista dell'India, e promosse un prudente, ma costante avvicinamento alla Repubblica Popolare Cinese, già in guerra con l'India. Gli accordi del marzo 1963, con cui la Repubblica Popolare Cinese riconobbe il dominio pakistano sul Kashmir, deteriorarono definitivamente i rapporti indo-pakistani; si giunse, così, nuovamente al conflitto (settembre 1965) conclusosi nel gennaio 1966 senza nulla di fatto, con gli accordi di Tashkent che restauravano lo status quo prebellico. Altri motivi di tensione sorsero con l'Afghanistan, per la controversia relativa alla regione di confine del Pashtunistan risoltasi nel 1963. In politica interna la questione principale da affrontare era il rafforzarsi del movimento secessionista bengali, già attivo nel 1948 e nel 1952, ordinatosi in un partito di forte opposizione, la Lega Awami (LA). Le agitazioni autonomiste si intensificarono nel 1966, in concomitanza con il sorgere di un nuovo fronte di opposizione interno al P. occidentale, il Partito popolare pakistano (PPP) fondato da Zulfikar Ali Bhutto, ex ministro degli Esteri. L'esito deludente delle vicende belliche, nonché gli esiti fallimentari della manovra economica, ostacolata proprio dalle ingenti spese militari, generarono un profondo malcontento generale che esplose nell'autunno del 1968 in una serie di violente agitazioni, culminanti in una vera e propria rivolta popolare sostenuta dal PPP e dalla LA. Ayyub Khân fu costretto a dimettersi nel 1969 e i poteri furono assunti dal generale Yahyâ Khân, esponente dell'estrema destra dell'esercito, filoccidentale, che decretò la legge marziale, abrogò la Costituzione e represse la rivolta. Nei mesi seguenti Yahyâ Khân indisse le elezioni di un'Assemblea nazionale costituente, a suffragio universale diretto (dicembre 1970): ne risultò una netta affermazione della LA, che conquistò 151 dei 162 seggi del P. orientale, mentre nel P. occidentale si era imposto il PPP, capeggiato dal prestigioso leader nazionalista di sinistra Ali Bhutto, che aveva conquistato 81 dei 108 seggi in palio. Ne seguì un'ulteriore crisi politica, poiché sia Yahyâ Khân sia 'Alî Bhutto erano contrari alla formazione di un Governo della LA, maggioritaria anche sul piano nazionale: vi fu una vera insurrezione del P. orientale, che nel marzo del 1971 si proclamò Stato indipendente, costituendosi nella nuova Repubblica del Bangladesh. A nulla valse l'intervento militare del P. occidentale, ostacolato dall'India, che riconobbe il nuovo Stato bengalese e combatté a fianco dei secessionisti (terzo conflitto indo-pakistano, dicembre 1971). Yahyâ Khân fu costretto a dimettersi, sostituito da Ali Bhutto: il P., ormai circoscritto al territorio occidentale, iniziò un nuovo periodo storico. Scongiurato il pericolo di nuove secessioni con una serie di misure repressive, Ali Bhutto inaugurò una politica nazional-populista, basata su un programma di modernizzazione economico-sociale, varando la riforma agraria (1973) e favorendo la nazionalizzazione delle principali industrie del Paese (1974). Nel 1973 promulgò una Costituzione che istituiva una Repubblica federale con Governo parlamentare, di cui peraltro egli divenne primo ministro con ampi poteri. In ambito internazionale, il P. uscì dal Commonwealth nel 1972; abbandonò l'alleanza filoccidentale per avvicinarsi maggiormente alla Repubblica Popolare Cinese e soprattutto all'Unione Sovietica; stipulò un accordo di pace con l'India (incontro di Simla con il primo ministro indiano Indira Gandhi nel giugno-luglio 1972); infine riconobbe l'indipendenza del Bangladesh nel 1974. Tuttavia, la politica di Ali Bhutto suscitò la forte opposizione della destra militare e dell'estrema sinistra, coalizzate nell'Alleanza nazionale pakistana (ANP). Le elezioni del 1977 confermarono il PPP al potere, ma Ali Bhutto fu accusato di brogli elettorali, e i militari approfittarono della tensione creatasi per attuare un colpo di Stato: il potere fu assunto dal generale Mohammed Zia ul-Haq, estremamente autoritario e repressivo, il Parlamento fu sciolto, la Costituzione sospesa, e indetta la legge marziale; Ali Bhutto fu arrestato e condannato a morte con l'accusa di essere il mandante dell'assassinio di un suo avversario politico, rimasto coinvolto in un attentato. Nonostante gli appelli internazionali, nell'aprile del 1979 la sentenza fu eseguita. Zia ul-Haq impose il ritorno alla legge coranica, nel tentativo di suscitare consensi negli ambienti più integralisti, soggetti al condizionamento e alle pressioni del vicino Iran khomeinista. La situazione interna rimase quindi estremamente instabile e fu caratterizzata da alcune clamorose azioni di protesta contro il regime, sia da parte degli estremisti islamici (assalto all'ambasciata americana di Islamabad nel novembre 1979), sia da parte di formazioni politiche ostili al regime. Queste dettero vita nel febbraio 1981 al Movimento per la restaurazione della democrazia (MRD), che organizzò manifestazioni nelle principali città del Paese, culminate in una giornata di protesta nazionale (2 marzo). In politica estera il regime di Zia ul-Haq si trovò a fronteggiare i problemi derivati dalla crisi del vicino Afghanistan: il colpo di Stato in questo Paese provocò, infatti, l'afflusso di profughi e ribelli al nuovo regime, e il Governo pakistano garantì loro protezione e appoggi; l'invasione sovietica aumentò l'importanza strategica del P. e determinò il consolidarsi dei rapporti con gli Stati Uniti: furono così assicurati aiuti economico-militari e facilitazioni internazionali per lo sviluppo dell'economia pakistana, quali ingenti prestiti del Fondo monetario internazionale. Per quanto riguarda la delicata situazione dei rapporti con l'India, dopo la morte di Indira Gandhi, nel 1987 si tentò di raggiungere un accordo pacifico, ma non mancarono comunque tensioni lungo la frontiera. Verso la metà degli anni Ottanta, Zia ul-Haq, a seguito del rafforzamento della sua posizione internazionale, avviò un cauto processo di liberalizzazione revocando lo stato di emergenza, in vigore dal 1969, e permettendo una limitata attività politica: l'opposizione del PPP trovò il suo leader in Benazir Bhutto, figlia di Zulfikar Ali, che ritornò in patria dall'esilio nel 1986. Seguì un periodo di sanguinose proteste, aggravate dalle tensioni interetniche e dagli attentati terroristici degli integralisti islamici. Zia ul-Haq irrigidì la sua posizione sciogliendo nel maggio 1988 l'Assemblea generale e i Parlamenti provinciali; quindi assunse la guida diretta del Governo e nel mese successivo fece approvare il codice islamico come legge suprema dello Stato. In agosto, tuttavia, morì in un incidente aereo, forse a seguito di un attentato; la presidenza della Repubblica fu assunta da Ghulâm Ishaq Khân, già presidente del Senato. In novembre si svolsero le elezioni per il rinnovo dell'Assemblea nazionale: il PPP si aggiudicò il 46,7% dei voti, e Benazir Bhutto fu nominata primo ministro, diventando così l'unica donna al mondo capo di Governo di un Paese islamico. Il suo programma di Governo prevedeva la restaurazione della democrazia e il miglioramento delle condizioni economiche e sociali del Paese, nel rispetto della giustizia; tuttavia, insediata il 2 dicembre 1988, la Bhutto si trovò ben presto in difficoltà, osteggiata dall'apparato militare e dai fondamentalisti islamici, nonché indebolita dal riesplodere delle tensioni interetniche. Il suo tentativo di avviare in modo democratico la rinascita del Paese fallì dopo 19 mesi, quando fu destituita dal presidente del P. Gulâm Ishaq Khân, nell'agosto del 1990, con l'accusa di nepotismo, abuso di potere, corruzione e i suoi collaboratori furono arrestati. In sua vece fu nominato il leader dell'opposizione Ghulâm Mustafa Jatoi; fu sciolta l'Assemblea nazionale e dichiarato lo stato di emergenza. Nonostante la rinnovata tensione con l'India e i disordini interni, nell'ottobre dello stesso anno furono indette nuove elezioni: il PPP fu sconfitto dall'Alleanza democratica islamica (IJI) e la Bhutto denunciò, invano, massicce frodi elettorali. Fu nominato nuovo primo ministro il presidente dell'IJI, Mian Nawâz Sharîf, il quale abolì lo stato di emergenza, ma la tensione interna non calò: i disordini interetnici continuarono e il malcontento popolare, dovuto anche alla decisione del Governo di partecipare alla guerra contro l'Iraq nel gennaio-febbraio 1991, sfociò in una serie di manifestazioni violente. Nel 1992 la situazione si aggravò, quando il Partito fondamentalista abbandonò la coalizione di Governo: i dissensi interni determinarono l'intervento del potere militare, che impose le dimissioni dei due principali antagonisti, il presidente della Repubblica, Ghulâm e il primo ministro Nawâz Sharîf; nell'ottobre 1993 vi furono nuove elezioni legislative che videro la vittoria del PPP e della Bhutto che, riabilitata, fu eletta nuovamente primo ministro, mentre Farooq Ahmed Leghari, candidato del PPP, fu eletto presidente della Repubblica. Il nuovo Governo, tuttavia, non riuscì a contenere i disordini interni: le violenze etniche continuarono a imperversare, soprattutto a Karachi, che si trasformò nel 1995 in un vero fronte di guerra civile, in cui morirono più di 2.000 persone, in attentati, stragi e in scontri aperti tra le fazioni rivali del Movimento nazionale mohajir (MQM - Partito dei musulmani di lingua urdu provenienti dall'India dopo il 1947), e militanti del PPP. Ogni tentativo di negoziazione fallì definitivamente nel 1996 e si preferì adottare la via della repressione brutale, che generò una serie di attentati a catena. Altrettanto tesi rimasero i rapporti del PPP con la Lega musulmana e con i fondamentalisti. Anche la situazione economica non subì miglioramenti, a seguito del generale clima di disordine crescente, con scioperi, estorsioni e sequestri. La crisi sfociò nel novembre 1996 nella destituzione di Benazir Bhutto dalla carica di primo ministro, con l'accusa di corruzione, approvata definitivamente dalla Corte suprema il 29 gennaio 1997. Il presidente Farooq Leghari conferì ai capi delle forze armate un ruolo consultivo all'interno del Governo e indisse nuove elezioni parlamentari per il 3 febbraio. Queste furono vinte dalla Lega musulmana, guidata da Nawâz Sharîf, che fu nominato capo del nuovo Governo. Una delle prime iniziative fu la ripresa dei negoziati con l'India, sospesi dal 1994, per risolvere la questione del Kashmir e del Jammu. Dal 1998 tuttavia le trattative in corso fra Nuova Delhi e Islamabad entrarono in una fase di stallo: se da un lato l'India continuava a sostenere che si trattava di una regione sottoposta alla propria sovranità e che pertanto il suo futuro “non era negoziabile”, dall'altro il Governo di Sharif insisteva nel reclamare un referendum per l'autodeterminazione. La tensione fra i due Paesi si acutizzò nel maggio, quando, a seguito di alcuni esperimenti nucleari condotti dall'India, il P. rispose a sua volta con altri esperimenti atomici, entrando nel novero delle Nazioni in possesso della bomba atomica. Nel 1999 si verificarono violenti scontri religiosi e politici. In seguito al colpo di Stato effettuato nell'ottobre 1999 dal generale Pervez Musharraf, venne istituito un Consiglio nazionale di sicurezza composto da sei membri, due militari e quattro civili, affiancato da un gruppo di esperti con funzioni consultive. Rispetto alla politica estera, e in particolare nei rapporti con l'India, il generale Musharraf si dichiarò pronto al dialogo, ma il rapimento dell'airbus dell'Indian Airlines nel gennaio 2000 creò nuove tensioni tra India e P. Il 21 giugno 2001, il generale Musharraf destituì il presidente-fantoccio Rafiq Tarar, che lui stesso aveva nominato dopo la sua presa del potere, autoproclamandosi capo dello Stato, e dichiarò formalmente sciolto il Parlamento. A luglio Musharraf si incontrò col presidente indiano Vajpayee: il vertice, accompagnato da un'ondata di violenze, si concluse con un fallimento, poiché i due Paesi non riuscirono a raggiungere un accordo comune sul modo in cui affrontare la questione del Kashmir. Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 alle Torri Gemelle e al Pentagono, il P., che aveva contribuito alla nascita e alla presa di potere dei talebani, si trovò davanti alla scomoda scelta di schierarsi, insieme all'India, con la coalizione antiterrorismo voluta da Bush, per evitare l'isolamento. Islamabad mise a disposizione degli Stati Uniti il suo spazio aereo, i servizi segreti e il supporto logistico. Musharraf giustificò il cambio di linea nei confronti dei talebani sostenendo che la sua presenza all'interno dello schieramento antiterrorismo avrebbe evitato sofferenze al popolo afghano e ai talebani. Sottolineò, inoltre, i vantaggi economici di una tale scelta, in termini di aiuti promessi da Washington: a metà ottobre gli Stati Uniti revocarono le sanzioni imposte al P. (e all'India) nel 1998, che restringevano la vendita di armi e la concessione di aiuti finanziari, e fecero pressioni per una cancellazione parziale del debito estero pakistano. L'inizio dei bombardamenti anglo-americani contro l'Afghanistan (7 ottobre) infiammarono i partiti religiosi, che organizzarono violente manifestazioni in tutto il Paese contro gli Stati Uniti e contro il generale Musharraf; quest'ultimo attuò un rimpasto ai vertici dell'esercito e dei servizi segreti, dando il via a una serie di arresti tra i leader islamisti. Intanto la situazione nel Kashmir si fece incandescente: il 1° ottobre morirono 30 persone in un attentato contro il Parlamento a Srinagar, capitale del Kashmir indiano. La situazione si aggravò in coincidenza con la visita del segretario di Stato americano Colin Powell in India e P. (15 ottobre), finalizzata a rinsaldare l'alleanza antiterrorismo. Il 16 ottobre l'India attaccò 11 postazioni militari pakistane lungo la linea di controllo che separa il Kashmir indiano da quello pakistano. In seguito all'attentato al Parlamento di New Delhi (13 dicembre 2001), ci fu un ulteriore inasprimento nei rapporti tra P. e India. I due Paesi cominciarono ad ammassare truppe lungo il confine per prepararsi a un eventuale conflitto. Musharraf, in difficoltà sul fronte interno, cercò di evitare il confronto diretto, arrivando a condannare ogni tipo di estremismo interno al proprio Paese. Per reprimere l'estremismo religioso, nel gennaio 2002 mise al bando due gruppi militanti. Dopo aver annunciato che le elezioni legislative si sarebbero tenute a ottobre 2002, Musharraf in aprile indisse un referendum (considerato incostituzionale) che lo confermò al potere per altri cinque anni. In seguito a un attentato suicida a Karachi (maggio 2002), costato la vita a 15 persone, Musharraf annunciò l'adozione di una nuova serie di misure di sicurezza. In agosto modificò la Costituzione, arrogandosi il diritto di sciogliere un eventuale Parlamento democraticamente eletto. Le elezioni legislative (le prime dal colpo di Stato militare del 1999), tenutesi regolarmente il 10 ottobre 2002, decretarono la vittoria della Lega musulmana del Pakistan-Quaid-e-Azam, vicina alle posizioni del capo dello Stato, che ottenne 77 dei 272 seggi del Parlamento. Importanti le affermazioni del Partito popolare pakistano di Benazir Bhutto e della Lega musulmana pakistana Nawaz di Nawaz Sharif; non sorprese il risultato della coalizione religiosa integralista Mutahidda Majlis-e-Amal, che si aggiudicò 25 seggi, mettendo una seria ipoteca sulle decisioni future del Paese in ambito internazionale, in special modo riguardo all'appoggio dato agli Stati Uniti nella lotta al terrorismo. Il non raggiungimento della maggioranza assoluta obbligò il partito vincitore a cercare intese con altre realtà politiche nel tentativo di formare un nuovo Esecutivo. In novembre fu eletto primo ministro Mir Zafarullah Khan Jamali, della filo-militare Pakistan Muslim League (LMP). Nel maggio 2003 il neo premier, dopo aver avuto contatti telefonici con il primo ministro indiano Vajpayee (il primo dopo quasi due anni), annunciò che a breve sarebbero stati riaperti i collegamenti aerei, ferroviari e stradali con l'India. Nonostante questi segnali di distensione, il 2003 fu contrassegnato da un impressionante aumento degli attentati e degli scontri a fuoco nel Kashmir. Nel giugno 2004, i ministri della difesa pakistano e indiano misero al bando i test nucleari, anche se nessuna delle due potenze accettò il disarmo completo. In ottobre Musharraf chiese l'apertura di un dibattito nazionale per risolvere la disputa con l'India sul Kashmir e propose una soluzione articolata in quattro punti: l'indipendenza del Kashmir, il controllo congiunto della regione, la smilitarizzazione e l'invio di una missione da parte delle Nazioni Unite. Nel 2005 si acuirono i contrasti con l’India. In seguito alle dimissioni del primo ministro Jamali (giugno 2004), fu eletto primo ministro Shaukat Aziz, ex ministro delle finanze sostenitore dell'LMP. Nonostante l'impegno formale di Musharraf a dimettersi dalla carica di capo delle forze armate, nell'ottobre 2004 il Parlamento pakistano approvò una legge che gli consentì di mantenere quella carica, oltre a quella di presidente. L'8 ottobre 2005 un catastrofico terremoto di magnitudo 7,6 della scala Richter colpì il P. del Nord, devastando il Kashmir e le zone settentrionali al confine con l'India; il bilancio fu di oltre 70.000 vittime e decine di migliaia di feriti. Il 2006 fu per il P. ancora un anno di violenze e attentati: in gennaio circa 20 persone furono uccise da un missile americano indirizzato contro un presunto covo di Al-Queda, situato in un villaggio del Nord; in febbraio oltre 30 persone persero la vita in seguito a un sospetto attacco suicida e alla violenza che ne conseguì durante un processione sciita nel Nord-Ovest del Paese; in aprile un sospetto duplice attentato kamikaze causò la morte di 57 persone presenti a una cerimonia sunnita a Karachi; in agosto le forze di polizia uccisero il leader tribale del Belucistan, Nawab Akbar Bugti, e le proteste per questa azione furono molto violente; in ottobre un raid contro una scuola coranica situata al confine con l'Afghanistan determinò la morte di almeno 80 persone: scoppiarono dure proteste antigovernative, le forze di sicurezza si giustificarono dicendo che la scuola fungeva da campo di addestramento per terroristi. Nelle elezione dell'ottobre 2007 la nuova Alleanza del movimento dei Partiti democratici (Apdm) respinse la vittoria di Pervez Musharraf, il giorno dopo che il Parlamento, il Senato e le quattro assemblee provinciali del Pakistan lo confermavano alla presidenza. In tutto Musharraf ottenne 252 voti a favore sui 257 votanti nelle due Camere, e 384 sui 702 presenti alle assemblee provinciali. Dopo mesi di trattative, il presidente Musharraf concesse un’amnistia a politici e funzionari incriminati per corruzione nel periodo compreso tra il 1986 e il 1999, autorizzando così il rientro dall’esilio di Benazir Bhutto, prossima candidata alle elezioni parlamentari di gennaio 2008, rientro che è stato segnato da un gravissimo attentato che ha provocato numerosi morti e feriti. A novembre 2007 il presidente Pervez Musharraf proclamò lo stato di emergenza ed emesse un ordine costituzionale provvisorio. Con questo atto, firmato come capo delle Forze armate pakistane, Musharraf ha effettuato un secondo colpo di Stato a otto anni dal primo, che lo portò al potere.

ARTE

La storia dell'arte pakistana corre parallela a quella indiana: le prime testimonianze artistiche risalgono al III millennio a.C. e appartengono alla famosa civiltà dell'Indo (V. INDO, CIVILTÀ DELL'), caratterizzata da strutture architettoniche urbane e fluviali come quelle di Mohenjo-Dâro e Harappâ. In epoca storica fiorì l'arte religiosa, per lo più di ispirazione buddhista, raggiungendo il massimo splendore tra i secc. I a.C e III d.C. nella ricca e monumentale arte del Gandhâra (V.): fiorì durante il Regno dei Kusâna, nella regione del Gandhâra, nei pressi di Peshwar; è definita comunemente arte greco-buddhista, perché vi si armonizzarono elementi e tecniche espressive di origine ellenistico-romana e indiana-buddhista; in realtà tale sintesi avvenne tramite la cultura iranica e scito-partica. Uno dei siti archeologici principali è Taxila, presso Rawalpindi, in cui si succedono signori greci, sciti e kusâna. Esemplari sono la tecnica scultorea, in scisto e in stucco, e un tipo di edificio propriamente buddhista, lo stûpa: antico monumento funebre, ne mantenne la forma a cupola semisferica, sostenuta da un tamburo cilindrico, divenendo invece un monumento commemorativo e quindi un simbolo della cosmologia buddhista, arricchendosi di decorazioni e bassorilievi. Con la caduta del Regno dei Kusâna, fu privilegiata un'arte minore, più facilmente deperibile, caratterizzata dall'uso di materiali semplici come stucco, argilla, terracotta. Tra i secc. VII e IX tornò in auge la scultura in pietra e in bronzo, in cui si fondevano elementi espressivi indiani e centro-asiatici. Con la penetrazione islamica, tra i secc. IX e XI, la formazione dell'Impero Moghûl (V.) e la diffusione della cultura arabo-islamica, fiorì un'architettura monumentale, civile e religiosa, in cui si realizzò un perfetto sincretismo tra i tratti architettonici caratteristici indiani e quelli musulmani, ossia la trabeazione, a linea orizzontale, e la struttura ad arco. Uno dei centri principali fu Lahore, capitale del celebre sovrano Akbar nel XVI sec., in cui si possono tuttora ammirare la moschea Bâdshâhî e il forte, l'area fortificata che comprende vari edifici, tra cui il magnifico palazzo imperiale degli Specchi, decorato con la tecnica tradizionale punjabi, una sorta di mosaico con frammenti di specchi. In questo periodo ebbe uno sviluppo particolare la raffinata miniatura di origine persiana, la cui tradizione proseguì a fase alterne per secoli, fino ai capolavori contemporanei di Chugtai, Ustad Allah Bukhsh, Haji Sharif e Askari.

LETTERATURA

La letteratura pakistana si è espressa in più lingue, in particolare in urdu, punjabi, sindhi, pashto e in baluchi; fondamentale è quella in urdu, la lingua ufficiale del P.: lingua di antica tradizione poetica, in cui confluirono elementi arabo-persiani e indigeni, lega la cultura pakistana moderna a quella più genericamente detta indo-musulmana, che ebbe come centro propulsore le raffinate corti dei Moghûl. Tuttavia, la cultura pakistana riconosce quali modelli poetici solo le opere di ispirazione religiosa e didascalica: poeta nazionale è Muhammad Iqbâl (1873-1938), raffinato cantore della "nazione" islamica, anticipatore dell'idea di uno Stato islamico. Dopo i primi entusiasmi nazionalistici, fiorì un movimento innovatore sia in poesia sia in prosa, il Movimento degli scrittori progressisti, caratterizzato da una spiccata tendenza al realismo e da un interesse per i particolari etnici; i principali promotori furono il poeta Faiz Ahmad Faiz (n. 1912) e il novellista Sa'âdat Hasan Mantô (1913-1955). In lingua punjabi si sviluppò la vasta letteratura mistico-religiosa sûfî: tra i principali poeti ricordiamo Miyân Muhammad Bakhshî (m. 1905); nel 1951 fu fondato a Lahore il mensile letterario "Panjâbî", sotto la direzione di 'Abdu'l-Magîd Sâlik e di Faqîr Muhammad, che dava spazio a una letteratura socialmente impegnata e di tendenze progressiste. Per le letterature minori ricordiamo in sindhi il poeta Sayyid 'Ârif Gîlânî, in baluchi il poeta Gul Khân Nasîr, in bengali il poeta Nazr al-Islâm.