Stato (796.096 kmq; 150.470.000 ab.) dell'Asia meridionale. Confina a Nord-Est
con la Cina, a Est con l'India, a Sud-Ovest con l'Iran, a Nord-Ovest con
l'Afghanistan, e si affaccia a Sud sul Mare Arabico. Capitale:
Islamabad. Città principali: Karachi, Lahore, Peshawar, Quetta,
Faisalabad, Gujranwala, Hyderabad, Multan, Rawalpindi. Ordinamento: Repubblica
islamica presidenziale. Moneta: rupia pakistana. Lingua ufficiale: urdu; usato
l'inglese; sono parlate altre lingue neoindiane e iraniche (punjabi, sindhi,
pashtu). Religione: musulmana, con minoranze induiste, buddhiste e
cristiane. Popolazione: notevole è la pluralità etnica, derivata
dalle continue migrazioni succedutesi nei secoli; c'è una predominanza
dei gruppi punjabi, sindhi, pakhtun e baluchi, accanto a minoranze di origine
tibetana.
GEOGRAFIAMorfologia: il
territorio del
P. è caratterizzato da una vasta area pianeggiante
centro-meridionale, di origine neozoica, formata dai detriti alluvionali del
corso del fiume Indo e dei suoi affluenti. La sua valle, una depressione di
origine tettonica, congiunge il blocco continentale del Deccan con le catene
montuose dell'Asia centro-meridionale, marcando il confine geologico tra la
penisola indiana, la zolla indiana e indica, e il resto dell'Asia, la zolla
asiatica. A Est la valle dell'Indo è orlata dai rilievi del Thar e dalla
omonima regione desertica, già in territorio indiano; a Ovest è
chiusa dall'altopiano iranico, con i monti Sulaiman (3.374 m) e la catena del
Belucistan (Kirthar e Makran), superabili solo grazie a pochi passi agibili e di
fondamentale importanza strategica: il passo Khojak, a Nord di Quetta, e il
passo Khyber, al confine con l'Afghanistan. A Nord e a Nord-Ovest, intorno
all'alta valle dell'Indo, si innalzano le grandiose catene del sistema
himalayano (la vetta più elevata è il Nanga Parbat, 8.126 m), e
quelle del Karakorum (K2, 8.611 m) e dell'Hindukush (Tirich Mir, 7.708 m).
║
Idrografia: la rete idrografica è costituita
essenzialmente dal fiume Indo, che scorre da Nord a Sud, attraversando l'intero
Paese e raccogliendo le acque di numerosi affluenti discendenti dai ghiacciai
dei massicci settentrionali. I principali affluenti di sinistra sono i cinque
fiumi della regione del Punjab, dai quali deriva il suo nome (dal sanscrito
pañca: cinque): Sutlej, Beas, Ravi, Chenab, Jhelum; i principali
affluenti di destra sono il Gilgit e il Kabul. In genere la loro portata d'acqua
dipende dalle piogge monsoniche e dallo scioglimento dei ghiacci montani: le
piene estive sono molto violente e cariche di detriti alluvionali; in inverno la
portata minima è compresa tra i 500 e i 1.000 m
3 di acqua.
Fiumi minori sono quelli del Belucistan: Zhob, Beji, Nari. ║
Clima:
il clima è essenzialmente arido-continentale, con forte escursione
termica stagionale e giornaliera; scarse sono le precipitazioni estive, con
frequenti siccità nelle regioni occidentali e orientali. A Sud, lungo la
fascia costiera oceanica, il clima è più mite; a Nord è
alpino. ║
Vegetazione: la vegetazione dominante è quella
stepposa, a parte le zone irrigate dai sistemi di canalizzazione del bacino
dell'Indo; a Nord si ha una vegetazione montana. La popolazione è
insediata prevalentemente nel Punjab e nel Sind.
Cartina del Pakistan
ECONOMIA
Le complesse vicende storiche del
P. ne hanno ostacolato lo sviluppo
economico e, nonostante gli sforzi
degli ultimi decenni, rimane un Paese sottosviluppato e povero, che non riesce a
coprire l'intero fabbisogno alimentare, anche a causa di un constante incremento
demografico. ║
Agricoltura: fonte primaria di sostentamento è l'agricoltura,
peraltro rimasta arretrata per la mancanza di un piano di sfruttamento organico
delle effettive risorse territoriali: il latifondismo prevale lasciando spesso
territori incolti (circa il 65% del territorio) e i sistemi di meccanizzazione
produttiva non sono totalmente diffusi. Solo la realizzazione della complessa
rete di canalizzazione delle acque fluviali dell'Indo e dello Jhelum ha
consentito di aumentare il rendimento delle aree agricole del Punjab e del Sind.
La produzione agricola si basa essenzialmente su due raccolti annui: quello
delle culture estive (
kharif), a irrigazione artificiale, e quello delle
culture
rabi, la cui irrigazione è legata alle piogge monsoniche.
Prevale la produzione dei cereali (frumento e riso soprattutto); nelle zone
montane e più secche le colture principali sono mais, miglio e sorgo.
Discreta è la produzione di patate, ortaggi e frutta (agrumi, datteri e
banane). La principale coltura
kharif è il cotone, del quale il
P. è il terzo produttore continentale, dopo la Repubblica Popolare
Cinese e l'India. Diffuse sono anche le coltivazioni di lino, canapa, sesamo,
arachidi, tabacco e canna da zucchero. In aumento la produzione di legname.
║
Allevamento: l'allevamento è una risorsa economica
importante per il Paese: è per lo più ovino e caprino, di tipo
pastorale, caratterizzato dalla transumanza tra le steppe pianeggianti e le zone
montane. Non mancano bovini, equini e cammelli. In incremento il settore della
pesca. ║
Industrie: le industrie principali sono quella alimentare
(zuccherifici, conservifici) e quella tessile (cotonifici e lanifici). In via di
sviluppo sono le industrie siderurgiche, meccaniche, chimiche e petrolchimiche.
Non mancano tabacchifici e cartiere. Notevole è l'artigianato,
soprattutto per la produzione di tappeti e per la lavorazione di pelli e cuoio.
Nonostante l'incremento dell'attività commerciale degli ultimi anni, la
bilancia commerciale è ancora in passivo: le esportazioni coprono solo la
metà delle importazioni. I principali partner commerciali sono gli Stati
Uniti, il Giappone, la Germania, la Gran Bretagna, la Repubblica Popolare Cinese
e l'Arabia Saudita. ║
Risorse minerarie: il sottosuolo è
ricco di risorse minerarie, non pienamente sfruttate. Si estraggono carbone,
lignite, petrolio, gas naturale, salgemma, fosfati, uranio, manganese. Fonti
energetiche primarie sono le centrali idriche (importante è quella legata
alla grandiosa diga di Tarbela sul fiume Indo) e nucleari (a Karachi).
STORIAIl
P. (dal persiano: Terra
dei puri) fu costituito come Stato indipendente nell'ambito del Commonwealth il
15 agosto 1947: sorse dalla secessione dall'India delle province e dei distretti
a maggioranza musulmana, per volontà della Lega musulmana guidata da
Mohammed 'Alî Ginnâh. Il
P. apparve immediatamente come una
costruzione innaturale, composta da due porzioni territoriali separate da oltre
1.500 km di territorio indiano e privi di un effettivo carattere nazionale
unitario, ad eccezione della confessione religiosa musulmana: il
P.
occidentale, comprendente il Belucistan, il Punjab e il Sind; il
P.
orientale, formato dalla regione orientale del Bengala. Ne seguì un
impressionante esodo di milioni di profughi musulmani provenienti dall'India, e
viceversa colonne di profughi indù provenienti dal nuovo Stato musulmano
si riversarono in India; non mancarono sanguinosi scontri che provocarono
migliaia di morti. Il Governo provvisorio di Mohammed 'Alî Ginnâh
dovette affrontare, quindi, gravi problemi di ordine pubblico, sociali ed
economici, nonché l'ostilità indiana, accentuata dalla questione
del principato del Kashmir, con popolazione a maggioranza musulmana, ma con un
mahârâjâ hindu. Il conflitto (1947-48) si risolse
temporaneamente con la mediazione dell'ONU: fu stabilita una linea di
demarcazione provvisoria fra il Kashmir settentrionale, passato di fatto sotto
il controllo del
P., e la regione di Jammu, che rimaneva in territorio
indiano. Alla morte del capo carismatico Mohammed 'Alî Ginnâh nel
1948, la situazione politico-sociale del
P. divenne ancora più
precaria per il sorgere di forti contrasti all'interno della Lega musulmana: il
suo successore, Liyâqat 'Alî Khân, fu assassinato nel 1951.
Seguì il declino dell'egemonia politica della Lega musulmana e
progressivamente ascesero al potere le caste militari. Nel 1956 fu varata la
Costituzione che proclamava il
P. uno Stato federale, con Governo
parlamentare e repubblicano; fu eletto presidente il generale Iskandar
Mîrzâ, rigido sostenitore di una politica centralista. Nel 1958 i
continui contrasti politici sfociarono in un colpo di Stato militare, capitanato
dal comandante delle forze armate Mohammed Ayyub Khân, promosso dallo
stesso presidente che soppresse la Costituzione e sciolse le assemblee
parlamentari. Fu istituita una "democrazia fondamentale", a regime
presidenziale, con una struttura politica piramidale, basata su elezioni
indirette dei consigli dell'unione e culminante nella figura del nuovo
presidente Mohammed Ayyub Khân, il tutto sancito e legalizzato da una
nuova Costituzione promulgata nel 1962. Le elezioni presidenziali del 1965
confermarono Mohammed Ayyub Khân al potere. Il suo regime, durato oltre
dieci anni, può essere considerato una sorta di dispotismo militare
illuminato: avviò, infatti, una fase di rinnovamento economico-sociale
del Paese, con l'intento di combattere la corruzione, attuare una riforma
agraria che limitasse il latifondismo, realizzare un vasto programma di
industrializzazione, modernizzare gli istituti sociali tradizionali sostituendo
la legge islamica con la legge civile. In politica estera inaugurò un
nuovo indirizzo: affrancò il Paese dalle tradizionali alleanze
occidentali, stipulate negli anni precedenti (adesione alla SEATO, nel 1954, e
al Patto di Baghdad, nel 1955) in contrapposizione all'orientamento neutralista
dell'India, e promosse un prudente, ma costante avvicinamento alla Repubblica
Popolare Cinese, già in guerra con l'India. Gli accordi del marzo
1963, con cui la Repubblica Popolare Cinese riconobbe il dominio pakistano sul
Kashmir, deteriorarono definitivamente i rapporti indo-pakistani; si giunse,
così, nuovamente al conflitto (settembre 1965) conclusosi nel gennaio
1966 senza nulla di fatto, con gli accordi di Tashkent che restauravano lo
status quo prebellico. Altri motivi di tensione sorsero con l'Afghanistan,
per la controversia relativa alla regione di confine del Pashtunistan risoltasi
nel 1963. In politica interna la questione principale da affrontare era il
rafforzarsi del movimento secessionista bengali, già attivo nel 1948 e
nel 1952, ordinatosi in un partito di forte opposizione, la Lega Awami (LA). Le
agitazioni autonomiste si intensificarono nel 1966, in concomitanza con il
sorgere di un nuovo fronte di opposizione interno al
P. occidentale, il
Partito popolare pakistano (PPP) fondato da Zulfikar Ali Bhutto, ex ministro
degli Esteri. L'esito deludente delle vicende belliche, nonché gli esiti
fallimentari della manovra economica, ostacolata proprio dalle ingenti spese
militari, generarono un profondo malcontento generale che esplose nell'autunno
del 1968 in una serie di violente agitazioni, culminanti in una vera e propria
rivolta popolare sostenuta dal PPP e dalla LA. Ayyub Khân fu costretto a
dimettersi nel 1969 e i poteri furono assunti dal generale Yahyâ
Khân, esponente dell'estrema destra dell'esercito, filoccidentale, che
decretò la legge marziale, abrogò la Costituzione e represse la
rivolta. Nei mesi seguenti Yahyâ Khân indisse le elezioni di
un'Assemblea nazionale costituente, a suffragio universale diretto (dicembre
1970): ne risultò una netta affermazione della LA, che conquistò
151 dei 162 seggi del
P. orientale, mentre nel
P. occidentale si
era imposto il PPP, capeggiato dal prestigioso leader nazionalista di sinistra
Ali Bhutto, che aveva conquistato 81 dei 108 seggi in palio. Ne seguì
un'ulteriore crisi politica, poiché sia Yahyâ Khân sia
'Alî Bhutto erano contrari alla formazione di un Governo della LA,
maggioritaria anche sul piano nazionale: vi fu una vera insurrezione del
P. orientale, che nel marzo del 1971 si proclamò Stato
indipendente, costituendosi nella nuova Repubblica del Bangladesh. A nulla valse
l'intervento militare del
P. occidentale, ostacolato dall'India, che
riconobbe il nuovo Stato bengalese e combatté a fianco dei secessionisti
(terzo conflitto indo-pakistano, dicembre 1971). Yahyâ Khân fu
costretto a dimettersi, sostituito da Ali Bhutto: il
P., ormai
circoscritto al territorio occidentale, iniziò un nuovo periodo storico.
Scongiurato il pericolo di nuove secessioni con una serie di misure repressive,
Ali Bhutto inaugurò una politica nazional-populista, basata su un
programma di modernizzazione economico-sociale, varando la riforma agraria
(1973) e favorendo la nazionalizzazione delle principali industrie del Paese
(1974). Nel 1973 promulgò una Costituzione che istituiva una Repubblica
federale con Governo parlamentare, di cui peraltro egli divenne primo ministro
con ampi poteri. In ambito internazionale, il
P. uscì dal
Commonwealth nel 1972; abbandonò l'alleanza filoccidentale per
avvicinarsi maggiormente alla Repubblica Popolare Cinese e soprattutto
all'Unione Sovietica; stipulò un accordo di pace con l'India (incontro di
Simla con il primo ministro indiano Indira Gandhi nel giugno-luglio 1972);
infine riconobbe l'indipendenza del Bangladesh nel 1974. Tuttavia, la politica
di Ali Bhutto suscitò la forte opposizione della destra militare e
dell'estrema sinistra, coalizzate nell'Alleanza nazionale pakistana (ANP). Le
elezioni del 1977 confermarono il PPP al potere, ma Ali Bhutto fu accusato di
brogli elettorali, e i militari approfittarono della tensione creatasi per
attuare un colpo di Stato: il potere fu assunto dal generale Mohammed Zia
ul-Haq, estremamente autoritario e repressivo, il Parlamento fu sciolto, la
Costituzione sospesa, e indetta la legge marziale; Ali Bhutto fu arrestato e
condannato a morte con l'accusa di essere il mandante dell'assassinio di un suo
avversario politico, rimasto coinvolto in un attentato. Nonostante gli appelli
internazionali, nell'aprile del 1979 la sentenza fu eseguita. Zia ul-Haq impose
il ritorno alla legge coranica, nel tentativo di suscitare consensi negli
ambienti più integralisti, soggetti al condizionamento e alle pressioni
del vicino Iran khomeinista. La situazione interna rimase quindi estremamente
instabile e fu caratterizzata da alcune clamorose azioni di protesta contro il
regime, sia da parte degli estremisti islamici (assalto all'ambasciata americana
di Islamabad nel novembre 1979), sia da parte di formazioni politiche ostili al
regime. Queste dettero vita nel febbraio 1981 al Movimento per la restaurazione
della democrazia (MRD), che organizzò manifestazioni nelle principali
città del Paese, culminate in una giornata di protesta nazionale (2
marzo). In politica estera il regime di Zia ul-Haq si trovò a
fronteggiare i problemi derivati dalla crisi del vicino Afghanistan: il colpo di
Stato in questo Paese provocò, infatti, l'afflusso di profughi e ribelli
al nuovo regime, e il Governo pakistano garantì loro protezione e
appoggi; l'invasione sovietica aumentò l'importanza strategica del
P. e determinò il consolidarsi dei rapporti con gli Stati Uniti:
furono così assicurati aiuti economico-militari e facilitazioni
internazionali per lo sviluppo dell'economia pakistana, quali ingenti prestiti
del Fondo monetario internazionale. Per quanto riguarda la delicata situazione
dei rapporti con l'India, dopo la morte di Indira Gandhi, nel 1987 si
tentò di raggiungere un accordo pacifico, ma non mancarono comunque
tensioni lungo la frontiera. Verso la metà degli anni Ottanta, Zia
ul-Haq, a seguito del rafforzamento della sua posizione internazionale,
avviò un cauto processo di liberalizzazione revocando lo stato di
emergenza, in vigore dal 1969, e permettendo una limitata attività
politica: l'opposizione del PPP trovò il suo leader in Benazir Bhutto,
figlia di Zulfikar Ali, che ritornò in patria dall'esilio nel 1986.
Seguì un periodo di sanguinose proteste, aggravate dalle tensioni
interetniche e dagli attentati terroristici degli integralisti islamici. Zia
ul-Haq irrigidì la sua posizione sciogliendo nel maggio 1988
l'Assemblea generale e i Parlamenti provinciali; quindi assunse la guida diretta
del Governo e nel mese successivo fece approvare il codice islamico come legge
suprema dello Stato. In agosto, tuttavia, morì in un incidente aereo,
forse a seguito di un attentato; la presidenza della Repubblica fu assunta da
Ghulâm Ishaq Khân, già presidente del Senato. In novembre si
svolsero le elezioni per il rinnovo dell'Assemblea nazionale: il PPP si
aggiudicò il 46,7% dei voti, e Benazir Bhutto fu nominata primo ministro,
diventando così l'unica donna al mondo capo di Governo di un Paese
islamico. Il suo programma di Governo prevedeva la restaurazione della
democrazia e il miglioramento delle condizioni economiche e sociali del Paese,
nel rispetto della giustizia; tuttavia, insediata il 2 dicembre 1988, la Bhutto
si trovò ben presto in difficoltà, osteggiata dall'apparato
militare e dai fondamentalisti islamici, nonché indebolita dal
riesplodere delle tensioni interetniche. Il suo tentativo di avviare in modo
democratico la rinascita del Paese fallì dopo 19 mesi, quando fu
destituita dal presidente del
P. Gulâm Ishaq Khân,
nell'agosto del 1990, con l'accusa di nepotismo, abuso di potere, corruzione e i
suoi collaboratori furono arrestati. In sua vece fu nominato il leader
dell'opposizione Ghulâm Mustafa Jatoi; fu sciolta l'Assemblea nazionale e
dichiarato lo stato di emergenza. Nonostante la rinnovata tensione con l'India e
i disordini interni, nell'ottobre dello stesso anno furono indette nuove
elezioni: il PPP fu sconfitto dall'Alleanza democratica islamica (IJI) e la
Bhutto denunciò, invano, massicce frodi elettorali. Fu nominato nuovo
primo ministro il presidente dell'IJI, Mian Nawâz Sharîf, il quale
abolì lo stato di emergenza, ma la tensione interna non calò: i
disordini interetnici continuarono e il malcontento popolare, dovuto anche alla
decisione del Governo di partecipare alla guerra contro l'Iraq nel
gennaio-febbraio 1991, sfociò in una serie di manifestazioni
violente. Nel 1992 la situazione si aggravò, quando il Partito
fondamentalista abbandonò la coalizione di Governo: i dissensi interni
determinarono l'intervento del potere militare, che impose le dimissioni dei due
principali antagonisti, il presidente della Repubblica, Ghulâm e il primo
ministro Nawâz Sharîf; nell'ottobre 1993 vi furono nuove
elezioni legislative che videro la vittoria del PPP e della Bhutto che,
riabilitata, fu eletta nuovamente primo ministro, mentre Farooq Ahmed Leghari,
candidato del PPP, fu eletto presidente della Repubblica. Il nuovo Governo,
tuttavia, non riuscì a contenere i disordini interni: le violenze etniche
continuarono a imperversare, soprattutto a Karachi, che si trasformò nel
1995 in un vero fronte di guerra civile, in cui morirono più di 2.000
persone, in attentati, stragi e in scontri aperti tra le fazioni rivali del
Movimento nazionale mohajir (MQM - Partito dei musulmani di lingua urdu
provenienti dall'India dopo il 1947), e militanti del PPP. Ogni tentativo di
negoziazione fallì definitivamente nel 1996 e si preferì adottare
la via della repressione brutale, che generò una serie di attentati a
catena. Altrettanto tesi rimasero i rapporti del PPP con la Lega musulmana e con
i fondamentalisti. Anche la situazione economica non subì miglioramenti,
a seguito del generale clima di disordine crescente, con scioperi, estorsioni e
sequestri. La crisi sfociò nel novembre 1996 nella destituzione di
Benazir Bhutto dalla carica di primo ministro, con l'accusa di corruzione,
approvata definitivamente dalla Corte suprema il 29 gennaio 1997. Il presidente
Farooq Leghari conferì ai capi delle forze armate un ruolo consultivo
all'interno del Governo e indisse nuove elezioni parlamentari per il 3
febbraio. Queste furono vinte dalla Lega musulmana, guidata da Nawâz
Sharîf, che fu nominato capo del nuovo Governo. Una delle prime iniziative
fu la ripresa dei negoziati con l'India, sospesi dal 1994, per risolvere la
questione del Kashmir e del Jammu. Dal 1998 tuttavia le trattative in corso fra
Nuova Delhi e Islamabad entrarono in una fase di stallo: se da un lato
l'India continuava a sostenere che si trattava di una regione sottoposta
alla propria sovranità e che pertanto il suo futuro “non era
negoziabile”, dall'altro il Governo di Sharif insisteva nel
reclamare un referendum per l'autodeterminazione. La tensione fra i due
Paesi si acutizzò nel maggio, quando, a seguito di alcuni esperimenti
nucleari condotti dall'India, il
P. rispose a sua volta con altri
esperimenti atomici, entrando nel novero delle Nazioni in possesso della bomba
atomica. Nel 1999 si verificarono violenti scontri religiosi e politici.
In seguito al colpo di Stato effettuato nell'ottobre 1999 dal generale
Pervez Musharraf, venne istituito un Consiglio nazionale di sicurezza
composto da sei membri, due militari e quattro civili, affiancato
da un gruppo di esperti con funzioni consultive. Rispetto alla politica estera,
e in particolare nei rapporti con l'India, il generale Musharraf si
dichiarò pronto al dialogo, ma il rapimento dell'airbus dell'Indian
Airlines nel gennaio 2000 creò nuove tensioni tra India e
P. Il 21
giugno 2001, il generale Musharraf destituì il presidente-fantoccio Rafiq
Tarar, che lui stesso aveva nominato dopo la sua presa del potere, autoproclamandosi
capo dello Stato, e dichiarò formalmente sciolto il Parlamento. A luglio
Musharraf si incontrò col presidente indiano Vajpayee: il vertice, accompagnato
da un'ondata di violenze, si concluse con un fallimento, poiché i due Paesi
non riuscirono a raggiungere un accordo comune sul modo in cui affrontare la questione
del Kashmir. Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 alle Torri Gemelle e al Pentagono,
il
P., che aveva contribuito alla nascita e alla presa di potere dei talebani,
si trovò davanti alla scomoda scelta di schierarsi, insieme all'India, con la
coalizione antiterrorismo voluta da Bush, per evitare l'isolamento. Islamabad mise a
disposizione degli Stati Uniti il suo spazio aereo, i servizi segreti e il supporto
logistico. Musharraf giustificò il cambio di linea nei confronti dei talebani
sostenendo che la sua presenza all'interno dello schieramento antiterrorismo avrebbe
evitato sofferenze al popolo afghano e ai talebani. Sottolineò, inoltre, i
vantaggi economici di una tale scelta, in termini di aiuti promessi da Washington:
a metà ottobre gli Stati Uniti revocarono le sanzioni imposte al
P.
(e all'India) nel 1998, che restringevano la vendita di armi e la concessione di
aiuti finanziari, e fecero pressioni per una cancellazione parziale del debito
estero pakistano. L'inizio dei bombardamenti anglo-americani contro l'Afghanistan
(7 ottobre) infiammarono i partiti religiosi, che organizzarono violente
manifestazioni in tutto il Paese contro gli Stati Uniti e contro il generale
Musharraf; quest'ultimo attuò un rimpasto ai vertici dell'esercito e dei
servizi segreti, dando il via a una serie di arresti tra i leader islamisti.
Intanto la situazione nel Kashmir si fece incandescente: il 1° ottobre morirono
30 persone in un attentato contro il Parlamento a Srinagar, capitale del Kashmir
indiano. La situazione si aggravò in coincidenza con la visita del
segretario di Stato americano Colin Powell in India e
P. (15 ottobre),
finalizzata a rinsaldare l'alleanza antiterrorismo. Il 16 ottobre l'India
attaccò 11 postazioni militari pakistane lungo la linea di controllo
che separa il Kashmir indiano da quello pakistano. In seguito all'attentato
al Parlamento di New Delhi (13 dicembre 2001), ci fu un ulteriore inasprimento nei
rapporti tra
P. e India. I due Paesi cominciarono ad ammassare truppe
lungo il confine per prepararsi a un eventuale conflitto. Musharraf, in
difficoltà sul fronte interno, cercò di evitare il confronto
diretto, arrivando a condannare ogni tipo di estremismo interno al proprio
Paese. Per reprimere l'estremismo religioso, nel gennaio 2002 mise al bando
due gruppi militanti. Dopo aver annunciato che le elezioni legislative si sarebbero
tenute a ottobre 2002, Musharraf in aprile indisse un referendum (considerato
incostituzionale) che lo confermò al potere per altri cinque anni.
In seguito a un attentato suicida a Karachi (maggio 2002), costato
la vita a 15 persone, Musharraf annunciò l'adozione di una nuova
serie di misure di sicurezza. In agosto modificò la Costituzione,
arrogandosi il diritto di sciogliere un eventuale Parlamento democraticamente
eletto. Le elezioni legislative (le prime dal colpo di Stato militare del 1999),
tenutesi regolarmente il 10 ottobre 2002, decretarono la vittoria della Lega
musulmana del Pakistan-Quaid-e-Azam, vicina alle posizioni del capo dello
Stato, che ottenne 77 dei 272 seggi del Parlamento. Importanti le affermazioni
del Partito popolare pakistano di Benazir Bhutto e della Lega musulmana
pakistana Nawaz di Nawaz Sharif; non sorprese il risultato della coalizione
religiosa integralista Mutahidda Majlis-e-Amal, che si aggiudicò 25
seggi, mettendo una seria ipoteca sulle decisioni future del Paese in ambito
internazionale, in special modo riguardo all'appoggio dato agli Stati Uniti
nella lotta al terrorismo. Il non raggiungimento della maggioranza assoluta
obbligò il partito vincitore a cercare intese con altre realtà politiche
nel tentativo di formare un nuovo Esecutivo. In novembre fu eletto primo ministro Mir
Zafarullah Khan Jamali, della filo-militare Pakistan Muslim League (LMP).
Nel maggio 2003 il neo premier, dopo aver avuto contatti telefonici con il primo
ministro indiano Vajpayee (il primo dopo quasi due anni), annunciò che a breve
sarebbero stati riaperti i collegamenti aerei, ferroviari e stradali con
l'India. Nonostante questi segnali di distensione, il 2003 fu contrassegnato
da un impressionante aumento degli attentati e degli scontri a fuoco nel Kashmir.
Nel giugno 2004, i ministri della difesa pakistano e indiano misero al bando i
test nucleari, anche se nessuna delle due potenze accettò il disarmo completo.
In ottobre Musharraf chiese l'apertura di un dibattito nazionale per risolvere
la disputa con l'India sul Kashmir e propose una soluzione articolata in quattro
punti: l'indipendenza del Kashmir, il controllo congiunto della regione, la
smilitarizzazione e l'invio di una missione da parte delle Nazioni Unite.
Nel 2005 si acuirono i contrasti con l’India. In seguito alle dimissioni del
primo ministro Jamali (giugno 2004), fu eletto primo ministro Shaukat Aziz,
ex ministro delle finanze sostenitore dell'LMP. Nonostante l'impegno formale
di Musharraf a dimettersi dalla carica di capo delle forze armate, nell'ottobre
2004 il Parlamento pakistano approvò una legge che gli consentì di mantenere
quella carica, oltre a quella di presidente. L'8 ottobre 2005 un catastrofico
terremoto di magnitudo 7,6 della scala Richter colpì il
P. del Nord,
devastando il Kashmir e le zone settentrionali al confine con l'India; il
bilancio fu di oltre 70.000 vittime e decine di migliaia di feriti. Il 2006 fu per il
P. ancora
un anno di violenze e attentati: in gennaio circa 20 persone furono uccise
da un missile americano indirizzato contro un presunto covo di Al-Queda, situato in un villaggio
del Nord; in febbraio oltre 30 persone persero la vita in seguito a un sospetto
attacco suicida e alla violenza che ne conseguì durante un processione sciita
nel Nord-Ovest del Paese; in aprile un sospetto duplice attentato kamikaze causò la morte
di 57 persone presenti a una cerimonia sunnita a Karachi; in agosto le forze di polizia
uccisero il leader tribale del Belucistan, Nawab Akbar Bugti, e le proteste per questa
azione furono molto violente; in ottobre un raid contro una scuola
coranica situata al confine con l'Afghanistan determinò la morte di almeno 80 persone:
scoppiarono dure proteste antigovernative, le forze di sicurezza si giustificarono
dicendo che la scuola fungeva da campo di addestramento per terroristi. Nelle elezione dell'ottobre 2007 la
nuova Alleanza del movimento dei Partiti
democratici (Apdm) respinse la vittoria di Pervez Musharraf, il giorno dopo che il Parlamento,
il Senato e le quattro assemblee provinciali del Pakistan lo confermavano alla presidenza. In tutto
Musharraf ottenne 252 voti a favore sui 257 votanti nelle due Camere, e 384 sui 702 presenti
alle assemblee provinciali. Dopo mesi di trattative, il presidente Musharraf concesse un’amnistia a
politici e funzionari incriminati per corruzione nel periodo compreso tra il 1986 e il 1999, autorizzando così
il rientro dall’esilio di Benazir Bhutto, prossima candidata alle elezioni parlamentari di gennaio 2008, rientro
che è stato segnato da un gravissimo attentato che ha provocato numerosi morti e feriti. A novembre 2007
il presidente Pervez Musharraf proclamò lo stato di emergenza ed emesse un ordine costituzionale provvisorio.
Con questo atto, firmato come capo delle Forze armate pakistane, Musharraf ha effettuato un secondo colpo di Stato
a otto anni dal primo, che lo portò al potere.
ARTELa storia dell'arte pakistana corre
parallela a quella indiana: le prime testimonianze artistiche risalgono al III
millennio a.C. e appartengono alla famosa
civiltà dell'Indo
(V. INDO, CIVILTÀ DELL'), caratterizzata da
strutture architettoniche urbane e fluviali come quelle di Mohenjo-Dâro e
Harappâ. In epoca storica fiorì l'arte religiosa, per lo più
di ispirazione buddhista, raggiungendo il massimo splendore tra i secc. I a.C e
III d.C. nella ricca e monumentale arte del
Gandhâra
(V.): fiorì durante il Regno dei
Kusâna, nella regione del Gandhâra, nei pressi di Peshwar; è
definita comunemente
arte greco-buddhista, perché vi si
armonizzarono elementi e tecniche espressive di origine ellenistico-romana e
indiana-buddhista; in realtà tale sintesi avvenne tramite la cultura
iranica e scito-partica. Uno dei siti archeologici principali è Taxila,
presso Rawalpindi, in cui si succedono signori greci, sciti e kusâna.
Esemplari sono la tecnica scultorea, in scisto e in stucco, e un tipo di
edificio propriamente buddhista, lo
stûpa: antico monumento
funebre, ne mantenne la forma a cupola semisferica, sostenuta da un tamburo
cilindrico, divenendo invece un monumento commemorativo e quindi un simbolo
della cosmologia buddhista, arricchendosi di decorazioni e bassorilievi. Con la
caduta del Regno dei Kusâna, fu privilegiata un'arte minore, più
facilmente deperibile, caratterizzata dall'uso di materiali semplici come
stucco, argilla, terracotta. Tra i secc. VII e IX tornò in auge la
scultura in pietra e in bronzo, in cui si fondevano elementi espressivi indiani
e centro-asiatici. Con la penetrazione islamica, tra i secc. IX e XI, la
formazione dell'Impero Moghûl (V.) e la
diffusione della cultura arabo-islamica, fiorì un'architettura
monumentale, civile e religiosa, in cui si realizzò un perfetto
sincretismo tra i tratti architettonici caratteristici indiani e quelli
musulmani, ossia la trabeazione, a linea orizzontale, e la struttura ad arco.
Uno dei centri principali fu Lahore, capitale del celebre sovrano Akbar nel XVI
sec., in cui si possono tuttora ammirare la moschea Bâdshâhî e
il forte, l'area fortificata che comprende vari edifici, tra cui il magnifico
palazzo imperiale degli Specchi, decorato con la tecnica tradizionale punjabi,
una sorta di mosaico con frammenti di specchi. In questo periodo ebbe uno
sviluppo particolare la raffinata miniatura di origine persiana, la cui
tradizione proseguì a fase alterne per secoli, fino ai capolavori
contemporanei di Chugtai, Ustad Allah Bukhsh, Haji Sharif e
Askari.
LETTERATURALa letteratura pakistana si
è espressa in più lingue, in particolare in urdu, punjabi, sindhi,
pashto e in baluchi; fondamentale è quella in urdu, la lingua ufficiale
del
P.: lingua di antica tradizione poetica, in cui confluirono elementi
arabo-persiani e indigeni, lega la cultura pakistana moderna a quella più
genericamente detta indo-musulmana, che ebbe come centro propulsore le raffinate
corti dei Moghûl. Tuttavia, la cultura pakistana riconosce quali modelli
poetici solo le opere di ispirazione religiosa e didascalica: poeta nazionale
è Muhammad Iqbâl (1873-1938), raffinato cantore della "nazione"
islamica, anticipatore dell'idea di uno Stato islamico. Dopo i primi entusiasmi
nazionalistici, fiorì un movimento innovatore sia in poesia sia in prosa,
il Movimento degli scrittori progressisti, caratterizzato da una spiccata
tendenza al realismo e da un interesse per i particolari etnici; i principali
promotori furono il poeta Faiz Ahmad Faiz (n. 1912) e il novellista
Sa'âdat Hasan Mantô (1913-1955). In lingua punjabi si
sviluppò la vasta letteratura mistico-religiosa sûfî: tra i
principali poeti ricordiamo Miyân Muhammad Bakhshî (m. 1905); nel
1951 fu fondato a Lahore il mensile letterario "Panjâbî", sotto la
direzione di 'Abdu'l-Magîd Sâlik e di Faqîr Muhammad, che dava
spazio a una letteratura socialmente impegnata e di tendenze progressiste. Per
le letterature minori ricordiamo in sindhi il poeta Sayyid 'Ârif
Gîlânî, in baluchi il poeta Gul Khân Nasîr, in
bengali il poeta Nazr al-Islâm.