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Ocalan, Abdullah.

Leader curdo. Nato in un piccolo villaggio sulle rive dell'Eufrate nella provincia curda di Ur, venne confidenzialmente chiamato dai suoi seguaci Apo, ossia zio. Infatti, come lo zio nelle società musulmane è colui che assume il ruolo del capofamiglia quando viene a mancare il padre, così O. si era posto come principale punto di riferimento per il popolo curdo. Primogenito di sei figli e appartenente a una famiglia di contadini, frequentò la facoltà di Scienze politiche di Ankara. Negli anni dell'università cominciò ad appassionarsi alla politica abbracciando le teorie marxiste-leniniste. A quel periodo risale la decisione di dedicarsi alla causa dell'indipendenza del popolo curdo, da anni diviso, perseguitato e ridotto in condizioni di vita durissime, al limite della sopravvivenza. Erano gli anni Settanta e anche in Turchia, come in molti altri Paesi, forti tensioni politiche e sociali sfociarono in scontri di piazza, attentati tra opposte fazioni e rappresaglie da parte delle cosiddette squadre della morte. In quel clima O. si mise in luce, diventando ben presto uno dei maggiori promotori delle manifestazioni studentesche contro i militari. Nel 1978, con alle spalle un'esperienza di carcerazione, decise di fondare con un gruppo di compagni il Partito dei lavoratori curdi (PKK), che da movimento politico si trasformò in breve tempo in una temibile macchina da guerra con un unico fondamentale obiettivo: difendere a ogni costo i diritti del popolo curdo e combattere per la sua autonomia, promuovendo il movimento irredentista anche nelle enclavi curde presenti in Iraq, Iran e Siria. L'inizio vero e proprio della lotta armata risale al 1984. Da allora il leader curdo votò interamente la propria vita alla causa del suo popolo. La figura del capo della guerriglia curda è tuttavia offuscata da molte ombre: sarebbe stato responsabile della pianificazione, nel periodo tra il 1992 e il 1995, di una campagna di spedizioni punitive contro i villaggi non schieratisi apertamente con il PKK e un rapporto di Amnesty International lo indica come il mandante di 768 esecuzioni e del massacro di 360 civili. Secondo i servizi segreti inglesi, avrebbe finanziato le attività politiche del PKK con il denaro ricavato dalla coltivazione e produzione di oppio nella valle della Bekaa, in Libano, e con il riciclaggio di denaro derivante da altri traffici illeciti. Il leader curdo dovette inoltre rispondere dell'accusa di sequestro e abuso di minori, rapiti per essere addestrati alla guerriglia o per essere coercitivamente arruolati tra le fila del PKK. Alla fine del 1998 O. arrivò a Roma, proveniente da Mosca. Dapprima venne tutelato e protetto, ma in seguito, quando le pressioni della Turchia e degli Stati Uniti si fecero più forti, fu costretto a lasciare il Paese. Catturato in Kenya dai servizi speciali turchi, venne trasferito a Istanbul e poi nel carcere dell'isola di Imrali. Processato con l'accusa di alto tradimento e attentato alla Costituzione, nel giugno 1999 venne condannato a morte per impiccagione dalla Corte per la sicurezza dello Stato; la pena capitale venne poi commutata in ergastolo nell'ottobre 2002 (n. Omerli 1949).